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Autore: Beauty    14/10/2013    13 recensioni
E se Belle e Rumpelstiltskin si fossero incontrati nella vita reale?
Mr. Gold, attraverso i suoi patti, tiene in pugno l'intera Storybrooke. E' considerato un uomo malvagio e incapace di amare, ma quando Belle French, per saldare i debiti del padre, accetta di lavorare per lui, le cose si rivelano diverse da come appaiono. Ben presto, Belle e Mr. Gold si ritroveranno inaspettatamente a provare dei sentimenti l'uno per l'altra, ma qualcuno intanto sta tramando nell'ombra...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Because I Love Him
 
Graham ci aveva impiegato più di un’ora a cercare di far calmare quei due bambini, e un’altra per riuscire a decifrare ciò che avevano appena raccontato. Il risultato era stato un gran mal di testa e parecchio sconcerto.
Più stava a sentire Henry e Paige, e più si sentiva idiota e impotente.
Quante cose gli erano capitate sotto il naso in tutto quel tempo che lui aveva speso a stare dietro a Emma e alle sue mattane?
Paige diceva una parola ogni due o tre singhiozzi, mentre Henry continuava a parlare a raffica, quasi avesse i secondi contati. Graham non ci stava capendo niente. Tutto ciò che era riuscito a carpire riguardava Isabelle French e il signor Gold, ma il nesso che c’era fra i due non era del tutto chiaro. Dalle parole di Henry, la figlia del fioraio aveva avuto dei problemi, c’entrava Regina Mills, e adesso Gold l’aveva liberata. Graham aveva la sensazione neanche poi tanto surreale che quei due stessero cercando di dargli a bere una mezza verità, tenendo nascosti dei dettagli fondamentali.
- Allora…vediamo di ricapitolare…- sospirò, appoggiando stancamente il dorso allo schienale della sedia; sentiva le tempie pulsargli come dei tamburi.- Isabelle French e il signor Gold stanno…insieme, mi pare di aver capito?
- Beh, questo noi non lo sappiamo con certezza…- borbottò Henry.- Diciamo che lui è la Bestia e lei la Bella…
- Eh?
- Come nella favola - pigolò Paige, soffiandosi il naso con uno dei kleenex che Graham le aveva allungato per disperazione.- Ha presente, Sceriffo, quando…
- Fermi!- la bloccò l’uomo. - Per favore, niente favole e cose simili. Attenetevi alla realtà. Mi stavate dicendo…?
- Supponiamo che la figlia di French e il signor Gold stiano insieme…- borbottò il bambino, serio.- Lei è stata rapita, ma ora non c’è più niente da temere perché lui l’ha liberata…o almeno credo, a quest’ora dovrebbe già…
- Un attimo: che intendete dire con rapita?- Graham strabuzzò gli occhi, sporgendosi verso di loro.- Isabelle French è stata rapita?
I due bambini si scambiarono una rapida occhiata, quindi annuirono. Lo Sceriffo si sentì gelare il sangue, e scattò istintivamente in piedi, rischiando di rovesciare la sedia.
- Mio Dio…!- mormorò, stralunato.- Com’è possibile? Dovrebbe essere ancora in ospedale…
- E’ proprio lì che è stata rinchiusa- spiegò Henry.- Nei sotterranei.
- E da chi?
A quel punto, Henry e Paige si strinsero nelle spalle; nessuno dei due rispose, ma Graham intercettò lo scambio di sguardi fra i due. Era come se la bambina stesse implorando silenziosamente il suo amico di tenere la bocca chiusa, e lui si trovasse parecchio in difficoltà riguardo a quest’ultimo punto.
Lo Sceriffo stava iniziando a innervosirsi: prima di assumere l’incarico a Storybrooke, aveva lavorato a Boston come agente semplice. Era stato un periodo tutto sommato breve, ma gli era bastato per farsi le ossa: molti dei suoi superiori gli avevano spesso fatto i complimenti per come sapesse gestire gli interrogatori e mettere sotto torchio un indiziato. Graham stesso aveva un’alta considerazione di sé, in questo campo: erano rare le volte in cui non era riuscito a estorcere la verità a qualcuno.
Il fatto che ora due bambini di dieci anni lo stessero mettendo in seria difficoltà non era altro che un colpo di fucile alla sua già debilitata autostima. Per non parlare delle conseguenze ben più gravi che avrebbe potuto avere una bugia inventata da dei ragazzini: si rendevano conto di quanto fosse grave ciò che stavano affermando?
Tornò a sedersi, avvicinando la sedia a quelle su cui erano appollaiati Henry e Paige.
- Sentite - esordì, mantenendo la voce calma e ferma, ma senza distogliere lo sguardo da loro.- Quello che mi state raccontando è molto grave. Vi rendete conto di questo, vero?
I due annuirono, ma non smisero il loro mutismo. Graham sospirò, senza demordere.
- Un rapimento non è una cosa su cui scherzare. Innanzitutto, dovete spiegarmi come avete fatto a sapere che, stando a quanto mi avete detto, Isabelle French è stata rinchiusa nei sotterranei dell’ospedale contro la propria volontà…
- Noi…- Paige si morse il labbro inferiore, con gli occhi così pieni di lacrime che Graham avrebbe potuto arricchirsi se avesse scommesso che stesse per scoppiare di nuovo in singhiozzo.
- L’abbiamo…sentito dire - buttò lì Henry, in un ultimo gesto disperato.
- Perdonatemi, ma non ci credo neppure un po’- insistette Graham.- Il rapimento di una ragazza di solito non è un argomento da chiacchiere di fronte a un caffè. Ma mettiamo che sia così: da chi, l’avete sentito dire?
- Ma che importa?!- saltò su la bambina.- Gliel’abbiamo detto, Sceriffo: abbiamo raccontato tutto al signor Gold, e ora ogni cosa è risolta.
- E’ stato il signor Gold a rapire Isabelle French?
- No!- si affrettò a dire Paige.- No, non è stato lui! Lui…lui la ama, e ora l’ha liberata. Che importanza ha adesso, se è stata rapita?
- Beh, ce l’ha, piccola - spiegò Graham.- Lascia che ti spieghi: tu sai che quando qualcuno rapisce una persona commette un reato, vero? Bene, anche se quella persona viene poi trovata e liberata, questo non cancella il fatto che è stato commesso un crimine, e che chi l’ha perpetrato debba venire punito secondo la legge. Perciò, se sapete chi è stato, allora me lo dovete dire. A meno che…e spero veramente per voi che non sia così…non mi stiate raccontando una bugia…
- Noi non…
- Ehi, che succede qui?
Tutti e tre si voltarono non appena udirono aprirsi la porta dell’ufficio e la voce di Emma Swann raggiungerli, sorpresa e anche un po’ irritata. Graham si alzò in piedi non appena vide la sua collega.
- Henry?- la donna inarcò le sopracciglia, guardando suo figlio.- Che è successo? Che ci fate qui tu e la tua amica?
Il bambino la guardò: la sua madre biologica, più che sorpresa o arrabbiata, sembrava piuttosto preoccupata. Fece per rispondere, ma Emma non gliene diede il tempo, e fece cenno a Graham di avvicinarsi a lei. I due uscirono dall’ufficio.
- Aspettate qui un attimo, per favore…- disse frettolosamente la donna, prima di chiudere la porta.
Una volta nel corridoio, Emma tirò a sé Graham, invitandolo con lo sguardo a fare silenzio.
- Che cosa ci fa Henry qui?- bisbigliò.
- Ancora non l’ho capito…- borbottò lo Sceriffo.- Che succede, Emma?
- E’ Regina - spiegò la donna, a bassa voce. - E’ di là. L’ho arrestata questo pomeriggio.
- Che cosa?!
Emma lo strattonò per la giacca, redarguendolo con un secco shhht!; Graham si liberò dalla presa, esibendo una smorfia contrariata. La donna gettò una rapida occhiata alla porta, sperando che i due bambini non avessero sentito.
- Arrestata?!- bisbigliò lo Sceriffo, esterrefatto.- Emma, ma che cosa hai…
- Ho le prove, stavolta - si difese Emma. - Ho i documenti, se vuoi controllare. C’è una falla nelle finanze grande come il Gran Canyon. Ha confessato poco fa.
- Henry lo sa?
- No. Per questo ti ho trascinato fuori. Non volevo che lo venisse a sapere in modo così brutale. Provvederò io a spiegarglielo, più tardi…Ma perché lui e quella bambina sono qui?
- Una faccenda assurda…- Graham sbuffò, sentendosi stanco e spossato.- Era da qualche giorno che si comportavano in modo strano, così ho chiesto loro di venire qui e spiegarmi che diamine stava succedendo. Credevo avessero combinato qualche marachella, sai, quelle cose che fanno i bambini…e invece, se ne sono usciti con una storia assurda riguardo a Isabelle French…
- Isabelle French?!- Emma parve essersi ricordata improvvisamente di una questione importante e improrogabile. Sgranò gli occhi, arretrando come se Graham l’avesse appena schiaffeggiata.- Dio santo, me ne ero completamente dimenticata!
Lo Sceriffo rimase a guardare attonito la sua collega e/o fidanzata e/o amante occasionale a seconda della situazione scattare come un’ossessa e arraffare cuffia e giubbotto; Emma si assicurò la pistola d’ordinanza alla cintura, chiudendo la fondina, mentre si avviava verso l’uscita della centrale quasi di corsa.
- Mi ero dimenticata di quel caso!- si giustificò.- Merda, diranno che ce la spassiamo tutto il giorno, qui…Vado in ospedale, forse sono ancora in tempo per salvarci la reputazione…
- No, Emma!- Graham scattò in avanti, bloccandola per un braccio.- Era di questo che ti volevo parlare: Henry mi ha detto che quella ragazza è stata sequestrata per tutto il tempo del suo ricovero in ospedale - spiegò l’uomo.
- Come sarebbe a dire sequestrata?!
- Henry e la sua amica non sono stati molto chiari. Mi hanno detto che qualcuno, non si sa bene chi, l’ha rapita, ma che il signor Gold ora l’ha salvata, sempre stando alle loro parole…
- Quindi…ora lei è a casa di Gold?- Emma aggrottò le sopracciglia.
- Non lo so, ma suppongo di sì.
La donna incrociò le braccia al petto, pensierosa. Presa com’era dal voler arrestare Regina Mills, aveva lasciato perdere quel caso, confidando nel fatto che sarebbe stato Graham a occuparsene. Invece, lui aveva preferito stare dietro a suo figlio, ma non era quello il punto. Emma non aveva avuto modo di approfondire al meglio il caso French, ma ricordava che questo, sulle prime, aveva avuto tutta l’aria di essere un’aggressione, sebbene anomala. Isabelle French, detta Belle, la figlia di Moe il fioraio ubriacone, era stata ritrovata priva di sensi nel parcheggio dell’ospedale di Storybrooke. Dai primi dati ricevuti, Emma ricordava che erano stati constatati sul corpo della ragazza diversi lividi e delle escoriazioni, senza contare che Belle aveva subito un trauma cranico. Nessuno aveva sentito grida o altro, nulla che facesse pensare che l’aggressione fosse avvenuta nel luogo dove era stata ritrovata, e d’altra parte era piuttosto improbabile.
Isabelle non aveva con sé nulla, né denaro né patente, era impossibile che fosse arrivata lì da sola…era ovvio che qualcuno dovesse avercela portata, magari in auto, e con ogni probabilità lei doveva essere già svenuta. Comunque, Emma era venuta a sapere che si era ripresa il mattino dopo, ma non aveva ricevuto nessuna denuncia da parte sua.
E ora, spuntava fuori questo fantomatico rapimento, nonché lo zampino di Gold. Emma aveva avuto a che fare con lui, in passato, e ora che ci pensava ricordava anche che la ragazza aveva lavorato per qualche tempo al negozio di quell’uomo, che non era esattamente un santo. All’epoca giravano parecchie chiacchiere su di loro. Lei non se n’era mai interessata, ma se davvero Gold era coinvolto in quella storia…chi poteva saperlo, magari era stato proprio lui a ridurla in quello stato, forse per via di un rifiuto, e conoscendo il tipo non era neanche troppo improbabile che ora la stesse tenendo chiusa in casa sua per ottenere chissà che cosa…
Il suo cervello era partito in una marea di supposizioni, una peggiore dell’altra.
- Vado da Gold - annunciò, aprendo la porta della centrale.
Graham strabuzzò gli occhi.
- Dov’è che vai?!
- Vado da Gold - ripeté Emma.- La French è da lui, no? Beh, è un buon punto da cui partire. Chi può saperlo, magari è lui il fantomatico rapitore…
- No. Henry ha detto che Gold e Isabelle stanno…insieme, in un certo senso.
- Secondo chi? Magari è solo Gold che ha quest’idea…
- Fammi almeno venire con te.
- No, tu riporta a casa quei due.
- No, Emma…
La donna non l’ascoltò più, e uscì in tutta fretta, sbattendogli la porta in faccia. Graham rimase sconcertato a fissare l’uscita chiusa per degli istanti che gli parvero eterni. Ma aveva per caso scritto scemo in fronte?!
Si voltò, ritornando alla stanza dove erano rimasti Henry e Paige. Emma poteva fare la dura e l’indipendente quanto voleva, l’aveva sempre fatto, ma stavolta lui non era disposto a lasciarla fare di testa sua. Aprì la porta dell’ufficio: i due bambini erano ancora seduti al loro posto, come fossero state delle bambole inanimate, ma sollevarono lo sguardo verso di lui.
- Ehi…- chiamò, con un sorriso d’incoraggiamento.- Venite con me, dobbiamo andare in un posto…se fate i bravi, mettiamo pure la sirena…
 
***
 
Non aveva neppure voluto accendere la lampada sul comodino, preferendo rintanarsi nel buio. In quel momento non voleva sentire né vedere niente, voleva solo che la maledetta porta di quella dannata stanza se ne restasse chiusa – accidenti, non aveva neppure potuto chiuderla a chiave! –, così da lasciarla in pace mentre cercava di soffocare i singhiozzi nel cuscino.
Invano.
Belle si raggomitolò ancora di più sul materasso, piegando le ginocchia e stringendosele al petto. Si sentiva come una bambina capricciosa e isterica, ma non poteva farci nulla. Per quanto si ostinasse a mordersi le labbra e l’interno delle guance nel tentativo di smettere di piangere una volta per tutte, non ci riusciva in alcun modo, e continuava a singhiozzare miseramente.
Non era ciò che avrebbe dovuto fare, lo sapeva. Avrebbe dovuto reagire con più forza, essere la ragazza coraggiosa che aveva sempre desiderato diventare, comportarsi come una di quelle amanti abbandonate dei libri, in maniera orgogliosa, convincendosi che lei era molto meglio di lui e che non meritava di soffrire per uno stronzo simile. Non avrebbe neppure dovuto attendere la mattina per fare le valigie un’altra volta e andarsene da Ruby – avrebbe fatto così, ormai aveva deciso –, non avrebbe neppure dovuto umiliarsi a trascorrere una sola notte in quella casa…Eppure, era ancora lì.
E per quanto cercasse di imporsi di odiarlo, non riusciva a provare alcun sentimento di rabbia nei confronti di Robert. Solo dolore e un acuto, pungente risentimento per tutto ciò che le stava facendo passare. Avrebbe dovuto capirlo, fin da subito: quell’uomo aveva sempre vissuto del dolore delle persone, e ora stava facendo la stessa cosa con lei. Come aveva anche solo potuto pensare che anche lui l’amasse, che lei sarebbe stata in grado di cambiarlo?
Stupida, stupida, stupida!
Udì dei colpi sulla porta.
Belle sollevò pesantemente il capo dal cuscino, sbirciando in direzione dell’entrata della camera. Non aveva bisogno di domandarsi chi fosse, dannazione!
- Belle?- chiamò infatti Gold dal corridoio.- Belle, per favore, apri…
- Non voglio più avere niente a che fare con te!- strillò la ragazza, sollevandosi a sedere sul materasso.- Hai sentito che cosa ti ho detto? Lasciami in pace, domattina levo le tende!
- Per favore, lasciami spiegare…
- Ti sei già spiegato benissimo! Non ho bisogno della paternale, vattene!
- Voglio solo parlarti…
- Ho detto di andartene!
- Per favore…- ripeté; Belle riuscì a udire un sospiro triste e rassegnato da oltre la porta chiusa. In quel momento, provava una gran voglia di alzarsi da quel letto, spalancare la porta e mettergli le mani addosso, riempirlo di schiaffi e insulti, ma sapeva che non lo avrebbe mai fatto. Non per mancanza di coraggio – si sentiva come una leonessa, in quel momento, era sicura che se Regina Mills le si fosse presentata davanti, avrebbe avuto la forza e la furia necessari per pestarla a sangue –, ma perché non voleva sembrare ancora più patetica di quanto già non fosse. E soprattutto, non voleva mandare al diavolo tutto quanto facendo qualche stupidaggine. Tipo scoppiare a piangere mentre inveiva contro di lui. O gettargli le braccia al collo. O baciarlo.
I suoi pensieri stavano prendendo una piega a dir poco pericolosa…
Belle si afferrò il capo con entrambe le mani, lasciandosi ricadere sul letto e affondando di nuovo il volto nel cuscino, maledicendosi. Si morse con rabbia il labbro inferiore per non rimettersi a piangere.
Credette di morire quando sentì la maniglia d’ottone della porta abbassarsi con un lieve cigolio.
- Belle?- Gold la chiamò un’altra volta, e la sua voce era un mormorio, cauto e ansioso allo stesso tempo.- Belle, sto entrando…
Un debole fascio di luce penetrò nella stanza; l’uomo socchiuse la porta alle sue spalle, lasciando aperto un piccolo spiraglio. Belle sentiva i battiti del suo cuore aumentare mano a mano che i passi di Gold si avvicinavano la letto.
L’uomo si sedette ai bordi del materasso, vicino alle gambe della ragazza. Belle non disse nulla, né si mosse. Gold sospirò, voltando il capo nella sua direzione.
- Belle…- chiamò, allungando una mano nella sua direzione.- Belle, ti prego…
La ragazza sobbalzò quando Gold le sfiorò una spalla con una mano, ritraendosi istintivamente. Strinse le labbra in una smorfia rabbiosa, scattando a sedere. Gli puntò contro i suoi occhi azzurri che avrebbero voluto apparire arrabbiati e minacciosi ma che, si rese conto, erano soltanto tristi e gonfi di pianto. E disperati.
- Ma capisci ciò che dico quando ti parlo?!- ringhiò.- Ho detto di lasciarmi in pace! Da questo momento in avanti mi devi stare lontano!
- No.
La risposta la lasciò talmente spiazzata che Belle per un attimo si dimenticò della propria rabbia. Lo sguardo le divenne incredulo, il volto perse improvvisamente quell’espressione dura che poco le si addiceva. Si scostò una ciocca di capelli dietro un orecchio. Gold continuava a guardarla, impassibile.
- Come hai detto?- mormorò, spiazzata.
- Ho detto di no - ripeté l’uomo. - Non posso starti lontano, Belle.
- Ma che cosa stai…
- Non ci riesco - Gold distolse lo sguardo; la voce gli si era un poco incrinata.- Non ce la faccio a starti lontano, Belle. Non più.
La ragazza ormai si era quasi completamente dimenticata non solo della sua voglia di vendetta e del suo rancore, ma anche di tutto ciò che le stava intorno. In quel momento c’erano solo loro due, lei e Robert.
- Regina Mills mi aveva detto che tuo padre ti aveva ridotta in fin di vita - spiegò Gold, in un soffio.- Che ti avevano portata a Boston, ma che eri destinata a morire. Non puoi neanche immaginare come mi sono sentito, al pensiero che non ti avrei rivista più - la voce gli si incrinò di nuovo.- Quindi, non provare a chiedermi di separarmi da te di nuovo. Non voglio perderti un’altra volta. Non lo sopporterei.
Belle non rispose, ma non distolse lo sguardo da lui. La testa le doleva, sentiva le tempie pulsarle furiosamente per il troppo piangere. Iniziò a tremare, mentre, quasi senza che lei se ne accorgesse, due lacrime le sfuggirono dalle ciglia, rigandole le guance. Se le asciugò velocemente con un lembo di una manica del pullover, ma subito queste vennero sostituite da altre.
- Ma che cosa ho fatto?- pigolò, con la voce incrinata, prendendo a fissarsi le ginocchia.- Perché mi sta succedendo questo? Una settimana fa sembrava che andasse tutto bene…e adesso…Dio, è un incubo…
Gold la guardò, e fu una delle poche volte nella sua vita in cui si sentì impotente. Sin dal primo momento in cui l’aveva incontrata, quando aveva preteso da lei quell’accordo che li aveva portati a tutto questo, aveva sempre pensato che Isabelle fosse una ragazza forte. Non importava come potesse apparire agli occhi degli altri, o del fatto che tutti la compatissero: Belle era sempre stata una ragazza forte e coraggiosa, che per anni aveva resistito in compagnia di un padre che non era nient’altro che un bruto, che non si era mai lasciata abbattere da tutti i colpi che la vita le aveva riserbato, che non aveva avuto paura di lui, il mostro di Storybrooke.
Che, alla fine, era riuscita a essere la vera eroina di tutta quella storia. E a far innamorare la bestia.
Ora, invece, Belle era lì di fronte a lui, pallida e spettinata, tremante di paura e in lacrime, raggomitolata su se stessa come a proteggersi. Gli era già successo di vederla piangere, o di soccorrerla mentre era in difficoltà, ma mai come in quel momento si era sentito così: sentiva il bisogno di abbracciarla, di proteggerla, di tenerla fra le braccia e dirle che sarebbe andato tutto bene.
- Belle…- sussurrò.- Vieni qui.
La ragazza si torse una ciocca di capelli, scuotendo il capo con forza. Gold non demorse; allungò una mano nella sua direzione: per un attimo aveva temuto che Belle si ritraesse, che lo respingesse come avrebbe meritato, invece lei non si oppose alla carezza che le posò sul viso, piano, dolcemente.
- Vieni qui…- sussurrò di nuovo, implorandola.
Stavolta, Belle non se lo fece ripetere di nuovo, e si gettò fra le braccia aperte di Gold. La ragazza lo abbracciò con tutto l’amore e la disperazione che provava in quel momento, circondandogli le spalle con le braccia e affondando il capo contro la sua spalla, singhiozzando. L’uomo la strinse a sé, cercando di trasmetterle protezione e amore, sussurrandole piano qualche parola.
- Shhh…- soffiò, nel tentativo di calmarla, accarezzandole piano i capelli.- Mi dispiace tanto per tutto quello che è successo, tesoro…- sussurrò, abbracciandola con più vigore, quasi temesse che quello fosse solo un sogno e Belle stesse per svanire da un momento all’altro.- Ti prego, perdonami…è colpa mia se ti hanno fatto del male…perdonami…Prometto che non ti accadrà più nulla, ci sono io adesso…
Belle chiuse gli occhi, inspirando a fondo per far cessare il pianto, ma non sciolse l’abbraccio.
- Ma perché?- sussurrò contro la spalla dell’uomo. - Che cosa ho fatto di sbagliato, quella sera?- si staccò piano da lui, guardandolo negli occhi.- Perché hai reagito così?- chiese.- Non…non intendevo fare nulla di male, io non…
- Male?- ripeté Gold. - Tu non hai fatto niente di male, Belle.
- E allora perché prima hai ricambiato il mio bacio e poi ti sei arrabbiato?- insistette.
Gold abbassò lo sguardo, concedendosi qualche istante prima di rispondere.
- Non volevo ferirti, amore - disse infine.- Te lo giuro. Non avrei voluto farti del male, e mi dispiace, mi dispiace tanto. E’ solo che…ecco…- esitò.- Devi capire che…che per me è stato molto difficile accettarlo.
- Che cosa?
- Il fatto che tu mi amassi.
- Che cosa c’era di difficile?- Belle si avvicinò a lui.- Certo che ti amavo! Forse…forse ho sbagliato il modo in cui dimostrartelo, ma…
- Tu non hai fatto niente di sbagliato - l’interruppe Gold.- Sono io, Belle. Non tu.
- Non capisco…
Gold sospirò, prendendole una mano fra le proprie.
- Non riuscivo a credere che tu, giovane, bella, intelligente e piena di vita potessi veramente amare…me - accennò a se stesso con aria di sufficienza.- In passato, ero già stato vittima di quest’illusione, e non volevo soffrire di nuovo.
- Intendi…che qualcun’altra ha finto di…?
Gold annuì. Belle esitò un poco, quindi si decise a parlare.
- Tu sei stato sposato, vero?- incalzò, ricordando alcune delle dicerie che circolavano in città. Sapeva, dalle chiacchiere al Granny’s, che Robert Gold, molti anni prima, era stato anche sposato, ma che non era andata bene. Nessuno sembrava ricordare la ex signora Gold, né si sapeva con esattezza a cosa fosse stata dovuta la rottura del matrimonio. Certo, come su ogni cosa che riguardava l’usuraio di Storybrooke, c’erano sempre i soliti simpaticoni che sostenevano che la poveretta avesse fatto una fine orribile – tipo essere stata sbranata viva dal marito, o che Gold le avesse strappato il cuore dal petto, o che l’avesse sgozzata e avesse gettato il cadavere nel fiume da Toll Bridge, oppure occultato in cantina insieme a tutto il suo oro, come Barbablù.
Di fatto, nessuno era in grado di dire qualcosa di più oltre a queste spiritosaggini.
L’uomo annuì nuovamente.
- Sì. Per un paio d’anni. Ma Milah…mia moglie…ecco, lei è rimasta giusto il tempo necessario per procurarsi quanto le occorreva per scappare con il suo amante…- Gold si strinse nelle spalle con una rassegnazione che a Belle fece quasi pena: come a dire che era destino, che era stato qualcosa di inevitabile.
Beh, non lo era.
Avvertì una stretta al cuore, resa ancora più acuta quando Gold proseguì.
- Poi, c’è stata un’altra uguale a lei. Si chiamava Cora, lavorava in una filanda…Avevamo progettato di andare a vivere insieme, ma poi lei si è resa conto che il suo capo poteva offrirle molto più di me.
Di nuovo, Gold accompagnò la spiegazione con quel gesto carico di rassegnazione. Belle provò l’impulso di gettargli le braccia al collo e baciarlo, ma si trattenne.
- Mi dispiace…- riuscì a soffiare.
- Ogni volta m’illudevo che fosse sincera, e poi andava sempre a finire nello stesso modo. Sempre. Così, quando hai nominato Regina Mills e il debito che aveva con me, io…- non riuscì a continuare.
La ragazza non disse nulla, ma rimase a guardarlo in silenzio, per un lungo istante; infine, lentamente, gli prese il capo fra le mani, accarezzandogli dolcemente il volto.
- Dicevano tante cose brutte su di te - sussurrò piano.- All’inizio, sono stata anch’io tanto stupida da crederci. Ma poi…ho scoperto che erano solo bugie - lentamente, Belle accostò la propria guancia a quella dell’uomo, sentendosi sciogliere quando lui l’abbracciò.- Sei un uomo buono e gentile, e io non farei mai niente per ferirti…- Belle si staccò un poco da lui, quanto bastava per guardarlo negli occhi.
Gold non disse nulla, ma lentamente sulle sua labbra si disegnò un sorriso che, da incerto, divenne rapidamente più dolce e sicuro. Belle sorrise a sua volta, avvicinando il proprio volto a quello dell’uomo.
Sentì un tuffo al cuore quando Gold, inaspettatamente, le cinse la vita con dolcezza, passando un braccio intorno ai suoi fianchi. Istintivamente, Belle si avvicinò ancora di più a lui, fino a sfiorare il suo volto con il proprio. Si sentiva strana, un misto di paura e desiderio insieme; proprio come quella sera di una settimana prima – Dio, era passata solo una settimana? Sembravano cent’anni… –, quando era ritornata tardi al banco dei pegni, con un gran peso sul cuore e una voglia matta di superare il limite, di annullare ancora quel residuo di barriera fra di loro.
Ma stavolta, aveva una certezza: sarebbe andato tutto bene.
Increspò le labbra in un timido sorriso, accarezzando con la punta delle dita una guancia dell’uomo. Gold avvicinò ancora di più le sue labbra a quelle della ragazza.
- Ti amo, Belle…- sussurrò.
La ragazza si sporse in avanti, decisa a premere le labbra contro quelle dell’uomo, ma d’un tratto un improvviso e fortissimo schianto la fece sobbalzare, ritraendosi di colpo. Guardò Gold: anche lui l’aveva sentito.
Proveniva dal piano di sotto.
- Cosa…- Belle deglutì.- Cosa è stato?
L’uomo non si rispose, ma si voltò in direzione della porta socchiusa. Immediatamente, dal piano inferiore, iniziarono a provenire diversi rumori. Passi pesanti e strascicati, roba che veniva rovesciata, vetri che s’infrangevano sul pavimento, mugolii e frasi spezzate.
Belle si sporse a guardare oltre lo spiraglio, allarmata. Gold si alzò in piedi, impugnando il bastone. Fece per uscire dalla stanza, ma la ragazza lo trattenne per un braccio.
- No!- lo bloccò; aveva parlato bisbigliando, ma la voce le era uscita troppo alta a causa della paura.- Che fai?!
- C’è qualcuno in casa - le rispose l’uomo, con ovvietà.
- Lo so, appunto per questo!- Belle si alzò in piedi, senza smettere di trattenerlo per un braccio.- Robert, ascoltami: so come funzionano queste cose. Con mio padre era un continuo irrompere in casa di persone ubriache o di creditori che volevano…
- Chiunque sia, non lascerò che ti faccia del male!- Gold la guardò negli occhi.- Ne hai già passate troppe per colpa mia, Belle, non ho nessuna intenzione di…
- Chiamiamo la polizia!- insistette la ragazza.- Chiamiamo lo Sceriffo, è la cosa migliore da…
- Ehi, Gold!
Quell’urlo strascicato proveniente dabbasso fu in grado di farle gelare il sangue. Belle interruppe la frase a metà, sentendo il cuore saltarle fino alla gola. Conosceva quella voce. L’aveva sentita tante volte, anche quando il suo possessore era ubriaco.
Non è possibile…
- Gaston…- si lasciò sfuggire dalle labbra, inavvertitamente.
Ma che cavolo ci fa qui?!
I rumori si fecero più forti. Belle udì chiaramente qualcosa andare in mille pezzi.
- So che ci sei, maledetto figlio di puttana! Vieni fuori, fatti vedere!
Santo cielo, doveva essere ubriaco come mai lo era stato in vita sua…
Gold si divincolò dalla sua stretta, avviandosi velocemente verso la porta della camera e uscendo in corridoio. Belle gli andò dietro, velocemente, sentendo le gambe tremarle così tanto che temette di stare per crollare in ginocchio.
- No!- bisbigliò di nuovo, abbastanza forte da essere udita, ma l’uomo non le badò, e raggiunse il corrimano delle scale. Si voltò a guardarla.
- Tu resta qui - era un ordine, non una richiesta.- Non preoccuparti, quell’idiota lo caccio fuori da qui in un attimo.
Belle si sentì infinitamente impotente quando lo vide scendere le scale; stette ancora un attimo incerta in mezzo al corridoio, guardandosi nervosamente intorno come se la soluzione potesse cascarle addosso da un momento all’altro.
Infine, puntò lo sguardo di fronte a sé, nel punto dove fino a un attimo prima c’era Robert. Strinse brevemente i pugni lungo i fianchi, quindi scese velocemente al piano di sotto.
 
***
 
Gold trovò uno sfacelo al piano di sotto. Soprammobili, alcuni quadri, e oggetti vari erano sparsi sul pavimento, alcuni ancora interi altri completamente in frantumi.
L’uomo mosse solo qualche passo fino a portarsi di fronte all’entrata del salotto. In piedi in mezzo alla stanza c’era Gaston Prince.
A Gold bastò una sola occhiata per capire che doveva essere completamente ubriaco. Il figlio del senatore teneva le spalle ricurve, rendendo il suo corpo massiccio da sportivo imponente e grottesco a causa della postura; pur essendo fermo, si vedeva benissimo che faticava a stare in piedi e barcollava; i capelli erano sporchi e unti, appiccicati al cranio, il volto arrossato e la divisa della squadra di football di Storybrooke chiazzata di macchie d’alcool.
Gold si lasciò sfuggire una smorfia appena percettibile. Gaston Prince non gli aveva mai fatto paura, l’aveva mandato al tappeto già due volte e non aveva alcun timore di farlo anche una terza, ma non era così stupido da volargli addosso come il suo istinto gli suggeriva di fare.
Un ubriaco era dieci volte più forte e più violento di un uomo sobrio, e il fatto che fosse irrotto in casa sua non equivaleva certo a una dichiarazione di non belligeranza. Meglio andarci cauti.
La logica avrebbe voluto che desse ascolto al consiglio di Belle e chiamasse lo Sceriffo, ma il telefono era proprio in salotto, alle spalle di Prince, e il suo cellulare si trovava chissà dove. Doveva riuscire a mandarlo fuori da casa sua da sé.
Mosse qualche altro passo nella sua direzione, fino a trovarsi sulla soglia della porta del salotto. In quel momento, Gaston alzò gli occhi arrossati e iniettati di sangue a causa dell’alcool su di lui, sollevando un lato delle labbra in un sorrisetto sghembo.
- Buona sera, stronzo…- biascicò, muovendo un passo in direzione di Gold.- Non disturbo, vero?- ghignò.- Ho forse interrotto il tuo amplesso con quella puttana? Dov’è la cara Belle, adesso?
- Questo non è affar tuo, ragazzo - lo freddò Gold, mantenendo la voce ferma.- Che cosa ci fai qui?
- Vecchio storpio…!- borbottò Gaston.- Certo che questi sono i fottuti affari miei! Belle è la mia ragazza, e non mi va che qualcuno che non sono io se la scopi al mio posto…
- Belle non appartiene a nessuno, a te meno che mai - ringhiò l’uomo, avvicinandosi ancora di più a lui.- Senti, lo dico per il tuo bene: ti concedo dieci secondi per uscire da qui, e forse potrei considerare attentamente la possibilità di non denunciarti…
Per tutta risposta, Gaston gli scoppiò a ridere in faccia.
- Denunciarmi?- ripeté, con un sorriso sghembo, malsano.- Denunciarmi? Quando avrò finito con te, non avrai più nemmeno la forza di reggerti in piedi. Ammesso che tu ne abbia ancora la possibilità…
Gold lo vide avvicinarsi, a passo barcollante ma deciso. S’impose di mantenere la calma.
- Io e te ci siamo già trovati in questa situazione, e ho sempre avuto la meglio io - rispose tranquillamente.- Gaston, te lo ripeto per l’ultima volta: esci da qui e non importunare più né Belle né me, e farò finta che tutto questo non sia mai successo.
- Stavolta il tuo fottuto bastone non ti servirà a niente!- bofonchiò il ragazzo, fingendo di non aver sentito – ma era proprio sicuro che avesse sentito? Ubriaco com’era, non si sarebbe stupito del contrario. Continuò ad avvicinarsi.
Gold notò che, all’altezza della tasca destra dei jeans, c’era un evidente rigonfiamento, e riuscì a distinguere senza troppa difficoltà il calcio di una pistola che fuoriusciva dalla stoffa. L’uomo si sentì gelare, ma mantenne la calma, arretrando lentamente di un passo. Fece scorrere lo sguardo al di sopra della propria spalla: si trovava proprio di fronte alla cassettiera in cui teneva la sua calibro 38. I cassetti erano chiusi, segno che l’arma non era stata rimossa: Gaston doveva essersela portata dietro appositamente.
A quel punto, rimanevano ben pochi dubbi su quali fossero le sue intenzioni.
Gold si costrinse a mantenere il sangue freddo, arretrando ancora. Se fosse riuscito a raggiungere il cassetto, allora…
Gaston avanzò nella sua direzione; ora aveva iniziato a ridacchiare, piano, sommessamente. La stessa risata di un folle. Gold arretrò, aprendo una mano lungo un fianco nella speranza di poter sentire sul palmo il legno della cassettiera, ma questa era ancora troppo lontana. Gli occorreva tempo.
- Senti…- provò a dire.- Io non voglio che nessuno si faccia male, d’accordo? Esci da qui, non…
- Io non me ne vado da nessuna parte, cazzo!- urlò Gaston.- Non me ne vado finché non avrai capito con chi hai a che fare, bastardo!
- Sei sicuro di quello che stai facendo?- incalzò Gold.- Pensaci: hai vent’anni, sei troppo giovane per buttare via così la tua vita. E la galera non è un bel posto dove stare, te lo posso garantire…
- La prigione non mi spaventa. Mio padre ha delle conoscenze, sarò fuori in men che non si dica.
- Non sai quello che stai dicendo, Gaston. Non si tratta delle tue solite bravate, se non la smetti subito…
- Anche se dovessi finire in gattabuia non me ne frega un cazzo!- urlò Gaston, portandosi una mano alla tasca. Ne estrasse velocemente la pistola, puntando la canna in direzione del torace di Gold.- Se dovrò marcire dietro le sbarre, non importa: avrò comunque la soddisfazione di vedere quella troia piangere sul tuo cranio sfondato.
Gold arretrò, sbattendo contro la cassettiera. Ora avrebbe potuto estrarre con facilità la calibro 38 dal cassetto, ma anche il movimento più fulmineo sarebbe stato insufficiente, dato che ormai Gaston gli stava premendo la canna della rivoltella contro l’addome.
- Sei innamorato di lei, bestia?- incalzò il ragazzo.- Davvero credevi che avrebbe voluto te, quando avrebbe potuto avere me?
- No!
Gold si sentì raggelare, mentre Gaston sobbalzò quando una terza voce s’intromise nel dialogo.
Entrambi volsero lo sguardo, l’uno inorridito, l’altro lievemente stupefatto, in direzione delle scale.
Belle era immobile in mezzo alla rampa, paralizzata. Era pallida, lo sguardo preoccupato, era atterrita.
La ragazza si fece coraggio, scendendo un altro gradino.
- Gaston, per favore…- soffiò, allungando un braccio con una mano aperta come per calmarlo.
Il ragazzo scoprì i denti sporchi e ingialliti in una risata soddisfatta.
- Ah, eccoti qui!- esclamò.- Sapevo che c’eri anche tu…Sei venuta a goderti lo spettacolo?
- Belle, torna di sopra…!- disse Gold, ma Gaston sollevò la canna della pistola, puntandola contro il suo torace, all’altezza del cuore.
- No, lei non va da nessuna parte!- ribatté il ragazzo.- Forza, avanti! Scendi, vieni a farci compagnia…!
- Gaston…- soffiò Belle.- Gaston, no…Gaston, ti prego, non lo fare…
- Ho detto di venire qui! Subito!- abbaiò l’altro.
- Ti prego…
- Muoviti!
Belle guardò prima Gaston poi Gold, infine si decise a scendere velocemente, affiancandosi a quest’ultimo. Il ragazzo sfoderò un sorriso compiaciuto, allontanandosi da loro di qualche passo senza abbassare la rivoltella, in modo così da tenerli entrambi sotto tiro.
Belle si sentì infinitamente stupida, ma subito si disse che non aveva fatto niente di sbagliato: se avesse fatto la brava bambina come al solito, Gaston si sarebbe accanito su Robert. Invece, preferiva beccarsi lei una pallottola, piuttosto che venisse colpito lui.
Aveva iniziato a tremare; Gold le strinse piano un polso per rassicurarla, ma servì a ben poco.
Gaston li squadrò entrambi, senza abbassare la pistola.
- Che carini…!- ridacchiò.
- Gaston, per favore…- provò a dire Gold.- Lasciala stare, va bene? Tu ce l’hai con me, se la ami allora…
- Io non me la faccio con le puttane!- ringhiò il ragazzo, puntando lo sguardo su Belle.- Avresti dovuto pensarci, prima di darti a questa bestia!
- Gaston, ascolta…- Belle ritrovò un briciolo del suo coraggio.- Gaston, per favore, cerca di capire…
- E che cosa dovrei capire?!- urlò Gaston.- Hai preferito lui a me!
- No, Gaston…io…
- Lei non ha fatto niente!- s’intromise Gold.- Lei non c’entra, lasciala stare…
- Tu sta’ zitto!- ululò il ragazzo.- Zitto, hai già fatto abbastanza! Mi hai umiliato, mi hai reso lo zimbello della città, me l’hai portata via!- accennò a Belle.- Meritate di pagare, tutti e due!
- Gaston, ti prego!- urlò Belle, sull’orlo delle lacrime.- Io lo amo, lo vuoi capire?!
Il ragazzo la guardò per degli istanti che parvero eterni, stupefatto, quasi in stato di trance. Belle boccheggiò, sentendosi il sangue alla testa. Gold si girò velocemente, aprendo il cassetto ed estraendone la pistola.
Gaston si riprese, e puntò la canna dritta contro i due.
 
***
 
Emma Swann aveva compreso che c’era qualcosa che non andava sin da prima di accostare l’auto. In lontananza, le luci della villa del signor Gold erano accese, ma non appena il Vicesceriffo si era avvicinata aveva notato che la porta d’ingresso era spalancata, e che all’interno, al piano terra, c’era parecchio trambusto.
Emma spense il suo maggiolino giallo a pochi metri dal cancello d’entrata, smontando dall’auto. All’interno dell’abitazione giungevano alcune voci, ma non riusciva a capire cosa stessero dicendo. Questo non fece altro che insospettirla ancora di più. Percorse velocemente il vialetto che conduceva all’entrata, assicurandosi che la pistola d’ordinanza fosse ben salda alla cintura.
Alzò lo sguardo in direzione di una delle finestre, arrestandosi nel bel mezzo del vialetto.
All’interno dell’abitazione c’era un uomo, che non era il signor Gold: Emma riconobbe in lui Gaston Prince, il figlio del senatore, quello scapestrato che aveva rilasciato di prigione neanche una settimana prima. Sembrava agitato, parlava a raffica, probabilmente era anche un po’ brillo…e teneva una pistola puntata di fronte a sé.
Ma che accidenti sta…?
Emma non ci stette a riflettere troppo, e prese a correre in direzione dell’entrata. Sfoderò la pistola, impugnandola saldamente, e salì velocemente i gradini che conducevano alla porta d’ingresso, entrando
in casa.
- …io lo amo, lo vuoi capire?!
- Ma che sta succedendo qui?!
Emma fece appena in tempo a vedere Gaston voltarsi nella sua direzione strabuzzando gli occhi, prima che il ragazzo si riprendesse e spostasse la canna della pistola da Gold e Isabelle French a lei. La donna si scansò istintivamente, andando a sbattere il dorso contro la parete e finendo inginocchiata sul pavimento, mentre lo scoppio della pistola venne seguito a tutta velocità da una pallottola che andò a infrangere il vetro di una finestra.
Emma sentì le gambe tremarle, e impugnò saldamente la pistola fra le mani.
Gaston era arretrato a causa del rientro del colpo della pistola; questo aveva dato a Gold tempo sufficiente per puntare addosso a lui una calibro 38, estratta da chissà dove.
Il ragazzo strabuzzò nuovamente gli occhi.
- Metti giù quell’affare…!- sibilò Gold.
- Bastardo...
- Falle del male e io ti…
- Ora basta!- sbottò il Vicesceriffo, rialzandosi in piedi e puntando a sua volta la pistola d’ordinanza.- Tutti e due, adesso, fatela finita! Gold, metta giù quella pistola…Prince, anche lei…Fate i bravi, e vedrò di…
- Zitta, troia!- urlò Gaston.- Tu sta’ zitta! Puttana, la farò pagare anche a te…
- Gaston, basta! Sei ubriaco!- strillò Belle, muovendo un passo avanti. La ragazza alzò le mani quasi in segno di resa, ma la sua intenzione era un’altra: voleva almeno provare a far ragionare Gaston; a evitare che tutta quella faccenda degenerasse. Era lei che aveva combinato tutto quel casino: spettava a lei metterlo a posto.
- No, io non sono mai stato così sobrio in vita mia!- ribatté il ragazzo, ghignando in direzione di Gold.- Avevi detto che ne avremmo riparlato da sobrio, vero? Bene, eccomi qui…
- Belle, allontanati…
- Signorina French, lasci fare a me…
- No!- ribatté Belle, tornando a guardare Gaston negli occhi.- Gaston, per favore, ascoltami…- soffiò.- Io non…non avevo nessuna intenzione di farti un torto, te lo giuro…- deglutì, facendosi forza.- Davvero, io…non avrei mai voluto farti del male, ma devi capire che…che…che io sono innamorata di lui - concluse infine.- Mi spiace, Gaston, ma è così. Per favore…
Emma trattenne il fiato.
 
***
 
Graham aveva guidato come un folle per mezza Storybrooke, tanto quasi da dimenticarsi dei due bambini seduti sul sedile posteriore dell’auto. Henry e Paige non avevano detto una parola per tutto il tragitto dalla centrale di polizia alla casa del signor Gold, e in fondo Graham preferiva così.
Non sapeva bene il perché si fosse lanciato in quella specie di inseguimento alle calcagna della sua Vice nonché compagna – o amante? O fidanzata? Neanche lui sapeva bene come chiamarla –, ma in qualche modo sentiva di doverlo fare. Si era sempre fidato di Emma, delle sue capacità, del suo intuito e perfino del suo superpotere, come lo chiamava lei – la presunta capacità di saper riconoscere i bugiardi –, ma stavolta non era disposto a lasciarla andare da sola.
Doveva starle vicino, continuava a ripetersi.
Ebbe la certezza che le sue non fossero solo paranoie quando vide il maggiolino giallo parcheggiato di fronte alla casa del signor Gold senza la proprietaria al suo interno o nelle vicinanze, una finestra della villa rotta, le luci accese e un gran baccano all’interno.
Graham accostò, spegnendo il motore, quindi si girò a guardare i due bambini seduti sul sedile posteriore.
- Restate qui, okay?- disse, con il tono di voce più rassicurante che riuscì a sfoderare.- Io faccio in un attimo…
Lo spero tanto…!
Lo Sceriffo smontò in tutta fretta dall’auto, avviandosi di corsa in direzione della porta d’ingresso.
Senza riflettere, spalancò la porta.
- Emma…- boccheggiò.
Graham fece appena in tempo a vedere la sua Vice e le altre tre persone all’interno della stanza, prima che Gaston si voltasse nella sua direzione. Il ragazzo perse di nuovo la testa: senza pensare, sparò un altro colpo di pistola, diretto verso il poliziotto.
Lo Sceriffo fu abbastanza rapido da scansarsi, ma la pallottola lo colpì a un braccio, ferendolo di striscio. Graham emise un urlo soffocato, premendosi la mano sul braccio mentre cadeva a terra.
Emma si gettò verso di lui, afferrandogli una spalla. Era solo una ferita superficiale, ma il sangue aveva già iniziato a imbrattargli la giacca e la camicia, colando sul pavimento.
- Ora basta!- strillò il Vicesceriffo.- Prince, metta giù quella pistola!
Gaston l’ignorò, voltandosi verso Belle. La ragazza si sentì improvvisamente fragile, piccola e indifesa, inerme mentre lui le puntava la pistola contro.
- Gaston…- boccheggiò.- Gaston, no…
- Metta giù la pistola, ho detto!
- Ti prego, Gaston…
- Prince!
Il ragazzo non diede segno di aver udito, e portò l’indice al grilletto.
Gold allungò un braccio verso Belle, spostandola di lato e frapponendosi fra lei e Gaston. Aveva ancora la calibro 38 in mano.
 
***
 
All’esterno dell’abitazione, raggomitolati sul sedile posteriore dell’auto di Graham, Henry e Paige udirono un secondo sparo. La bambina si strinse istintivamente al cappotto dell’amico, mentre il silenzio che seguì si fece carico di tensione.
Poco dopo, Henry e Paige udirono provenire dalla casa un suono, molto simile a un pianto.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Concordo con voi sul fatto che avrei potuto fare di meglio, ma sto scrivendo direttamente dal lazzaretto di Milano de I promessi sposi, non so se mi spiego, e sono parecchio inzuccata sebbene di febbre non ne abbia più, e meno male! Detto questo, ivi (???) abbiamo il terzultimo capitolo, un po’ mediocre ma non ho saputo fare di meglio, chiedo venia…
Riguardo alla menzione di Milah e Cora...beh, so che sembra un po' improvvisa, ma avendo iniziato questa storia già durante la season 1 (il che mi porta a pensare...ma da quanto tempo è che ci lavoro?!) non ho potuto fare nulla prima, ma ho voluto inserirle avvalendomi del fatto che questa ff è in gran parte scritta con il PoV di Belle.
Ci ho messo un po’ a pubblicarlo, lo so, ma non sarà lo stesso anche con gli altri. Ho infatti deciso di sospendere temporaneamente tutte le mie altre storie – esclusa un’originale – in favore di questa, che ho intenzione di terminare quanto prima.
Nel prossimo capitolo sapremo cosa è successo veramente in tutto ‘sto casino, e ci saranno diverse coppie – devo portare a conclusione anche le altre storie in questa storia :P.
Ciao a tutti, al prossimo (e penultimo!) capitolo!
Un bacio,
Beauty
 
P. S. Un grazie enorme a tutti per avermi aiutato a raggiungere quota 300 e più recensioni in questa storia! Siete fantastici!
  
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