Sorpresa! Ebbene sì, sono ancora viva XD E sono tornata con
una breve fiction, di soli due capitoli! Spero vi piaccia…in caso contrario,
date la colpa al mio prof. di Storia che mi ha ispirato il racconto con le sue
spiegazioni sulla seconda Guerra Mondiale! XD
Buona lettura!
Capitolo primo
Era
una di quelle sere d’estate in cui la luna era piena e luminosa come il fuoco.
I suoi raggi si riflettevano sulla neve delle montagne, rendendola quasi
argentata. Una lieve brezza si spargeva tra le vie del paese ed il dolce suono
delle fronde da essa mosse dava un tono di tranquillità e di pace in quella
notte di luglio.
Laura
era in piedi in cucina, insieme alla madre ed alla nonna. Maria, sua sorella di
cinque anni, non era stata svegliata: non ve n’era il bisogno.
Osservava
fuori dalla finestra, verso la strada che, dopo la salita, si fermava in un
piccolo spiazzo davanti casa loro. Stavano aspettando suo padre, un abile
artigiano che ogni mese scendeva a valle, vedendo i suoi prodotti ai ricchi dei
paesi vicini. Con i ricavati e con la vendita quotidiana nel suo paese,
potevano vivere modestamente per tutto l’anno, inverno compreso.
-
Eccolo, sta arrivando – annunciò Laura, vedendo un uomo su un asino che
trainava una carretta: era suo padre. La ragazza uscì di casa, con la madre, e
salutò l’uomo che stava fermando l’asino nello spiazzo.
-
E’ andato tutto bene? – chiese Rita, sua madre. Il padre smontò dall’animale e
donò un lieve abbraccio alla moglie, poi annuì sorridendo.
-
Tutto bene, ma sono stanco – rispose. La madre ed il padre rientrarono in casa
affinché il capo famiglia potesse riposare dal lungo viaggio. Laura rimase
fuori, a sistemare l’asino e a riporre gli oggetti e gli utensili nel padre
nella bottega a due passi da lei.
Prese
a lavorare, in silenzio per non disturbare i vicini che dormivano. Rimise a
posto ogni oggetto, al suo preciso posto, poi portò nella stalla l’asino e gli
diede da mangiare. Quando fece per rientrare e casa, dopo un’ora, aveva la
schiena distrutta. Eppure era abituata a lavorare, da quando il fratello era
andato via.
Stava
per aprire la porta, ma udì dei passi avvicinarsi allo spiazzo. Si volse di
scatto e vide un soldato in riposo che la osservava, fermo vicino ad una casa.
-
Ti serve una mano? – chiese il soldato, in un abruzzese marcato fortemente
dall’accento tedesco.
Laura
sollevò appena un sopracciglio e si osservò intorno, come a vedere se si fosse
dimenticata di qualcosa. Sbatté appena una mano sulla fronte quando vide un
mucchio di pentole di rame in un angolo, non riposte in botteghe.
-
No grazie, non vi preoccupate – rispose lei, educata. Erano stati praticamente
costretti ad ospitare quei tedeschi e molti di loro non si facevano bastare
solo il cibo…Le incutevano paura, non poteva farci nulla.
-
Non voglio farti nulla di male, voglio solo aiutarti. Non hai un fratello o un
cugino che aiuti la tua famiglia per questi lavori? – le disse il soldato,
avvicinandosi lentamente. Posò il fucile contro il muro e sollevò una pentola
abbastanza grande.
Laura
lo osservò e lo precedette, con un paiolo in mano, verso la bottega.
-
No, sono entrambi sul fronte – rispose, mentre posava l’oggetto. Mentiva, ma di
certo non poteva dire ad un nazista che suo fratello Marco e suo cugino Aldo
erano partigiani.
Non
parlarono più, durante il lavoro, e quando la madre uscì per vedere dov’era
andata a finire, chiese subito al soldato se voleva favorire qualcosa.
-
No grazie – rispose educato l’uomo, quindi la madre di Laura chiuse la porta. La
giovane ragazza osservò il soldato, spaventata: che cosa voleva in cambio del
suo aiuto?.
-
Buona notte – salutò il tedesco, quindi prese il fucile e prese a discendere la
strada.
Laura
l’osservò, perplessa e confusa: - Non…non volete niente...? – chiese in un
sussurro, temendo che a quelle parole il soldato potesse ripensarci.
Quello
si volse e scosse il capo, quindi scomparì oltre la discesa.
Laura
rimase incredula per minuti interi, vicino la porta. Non riusciva a credere che
l’ufficiale che comandava i tedeschi nel suo paese, l’uomo senza cuore e dagli
occhi di ghiaccio, la aveva aiutata senza chiedere nulla in cambio.
Forse sto sognando…, pensò la ragazza, prima di rientrare
in casa.
-
Ufficiale Rechmart, svegliatevi! Il comandante vuole vedervi! – un soldato lo
svegliò malamente, scuotendolo appena.
-
Arrivo… - borbottò appena, assonnato. S’alzò poi, si vestì velocemente, afferrò
il fucile e si diresse verso la piazza del paesino. Ancora non era giunta
l’alba e tutti, eccetto lui, il comandante von Gaskel ed il soldato che lo
aveva svegliato.
-
Riposo, Ufficiale…venite – disse il capitano quando lo
vide giungere. Rechmart s’avvicinò e posò lo sguardo su una lettera tra le mani
dell’uomo. Portava lo stemma dell’esercito tedesco.
-
Viene da Berlino. Il regime sta cadendo, ufficiale…Nei Lager Hitler ha dato
ordine di uccidere tutti ed i bombardamenti si fanno più frequenti che mai,
spazzando via intere città. Il generale scrive dall’Aquila, è preoccupato per
la moltitudine dei partigiani che si aggirano per la natura selvaggia della
regione e per l’aiuto che i popolani danno loro – spiegò con fare serio l’uomo.
-
Cosa dice di fare il generale? – chiese Rechmart. Il comandante gli porse la
lettera e gliela fece leggere. A Rechmart gli si gelò il sangue nelle vene.
-
Non possiamo, capitano…Lo sapete, vero? Non possiamo – sussurrò furioso
l’Ufficiale.
-
Lo so, che cosa credete! Lo so che non possiamo…ma
dobbiamo! Gli ordini sono ordini e vanno rispettati! –
-
Ma questa è follia, comandante! Questa gente ci ha ospitato per mesi e mesi, a
loro spese, con la paura di poter morire da un momento all’altro…! - ribattè
l’ufficiale per non farsi sentire dal soldato poco lontano da loro.
-
Lo so bene, Rechmart. Ma se non eseguiamo gli ordini, ci fucileranno e con noi
tutti i paesi qui vicini…compreso questo! – sussurrò tra i denti il comandante,
stringendo nel pugno la lettera. Si osservarono a lungo, poi l’Ufficiale annuì
appena, restio ad ubbidire.
-
Dirò ai soldati di intervenire subito, Comandante – disse, quindi si congedò e
si diresse verso la caserma allestita dai soldati. I passi sempre più pesanti
mano a mano che s’avvicina, l’animo oppresso dalla difficoltà di eseguire
quella foglia, gli occhi colmi di dolore, il cuore diviso tra l’ubbidienza e
l’umanità.
Il
sole sorse, oltre le montagne innevate. Rechmart l’osservò: era tinto di rosso
sangue.
-
Laura, nasconditi! Stanno arrivando i nazisti! – esclamò la madre irrompendo
nella stanza. La giovane ragazza la osservò confusa, gli occhi ancora velati di
sonno. Ma quando vide lo sguardo terrorizzato della donna, capì e s’alzò di
scatto dal letto.
Aprirono
la finestra ed uscirono dalla finestra. Presero a correre attraverso i campi di
grano, mentre in paese risuonavano già i pianti e le grida di disperazione.
Maria era in braccio a Laura, più agile della madre.
-
Papà? – chiese ansante.
La
donna scosse appena il capo, facendo intendere che non lo sapesse e nei suoi
occhi scuri si leggeva la paura di aver perso il
marito e di star per perdere anche le figlie e la sua stessa vita.
Per
loro disgrazia, due soldati le raggiunsero e senza troppe difficoltà le presero
e le fecero inginocchiare tra gli steli di grano.
Laura
strinse a sé la madre e la sorellina, entrambe in lacrime. Solo lei ebbe il
coraggio di sollevare gli occhi ed osservare i due soldati.
Erano
entrambi alti ed avevano capelli biondissimi, ben pettinati, ed occhi color del
ghiaccio, vuoto da ogni sentimento. I suoi, invece, erano carichi di rabbia e
di terrore.
-
Vi prego, non fateci del male…non abbiamo fatto niente…- sussurrò stringendo
più forte a sé la madre e la sorella. Parlò in italiano, ma non si preoccupò di
non essere capita: quei tedeschi erano stati ospitati lì per mesi interi e
capivano perfettamente il loro dialetto.
Quello
che aveva l’aria più severa e gelida osservò Laura e sembrò titubante dopo le
sue parole.
Per
un attimo le tre sperarono che le avessero risparmiate, ma il cuore di quei
soldati era ormai stato corrotto. I due si avvicinarono e presero tutte e tre,
trascinandole piangenti verso la piazza. Ma mentre la madre e Maria furono
riportate tra la folla, Laura fu riunita insieme con altri mal capitati, contro
un muro di una casa.
A
quanto riusciva a capire, alcuni partigiani avevano ucciso due soldati nella
notte ed il comandante era così costretto ad una fucilazione punitiva, uccidendo
degli innocenti per tentare di trovare gli anti-nazisti, sicuro che sarebbero
tornati per vendicarsi di quell’eccidio.
Laura
sapeva che non era vero: se era successo di notte, perché attendere il mattino
e non agire la sera stessa? Era una bugia, l’ennesima, falsa verità e
motivazione di una strage.
I
tedeschi erano già pronti, i fucili carichi, a far fuoco. Attendevano solo
l’ordine del loro superiore, l’ufficiale che aveva il comando delle esecuzioni.
Questo,
impassibile, osservava al fianco dei suoi soldati le vittime, finché lo sguardo
cadde su Laura. Osservò il suo sguardo spaventato che supplicavano la vita, lei
che era così giovane, bella ed innocente. Ma lui cosa poteva fare, ora? Era
troppo tardi per pentirsi di aver aderito al Nazismo. Era troppo tardi per
chiedere scusa agli ebrei uccisi nei Lager. Era troppo tardi e non poteva
riportare in vita gli innocenti uccisi. E la cosa che più lo faceva infuriare
era che sapeva che tutto quello in cui aveva creduto e per
cui aveva combattuto era solo menzogna.
Distolse
lo sguardo dal viso rigato di lacrime di Laura. La ragazza della notte passata.
La ragazza che aveva aiutato a mettere in ordine le pentole di rame. La ragazza
che la perseguitava in ogni ora di giorno, che gli faceva fremere il cuore quando la vedeva passare…e che ora stava uccidendo.
Strinse
i denti e sollevò il braccio destro in aria. Un pianto generale si innalzò in
reazione, mentre le donne si gettavano a terra e si graffiavano il viso.
Mi spiace…non posso far
nulla per te…pensava
disperato nell’osservare il capo chino di Laura.
Stava
per abbassare il braccio e far piovere sulle vittime una pioggia di proiettili,
quando uno sparo risuonò fra le mura della piazza.
Per
un istante tutti pensarono che un soldato avesse sparato prima dell’ordine, ma
quando videro un tedesco accasciarsi al suolo, tutti si volsero verso i boschi
che confinavano con il paese. Delle ombre si muovevano tra gli alberi ed un
altro tedesco cadde, ucciso.
-
Rispondete al fuoco! – gridò in tedesco il comandante e cominciò così
l’ennesimo conflitto a fuoco tra nazisti e partigiani, mentre il panico
serpeggiava tra le vie del paesino: che fosse buono o cattivo, chi era armato
non risparmiava nessuno e non badava a chi colpiva.
Laura
corse via, veloce, insieme alla famiglia. Stringeva la mano di Maria e si
faceva largo tra gli altri abitanti che le andavano addosso per la fretta di
fuggire. Un uomo alto e grosso le andrò addosso, facendola cadere a terra.
Nessuno s’accorse che lei era rimasta indietro e quando s’alzò fu trascinata
via da alcuni uomini che correvano, lontana dall’entrata ai boschi dove
l’attendeva il fratello partigiano.
-
Mamma! Papà! Maria! – gridò, cercando invano di superare il rumore delle altre
grida, degli spari e dei pianti. Presa dal panico, cercò di ritrovarli e si
infilò in una vietta. Senza capire come, infine, si ritrovò dietro la chiesetta
del paese, da sola, lontana da tutto e tutti. Si osservò intorno e prese a
piangere in silenzio, per la paura di essere uccisa dai nazisti o di rimanere
sola.
Non
ebbe nemmeno il tempo di pensare a cosa fare, che sentì una mano stringerle il
braccio e costringerla a girarsi. Spaventata, fece per gridare, quando vide
l’ufficiale dagli occhi di ghiaccio. Questi gli tappò subito la bocca. Laura si
calmò ed esaminò il viso del nazista. Sembrava quasi…umano. E di certo era più
giovane di quanto non cercasse di mostrare la sua freddezza. Lentamente
l’ufficiale tolse la mano da davanti la sua bocca e le fece segno di far
silenzio. La trascinò poi lungo le vie del paese, tra gli spari, nascondendosi
sia dai partigiani che dai nazisti: non doveva farsi vedere
mentre faceva scappare una popolana o lo avrebbero fucilato.
Certo
non era delicato nei modi e dopo un po’ a Laura cominciò a farle male il
braccio che il giovane ufficiale le stringeva…ma non
si aspettava maniere gentili da quell’uomo…
Corsero,
chini con il busto, ancora per qualche minuto. Fuori dal paese, su per i
boschi. Si fermarono, ansanti, dietro un enorme masso. L’uomo la spinse sul
terreno e le fece segno di resta ferma. Gli occhi di ghiaccio indagarono sulla
strada che portava oltre le montagne, verso il Lazio. Annuì tra sé quindi si
accucciò dietro il masso ed osservò la ragazza.
-
Prendi questa strada…tra poco incontrerai la tua famiglia, i partigiani vi
aiuteranno. Giungerai a Roma, lì sarai al sicuro da noi…- le disse in un
sussurro, con un forte accento tedesco.
Laura
lo osservò stupefatta, e scosse appena il capo: - Perché fai questo? – gli
chiese in un sussurro. Il giovane ufficiale la osservò negli occhi, ma non
rispose. Le accarezzò una guancia e le baciò la bocca, dolcemente. Quel gesto
fece capire ad entrambi perché stava facendo quella follia.
-
Il regime sta capitolando e ci sta trascinando con lui. Se voglio redimermi,
devo cominciare da ora… - sussurrò Rechmart, prima di sorridere appena.
-
Ci rivedremo…? – chiese Laura, le mani strette nelle sue.
-
No, non ci rivedremo più. Ora và! - rispose lui in un sussurro e lasciò la
presa dalle sue mani. Laura fece un passo indietro, ancora osservandolo. Si
affacciò oltre il masso e poi giù verso il suo paese, avvolto nella nube degli
spari.
-
Danke…- ringraziò in tedesco Laura e gli donò qualcosa cui l’ufficiale non
aspirava nemmeno: un sorriso. Da quanto tempo non vedeva un sorriso? Mesi? No,
anni. Ed ora quel gesto gli aveva ridonato la purezza e la voglia di vivere, e
di mandare al diavolo il Nazismo, Hitler e tutto il resto. Si sarebbe dimesso
per motivi di salute e avrebbe collaborato con l’America per la cattura dei
nazisti. Indubbiamente avrebbe scontato i suoi delitti in carcere, ma non gli
importava…Laura gli aveva donato un sorriso.