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Autore: Beauty    23/10/2013    15 recensioni
E se Belle e Rumpelstiltskin si fossero incontrati nella vita reale?
Mr. Gold, attraverso i suoi patti, tiene in pugno l'intera Storybrooke. E' considerato un uomo malvagio e incapace di amare, ma quando Belle French, per saldare i debiti del padre, accetta di lavorare per lui, le cose si rivelano diverse da come appaiono. Ben presto, Belle e Mr. Gold si ritroveranno inaspettatamente a provare dei sentimenti l'uno per l'altra, ma qualcuno intanto sta tramando nell'ombra...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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‘Cause I Can’t Believe This is How the Story Ends…
 
Il leggero ronzio della macchinetta automatica si confondeva con il brusio generale nella sala d’attesa dell’ospedale. Emma rimase ad aspettare per ancora qualche istante, quindi diede una pesante manata al marchingegno nella speranza che la tazza di caffè si riempisse più velocemente.
Si chinò, prendendo con cautela il contenitore di cartone con all’interno il liquido fumante. Emma si era rammaricata che non ci fosse l’opzione con la cannella, ma aveva comunque tentato di compensare selezionando una tripla aggiunta di zucchero. Forse sarebbe riuscito a renderla un po’ più dolce.
Emma si allontanò dalla macchinetta, soffiando sul caffè bollente; scoccò prima un’occhiata alle due figurine infagottate sedute una accanto all’altra su due seggiole della sala d’aspetto: Henry teneva lo sguardo mogio sulle proprie ginocchia, rigirandosi i pollici – la donna aveva approfittato dell’attimo di calma che era seguito a tutto quel macello per informarlo della nuova situazione, sua, loro e di Regina; il bambino aveva pianto, come si era aspettata, ma esaurite le domande sul come e sul quando avrebbe potuto vederla, e avendo trovato le risposte di suo gradimento, Henry aveva accettato il nuovo stato delle cose senza piagnistei eccessivamente drammatici –; accanto a lui, la sua amica Paige Hatter aveva il visino pallido e gli occhi cerchiati, e continuava a far vagare lo sguardo da lui, al viavai delle infermiere e dei medici, agli altri ospiti e – quando si sentiva un po’ più audace – alla donna raggomitolata su di un’altra seggiola di plastica, ma più lontana da loro, in fondo al corridoio di fronte a una delle stanze.
Emma seguì l’esempio di Paige, sporgendosi un poco per scoccare una rapida occhiata a Isabelle French: il volto della ragazza era praticamente nascosto dalla massa spettinata dei riccioli castani, anche se il Vicesceriffo poteva tranquillamente indovinare che avesse gli occhi cerchiati di pianto, o che, probabilmente, stava ancora piangendo. Belle teneva le ginocchia strette al petto, raggomitolata su se stessa in una maniera così penosa che Emma dovette distogliere lo sguardo per impedirsi da correre da lei e avvolgerle un braccio intorno alle spalle.
Sarebbe stato veramente inopportuno e, per com’era lei, poco abituata alle coccole e alle smancerie, sicuramente sarebbe scoppiato un disastro.
Emma bevve un sorso del suo caffè, ripercorrendo con la memoria gli avvenimenti delle ultime cinque ore. Più ci pensava, più si malediva per non essere stata abbastanza pronta ad agire.
Ma d’altronde, che avrebbe dovuto fare? Sparare a Prince? Se lo sarebbe meritato, indubbiamente, ma l’etica professionale non lo prevedeva…neppure in situazioni simili.
Si sarebbe quasi potuto dire che fosse colpa dell’etica, se Robert Gold ora era in quello stato.
Dopo che Gaston aveva sparato a Graham, Emma aveva pericolosamente abbassato la guardia, tutto per gettarsi accanto al suo uomo – il suo…uomo? E da quando lo era diventato? Da quando si era fatto sparare addosso, certo, per quelli come lei la verità arrivava sempre in extremis! – che giaceva a terra sanguinante, e aveva permesso che Gold e Prince rimanessero momentaneamente soli a fronteggiarsi.
Forse non sarebbe successo tutto questo, se Isabelle non si fosse frapposta in mezzo a loro due, ma Emma sapeva che non era giusto dare la colpa a lei. Forse, l’unico ad avere veramente una colpa era Prince, o forse no…in ogni caso, ormai quel che era successo era successo.
Gold si era messo in mezzo per difendere la ragazza, e Prince gli aveva sparato.
Era accaduto tutto così in fretta che quasi non se n’era resa conto. Aveva realizzato tutto quando aveva visto il corpo di Gold a terra, in un lago di sangue. Prince l’aveva colpito all’altezza del fianco.
Emma aveva temuto che stesse per puntare la pistola contro qualcun altro, e invece non era stato così: un secondo dopo aver sparato, Gaston si era accasciato a terra, in preda alle lacrime e a una crisi isterica. Anche se quella veramente disperata, in quel momento, era Isabelle French.
L’ambulanza era arrivata con un notevole tempismo, appena in tempo, si sarebbe potuto dire.
Emma aveva ammanettato Prince e aveva chiamato la centrale affinché qualcuno venisse a prelevarlo. Era stato portato a Boston quella notte stessa, con appresso suo padre che dichiarava la sua carica di senatore ai quattro venti, ribadendo di avere delle conoscenze e che suo figlio non sarebbe rimasto in galera ancora a lungo mentre tutti loro se ne sarebbero pentiti.
Emma aveva preferito lasciare che il senatore Prince scoprisse da sé che Gaston in gattabuia ci avrebbe passato almeno cinque anni, con tutto quel che aveva fatto.
Ora, dopo tre ore di sala operatoria e cinque tazze di caffè per lei, trenta punti di sutura per Graham, minuti infernali per Belle French, e una colossale sfuriata al suo superiore per essere stato tanto idiota e incosciente da portarsi dietro due bambini – uno dei quali era suo figlio, aveva rimarcato Emma in un momento in cui si sentiva particolarmente propensa all’omicidio aggravato da torture e sadismo –, mezz’ora fa il vice primario dell’ospedale di Storybrooke, il dottor Whale, aveva annunciato loro che Robert Gold si sarebbe ripreso.
- E’ ancora molto debole…- aveva aggiunto, guardando a turno lei e Belle.- La pallottola si era conficcata parecchio in profondità. Ha rischiato grosso, ma se la caverà.
- Fra quanto potrà uscire?- aveva chiesto Belle.
- Difficile dirlo. Una settimana, forse due…Preferisco tenerlo ancora un po’ sotto controllo.
- Posso…posso vederlo?
- Certo, signorina, ma le chiedo di avere pazienza ancora per un po’. Come le ho detto, è ancora molto debole, è meglio non stancarlo…
E ora, eccoli lì. Lei, una ragazza che ne aveva passate di tutti i colori, il bastardo della città ferito da un colpo di pistola, due bambini che Iddio solo sapeva che diamine c’entrassero in quella storia, Graham con un braccio fasciato e un’emicrania che non avrebbe fatto altro che peggiorare.
Emma sospirò, allontanandosi dalle macchinette: svoltò l’angolo, quasi rischiando di andare a sbattere contro il suo collega, appoggiato a una parete. Graham aveva un braccio fasciato intorno al collo.
Il Vicesceriffo bevve un altro sorso di caffè, quindi esibì una smorfia disgustata, gettando la tazza di plastica nel primo bidone della spazzatura che le capitò a tiro.
- Questo caffè fa schifo…- dichiarò, a mezza voce.
- Non si direbbe, dato che è la sesta tazza che bevi…- ridacchiò Graham.
Emma chiuse gli occhi, passandosi le mani fra i capelli, quindi puntò lo sguardo assonnato su Henry e Paige. Si volse verso Graham.
- Come stai?- chiese.
Lo Sceriffo fece spallucce.
- E’ solo un graffio. In un paio di giorni sarò di nuovo in carreggiata…
- Uhm…- Emma saltellò nervosamente da un piede all’altro, tornando a guardare i due bambini.- Hai scoperto, alla fine, che c’entrano loro due in tutto questo?
- No. Ma credo che sia stato solo un falso allarme.
- Che intendi dire?
- Qualunque cosa gli chieda, non fanno altro che parlarmi di una favola. Penso sia stato solo un gioco, o qualcosa di simile…
- Credi che dovremmo approfondire? Anche quando Gold si rimetterà…dovremmo fargli qualche domanda…
- E dove sta scritto?- fece Graham.- Emma, dammi retta, è meglio lasciar perdere.
- Tu dici?
- Le cose si sono risolte da sé, non credo che andando avanti riusciremo a cavare fuori qualcosa di più di quanto già non sappiamo…
Emma ci pensò un po’ su, quindi annuì, appoggiandosi pesantemente alla parete accanto a Graham. Lo Sceriffo si avvicinò un poco a lei.
- Gliel’hai detto?- domandò.- A Henry…Gliel’hai detto di Regina?
- Sì…- soffiò Emma, guardandolo negli occhi.- L’ha presa meglio di quanto credessi…
- Che farai, adesso?
- Beh, rispetterò i patti. Henry potrà vederla una volta al mese, come le ho promesso. D’altronde, anche lei è sua madre, è giusto che continui ad avere rapporti con Regina…
- E nel frattempo?- insistette Graham.- Che farete tu ed Henry? Avete intenzione di cacciarvi tutti e due a vivere in quel tugurio insieme a Mary Margaret?
- Per il momento non vedo altra alternativa, anche se non durerà a lungo. Già da qualche giorno Mary Margaret continua ad accennarmi di voler far venire a vivere anche David nel suddetto tugurio, e in quattro la convivenza sarebbe impossibile…Chissà, magari dopo tutto questo casino Gold mi avrà presa in simpatia e si limiterà a spennarmi solo metà stipendio d’affitto, invece che prendersi tutta la mensilità…
- In effetti, qui a Storybrooke i contratti d’affitto solo parecchio infimi, senza contare che con un bambino le spese triplicheranno… - disse Graham, prima che sulle sue labbra si disegnasse un sorriso sornione.- Sai che ti occorrerebbe?
- Una vincita alla lotteria?
- Non male. Anche se io, a dire il vero, pensavo a un coinquilino…
Emma lo guardò, ammutolita, inarcando le sopracciglia.
- Ti ho già detto che Mary Margaret…
- …sta progettando di andare a vivere con il suo principe ranocchio, sì - la bloccò Graham.- Ma a Storybrooke non è l’unica a cui farebbe comodo dividere l’appartamento. E, se ti può interessare…- lo Sceriffo ridacchiò.- Io sono alla disperata ricerca di qualcuno che mi aiuti a sbarcare il lunario.
Emma sgranò gli occhi, drizzandosi in piedi. Boccheggiò, guardandolo come se si trovasse di fronte a un alieno.
- Tu…tu…- balbettò, ancora incredula.- Tu…Graham, non dirmi che è quello che penso…
- E invece ho paura che dovrò dirtelo…
- Mi stai…mi stai proponendo di…andare a vivere insieme?!- sbottò Emma, ad alta voce.
- Se vuoi mettere i manifesti, fai pure, ma sappi che non sarebbe il massimo della discrezione…
La donna si mise le mani nei capelli, a metà fra l’incredulo e lo sconvolto.
- Non posso crederci…tu…tu vuoi davvero che…
- Emma!- la bloccò Graham, sollevando la mano con il braccio sano per calmarla.- Emma, è tutto okay. Non è la fine del mondo. Basta che tu mi dica solo o no. Senza rancore.
La donna inspirò a fondo, cercando di calmarsi. Chiuse gli occhi, maledicendo se stessa per essersi messa in corpo tutta quella caffeina. Prese altri due o tre bei respiri, quindi tornò a guardare Graham.
- Ne…ne sei sicuro?- domandò infine.- Voglio dire, sei certo che per te vada bene? Tu, io ed Henry?
- Sì - Graham si strinse nelle spalle.- Io in genere non parlo tanto per dare aria alla bocca, Emma. Tu, io ed Henry, insieme. Certo, ci dovremo dare una calmata, io e te, se capisci cosa intendo…e, se posso darti un consiglio, ti suggerirei caldamente di sbarazzarti di quel vibratore con quella scritta oscena che…
Emma annuì con forza, lasciandosi sfuggire una risatina. Graham le tese la mano non fasciata.
- Andata?- ammiccò.
- Andata…- Emma sorrise, ma subito il sorriso si estinse. Non strinse la mano a Graham, ma anzi, gli puntò contro uno sguardo truce. Lo Sceriffo sbatté le palpebre, perplesso.
- Che…che cosa c’è?- domandò, con un filo di voce, ottenendo come risposta un violento pugno all’altezza del braccio fasciato, tale da farlo piegare in due e gemere di dolore. Subito, un altro pugno lo raggiunse alla spalla, stavolta fortunatamente quella sana.
- Emma…- boccheggiò Graham.- Ma che fai?!
- Con te non ho ancora finito!- ringhiò Emma, tirandogli degli schiaffi poco energici all’altezza del petto.
- Ma che…ahi!...Emma…Emma, te l’ho detto, mi dispiace, hai ragione, non avrei dovuto portare Henry e la sua amica a…
- Non mi sto riferendo a quello!- sibilò la donna.- Che diavolo ti è saltato in mente, eh?! Senza neanche la pistola, imbecille! Fallo un’altra volta e ti sistemo anche l’altro braccio!
- Volevo…volevo aiutarti…
- Non…non ti azzardare…- Graham ricevette gli schiaffetti sempre più flebili di Emma sul torace, senza opporsi, vedendo gli occhi della donna riempirsi di lacrime e sentendo la sua voce incrinarsi.- Non ti azzardare più a farmi prendere uno spavento del genere, hai capito?!
Un secondo dopo, Graham si ritrovò con le braccia di Emma intorno al collo.
Lo Sceriffo fece un mezzo sorriso, avvolgendole il braccio sano intorno alla vita per ricambiare goffamente l’abbraccio.
- Allora te ne frega qualcosa di me…- ridacchiò.- Ero convinto che mi considerassi solo un oggetto sessuale…
- Fottiti.
- Appunto…
Emma si asciugò velocemente le lacrime dagli occhi, abbracciandolo e affondando il volto contro la sua spalla.
 
***
 
Henry aveva assistito con sconcerto alle effusioni di sua madre con Graham, ma in fondo più che infastidito era perplesso: Emma non era mai stata il tipo per certe cose.
Ma in fondo, che male c’era?
E poi, qualunque cosa ora l’aiutava a non pensare a Regina…
- Mi dispiace per la tua mamma, Henry…
Il bambino si voltò, guardando Paige negli occhi. Era come se la sua amica gli avesse letto nel pensiero. Si sforzò di non abbracciarla, e si strinse nelle spalle.
- Grazie. Beh, però, in fondo qualcuno in questa storia doveva pur essere il cattivo - disse, appellandosi alla poca filosofia che i suoi dieci anni gli concedevano.- Ha sbagliato, lo so. Ma Emma ha detto che potremmo continuare a vederci quando vorrò, e che per come stanno le cose non resterà in prigione per molto tempo. In fondo, non è andata poi così male…
Paige annuì, quindi appoggiò il capo contro la spalla dell’amico, sentendosi le palpebre pesanti.
- Mi spiace - ripeté.- Per salvare il mio papà, tua madre…
- Va tutto bene - la rassicurò Henry.- Tuo padre non ha fatto niente. Mia madre, invece…beh, diciamo che lei era un po’ come le due sorelle cattive della Bella…- buttò lì tanto per sdrammatizzare.
- Che?!- Paige scattò seduta a guardarlo.- Hai continuato senza di me?!
- L’ho finita, a dire il vero…- ammise il bambino, pieno di vergogna.
- Henry!- la piccola sbuffò, incrociando le braccia al petto con aria indispettita.- Henry, insomma, avevamo detto che…
- Scusa, scusa! Se vuoi, ti posso raccontare come va a finire…- propose, in segno di pace. E poi, raccontare la favola a Paige sarebbe stato un buon diversivo per non incappare nei suoi pensieri riguardanti Regina.
La bambina valutò un attimo la proposta, quindi annuì.
- Okay, ma sarà meglio per te se la racconti bene - lo avvertì.- Eravamo arrivati che la Bestia lasciava andare la Bella perché tornasse dalla sua famiglia, ma doveva ritornare al castello entro…quanto era?
- Sette giorni, mi pare…
- Sì. E poi? Che hai detto riguardo alle due sorelle cattive?
 
***
 
Ashley aveva ninnato Alexandra per mezz’ora, prima che la neonata si decidesse ad addormentarsi. La ragazza la mise delicatamente nella culla, scoccando un’occhiata all’orologio. Era mezzanotte. L’ora dei vampiri, pensò. O l’ora di Cenerentola, ancora meglio.
Ma, in cima alla lista, era l’ora in cui finalmente Sean avrebbe staccato dal turno di notte e sarebbe tornato a casa da loro. Da lei e da Alexandra.
Ashley sospirò, uscendo dalla cameretta di sua figlia e iniziando ad avviarsi lungo il corridoio in direzione della cucina. Aveva tutta l’intenzione di prepararsi una tisana in attesa che Sean tornasse a casa, ma quasi involontariamente si bloccò di fronte all’involucro di plastica appeso all’attaccapanni dietro la porta. La ragazza sorrise, facendo scorrere lo sguardo sognante sul suo abito da sposa.
Meno di tre mesi al matrimonio…
 
***
 
Regina appoggiò stancamente il capo contro la parete della celletta, chiudendo gli occhi.
In quel momento si chiedeva che cosa avrebbe dovuto provare nei confronti di Emma Swann: insopprimibile desiderio di metterle le mani addosso oppure profonda e sincera gratitudine?
Aveva appena terminato il colloquio con quello che, stando a quanto le aveva indicato il Vicesceriffo, sarebbe stato il suo avvocato per tutta la durata del processo e anche dopo. Tale Albert Spencer, bastardo di prima categoria che, tuttavia, era anche uno dei migliori professionisti in circolazione.
Regina era in genere molto restia a fidarsi alla cieca degli sconosciuti, ma se le parole di Emma Swann l’avevano rincuorata, quelle dell’avvocato erano state in grado di rassicurarla definitivamente: Albert Spencer le si era subito presentato come un osso duro, esordendo con un non si preoccupi, signora Mills, la tirerò fuori di qui prima ancora che lei si renda conto di essere dietro le sbarre, e prendendo a elencarle tutte le attenuanti che aveva intenzione di sfoderare in sede di processo, assicurandole che non avrebbe ceduto fino a che non fosse riuscito a tirare la massima lunghezza della pena a cinque anni. Tre, se come pensava un certo giudice rammollito avrebbe presidiato al processo.
Regina non sapeva se crederci o no, dato che tutto quell’ottimismo le suonava un po’ storto, ma era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi, in quel momento, per non cadere nella disperazione. Quello, insieme a…
La donna abbassò istintivamente lo sguardo sulle proprie mani: fra le dita teneva saldamente una fotografia che gli agenti avevano sfilato dal suo portafogli e consegnato. Erano lei e Henry, a otto anni, che sorridevano in primo piano, abbracciati. All’anulare sinistro, Regina indossava l’anello di Daniel.
Aveva gli occhi gonfi a causa del pianto, ma in quel momento trovò la forza di sorridere.
Dopotutto, anche se era in carcere, non aveva perso tutto.
Aveva quella fotografia. Aveva l’anello di Daniel. Aveva l’affetto del suo bambino e le promesse di Emma Swann – non le avrebbe mentito, no. E aveva la speranza che presto sarebbe riuscita a rivedere Henry.
Era tutto ciò che le serviva per andare avanti.
 
***
 
Quando l’orologio a cucù del salotto suonò la mezzanotte, con un rapido calcolo mentale David Nolan riuscì a dichiarare ufficialmente sette ore consecutive trascorse seduto sul pavimento a implorare di fronte alla porta del bagno.
Sospirò, facendo l’ennesimo disperato tentativo e bussando alla porta.
- Mary Margaret!- chiamò, con voce stanca e strascicata.- Mary Margaret, per favore, esci da lì…
- No!
David appoggiò il capo contro il legno, cominciando veramente a perdere la pazienza.
- Ti prego…- ritentò.
- Ho detto di no!
- Dimmi almeno se è positivo!- sbottò David.
Udì con orrore alcuni singhiozzi provenire da dentro la stanza.
- Ma che domande fai?! Se non fosse positivo secondo te sarei chiusa qui?!
- Allora sei incinta!- David sentì l’euforia montare dentro di sé, scattando in piedi e bussando con più vigore contro la porta.- Sei incinta! Amore, è meraviglioso…!
- Meraviglioso?! Ma ti sei impazzito?!
Inaspettatamente, la maestra spalancò la porta del bagno, così che David si ritrovasse muso a muso con lei. La sua fidanzata era ancora più pallida del solito, aveva gli occhi arrossati di pianto e i capelli arruffati. Sembrava quasi la strega di Biancaneve, pensò David.
- Meraviglioso, dici?- ringhiò Mary Margaret.- David, hai capito che cosa sta succedendo?! Sono incinta! Sai cosa vuol dire o devo farti il discorso delle api e del polline?!
- Lo so, lo so…- tentò di calmarla David.- Ma non capisco cosa c’è che non va. Mary Margaret, saremo genitori!- esultò.- Era quello che volevamo, no? Ti ricordi? Quante volte abbiamo parlato di come sarebbe stato avere dei bambini e…
- Sì, certo, me lo ricordo. Anche io voglio diventare mamma, ma…diavolo, non potevamo scegliere un momento più inopportuno!- la maestra si mise le mani nei capelli.- David, tu devi ancora divorziare da Kathryn, non siamo sposati, non viviamo nemmeno nella stessa casa, i miei genitori probabilmente ci ammazzeranno tutti e due, e…e…e io ho paura!- sbottò infine, scoppiando in lacrime. David Nolan sospirò, scuotendo il capo e abbracciandola.
- Kathryn ha promesso che firmerà i documenti quanto prima - spiegò, pacatamente.- Per il matrimonio, non appena sarà nato il bambino provvederemo; per la casa, avevamo dei progetti e li metteremo in pratica; i tuoi genitori dovranno farsene una ragione…- David fece una smorfia al pensiero dei suoi quasi futuri suoceri.
Mary Margaret era l’unica figlia di Leopold ed Eva Blanchard, una coppia che era riuscita a darla alla luce dopo anni e anni di matrimonio senza più speranze di avere dei bambini. L’avevano cresciuta come un gioiellino, dandole sempre il meglio ma nel contempo imponendole un’educazione religiosa molto rigida. L’avevano presa malissimo quando Mary Margaret, anziché rimanere nella casa paterna fino al matrimonio, aveva affittato quel piccolo appartamento a Storybrooke quando aveva ricevuto l’incarico di insegnante elementare, arrivando a minacciare di diseredarla nel momento in cui avevano scoperto che aveva una storia con un uomo sposato.
Leopold ed Eva non l’avevano mai potuto soffrire, e ora il fatto che avesse messo incinta la loro bambina senza essere legalmente sposati non era certo un punto a suo favore. Ma avrebbero dovuto accettarlo, concluse.
- …e infine: credimi, anche io ho paura - David la guardò negli occhi, sorridendole. Mary Margaret ricambiò il sorriso, un po’ rincuorata mentre lui le accarezzava i capelli.- Ma sono sicuro di una cosa: sarai una madre splendida, stanne certa…
 
***
 
Sarebbe stato tutto perfetto, se non fosse stato per lo sguardo da aquila assassina di Granny, ma tutto sommato poteva anche passarci sopra. Non le andava di farsi rovinare la serata dalle paranoie di sua nonna che, poverina!, ancora la credeva una pura e innocente verginella. No, proprio no. Non adesso che andava tutto bene.
Ruby ringraziò silenziosamente che la quasi totale mancanza di clienti, quella sera, le avesse concesso la possibilità di prendersi una pausa e sedersi a uno dei tavoli di fronte al dottor Hopper, invece che parlare con lui da oltre il bancone. Si sporse un poco in avanti, bevendo la sua tazza di cappuccino con aria sorniona, gustandosi l’espressione sconcertata di Archie.
L’uomo boccheggiò, cercando di mettere a fuoco ciò che gli aveva appena raccontato.
- Questa storia ha dell’assurdo…- mormorò infine; Ruby si chiese cosa avrebbe pensato se lei non avesse omesso i particolari di Jefferson e del rapimento di Belle.- Chiamami bigotto, ma non riesco a capacitarmi che una ragazza come Belle French si sia davvero innamorata del signor Gold…
- Beh, se tu sei bigotto, io sono una puritana della peggior specie. Potrei unirmi a una comunità di Amish!- sussurrò Ruby, ridacchiando.- Ricordi quando sono venuta da te, la settimana scorsa? Sembravo un’isterica!
- No. Eri solo un po’ confusa…- Archie le sorrise gentilmente, in quel modo in cui solo lui riusciva a sorridere senza darle l’idea di volerla accontentare.- E dimmi: ora come vanno le cose? Tu e Belle avete fatto pace?
- Direi di sì - Ruby sorrise, guardandolo negli occhi. Gli prese una mano. - E per questo, ti devo ringraziare. Credo che le starei ancora tenendo il muso se non ci fossi stato tu…
- Davvero, Ruby, non serve. Io ho fatto solo il mio dovere.
- Consolarmi, dici? Era dovere anche la sera di San Valentino?
A quell’allusione, Archie divenne del colore dei suoi capelli.
- Ehm…io…credevo…credevo che fosse una questione chiusa, quella - balbettò, infine, cercando senza risultati di darsi un contegno.- Mi dispiace per…
- Per avermi dato un bacio?- ammiccò Ruby.
- Sì…cioè, no…Non…insomma, voglio dire…Mi dispiace di essere stato così invadente, io di solito non…
- Oh, ma a me non è dispiaciuto nemmeno un po’!- esclamò Ruby, facendosi un po’ più vicina.- E, se non ricordo male, sono stata io a baciarti per prima. Tu mi hai seguito.
- Già…
Ormai Archie si era impappinato senza alcuna speranza di uscirne. Ruby ridacchiò, sporgendosi verso di lui.
- E devo ammettere che uno di questi giorni non mi dispiacerebbe ripetere l’esperienza…
- In effetti, se per te va bene, anche io sarei…
- Dottor Hopper!- la voce di Granny giunse con la stessa intensità di una sirena dei vigili del fuoco, facendoli sobbalzare entrambi.- Dottor Hopper, mi scusi, ma stiamo per chiudere…- ringhiò la donna.- Ruby, ti spiacerebbe sollevare le sedie?
- Sì, nonna…- sbuffò la ragazza, alzandosi in piedi. Fece l’occhiolino ad Archie, allontanandosi.
Non poté trattenersi dal ridacchiare di contentezza.
Stava andando tutto bene.
 
***
 
Michelle afferrò un fazzoletto fra le mani per non scottarsi, sollevando attentamente la teiera e versando del thé fumante in entrambe le tazze posate sul tavolo. Ci aggiunse un cucchiaino di zucchero per lei e ne mise tre in quello di Jefferson, con anche una piccola fetta di limone.
Sapeva che al suo amico piaceva così, molto dolce.
La farmacista voltò il capo, scoccando l’ennesima occhiata a Jefferson: il fatto che tutto quanto fosse finito non era altro che un bene, e l’averlo rassicurato sul fatto che nessuno l’avrebbe denunciato né tantomeno gli avrebbe portato via Paige era stato di parecchio conforto, ma era evidente che non si sentiva ancora tranquillo. Michelle non poteva dargli torto: nelle sue condizioni, qualsiasi essere umano sarebbe crollato miseramente, era già una gran cosa che non gli fosse venuto un esaurimento nervoso.
E poi, Regina Mills era ancora impunita: finché era in circolazione, nessuno poteva dire di essere veramente tranquillo.
Michelle guardò negli occhi cerchiati di Jefferson, sfoderando il miglior sorriso di rassicurazione che riuscì a trovare, porgendogli una delle due tazze.
- Ecco qui. Con tanto zucchero come piace a te!- provò a scherzare. Con suo grande sollievo, Jefferson le regalò un sorriso sghembo, prendendo la tazza dalle mani della farmacista.
- Grazie, Michelle…- soffiò, ancora pallido in volto.
- Di niente. E’ solo un thé.
- Non mi riferivo solo a questo…- Jefferson bevve un sorso prima di continuare.- Ti ringrazio per tutto. Per avermi tirato fuori dai guai e per…beh, per essere rimasta - l’infermiere abbassò lo sguardo.- Non pensavo che qualcuno volesse ancora avere a che fare con un rapitore…
- E io invece pensavo fossi più intelligente - lo rimbrottò Michelle, sedendosi al tavolo e accavallando le gambe, innervosita.- Sappiamo tutti quanti come sono andate le cose, Jefferson. Un padre per sua figlia farebbe questo e altro. E io sono tua amica…ti pare che ti mollerei proprio adesso?
- Se le tue zie venissero a saperlo, farebbero lo scalpo a me e rinchiuderebbero in una torre te…
- Nessuno all’infuori di chi era presente oggi verrà a sapere nulla di quanto è successo, sta’ tranquillo.
Jefferson esitò un attimo, quindi annuì. Michelle vide che gli tremavano le mani, e provò l’impulso di andare da lui e stringergliele fra le proprie. Si morse l’interno di una guancia, bevendo a forza un sorso del suo thé.
- Vuoi…vuoi che vada io a prendere Paige?- propose infine.
- No, ti ringrazio. Stamattina mi ha detto che si fermava a dormire da un amico. E’ meglio così, in effetti…non voglio che mi veda in questo stato…- la voce di Jefferson s’incrinò pericolosamente.- Piuttosto…- boccheggiò.- Ti…ti andrebbe di restare ancora un altro po’? Solo dieci minuti…
- Resto anche tutta notte, se vuoi…- ridacchiò Michelle.
Jefferson rise, ma subito la sua risata si trasformò in un pianto liberatorio. La farmacista scattò in piedi, avvicinandosi a lui e prendendogli il volto fra le mani.
- Ehi…- sussurrò, con un sorriso.- E’ finita, hai capito? E’ finita, Jefferson…
L’uomo annuì, asciugandosi le lacrime. Michelle esitò un attimo, quindi si sollevò sulle punte, decisa a dargli un bacio su una guancia. O almeno, quelle erano le sue intenzioni. La farmacista non seppe dire se fosse stata lei a prendere male la mira oppure Jefferson a spostare inavvertitamente il capo, fatto sta che, anziché su una guancia, finì col baciarlo all’angolo della bocca.
Michelle sgranò gli occhi, staccandosi da lui mentre il suo cervello iniziava a lavorare a tutta velocità, cercando disperatamente un modo per scusarsi. Jefferson, comunque, pareva non essersi neppure accorto di ciò che era successo, e l’abbraccio.
La farmacista non disse niente, ancora frastornata, ma ricambiò l’abbraccio.
 
***
 
Belle credette di morire quando il dottor Whale aprì la porta alla sua sinistra, uscendo dalla stanza dell’ospedale. La ragazza scattò istintivamente sulla sedia, voltandosi a guardarlo.
- Come…come sta?- riuscì a soffiare.
- Come le ho già detto, si riprenderà, ma è ancora debole. Una pallottola nel torace non è uno scherzo.
- Posso vederlo?
- Certo, ma le posso concedere solo pochi minuti. E mi raccomando, signorina, non deve stancarsi…
Belle annuì, alzandosi in piedi. Il dottor Whale si scansò un poco per lasciarle accesso libero alla porta, quindi le scoccò un’ultima occhiata prima di allontanarsi.
La ragazza esitò un poco, prendendo un profondo respiro. Già il solo pensiero le faceva venire una gran voglia di piangere, ma s’impose di essere forte. Spinse piano la porta, sbirciando brevemente all’interno della stanza prima di entrare e richiudere l’uscio dietro di sé.
Il cuore le si strinse quando alzò lo sguardo.
Gold era disteso sul letto, le coperte tirate fino al petto per nascondere la ferita causata dalla pallottola di Gaston e dall’operazione. Teneva gli occhi chiusi, sembrava tranquillo; Belle dedusse che stesse dormendo.
La ragazza si avvicinò piano al letto, attenta a non fare rumore, senza smettere di guardarlo. Dio, era così pallido…
Quando Belle fu abbastanza vicina, inaspettatamente, Gold socchiuse gli occhi, guardandola. Si aprì in un debole sorrisetto sghembo.
- Ciao, dearie…- soffiò, debolmente.
Belle fece un mezzo sorriso nel risentire quel nomignolo, ma subito tornò seria.
- Ciao…- mormorò, sentendo la propria voce incrinata. Si fece forza, imponendosi di riacquistare quel poco di autocontrollo le era rimasto. Lentamente, allungò una mano verso di lui, posando il palmo aperto contro il suo petto. Gold trovò la forza di sollevare un braccio e stringere la mano della ragazza fra le proprie dita, sorridendole.
- Come stai?- le domandò.
Belle fece una breve risatina, sentendosi gli occhi pieni di lacrime.
- Ma dovrei essere io a chiederlo a te…!- esclamò; piano, con delicatezza, gli scostò una ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi, accarezzandogli dolcemente una guancia.- Ti…ti fa molto male?- balbettò.
- Ho sopportato di peggio - rispose Gold con noncuranza.
Belle sentì che non ce l’avrebbe fatta a trattenersi ancora a lungo; si chinò, posandogli un bacio sulla fronte, quindi scese giù con le labbra lungo lo zigomo e la guancia, fino a raggiungere la sua bocca. Lo baciò con delicatezza, quasi temendo di fargli male, senza fretta; in quel momento, il mondo al di fuori di quella stanza non esisteva più: non c’erano più né il Vicesceriffo né Gaston, né suo padre né Regina Mills. Solo loro due, ed era questo che contava.
Gold sollevò le dita tremanti ad accarezzarle il volto, sorridendo.
- Il dottor Whale…- soffiò Belle.- Il dottor Whale ha detto che devi riposarti. Posso restare solo per qualche minuto.
- Allora non sprechiamoli - Gold accennò allo spazio vuoto nel letto accanto a sé. - Perché non vieni qui?
- Ho paura…ho paura di farti male - ammise Belle, con un sorriso imbarazzato. L’uomo scosse il capo, e le fece cenno di avvicinarsi. La ragazza si distese con cautela accanto a lui; Gold le circondò le spalle con un braccio, facendole poggiare il capo contro il suo petto, accarezzandole piano i capelli.
Belle chiuse gli occhi: era stanchissima, ma non voleva dormire. Non voleva perdersi neanche un istante di quel momento.
Robert era salvo, pensò. Nessuno avrebbe più fatto del male né a lui né a lei. Tutto sarebbe andato a posto.
E stavolta, Belle aveva la certezza che sarebbe davvero andato tutto bene.
 
***
 
- Quindi, la Bestia non muore? Ti prego, dimmi di no!
- No, non muore. La Bella va da lui, gli dice che lo ama e si trasforma in un bel principe.
- E guarisce?
- Sì, era sottinteso.
- Meno male. Almeno quello…Sai, non credo che il signor Gold si trasformerà in un principe.
- No, nemmeno io.
- Allora, vissero per sempre felici e contenti?
- Suppongo di sì. Tutte le favole finiscono così…
- E questa è la fine della favola?
- Forse…
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Ho dovuto trattare più storie in questo capitolo per via del contenuto dell’epilogo. Spero che alcune parti – specialmente quella su Henry e Paige – non siano risultate troppo stucchevoli o superficiali. Forse sono scivolata un po’ nell’OOC per quanto riguarda Emma e Gold, ma quello che ho cercato di fare è stato prendere alcuni loro tratti in determinate situazioni e accentuarli.
I ringraziamenti veri e propri avverranno in maniera completa nel prossimo – e ultimo – capitolo, ma nel frattempo ci tengo a ringraziare Sylphs per aver segnalato questa storia per l’inserimento nelle scelte del sito. Messaggio per annachiara27: tranquilla, non mi sono dimenticata della mia promessa, non appena avrò scritto e pubblicato l’epilogo di questa storia ci darò dentro con le OS che mi hai richiesto ;). E grazie ancora per il video, dearie, è fantastico e tu sei meravigliosa :)
Messaggio per tutti coloro a cui devo ancora una o più recensioni: ABBIATE FEDE! CE LA FARO’ PRIMA O POI! XD. Sorry, guys…:(.
Dopo che avrò terminato questa storia, beh…okay, inutile dirlo, ho una marea di progetti in mente e vi romperò le scatole ancora a lungo *risata diabolica*, ma credo che, mentre mi complicherò la vita con altre storie, darò la precedenza a Titanic in questo fandom.
Ciao a tutti, al prossimo capitolo!
Un bacio,
Beauty
  
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