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Autore: sonsimo    07/04/2008    6 recensioni
La guerra che ha sconvolto il mondo magico si è finalmente conclusa con la vittoria di Harry Potter, ma Andromeda, la Black diseredata dalla famiglia, ha dovuto pagare un prezzo altissimo. Ha perso il marito e poi anche la figlia e il genero, le è rimasto solo il piccolo Teddy. Da una dichiarazione rilasciata dalla Rowling sappiamo che è stata Bellatrix a uccidere Tonks e di certo per Andromeda non deve essere stato semplice affrontare questa realtà. La donna si reca ad Hogwarts per vedere i corpi della figlia e del genero, viene a sapere quello che è successo e rivive dentro di sé tutto l’odio provato già in passato nei confronti della sorella maggiore.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Bellatrix Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autore/ringraziamenti:Questa storia è stata scritta per la terza edizione dell’HP FicExchange indetto da Kit05, per il seguente prompt: “Sorelle Black, una storia d’amore, una scena fondamentale ambientata di notte”. La parte centrale della storia è cronologicamente slegata dal resto, si tratta di un sogno di Andromeda che, priva di conoscenza, rivive la notte in cui ha abbandonato la famiglia Black per fuggire con Ted e di conseguenza ha rotto qualsiasi legame con le sorelle. Non è stato molto semplice scrivere di Andromeda, è un personaggio di cui sappiamo davvero molto poco, ma sono contenta di averlo fatto perché si è rivelata un’esperienza interessante. Ancora una volta, grazie di cuore a Kit per questa splendida iniziativa che è l’HP Ficexchange e grazie all’ideatrice della traccia che mi è stata assegnata. Spero di averla sviluppata in maniera soddisfacente! Il termine “Unforgivable”, nel titolo, è un riferimento alle Maledizioni Senza Perdono. Le orribili abbreviazioni dei nomi delle sorelle Black le ha inventate la Rowling, quindi non prendetevela con me.

Disclaimer: Il mondo di Harry Potter appartiene a J.K.Rowling e questa storia non è stata scritta per scopi di lucro.

My unforgivable sister

Avrebbe voluto urlare.
Non c’erano parole sufficientemente amare per descrivere il dolore di Andromeda di fronte ai cadaveri della sua unica figlia e del genero.
Quando aveva saputo, il giorno dopo la più grande battaglia che il Mondo Magico avesse mai affrontato, non aveva voluto crederci. Aveva preso il bambino e si era immediatamente Materializzata al villaggio di Hogsmeade, per poi raggiungere da lì Hogwarts. Non aveva fatto caso alle persone incontrate lungo il cammino, non avrebbe saputo dire chi fossero, si era accorta a malapena della professoressa Mc Granitt che all’ingresso della Sala Grande le aveva tolto il piccolo Teddy dalle braccia e le aveva indicato dove andare. Senza guardarsi intorno Andromeda aveva raggiunto il cadavere della sua Dora e si era inginocchiata sul pavimento, aveva preso il capo della ragazza e se lo era appoggiato sulle ginocchia. E finalmente, era riuscita a piangere.
La sua bambina, la sua coraggiosa piccola Auror, era morta. Non avrebbe mai dovuto raggiungere la battaglia, persino Remus aveva cercato in tutti i modi di impedirglielo. Remus, il buon Remus, che adesso giaceva privo di vita accanto alla donna amata, alla donna che mai avrebbe voluto far soffrire. Il piccolo Teddy non aveva più nessuno, gli era rimasta soltanto lei, un’inutile vecchia strega stanca della vita, che solo da pochi mesi aveva perso il marito e che adesso piangeva sul cadavere di una figlia troppo giovane per morire. Che vita avrebbe mai potuto dare lei a quel bambino? Se solo Dora avesse sentito ragione, se solo non fosse andata a combattere…
Andromeda sentì dei passi dietro di sé farsi sempre più vicini e quindi il calore di una mano poggiata sulla spalla. Si voltò e si ritrovò a fissare gli occhi pieni di lacrime di Molly Weasley, che dopo qualche istante di esitazione la tirò in piedi e la strinse tra le braccia. Andromeda era piuttosto stupita del comportamento dell’altra strega, non erano mai state molto in confidenza, ma al tempo stesso le era grata per quel gesto d’affetto di cui aveva così disperatamente bisogno in quel momento. Sentì i singhiozzi della donna che l’abbracciava e non potè fare a meno di porle la domanda a cui temeva di dar voce.
“Molly, voi avete… qualcuno della vostra famiglia è…”
Un sussurro appena udibile:
“Fred.”
Andromeda non disse nulla, si limitò a stringere con più vigore l’altra donna e a piangere silenziosamente abbracciata a lei. Dopo un tempo che le due streghe non sarebbero state in grado di quantificare, Andromeda parlò di nuovo. Sapeva che, pur se avesse ottenuto risposta a quella domanda che la ossessionava dal momento in cui aveva visto il cadavere di Dora , non avrebbe provato alcun sollievo, ma desiderava ugualmente, ardentemente, conoscere la verità. Si scostò leggermente da Molly, quel tanto che bastava per guardarla negli occhi:
“Chi ha fatto questo a mia figlia? Tu lo sai, Molly?”
La signora Weasley scoppiò in un singhiozzo ancora più doloroso e abbassò lo sguardo, come se fosse stata incapace di guardare negli occhi Andromeda per un minuto di più.
Senza comprenderne bene la ragione la signora Tonks si sentì gelare il sangue nelle vene alla vista dell’esitazione di Molly e si costrinse a parlare ancora, nonostante la morsa che le serrava dolorosamente la gola.
“Eri lì quando è successo? Hai visto chi l’ha uccisa?”
Molly deglutì vistosamente.
“No, io… ho sentito il resoconto di un Auror che ha assistito alla scena.”
La voce di Andromeda era adesso determinata.
“Chi è stato, Molly?”
“Mi dispiace tanto,” Molly chiuse gli occhi e sussurrò: “Bellatrix.”
L’altra donna si staccò bruscamente e fissò inorridita la signora Weasley che le poggiò una mano esitante sulla spalla. La voce di Andromeda era adesso aspra, colma di collera e orrore, spaventosa alle orecchie di Molly.
“Dov’è lei? Che fine ha fatto? E’ stata arrestata? E’ fuggita? E’…”
“E’ morta,” la interruppe Molly, per poi continuare in un sussurro: “Sono stata io.”
Andromeda sgranò gli occhi e spalancò la bocca, come se avesse voluto dire qualcosa, ma poi la richiuse e si voltò verso il corpo della figlia. Strinse i pugni e non provò nemmeno a trattenere l’esclamazione di rabbia che fuggì dalle sue labbra. Quindi guardò nuovamente Molly e si sforzò di controllare il tono della propria voce, con scarsi risultati:
“Il suo corpo. Dov’è?”
“Tutti i corpi dei nemici uccisi sono nell’Aula di Trasfigurazione, in attesa di essere seppelliti. Andromeda io… pensavo fosse giusto dirtelo di persona. Dopotutto era pur sempre tua sorella.”
Non fece in tempo a sorreggere l’altra donna, che cadde in ginocchio emettendo un singhiozzo strozzato. La rabbia sembrò per un istante abbandonare completamente il corpo di Andromeda, che si accasciò a terra priva di energie, sopraffatta dalle lacrime. Molly si chinò su di lei, preoccupata. Sapeva bene che, per quanto si sforzasse, non sarebbe stata in grado di trovare parole di conforto opportune. Sapeva cosa voleva dire perdere un figlio e poteva immaginare quanto la pena della signora Tonks fosse centuplicata a causa dell’identità dell’assassina della propria figlia. Non tentò nemmeno di parlare, si limitò a stare accanto ad Andromeda, finché non fu quest’ultima a rompere il silenzio, con la voce spezzata dal pianto:
“Avrei dovuto farlo io. Avrei dovuto farlo io tanti anni fa. Se solo non fossi stata così vigliacca, Dora sarebbe ancora viva.”
“Ma cosa dici, Andromeda? Di certo non è colpa… Andromeda!”
L’urlo della signora Weasley non servì a richiamare Andromeda dallo stato di incoscienza nel quale era sprofondata.
Forse svenire, fuggire per qualche istante da quella tremenda realtà, era una benedizione. Ma purtroppo nemmeno in quel modo Andromeda riuscì a liberarsi dal ricordo di quella notte di tanti anni prima, riaffiorato nella sua mente nell’istante stesso in cui Molly aveva pronunciato il nome di Bellatrix. Priva di sensi, rivisse quel momento della sua giovinezza che non aveva mai dimenticato.

Dopo l’ennesimo controllo, Andromeda si convinse finalmente a sigillare il baule. Ted sarebbe arrivato molto presto ed ormai era pronta, erano ore che si dedicava ai bagagli, probabilmente per tenere la mente occupata. Si avvicinò alla finestra della sua camera da letto, appoggiò i gomiti sul davanzale e sorrise malinconica alla vista che le si parava davanti. Lo spicchio di luna nel cielo illuminava di un pallido chiarore il cortile di quella che tra poco non avrebbe più potuto chiamare casa, e quella vista, nonostante non aspettasse altro che andarsene, le stringeva il cuore. Sospirò suo malgrado nell’osservare quel giardino dove tanto spesso, insieme alle sorelle, si era sporcata gli abiti di fango, a causa dei loro stupidi giochi di bambine.
Sorrise, ripensando a quando ancora si poteva giocare.
Quando negli sguardi dei suoi cari rivolti a lei vi era ancora affetto e non solo sdegno e rimprovero. Quando Cissy, bimba timida e innocente, non aveva ancora assunto l’aria altezzosa e arcigna che adesso era la sua caratteristica fondamentale.
Quando il sorriso di Bella non si era ancora trasformato in un ghigno freddo e vuoto.
Il rimpianto era inutile quanto inevitabile, in quel momento. Fin da quando aveva iniziato a comprendere, a prendere le distanze dagli ideali del resto della sua famiglia, Andromeda non era più stata bene tra quelle quattro pareti ed aveva sentito crescere sempre più, dentro di sé, l’irrefrenabile desiderio di abbandonare quel mondo che non le apparteneva e al quale lei non apparteneva. Aveva cominciato a vedere la sorella maggiore, mito, amica e confidente dell’infanzia, sotto una luce diversa, e Bella se ne era accorta immediatamente, e tutto quello che aveva fatto era stato schernirla, o rimproverarla. In un primo momento Andromeda aveva sperato di trovare in lei un appoggio, aveva creduto che quella familiarità che da bambine le aveva rese tanto unite fosse ancora viva e presente, e invece aveva dovuto ricredersi, quando aveva scoperto che proprio Bella era colei che più di ogni altro membro della sua famiglia aveva fatto di quegli ideali di sangue la sua dottrina, la sua fede. Bella era terribilmente lontana da lei e Andromeda se ne era accorta troppo tardi. La ragazza si morse le labbra e appoggiò la testa sulle mani, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente l’aria fresca della notte. Presto quel luogo sarebbe stato soltanto un ricordo. Non avrebbe più messo piede nella casa in cui aveva trascorso la sua infanzia. Lo sapeva da tempo che avrebbe dovuto abbandonarla. Fin dalla prima volta in cui si era scoperta a guardare il giovane Ted Tonks in modo diverso rispetto a qualsiasi altro ragazzo coi cui avesse avuto un rapporto un po’ più profondo di una semplice amicizia.
Il rintocco dell’antico orologio appeso alla parete richiamò Andromeda al presente. La giovane si riscosse dai propri pensieri, sollevò il baule con la bacchetta e scese fuori in giardino. L’appuntamento con Ted era poco lontano, ma doveva affrettarsi se non voleva arrivare in ritardo. Si voltò solo per un’ultima volta a guardare l’antica casa di famiglia e poi si avviò verso il suo giovane fidanzato. Le bastò svoltare l’angolo per vederlo, timido e sorridente, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo felice, così felice…
Andromeda accelerò il passo, impaziente di abbracciarlo, quando l’improvviso mutamento nell’espressione di lui le fece gelare il sangue nelle vene. Negli occhi di Ted c’era un terrore che Andromeda non aveva mai visto prima. La ragazza lasciò cadere il baule e si voltò per scoprire che cosa avesse visto il ragazzo.
Non avrebbe mai più dimenticato quella vista.
Diritta e rigida, i capelli sciolti che ondeggiavano alla brezza notturna e la bacchetta tesa davanti a sé, Bella sembrava un demonio. Il viso era completamente stravolto da rabbia e disprezzo e la bocca aperta in una smorfia quasi oscena, mentre urlava la sua Maledizione Imperdonabile.
L’implacabile lampo di luce verde si diresse a tutta velocità in direzione del Sanguesporco a cui era diretto, che solo grazie alla sua prontezza di riflessi riuscì a schivarlo. Andromeda ebbe appena il tempo di accertarsi che fosse ancora vivo, prima di sfoderare la bacchetta e, sopraffatta da una rabbia mai provata prima, puntarla in direzione di quel demonio che un tempo aveva chiamato sorella.
“Avresti… avresti potuto ucciderlo!”
“Stupida, è proprio quello che stavo cercando di fare! Dove credi di andare con quella feccia? Sei un disonore per la nostra famiglia!”
La mano che reggeva la bacchetta tremava, ma Andromeda si costrinse a tenerla puntata contro Bellatrix.
“Non ti deve importare. Me ne vado via, non mi vedrai mai più.”
“Sì che mi importa, invece. Non ti permetterò di rovinare il buon nome della nostra famiglia. Piuttosto… piuttosto ti vedrò morta!”
Andromeda sentì il proprio corpo tremare più violentemente. Ma non era paura e nemmeno rabbia, questa volta. Deglutì per trattenere i singhiozzi e sbattè le palpebre che già bruciavano per le lacrime pronte a sgorgare.
Lo sapeva già. Non avrebbe dovuto stupirsi. Eppure, sentir uscire quelle parole dalle labbra di sua sorella le provocò un dolore che non aveva mai provato prima di allora.
Piuttosto ti vedrò morta.
Non avrebbe esitato nemmeno per un istante ad ucciderla. Inutile illudersi, sperare che quelli che per lei erano bei ricordi d’infanzia significassero qualcosa per la sorella maggiore. Per lei l’onore Purosangue della nobile famiglia Black era ben più importante della vita della sorella.
Bellatrix, con la bacchetta sempre tra le dita, si avvicinava minacciosa e ghignante, e Andromeda si scoprì a mormorare suo malgrado:
“Ti odio.”
Quella dichiarazione, che a lei costava così tanto, venne accolta con una risata fredda dall’altra donna. Con gli occhi ormai velati di pianto Andromeda la vide fermarsi e concentrarsi, evidentemente pronta a colpire, pronta ad uccidere. La sua presa alla bacchetta si rinforzò e prima che Bella potesse pronunciare anche solo una sillaba la seconda delle sorelle Black scattò verso di lei, cogliendola completamente di sorpresa e disarmandola con un Expelliarmus.
Bellatrix era di certo una duellante molto più abile della sorella e probabilmente fu proprio la sua eccessiva sicurezza a permettere ad Andromeda di coglierla di sorpresa. La bocca della sorella maggiore si spalancò per lo stupore mentre la sua bacchetta volava tra le dita protese di Andromeda, che la afferrò e poi si avvicinò alla sorella ancora di più, tremando violentemente dalla testa ai piedi e tenendole sempre la propria bacchetta puntata contro.
Dovrei ucciderla. Dovrei farlo. Lei lo farebbe. Potrebbe farlo alla prossima occasione. Ma sapeva che non ci sarebbe riuscita. Lo sapeva prima ancora di udire l’urlo di Narcissa, appena arrivata ad assistere a quella scena.
“Bella, Dromeda, che cosa succede?” lo sguardo spaventato e stupito della ragazza più giovane si tramutò in puro disprezzo non appena si posò sul Nato Babbano che era tra di loro.
“Attaccali!”
Narcissa appariva ancora confusa, ma sfoderò la propria bacchetta, pronta ad obbedire all’ordine di Bellatrix. Andromeda stava per voltarsi e fronteggiare l’altra sorella, nonostante le lacrime le impedissero ormai di distinguere bene le immagini davanti a sé, quando Ted le posò una mano sulla spalla facendola voltare nella sua direzione.
“Andiamocene via, Dromeda. Smaterializziamoci adesso.”
La giovane Black deglutì e poi annuì tra le lacrime. Mentre effettuava la Smaterializzazione posò ancora una volta gli occhi su Bellatrix e l’ultima immagine che portò con sé fu l’odio furioso della sorella che non era riuscita ad ucciderla.

Ted e Andromeda si Materializzarono poco lontano dal sobborgo Babbano dove il ragazzo abitava con la sua famiglia. Il giovane la abbracciò immediatamente e lasciò che Andromeda piangesse col volto nascosto nell’incavo della sua spalla. Quando finalmente il respiro della ragazza si fece regolare, Ted la scostò da sé e le parlò guardandola negli occhi e sollevandole il mento con due dita:
“Mi dispiace, Dromeda. Mi dispiace che tu abbia dovuto rinunciare alla tua famiglia per me.”
La ragazza lo guardò con gli occhi ancora lucidi di pianto e gli accarezzò i capelli illuminati da un raggio di luna. Non sapeva cosa rispondere a quelle parole. Probabilmente avrebbe rinunciato ugualmente alla sua famiglia, prima o poi, anche se non ci fosse stato lui nella sua vita. Ma non aveva voglia di dar voce a quel pensiero, anzi non aveva voglia di pensare affatto alla vita che si era lasciata alle spalle. Voleva solo dimenticare.
Si sollevò in punta di piedi e poggiò le labbra su quelle di Ted.

Riaprì gli occhi e la prima cosa che vide fu lo sguardo preoccupato di Molly. Si mise in piedi a fatica, allontanando rapida le mani che avrebbero voluto sostenerla, e con passo appena malfermo si incamminò verso i sotterranei, sorda ai richiami della signora Weasley e di Minerva. Non le importava niente, non voleva ascoltarle. In quel momento voleva solamente raggiungere il luogo in cui si trovavano i cadaveri dei Mangiamorte che erano rimasti uccisi. Solo un pensiero nella sua mente, un pensiero dal gusto dolceamaro di una vendetta del tutto inutile. Una vendetta che non le avrebbe restituito la sua Dora. Una vuota e fredda soddisfazione priva di significato.
Sarò io. Io ti vedrò morta.
Raggiunse i sotterranei, ignorò gli sguardi degli Auror e dei professori che incrociò lungo il suo cammino, ignorò i cadaveri che non la riguardavano, che in quel momento per lei non erano altro che carne morta e senza volto. Raggiunse ciò che restava di colei che stava cercando e senza sapere nemmeno perché tirò fuori la bacchetta e la puntò contro la donna priva di vita. Sentì la rabbia invaderla a ondate sempre più travolgenti e provò il desiderio di colpire, di fare a pezzi quel corpo, di infierire su quel guscio vuoto.
Vuoto da ben prima che la vita lo abbandonasse.
E ancora una volta gli occhi le si riempirono di lacrime e un doloroso singhiozzo le strinse la gola. Incapace di resistere oltre distolse lo sguardo dal corpo dell’aguzzina della figlia, e solo in quel momento si rese conto di non essere sola. C’era qualcun altro che osservava il cadavere di Bellatrix. Andromeda abbassò la bacchetta e ricambiò per qualche istante lo sguardo di Narcissa.
Freddi e impassibili, gli occhi della più giovane delle sorelle Black non ricordavano nemmeno lontanamente quella bambina che ancora viveva nei ricordi di Andromeda.
Si scrutarono in silenzio. Non c’erano parole che potessero dirsi, che volessero dirsi. Nemmeno di disprezzo e d’odio. Sarebbero state inutili, gettate al vento, uno spreco di tempo e di energie. Erano morte l’una per l’altra da molto, troppo tempo.
Andromeda ripose la bacchetta e si voltò, per ritornare dal suo Teddy, la sua sola famiglia.

FINE

  
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