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Autore: SlowDownLiz    16/10/2013    1 recensioni
"..Così mi costrinsi a rimanere lì fermo mentre lei si preparava a cospargermi di protezione solare. Fatto tutto il corpo, toccò al viso dove dedicò più premura che nel resto: prima di posare ogni ricciolo di crema, Laura lasciava nel medesimo posto un bacio delicato. " (Preciso che non è tutta così la storia; inoltre è la prima che scrivo.. quindi non vi prometto niente.. l'ho finita ancora ad inizio anno, solo che mi mancava il coraggio di pubblicarla..) In poche parole, è una storia d'amore ambientata ai nostri giorni a Liverpool, con i nostri amati Beatles.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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47-Get Back
 
Ormai era sabato mattina.. era già arrivato il fatidico giorno dell’addio a tutto il resto. I giorni seguenti alla partenza di Paul erano trascorsi tra la monotonia e la solitudine che regnavano indisturbate in casa nostra.
Era una situazione dura per me ma anche per le mie amiche non era facile: non vedere i propri ragazzi era proprio una tortura per tutte.
Ancora distesa sul letto abbracciavo la maglietta che Paul usava per dormire come fosse un peluche: avevo preso l’abitudine di dormirci insieme per cercare di alleviare il dolore per il nostro distacco. Guardavo il soffitto, in silenzio, senza pensare a niente di preciso; nelle mie vene scorreva una grande quantità di adrenalina dovuta all’imminente partenza.
Mi costrinsi ad alzarmi dal letto, ma cercai di farlo il più lentamente possibile per provare a incamerare nella mia memoria i particolari di quella stanza, quel luogo che era stato il mio rifugio per sei lunghi mesi. Sarebbe stata quindi l’ultima volta che mi sarei svegliata in quella camera.
Tastai con i piedi quella moquette che tanto avevo odiato perché si sporcava con un nonnulla; alla fine, mi sarebbe mancata anche lei.
Osservai il mucchio di valige ammassato sotto la finestra e ripensai mentalmente alla lista delle cose che mi ero portata via in modo da vedere se mi fossi dimenticata qualcosa. Sentendo il polso sinistro leggero mi ricordai di aver messo nel beauty-case della bigiotteria i due regali che mi aveva fatto Paul. L’avevo fatto per due motivi: primo, non volevo correre il rischio di perderli; secondo, volevo evitare di dover dare subito spiegazioni ai miei per quanto riguardava quelle meraviglie. Si, perché le prime persone che avrei rivisto all’aeroporto appena atterrata sarebbero stati i miei genitori; non ero sicura che i miei amici sarebbero venuti a darmi il benvenuto in quanto in quel periodo iniziava le sessione autunnale degli esami universitari.
Rinunciai ad aprire nuovamente le valigie per ricontrollare: in caso mi fossi dimenticata qualcosa, Paul me le avrebbe portate in Italia la prima volta che ci saremmo rivisti.. “chissà fra quanto..” pensai sconsolata più che mai.
Mi stiracchiai mettendomi in piedi lasciando la maglia-peluche sul cuscino; uscii dalla stanza cercando di abituare gli occhi alla forte luce del sole che entrava in casa e che mi accecava. Mi diressi in cucina, dove trovai Liz e Alessia appoggiate una al frigo e l’altra poco distante, entrambe in silenzio come se stessero aspettando qualcosa o qualcuno. Infatti:
-Oh eccola Liz.. -disse Alessia dando di gomito all’amica per attirare la sua attenzione che fino a qualche istante prima era tutta per il pavimento.
-Buongiorno Laura.. dormito bene? -Mi chiese la bionda.
-Certo.. voi? Ieri sera vi ho abbandonato prima del previsto perché ero stanca..
-Figurati.. ma ora, siediti e gustati la nostra buonissima colazione..- e prendendomi a braccetto, Alessia mi accompagnò alla mia seduta mentre loro rimanevano in piedi a guardarmi incuriosite.
A dire la verità, penso fosse una loro fissa perché più che una semplice colazione sembrava un pranzo vero e proprio; e se non ricordo male, non era la prima volta che capitava questa cosa.
Appena appoggiai la forchetta dopo l’ultimo pezzetto di frittella, si misero a preparare in fretta e furia e mi bloccarono ancora a tavola:

-Aspetta..- iniziò Alessia.
-Abbiamo una cosa da darti.. e da parte di tutti noi, ragazze e “strimpellatori” compresi..-  terminò Liz.
Mi porsero una grossa scatola chiusa da un nastro in tessuto: tutto rigorosamente viola, come piaceva a me. Snodai il fiocco pregustando il piacere di vedere che cosa mi avessero regalato; alzai il coperchio del pacco e mi trovai tra le mani un grosso album fotografico molto carino esteriormente. Senza troppi fronzoli, la copertina aveva al centro una taschina in plastica che conteneva un pezzo di carta riciclata sul quale c’era scritto “IL MIO ERASMUS” e sotto di esso c’erano tutti i nomi di coloro che avevano partecipato a quella creazione artistica. Stavo per aprirlo e sfogliarlo felice quando le mani di Alessia mi bloccarono:
-Preferiremmo che tu lo guardassi mentre sei sull’aereo, tanto per rendere il viaggio più interessante.. disse ammiccante.
Essendo molto suscettibile in quei giorni e solo a sentire la parola "aereo" non riuscii a trattenere le lacrime per la tristezza. Mi alzai dalla sedia e le strinsi tra le mie braccia sentendo l’abbraccio ricambiato.
-Laura ci mancherai tantissimo ma sappi che noi ci saremo sempre per te.. sei hai bisogno di aiuto basta che chiedi, ok?  Disse Liz iniziando a tirare su con il naso, anche lei commossa evidentemente.
Per far intendere che avevo capito e apprezzato il gesto asserii con la testa; Alessia continuò:
-Grazie di tutto Lau.. della tua amicizia, del tuo essere una persona speciale e magnifica..
E questi complimenti non fecero altro che aumentare il mio pianto; affondai la testa sulla spalla di Liz mentre quattro braccia cercavano di consolarmi.
******
 
L’aereo era appena decollato e per la forza di gravità mi sentivo ancora schiacciata al sedile in cui mi ero accomodata. “Ecco.. alla fine sono partita.. non sono più là..” era quello che continuavo a pensare. Tra tutte le cose che avevo fatto e che mi erano capitate, non avrei voluto cambiare nulla; mi erano servite per crescere, cosa più cosa meno.
Sedevo vicino al finestrino come il viaggio d’ andata e non avevo nessuno accanto a me; guardando la terra che si allontanava sempre di più, ripensavo agli ultimi attimi passati con le mie amiche.
Caricate le mille valige nel bagagliaio della macchina di George che era stata lasciata a Hollie, tutte e quattro ci siamo dirette verso Londra e il suo aeroporto. Avevo detto loro che non occorreva che si disturbassero così tanto; me la sarei cavata da sola tranquillamente. Invece, avevano insistito per accompagnarmi e per salutarmi come si doveva.
Fu un viaggio tutt’altro che corto, ma sicuramente fu veramente divertente: nelle superstrade che percorremmo, tutte le auto che incontravamo avevano a bordo giovani ragazzi che immediatamente si distraevano dalla guida per iniziare a squadrarci. Noi non badavamo a queste sciocchezze e proseguivamo per la nostra strada, anche se continuavamo a ridere per ogni faccia basita che vedevamo.
Dopo quasi due ore e mezzo, riuscimmo a giungere all’aeroporto sane e salve nonostante la guida spericolata di Hollie. Salutai anche la mitica Mini rossa di George alla quale erano legati ricordi importantissimi. Aiutata dalle mie “accompagnatrici”, portai le valige alla zona check-in e le imbarcai sul mio volo.
Mi avvicinai alla zona d' imbarco dei passeggeri e dopo un saluto che mi strappò più di una lacrima, mi inoltrai in quel corridoio che portava all’aereo vero e proprio. Mi rigirai più volte indietro nella speranza di veder arrivare un Paul tutto affannato ma niente. Rimasi un po’ delusa visto che lui non si trovava poi così tanto distante da qui, ma forse non ce l’avrei fatta se l’avessi rivisto in quel momento.
Improvvisamente, andai a sbattere con la testa addosso all’oblò dal quale stavo ancora guardando il paesaggio; tutta colpa di una piccola turbolenza.
Ero tornata al presente.
La spia delle cinture si era spenta, quindi si potevano slacciare ora; presi così il mio borsone che faceva da bagaglio a mano e decisi che era giunto il momento di guardare l’album fotografico. Lo tirai fuori delicatamente e lo misi sulle mie cosce; aprii la copertina trovandomi davanti le pagine iniziali completamente ricoperte da dediche e firme. “Ora capisco cos’era tutto quel bisbigliare sul firmare qualcosa tutti insieme..”.
Nel leggerle mi si formò un grande sorriso in faccia.
Mi avevano augurato il meglio e mi chiedevano di tornare a trovarli il più presto possibile. Avevano tutti delle scritture stupende ma mi soffermai a quell’unica frase che Paul aveva scritto e al suo corsivo. “Ricordati che ti amo..”; vi passai sopra il pollice come stessi accarezzando realmente la sua mano. Già mi sembravano tutto un sogno quei mesi che avevamo passato insieme.
Girai la pagina e la prima sezione dell’album era stata intitolata “Dove Ho Vissuto” e i miei amici l’avevano riempita con foto di tutta la casa: esterno, interno e le varie stanze.
La seconda, invece, era dedicata a “Con Chi Ho Vissuto”: diverse foto ritraevano i miei coinquilini e le altre erano state scattate rubando attimi della nostra quotidianità.         Io che mi lavavo i denti, John che si vestiva “Ah però John..”, Liz che guardava la Tv con Alessia, Paul che cucinava.. Nel guardare quella foto riconobbi che si trattava della prima sera, quella in cui la conobbi. Capii che era quella particolare occasione grazie al vestiario che lui indossava e a quello che sembrava bollire in pentola.
Più sfogliavo le pagine più trovavo foto che nemmeno ricordavo mi fossero state scattate. Ce n’erano anche del mio compleanno, di quello di Liz e del mio Paulie; in una c’era persino Julian. C’era proprio tutto insomma! L’avrei trattato sicuramente come una reliquia e guai a chi non ne avrebbe avuto cura!
Una foto in particolare aveva rapito la mia attenzione e mi stava facendo scervellare per capire chi avesse avuto l’abilità di scattarla. La stampa in questione ritraeva me e Paul al mare mentre stavamo avvicinandoci per darci un bacio a fior di labbra, seduti sul mio telo da spiaggia.
Quella foto era di una tenerezza unica e avevo intenzione di farne una gigantografia da appendere in camera mia.
Ero talmente immersa a guardare tutte le foto in quell’album che non mi accorsi nemmeno di essere in fase di atterraggio. Il tempo era proprio volato e non c’era migliore affermazione di quella data la situazione.
Toccammo terra e ad attendermi trovai un caldo spaventoso: la cara vecchia estate ritardataria dell’Italia.
Si boccheggiava parecchio.
Entrai all’aeroporto di Venezia e come già sapevo, i primi e unici volti che vidi furono quelli dei miei genitori che, sorridenti e felici di vedermi, mi vennero incontro abbracciandomi.
Sotto sotto mi erano mancati tanto anche loro solo che non volevo darlo a vedere per orgoglio.
Per tutto il tempo che stetti in macchina finché percorrevamo l’autostrada non dissi una parola ma loro c’erano abituati; faceva parte del mio essere. Era un modo per soffrire in silenzio senza dare troppo nell’occhio.
Arrivammo a casa circa due orette dopo e papà mi diede una mano con i bagagli, così riuscimmo a scaricarli tutti in garage in un colpo solo.
Svuotai i trolley mentre portai in camera mia l’album e il borsone che appoggiai a terra; mi sdraiai sul letto ritrovando al mio fianco la mia gatta che doveva avermi seguito di nascosto. Mi era mancata quella palla di pelo, così la strinsi a me per cercare di farglielo capire.
Chiusi gli occhi e cercai di riabituare il mio corpo al materasso che da tanto non sosteneva il mio peso. Ma era inutile rilassarsi: l’angoscia per la mancanza che sentivo per Liverpool me lo impediva.
Dovevo però farmene una ragione: era l’unico modo per andare avanti e vivere
  
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