Benvenuti nel nono capitolo…
Vi anticipo subito che per i tre ragazzi è ora di tornare in
città… In più, è ora che Li sveli a Sakura qualcos’altro, che le faccia la sua seconda
confessione… Forse avrete capito di che si tratta, o forse no… Ad
ogni modo, buona lettura!
FORSE UN ANGELO
Capitolo 9
- La stazione -
“Ti
regalerei una stella, ma non servirebbe a nulla
Luce
dopo la tempesta, un desiderio resterai
Semplicemente
stupenda, unicamente te…”
Sakura si mise la borsa da viaggio in spalla,
salutò un’ultima volta l’addetto alla reception e si diresse
alla porta. Nel farlo mi passò accanto, mi lanciò uno sguardo di
sfuggita e distolse immediatamente gli occhi.
Era tutto il giorno che
andavamo avanti così.
Quella mattina, tornati in
albergo, a Tomoyo era bastata un’occhiata per capire cos’era
successo. Aveva guardato Sakura che le sfrecciava accanto e andava a barricarsi
nel bagno della stanza 118, poi si era voltata verso
di me con aria scoraggiata.
«Gliel’hai
detto, vero?», aveva mormorato con voce appena udibile.
Io avevo scrollato le
spalle.
«Come vedi, non
è servito a molto», avevo ribattuto poi, nello stesso tono basso e
arrendevole.
Lei si era rattristata.
«Mi dispiace.»
Già. Dispiaceva
anche a me.
Mentre guardavo Sakura,
ancora ostinata nel far finta di niente, uscire dalla porta dell’albergo,
seguita da Tomoyo, che mi fissava di sottecchi con aria triste, capii che
davvero la stavo perdendo per sempre.
Sospirai e uscii
anch’io.
Stavamo tornando alla
stazione.
Stavamo tornando a casa.
E ancora dovevo dirle che
presto io sarei tornato alla mia. Lontano da lei.
Avevo sperato in una
reazione diversa. Non pretendevo certo che mi gettasse le braccia al collo, che
piangesse di gioia e che mi confessasse che anche lei mi amava
segretamente… Mi sarebbe bastato che non ignorasse la situazione. Invece,
per tutto il viaggio, Sakura non mi evitò, fu quella di sempre, solo un
po’ più forzata, come se si ostinasse a credere che non fosse
successo nulla, e questo faceva mille volte più male che se mi avesse detto esplicitamente che non ricambiava i miei
sentimenti.
Il messaggio, comunque,
era lo stesso.
Lei non mi ricambiava. Io
ero il suo migliore amico, certo, ma nulla più. Dovevo farmi bastare
questo. Dovevo accontentarmi del fatto che ancora parlava e rideva con me, che
mi indicava nuvole strane dal finestrino del treno, e che mi stava facendo il
favore di non ignorarmi completamente.
Non era altro che il mio
desiderio irrealizzabile.
Se pensavo che, solo due
giorni prima, in quello stesso treno, lei aveva tenuto la testa sulla mia
spalla e mi aveva fatto sentire al centro del mondo…
Ora mi sentivo solo spento
dentro.
Era il tramonto inoltrato quando fu ora di scendere dal treno.
Tomoyo saltò a
terra per prima. Sakura la seguì guardandomi solo di sfuggita. Non le
facevo un torto, se voleva continuare a fingere, ma non potevo impedirmi di
star male.
La macchina venuta a
prendere Tomoyo era già arrivata. Lei si voltò verso di noi.
«Ciao, ragazzi. Mi
sono divertita molto, con voi. Ci vediamo a scuola, va bene?»
«Ciao,
Tomoyo», la salutò Sakura, sempre forzatamente allegra.
Io le rivolsi solo un
cenno della mano, ma Tomoyo capì. Tomoyo aveva sempre capito, anche se io credevo che nessuno
potesse capirmi.
Salì in macchina e
si allontanò nel crepuscolo.
«Che strano, Toy
dovrebbe essere già qui», bofonchiava Sakura, guardando su e
giù lungo la banchina della stazione, evitando di soffermarsi su di me.
Mi guardai i piedi. Finora
ero rimasto concentrato sulla prima delle due cose che avrei voluto e dovuto
dirle. Ma la seconda questione, che avevo relegato in secondo piano, era
importante quanto la prima, e andava affrontata subito.
Mi decisi. Era il momento
di dirle anche ciò che finora le avevo tenuto nascosto. Avrebbe
sofferto, così come avrei sofferto io, ma arrivati a questo punto non
c’era davvero altro da fare.
«Sakura…»,
mormorai.
«Giuro che appena lo
prendo, gli faccio passare la voglia di arrivare in ritardo.»
Non mi aveva sentito. O forse fingeva anche stavolta. «Dove diavolo sei, Toy?...»
Abbassai di nuovo la testa.
Se non mi avrebbe ascoltato, pazienza. Ma dovevo dirglielo.
«Tra una settimana
torno a Hong Kong.»
In quell’istante, un
treno partì sferragliando dal binario alle nostre spalle. Nel rumore
assordante, Sakura si voltò a guardarmi. Bastarono i suoi occhi a dirmi
che aveva sentito perfettamente.
Sostenni il suo sguardo,
stavolta senza arrossire, senza paura, perché non c’era più
motivo di averne, perché non c’erano più segreti.
Per un lungo minuto, il
rumore del treno in partenza ci impedì di dire o fare qualsiasi cosa.
Quando alla fine il suono
sferragliante si perse in lontananza, si udì il suono di un clacson.
«Ehi, Sakura!»
La voce di Toy.
Sakura si voltò
automaticamente nella direzione da cui si avvicinava la macchina di suo
fratello.
E mentre non mi guardava,
stavolta fui io a scappare da lei.
«Ci vediamo»,
mormorai, poi mi sistemai la borsa in spalla e le diedi le spalle.
Iniziai a correre per
uscire dalla stazione.
Sentii che mi chiamava, o
forse lo immaginai soltanto. Ma non mi voltai.
All’uscita mi fermai
a riprendere fiato. Anche stavolta, non mi guardai indietro.
Mi incamminai più
lentamente, mentre il cielo iniziava già a riempirsi di stelle,
ripensando a ciò che avevo visto negli occhi di Sakura
quando le avevo detto che sarei partito. La confusione che vi avevo
scorto faceva lo stesso effetto di un’accusa silenziosa. Potevo
immaginare benissimo cosa pensasse: Prima
mi dici che mi ami, e mi sconvolgi, e poi ugualmente senza preavviso mi dici
che te ne vai?
Avevo fatto sempre e solo
degli errori con lei.
Ma che altro potevo fare,
accidenti?
Affondai le mani nelle
tasche. Pensandoci bene, forse era quello il motivo per cui
non le avevo ancora detto che me ne sarei andato. Forse speravo di non aver
bisogno di andarmene. Sarebbe bastato un suo sorriso, una parola soltanto, quel
giorno al faro, e subito avrei lasciato perdere, e sarei rimasto per sempre al
suo fianco. Probabilmente per questo avevo nascosto a lei e perfino a Tomoyo
l’eventualità che tornassi in Cina.
Non lo sapevo. Non ne ero
certo. Era tutto troppo complicato. Io avevo solo una testa, solo un cuore, e
non riuscivo a tenerci troppe cose insieme chiuse dentro. E in quel momento
come sempre, sia la testa che il cuore erano pieni di lei, e non c’era
spazio per nient’altro.
Mi passai una mano tra i
capelli, sospirando sconfortato, e in quel momento vidi la macchina di Wei
avvicinarsi, diretta certamente alla stazione.
Mentre il maggiordomo mi
vedeva, accostava al marciapiede e scendeva per prendere il mio zaino, e mentre
rispondevo laconicamente al suo saluto, mi dissi che quella notte avrei dovuto
iniziare a preparare un altro bagaglio.
Ebbene sì, stiamo per
giungere alla fine della storia. Cosa succederà?
Se vorrete accompagnarmi fin
lì, vi aspetterò con il decimo e ultimo capitolo…
PS. Carissima Evans Lily, non preoccuparti… Mi fa
sempre piacere leggere le tue recensioni e sono sempre felicissima di sapere
che mi segui con attenzione… Detto questo, ringrazio anche tutti gli
altri recensori, in particolare le fedelissime Sakura Bethovina, Ponpon, Sakura182blast e Sakura93thebest.
Spero di rivedervi tra i prossimi commenti… E spero di non deludervi!