Fumetti/Cartoni americani > Pucca
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Autore: Shainareth    17/10/2013    3 recensioni
Strinse le labbra, cercando di recuperare il respiro che gli era venuto meno a causa di quella domanda. Infine, le schiuse e, con voce rauca, una voce estranea persino a se stesso, rispose. «Io sono Garu.»
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Amnesia'
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CAPITOLO TERZO




Fu molto più che emozionante quando, mettendo per la prima volta piede all’interno del Goh-Rong, il ristorante dei suoi zii nonché casa sua, trovò tutti gli abitanti del villaggio insieme ad aspettarla e ad accoglierla nuovamente fra loro. La sala, addobbata a festa per quel benvenuto, era gremita di gente che si era recata lì con l’unico proposito di congratularsi con lei per il traguardo raggiunto: era stata in grado di rimettersi completamente in salute, almeno da un punto di vista fisico, e aveva potuto lasciare l’ospedale con l’impegno di tornarci per visite di routine. Ma, soprattutto, dopo ben sette anni poteva di nuovo vivere come tutti gli altri.
   Molti dei volti che le sorridevano e la guardavano commossi le erano estranei, ad esclusione di quelli di chi era andato più volte a trovarla durante i lunghi mesi di riabilitazione e dei quali ella si ricordava piuttosto bene. Primi fra tutti i genitori di Ching e Abyo, ma anche Dada, il cameriere del Goh-Rong, Ssoso e Ring Ring. Quest’ultima, in particolare, si era presentata a lei con quello che le era parso un vago imbarazzo e soltanto in seguito la stessa Ching le aveva spiegato che Ring Ring, oltre ad essere sua cugina, era anche un tipo particolare e che, in passato, si era scontrata più volte con lei a seguito di sciocche dispute fra ragazzine. Probabilmente, dunque, era stato per questo che a Pucca era parsa a disagio durante le sue sparute visite in ospedale. Tuttavia, poiché lei non ricordava affatto di quei litigi e per di più ormai fosse passato tanto tempo, riteneva assurdo che Ring Ring continuasse a rimuginarci sopra, temendo di non esserle gradita. Ammesso che fosse realmente questa la ragione del suo imbarazzo nei suoi riguardi, si intende.
   Per quanto si sentisse lusingata per tutta quell’affettuosa accoglienza, la moltitudine di gente riunita lì, e alla quale non era più abituata, cominciò a disorientare Pucca. Non ebbe cuore di farlo notare a qualcuno, comunque, perché ognuna di quelle persone era lì apposta per lei e perciò andava bene così. Avrebbe riposato più tardi, con calma, quando le sarebbe finalmente stato possibile ritirarsi in camera sua per concedersi una bella dormita che l’avrebbe rimessa in sesto dopo l’affaticamento che l’aveva immancabilmente colta lungo il tragitto dall’ospedale. Era stato Bruce, il padre di Abyo, a darle volentieri un passaggio fino a casa sulla propria volante della polizia, e lei e i suoi amici avevano scherzato e riso non poco riguardo alla fantasia che finalmente l’avrebbero portata al fresco dopo tutte le pazzie commesse in passato.
   «Oh, andiamo!» aveva esclamato Pucca, sgranando gli occhi con fare incredulo. «Quali follie avrei commesso?» L’elenco era stato abbastanza prolisso da coprire gran parte della durata del viaggio fino a casa. «Beh, se quell’esaltato avesse subito acconsentito a firmarti la copia del libro», aveva poi detto a Garu, riguardo ad uno dei tanti episodi che le erano stati raccontati, mostrandosi stizzita come se fosse appena successo, «non si sarebbe ritrovato svergognato in quel modo davanti a tutti.»
   «Alla fine dell’esibizione, dovette correre in ospedale», le aveva fatto notare lui, ridendo, benché avesse collaborato involontariamente nella demolizione della reputazione del vecchio maestro Hiel Kikyu.
   «Beh, se lo era meritato», aveva esclamato la fanciulla, convinta di quanto stesse dicendo nonostante l’ilarità che aveva scatenato quella sua reazione genuina.
   Il lato veramente triste di quella chiacchierata, tuttavia, era stato che, nonostante il divertimento, lei era l’unica a non ricordare nulla di tutto quello. Aveva ascoltato ogni racconto come se fosse accaduto a qualcun altro e la sensazione che aveva provato non era stata affatto piacevole. Malgrado ciò, Pucca non avrebbe scoraggiato nessuno dal rievocare il passato che la riguardava, perché riteneva che solo in questo modo avrebbe potuto non soltanto scoprire qualcosa di più su ciò che la legava a questa o a quella persona, ma anche capire maggiormente se stessa. E poi magari, a furia di stuzzicare la memoria in quel modo, i ricordi sarebbero potuti tornare a galla ad uno ad uno. In ultimo, era innegabile che vi fosse di mezzo anche una mera curiosità da parte sua riguardo agli anni vissuti prima del coma. Come poterle dare torto?
   Sapendo di questa sua necessità, gli abitanti del villaggio avevano voluto omaggiarla di un regalo che avevano realizzato tutti insieme: ognuno di loro aveva donato a Pucca delle foto che le avevano scattato prima dell’incidente, testimonianza oculare della sua vita passata, e Ching le aveva raccolte in un enorme album, annotando sotto ad esse poche ma esaustive informazioni circa i vari avvenimenti lì immortalati. Fu un dono prezioso che Pucca accettò e apprezzò al punto da scoppiare in lacrime, perché quella era la prova tangibile che tutto quello che le avevano raccontato fino a quel momento rispondeva alla pura verità: lei e Garu avevano vinto il torneo di ping pong, i suoi zii avevano realizzato lo spaghetto più lungo del mondo, Garu era stato da lei costretto a vestirsi da fiore durante una festa in maschera, lei stessa era stata protagonista di un film locale intitolato I ninja e l’amore – e la locandina di tale discutibile capolavoro era ancora appesa in bella mostra proprio lì nella sala principale del ristorante.
   «E sono pure stata eletta Piccola Miss Sooga!» esclamò stupefatta, coprendo una risata dietro al palmo della mano, gli occhi ancora velati di lacrime. Accidenti, a Sooga doveva essere quasi considerata una celebrità!
   «Oh, per quello devi ringraziare quello sciocco di Garu», borbottò Ring Ring, che era stata sua rivale durante il concorso di bellezza.
   Pucca lanciò uno sguardo al giovane che si stava stropicciando un occhio, cercando forse di sfuggire all’imbarazzo. «Hai sempre avuto buon gusto», gli assicurò invece la fanciulla, deliziata dall’essere sempre riuscita, in qualche contorto modo, ad attirare l’attenzione dell’amato. Inutile dire che quell’affermazione, sia pure detta in tono confidenziale, causò nuove risate e uno sbuffo di protesta da parte di Ring Ring, che ruotò gli occhi al soffitto, senza riuscire comunque a trattenere un sorriso divertito.
   Il tempo in compagnia trascorse in fretta e la serata si concluse con dei sinceri ringraziamenti da parte della festeggiata a tutta la popolazione di Sooga. Sebbene non ricordasse un accidenti del passato, Pucca era certa di non aver mai ricevuto tanto affetto da parte di nessuno, né tanto meno un regalo prezioso quanto quello che adesso stringeva gelosamente al petto. Lo avrebbe sfogliato e risfogliato, letta e imparata a memoria ogni singola didascalia presente sotto a questa e quella fotografia e, ovviamente, custodito quell’album con estrema cura e tanto amore.
   Quando la sala si svuotò quasi del tutto, era ancora piuttosto presto; nessuno voleva che Pucca si stancasse troppo sin dal primo giorno fuori dall’ospedale, perciò furono tutti concordi a lasciarle gran parte della serata libera, in modo che lei avrebbe potuto disporre del proprio tempo come meglio avrebbe creduto, concedendosi una lunga chiacchierata con la propria famiglia e gli amici più cari oppure un bagno caldo e rilassante, seguito da una bella dormita da fare finalmente nel proprio letto, come quand’era bambina.
   In realtà, Pucca volle saltare a piè pari sia le chiacchiere che il bagno: era troppo stanca per rimanere ancora in piedi. Nessuno ebbe nulla da ridire in proposito e, anzi, fu esortata a fare tutto ciò che le pareva perché, adesso che era di nuovo a casa con loro, i suoi zii avevano giurato solennemente di viziarla come mai prima di allora.
   «Vuoi che ti accompagni di sopra?» le domandò Ching, preoccupata che, dopo essere stata alzata per tanto tempo, le gambe della sua amica non riuscissero a percorrere tutta la scalinata che portava al primo piano dell’edificio.
   «Hai già fatto tanto, per me», declinò gentilmente l’invito Pucca, poiché non voleva davvero più pesare su nessuno di loro. «E poi dovrò abituarmi a farlo da sola, quindi tanto vale cominciare subito.»
   La forza di volontà era uno dei migliori pregi della loro nipotina, e il solo sentirla parlare in quel modo, ridusse Zio Raviolo in lacrime. «Troverai la tua camera così come l’hai lasciata», le fece sapere, in preda all’emozione più totale.
   Quella notizia stuzzicò la fantasia della ragazza: curiosando fra la propria roba, avrebbe senza dubbio scoperto moltissime cose su se stessa e su quella che era stata. Dando perciò la buonanotte a tutti, si avventurò su per i gradini che portavano di sopra, sia pure lentamente e con fatica. Arrivata a circa metà della scalinata, però, fu costretta a sedersi per riposare un attimo e questo allarmò gli altri, che subito si mossero per raggiungerla e aiutarla.
   «Fermi dove siete, sto bene», vociò lei, sentendoli muoversi nella sua direzione. Tra le tante sfaccettature del proprio carattere che aveva imparato a conoscere negli ultimi mesi, e cioè da quando era uscita dal coma, la testardaggine spiccava prepotentemente sulle altre. Anche se, forse, ne sottovalutava un’altra di non secondaria importanza: la sfacciataggine. «A meno che il mio fidanzato non voglia portarmi fra le braccia, così da fare insieme le prove generali per il matrimonio», cinguettò scherzosamente, mandando in fiamme il giovane per l’imbarazzo che gli causarono sia quell’affermazione, sia le risate dei presenti.
   «Valla ad aiutare, per favore», lo pregò Linguini, sfregando una mano sulla sua spalla per fargli coraggio. «A te non dirà certo di no.»
   Sospirando quasi con la medesima rassegnazione di quand’era ragazzino, Garu accettò di farsi carico del peso della fanciulla, che si aggrappò al suo collo ancor prima che lui riuscisse a passarle un braccio dietro la schiena e l’altro sotto le ginocchia. Non era certo un sacrificio, anzi; poterle stare così vicino gli dava l’opportunità di toccarla, nel senso più puro del termine, e di potersi inebriare del suo meraviglioso odore, che ormai amava sopra ogni altro.
   «Potremmo andare in Groenlandia», esordì Pucca, mentre lui riprendeva a salire le scale.
   «Perché proprio lì?» s’incuriosì giustamente il ninja, non riuscendo a seguire il filo dei suoi pensieri.
   «Trovo romantico pensare di passare il viaggio di nozze in un igloo insieme agli Inuit», spiegò allora, ricordando quanto letto nei mesi di degenza sui vari libri che le avevano prestato i suoi amici. «E la notte sarà molto piacevole riscaldarsi.»
   Quest’ultima frase quasi la sussurrò, ma tanto bastò per mandare Garu in totale confusione, tanto che per poco non mancò un gradino e dovette far ricorso alla propria agilità di guerriero per non capitombolare giù dalla scalinata insieme a lei. Pucca rise, aggrappandosi maggiormente a lui, che preferì non commentare, limitandosi piuttosto a bofonchiare qualcosa che la fanciulla non riuscì a decifrare.
   Quando giunsero a destinazione, trovarono l’interruttore della luce a fatica, ma riuscirono anche in quell’impresa. «Ce la fai a reggerti in piedi?»
   «Sì…» rispose distrattamente la ragazza, guardandosi attorno con evidente smarrimento nell’espressione del volto. Garu seguì il suo sguardo e fu soltanto allora che ricordò che le pareti della camera di Pucca erano coperte di foto e gigantografie che lo ritraevano, sia pure all’età di circa dodici anni. Esitò un attimo prima di lasciarla andare e i piedi di lei furono nuovamente a contatto con il pavimento. Il giovane si accorse che aveva ricominciato a stringere al petto l’album che aveva portato con sé, ma questa volta ebbe come la sensazione che lo facesse in modo quasi spasmodico.
   «Tutto bene?» si azzardò a chiederle, pur con voce incerta, una mano ancora dietro la sua schiena per paura di vederla crollare a terra. O forse non aveva il coraggio di interrompere quel contatto? Probabilmente l’una e l’altra cosa.
   Pucca si mordicchiò il labbro inferiore, mostrando tutto il proprio nervosismo e, inconsciamente, comunicandolo anche al ninja. Infine, abbassò il capo. «Garu?»
   «Cosa?»
   Si volse a guardarlo e, con gli occhi lucidi, parlò.

Fu con aria sconvolta e incredula che, bianco in volto, il ragazzo tornò di sotto, attirando immediatamente l’attenzione degli altri che, invece, sulle prime avrebbero soltanto voluto chiedergli se Pucca gli fosse sembrata troppo stanca e si fosse perciò già messa a letto. Finirono piuttosto per domandargli cosa mai potesse essere accaduto per ridurlo in quello stato quasi catatonico.
   Garu alzò su di loro due occhi vitrei e, non riuscendo ad avvertire un’emozione ben precisa, rispose a fatica: «Mi ha… scaricato.» Seguì un lungo attimo di silenzio, durante il quale il giovane si lasciò cadere su uno degli sgabelli del ristorante, incapace di realizzare realmente cosa fosse appena successo. Aveva perfettamente inteso il discorso che Pucca gli aveva fatto, anche perché era molto più che sensato; lui stesso non poteva fare a meno di trovarlo giusto. Però… Però.
   «Stai… scherzando?» volle sapere Abyo, il primo a ritrovare la parola.
   Lo vide scuotere il capo, lo sguardo perso nel vuoto. «Mi ha davvero scaricato», ripeté più a se stesso che agli altri.
   «Perché? Che le hai fatto?» domandò Linguini, non riuscendo a credere a quelle parole.
   «Nulla!» esclamò il povero Garu, scattando sulla difensiva. Oltretutto non gli pareva il caso di riportare a terzi quel che Pucca gli aveva detto, poiché apparteneva a loro due soltanto; perciò preferì limitarsi a balbettare: «Credo… Credo che abbia solo bisogno di riordinare le idee.» Non era una bugia, anche perché, in fin dei conti, era stato quello il succo del discorso.
   «È naturale», fu il comprensivo commento che gli arrivò da Zio Raviolo, che gli batté un’affettuosa pacca sulla schiena. «Adesso che è tornata alla realtà di tutti i giorni, senza ricordare nulla, si sentirà più confusa di prima.»
   Garu affondò il viso nei palmi delle mani e Ho si offrì di preparargli una tisana calda, ritenendo che sarebbe stata l’ideale per farlo rilassare. I suoi fratelli lo seguirono in cucina, certi che il giovane ninja avesse bisogno di far ordine nei propri pensieri esattamente come Pucca; in effetti, insieme a loro, Garu era stato colui che aveva sofferto maggiormente per quella lunga disgrazia.
   Ching gli si sedette accanto e gli passò un braccio attorno alle spalle. «Come ti senti?»
   Quella domanda lo infastidì, eppure l’apprezzò lo stesso. «Non lo so», ammise, sia pure di malavoglia. La decisione di Pucca l’aveva tremendamente spiazzato e questo era facile da immaginare. Anche perché, ad essere onesto, mai si sarebbe aspettato qualcosa del genere, non dopo che lei, anche a distanza di tanti anni, gli avesse chiesto esplicitamente di diventare il suo ragazzo. Tuttavia, ripensando a quanto gli aveva appena detto, Garu non poteva muovere alcuna protesta al riguardo perché condivideva ogni singola parola pronunciata da quella bocca che adesso aveva imparato ad amare in ogni senso possibile.

Di sopra, frattanto, Pucca si era seduta a gambe incrociate sul letto e aveva aperto nuovamente l’album di fotografie per sfogliarlo con calma e attenzione, stringendo in grembo una bambolina di pezza che aveva le fattezze di quello che era stato Garu da ragazzino e che le aveva fatto sorgere il dubbio di essere stata forse seriamente ossessionata da lui, in passato. Ma non era stato propriamente questo a sconvolgerla e a farle prendere la decisione che aveva comunicato al giovane.
   Tirando su col naso e passandosi il dorso di una mano sul viso per evitare che le lacrime che le grondavano prepotentemente giù dagli occhi finissero con l’inzuppare l’album, fissò lo sguardo su molte delle foto in cui compariva insieme a quello che era stato il suo fidanzato fino a pochi minuti prima: quegli scatti potevano anche sembrare buffi e suscitare il riso, a primo acchito, ma Garu non sorrideva in nessuno di quelli in cui lei lo abbracciava o gli scoccava un bacio sul volto. Era stata la prima cosa che l’aveva colpita sin da quando aveva sfogliato l’album per la prima volta. E le aveva fatto male al cuore. Non perché ritenesse Garu un maledetto idiota, incapace di accettare il suo affetto, quanto perché probabilmente era stata lei a dargli il tormento per tanto tempo. E anche se quel genere di dissapori, dopo tanti anni, potevano essere dimenticati com’era stato per Ring Ring, Pucca non poteva ignorare un’altra cosa di fondamentale importanza: lei non sapeva nulla del ragazzino che la scrutava con fare accigliato dalle foto appese alle pareti della stanza; peggio ancora, non sapeva nulla nemmeno di se stessa. Gli altri le avevano raccontato tantissime cose al riguardo, certo, ma rimaneva il fatto che ricordare di aver vissuto era ben altra cosa. E poi, cos’era accaduto a tutti gli altri mentre lei era rimasta a giacere immobile e incosciente in un letto d’ospedale? Loro vivevano e lei vegetava. Aveva perso sei anni della propria vita e nessuno mai glieli avrebbe restituiti.
   Pianse più forte quando alla mente le sovvenne l’espressione affranta con cui Garu aveva ascoltato, compreso e accettato la sua decisione di rompere il loro fidanzamento. In verità, entrambi sapevano che si trattava di un legame fittizio, perché mai nulla di realmente romantico era capitato fra loro. Ciò nonostante, si erano accorti che sarebbe bastato ben poco per renderlo autentico, perché era chiaro che si volessero bene sul serio e che fossero attratti l’uno dall’altra sotto ogni punto di vista. Pucca poteva essere smemorata, ma non certo stupida. Era per questa ragione che, pur sentendo una voragine nel petto, aveva preferito riportare il loro rapporto sul piano dell’amicizia, sia pure soltanto a parole. Non si illudeva certo di poter davvero recuperare i propri ricordi, né voleva aspettare che ciò accadesse prima di ripartire alla carica nel tentativo di costruire qualcosa insieme a Garu; semplicemente, voleva che tutto avvenisse nei tempi giusti, fra di loro, e non in conseguenza ad una proposta che lei gli aveva fatto con leggerezza non appena se l’era ritrovato davanti, una volta uscita dal coma. Inoltre, e questo Pucca non poteva negarlo a se stessa, per quanto credesse nella buona fede e nei sentimenti del giovane, rimaneva forte il timore che lui l’assecondasse inconsciamente a causa dei sensi di colpa scaturiti dall’incidente che l’aveva ridotta in fin di vita, dando inizio a tutta quella maledetta situazione.












Spero di non aver creato confusione con l'introspezione di Pucca, in questo capitolo. Insomma, che lei sia confusa penso sia normale; tuttavia, gradirei che almeno chi legge questa storia abbia chiaro quello che scrivo, ecco. XD
A parte ciò, ho ritenuto che questa rottura fra Garu e Pucca fosse necessaria per tutti i motivi spiegati in questo capitolo: hanno entrambi bisogno di rifiatare e riordinare le idee senza essere legati da un vincolo "ufficiale" (che poi non era proprio tale, ma va beh), che sicuramente influisce da un punto di vista psicologico. È vero che Pucca ha bisogno di certezze e quindi Garu, come fidanzato, sarebbe stato un'ottima àncora a cui aggrapparsi, ma è pur vero che è principalmente il loro rapporto quello che crea confusione nella testa e nel cuore della povera Pucca. Spero che anche a voi sia parsa una scelta sensata, una logica conseguenza, insomma. Se la pensate diversamente, non esitate a darmi la vostra opinione, chiaramente!
Concludo ringraziando di tutto cuore tutti i lettori della presente long, ma anche quelli delle mie shot. Inoltre mando un abbraccio particolare a Hisoka chan, SoGi92 e keisisinani per aver recensito anche lo scorso capitolo. :*
A domenica, con l'ultimo atto di Amnesia! ♥
Shainareth





  
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