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Autore: Kia85    20/10/2013    4 recensioni
Liverpool 1961. Quando John Lennon riceve in regalo cento sterline, non pensa molto prima di chiedere al suo amico Paul McCartney di unirsi a lui in un viaggio all’insegna dell’avventura, un viaggio che cambierà la loro vita, la loro amicizia e li preparerà a essere Beatles.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon , Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ticket to Paris

 

Capitolo 8: “Colpevole”

 

Quando Paul aprì gli occhi si maledisse all'istante. Le pareti che lo circondavano stavano vorticando, senza alcuna intenzione di fermarsi. Era come se fosse nell'occhio del ciclone e prima che un conato di vomito avesse la meglio su di lui, Paul chiuse di nuovo gli occhi, concentrandosi sugli altri sensi che erano rimasti vigili, o perlomeno funzionanti.

Sapeva di essere sdraiato su qualcosa di morbido, sotto il confortevole tepore di morbide coperte. Sapeva di avere un mal di testa assurdo, come se nel suo cranio ci fosse un picchio che si divertiva a colpirlo sulle tempie, poi sulla fronte e infine sulla nuca e di nuovo da capo. Stupido animale!

Lentamente Paul portò due mani sulle tempie, massaggiandole con movimenti circolari.

Dove si trovava lui c'era silenzio. Gli unici rumori provenivano da fuori, ma erano ovattati e non propriamente chiari.

Paul rimase in quella posizione il tempo necessario per uscire dal dormiveglia e assicurarsi di non vomitare una volta aperti gli occhi. Poi raccolse il suo coraggio e lo fece. Aprì gli occhi e mise a fuoco il soffitto. Era tutto bianco con un piccolo, semplice lampadario al centro.

Bene, era in una stanza. Il problema era scoprire quale stanza. Voltò la testa alla sua destra: no, decisamente non riconosceva il posto in cui si trovava. O forse non lo rammentava, il che era abbastanza probabile. La camera era ammobiliata con una piccola poltrona e un armadio con due ante. Sul muro di fronte al letto c'era una finestra chiusa, con le persiane serrate. La fioca luce del mattino entrava come timidi spiragli, come se sapesse e volesse rispettare le condizioni non ottimali di salute di colui che era all'interno.

Paul riconobbe per terra e sulla poltrona il suo zaino, insieme a quello di John.

Ah già! John!

Non c'era alcun segno della sua presenza in camera. E dire che lui era uno che si faceva notare anche con il gesto semplice e silenzioso del respirare. Paul voltò la testa alla sua sinistra. La parte del letto accanto a lui era vuota, sul cuscino i segni di qualcuno che vi aveva dormito sopra, e le coperte erano ben tirate verso l'alto, in modo che neanche un po' di freddo potesse entrare per aggredire chi ancora dormiva. Paul.

Sorridendo fra sé e prima che potesse accorgersene, la sua mano destra scivolò sotto le coperte, sfiorando le pieghe sul lenzuolo lasciate dal corpo di John, percependone ancora il calore che emanava quando dormiva accanto a lui, immaginando i suoi movimenti durante il sonno che in confronto a Paul erano quasi nulli. John aveva la straordinaria capacità di risvegliarsi nella stessa posizione in cui si era addormentato. Come se per un momento smettesse di vivere. Paul rabbrividì allo spaventoso pensiero. Poi spostò la sua mano sul cuscino di John, stringendolo con le dita. In questo modo si accorse di avere ancora indosso la maglietta del giorno prima e anche i pantaloni.

Non ricordava molto della sera precedente. Era tutto un po' sfocato. Rammentava l'arrivo a Parigi, la sfacchinata su quelle dannate scale e il trovare in modo del tutto casuale Montmartre. Poi c'era stata la futile ricerca del Moulin Rouge e la discreta baguette al bistrot e alla fine tutto  improvvisamente diventava verde. Sapeva solo di essersi risvegliato in quella camera d'albergo.

Senza John.

A proposito, dov'era finito? E che ore erano?

Con estrema calma Paul avvicinò il polso destro al viso e controllò l'orologio: dieci meno un quarto.

Proprio in quel momento la porta si spalancò e John entrò, canticchiando allegramente a bocca chiusa. Quando si accorse che l'amico era sveglio, sorrise e saltò sul letto, che ondeggiò pericolosamente, e Paul imprecò fra sé per un movimento di stomaco che per fortuna cessò subito.

"Ben svegliato, mio bell'addormentato. Pensavo che non aprissi più i tuoi occhietti."

Paul fece una smorfia infastidita, sfiorando con le dita la propria fronte: "John, ti prego, non urlare."

La sua voce era rimbombata nelle sue orecchie con i decibel di cento dei loro concerti, tutti messi insieme. Una vera tortura.

"Postumi della sbornia, eh? Mi sembra il minimo, con quello che hai bevuto." esclamò John con l'aria di chi la sapeva lunga.

Ed effettivamente era così, lui in fondo aveva perso il conto di quante volte era finito a vomitare anche l'anima in un parco con uno dei suoi amici, soprattutto Paul, a tenergli la testa e rassicurarlo sul fatto che presto sarebbe finito tutto.

"Che cosa ho bevuto?"

"Assenzio. Di pessima qualità, se proprio vuoi saperlo."

"Oh."

"Ma! Il tuo amico John, qui, a cui un giorno dovrai dedicare un monumento o almeno un'intera canzone, è uscito questa mattina per portarti degli ottimi rimedi al tuo essere un totale idiota."

"Di che si tratta?" domandò Paul e scelse di ignorare il piccolo insulto di John per il semplice, meraviglioso fatto che lui si fosse alzato relativamente presto per i suoi standard da vacanza e fosse uscito per comprare qualcosa per farlo stare meglio. Proprio lui, John.

Il giovane si sedette a gambe incrociate e gli mostrò un sacchetto di carta, prima di aprirlo ed estrarne il contenuto. Si trattava essenzialmente di un paio di bottiglie d'acqua e...

"Allora qui abbiamo quelle che sembrano delle succose mele rosse.” disse adagiando sul letto quattro bei frutti, dall’aspetto succulento,  “Lo sai cosa si dice della mela, vero, Paul? Il frutto del peccato e altre cazzate del genere? Ma noi sappiamo anche che fa molto bene quando sei vittima dei postumi della sbornia. È una ricca fonte di zuccheri. In più abbiamo anche un po' d'acqua. Devi berne molta per eliminare prima quella schifezza che hai trangugiato. Tieni!" esclamò infine porgendogli una mela e una bottiglia d’acqua.

Paul guardò le offerte e poi John, mentre prendeva l‘acqua e il frutto dalle sue mani. Fece per portarsi la mela alla bocca, quando all'improvviso si fermò e rivolse uno sguardo scettico a John.

"Mm. Sei sicuro che possa fidarmi?"

"Certo che sì. Non l'ho mica avvelenata."

"E chi me lo può assicurare?" domandò scrollando le spalle, "In fondo non so neanche dove le hai prese. Potrebbe succedermi di tutto. La mela avvelenata potrebbe farmi cadere in un sonno eterno e solo il bacio del vero amore potrà svegliarmi..."

"In tal caso penso che rimarresti così per sempre." commentò John, ma Paul proseguì senza badare a lui più di tanto.

"Oppure, Dio mio, potrei rendermi conto di essere completamente nudo e che tu hai abusato di me."

John lo guardò, profondamente annoiato dal McCartney’s show.

"Ti farebbe male il culo in quel caso. E comunque..." disse dandogli un ceffone sulla nuca, "Sta' zitto e mangia quella cazzo di mela!"

Paul ridacchiò e obbedì dando un morso al frutto, gustandone il dolce sapore in bocca. John lo imitò subito e Paul lo osservò divertito, pensando che quel momento, quella deliziosa colazione a letto fosse finora il momento più bello della loro vacanza perché sapeva di tranquillità, una cosa che difficilmente riuscivano ad avere a Liverpool o durante i loro soggiorni ad Amburgo. E in fondo una vacanza non doveva prevedere solo divertimento, ma anche momenti di relax. Altrimenti non era una vacanza!

"Allora, ti ricordi qualcosa di quello che è successo ieri sera?"

Paul scosse il capo: "No, sono fermo a dopo la baguette. Vuoi essere così gentile da illuminarmi?"

John lo guardò per un istante e si morse il labbro inferiore, mentre si chiedeva se avrebbe dovuto dirgli cosa fosse effettivamente successo, cioè che era quasi stato derubato da una francesina sfrontata. Conoscendolo, se John glielo avesse detto, si sarebbe vergognato da morire, sarebbe diventato tutto rosso sul volto e le labbra si sarebbero assottigliate per la tensione. Per non parlare del fatto che per tutta la giornata avrebbe rimuginato su quello che era accaduto, sarebbe stato taciturno e non si sarebbe goduto le bellezze che quel viaggio aveva da offrire loro.

“D’accordo. Allora sappi, mio caro Paul, che ieri per colpa tua abbiamo perso un’occasione d’oro con due belle pollastrelle che ci avevano adocchiato.”

“Per colpa mia?” ripeté Paul, sbattendo le palpebre.

“Certo, colpa tua e della tua stupida sbronza. Le ragazze erano uno schianto e sicuramente ci sarebbero state, ma no, tu eri così fottuto che ho dovuto rinunciare a un po’ di sano divertimento per prendermi cura di te, perché non eri più con noi.”

Paul chinò il capo, guardando la mela in mano: “Mi dispiace, John."

"Fai bene a dispiacerti. Ho cercato di farti svegliare, ma niente. Eri completamente andato. E tutto questo perché non mi hai dato retta, quando ti ho detto di andarci piano con quella roba."

Paul ascoltò i rimproveri di John e giocherellò con la mela tra le mani, per non pensare al rossore che stava appropriandosi delle sue guance.

"Paul, mi hai fatto preoccupare davvero quando non mi rispondevi." affermò John con quel tono che ora aveva perso il tono scherzoso, "Ho dovuto portarti qui sulle spalle. E l’unica stanza disponibile, ovvero questa, è al secondo piano. Sai cosa significa fare due rampe di scale con il tuo dolce peso sulle spalle?"

Paul scosse il capo e cercò di combattere il sorriso che si stava facendo strada sulle sue labbra all'immagine che John aveva creato nella sua mente, e ci riuscì pensando di essere stato così conciato da essersi completamente perso quel momento. Sì, era stato lì, sulle spalle di John, ma senza sensi. Senza poter percepire le sue braccia che lo sorreggevano o l'odore della sua pelle o peggio ancora, le imprecazioni che doveva avergli rivolto durante il breve tragitto. Lo divertivano sempre moltissimo. Ma ora non ne avrebbe avuto memoria, solo parole, cose effimere che non potevano emozionarlo tanto quanto un gesto o il suo ricordo.

"Prometto che non ti farò più preoccupare, John. Davvero." gli assicurò.

"Sì, come no. Questa l'ho già sentita." sbottò John, incrociando le braccia.

"Vero, ma non l'ho mai promesso e ora lo sto facendo."

"Non so. Potrebbero essere i residui di alcol a parlare al posto tuo."

"Lo sai che sono io." gli disse, guardandolo negli occhi.

John ricambiò lo sguardo per un lungo minuto, poi sospirò.

"Se mi fai ancora preoccupare in questo modo, riceverai una bella punizione. Stanne certo."

"D'accordo." esclamò Paul sorridendo, "Allora, pace fatta?"

"Pace fatta? Perché, abbiamo litigato?"

Paul scrollò le spalle: "Beh, ho fatto una cosa terribile come impedirti di andare con quelle ragazze..."

John rise, abbandonandosi all'indietro sul letto e stiracchiandosi.

"Oh, sai, non erano poi tutta questa grande bellezza. Può darsi che sia stata una fortuna. Ero così stanco per colpa di quelle tue fottute scale che la mia prestazione sarebbe stata piuttosto insulsa. E sai, John Lennon ha una reputazione da difendere. Una molto alta." spiegò, facendogli l’occhiolino e Paul ridacchiò.

"Oh, ma certo, John."

"Adesso mangia queste cazzo di mele, altrimenti ti ammazzo."

"Sissignore, signore."

“Così almeno vediamo di darci una mossa oggi, e non restare tutto il giorno qui.”

Paul annuì e si affrettò a mangiare la mela. Di tanto in tanto alzava lo sguardo per rivolgerlo rapidamente, furtivamente verso John che sgranocchiava la sua mela, sdraiato sul letto con la testa accanto alla piccola collinetta delle coperte sotto cui vi erano i piedi di Paul.

John non sembrava davvero arrabbiato, decretò Paul. Sicuramente aveva fatto tutta quella messinscena per farlo sentire in colpa perché aveva perso l’occasione con quelle ragazze, ma Paul non poteva sentirsi in colpa. Anzi era quasi felice di ciò che era accaduto. Non desiderava davvero che John andasse con qualche insulsa francesina, conosciuta solo mezz’ora prima, che non sapeva neanche da dove venisse. Era in viaggio con lui, dannazione, con Paul, e tutti gli altri potevano anche andare a farsi fottere solo per un attimo, invece che distrarre John da quel piccolo, prezioso momento che stavano condividendo insieme, un ricordo che sarebbe appartenuto solo a loro due e nessun altro.

Un viaggio che stava facendo fuoriuscire tutti quei sentimenti che Paul aveva sepolto da qualche parte nel suo cuore, e solo ora si stava accorgendo di non aver fatto un buon lavoro. Proprio come anni prima aveva percepito che John, dietro la sua facciata spavalda, stesse soffrendo per la morte di una madre persa due volte, allo stesso modo ora era consapevole che neanche lui riuscisse più a nascondere quei sentimenti e che fosse proprio John a tirarli fuori. Era come se fossero nascosti semplicemente dietro una tenda e John, in quel viaggio, con tutti quei piccoli gesti di preoccupazione, protezione verso Paul, il suo prendersi cura di lui, aveva solo compiuto il semplice movimento di scostare appena la tenda, come se volesse guardarvi all’interno. Paul aveva paura che lui lo facesse, ma allo stesso tempo lo desiderava, voleva che lui guardasse in quel punto della sua anima che era sempre stato chiuso per tutti, anche per John. Forse anche per lo stesso Paul. Perché solo John avrebbe avuto la forza di scostare quella tenda e perché dentro non avrebbe trovato nient’altro che se stesso.

Paul non poteva sentirsi colpevole per questo. Proprio non ce la faceva.

****

Che schifo di serata!

Era stato uno di quei giorni in cui Paul aveva rimuginato su tutti quei pensieri, dubbi e problemi che ogni tanto si divertivano a tornare a galla e tormentarlo. E quando lo tormentavano, sapevano essere crudeli. Se decidevano di occupare la sua mente per tutta la giornata, non c’era alcun modo di far cambiare loro idea. E così da quando si era svegliato, aveva avuto la mente impegnata in quel lavoro decisamente poco gradevole, perché in questi casi un'occupazione simile coinvolgeva tutte le sue capacità, con il risultato che Paul era distratto e con i riflessi rallentati. Anche suonare diventava complicato e capitava spesso che sbagliasse. Come era accaduto quel pomeriggio e quella sera al Top Ten.

Non capitava spesso che Paul sbagliasse un accordo o un'entrata. Di solito lui era quello precisino e perfettino della band e quando toccava a lui sbagliare, tutti i suoi compagni ne approfittavano per prenderlo in giro e sfogarsi in questo modo per tutte le critiche che Paul aveva sempre rivolto loro. A parte John. John lo guardava con un misto di preoccupazione e delusione perché da lui non se lo aspettava. Perché se inciampava Paul, gli aveva detto una volta, inciampavano anche tutti loro. E quello, quel suo semplice sguardo era più tagliente di qualunque insulto potessero rivolgergli George o Pete o quel coglione di Stuart. Lo sguardo di John aveva la straordinaria capacità di farlo sentire colpevole, come se gli avesse ammazzato il cagnolino.

E ora Paul stava recandosi verso l'unico luogo, verso l'unica cosa che avrebbe potuto consolarlo: una rapida scopata nel suo letto con la prima ragazza disponibile.

Fino a pochi secondi prima era seduto al bancone del bar, lo sguardo perso nei cubetti di ghiaccio del suo drink, stranamente interessato al modo in cui galleggiavano nell'alcol. Aveva aspettato lì che qualcuno del gruppo lo raggiungesse per fargli l’ennesima strigliata, magari John, che l’avrebbe rimproverato per bene, forse anche pesantemente. Ma poi sarebbe finita, John avrebbe lasciato tutto alle spalle, sicuro che Paul avesse compreso la sua paternale, sicuro di aver chiarito quanto fosse importante, fondamentale per lui il suo ruolo nella band, e sarebbero tornati allegri e spensierati come prima.

Tuttavia John non si era fatto vedere. E Paul si era sentito quasi dispiaciuto. Non voleva che calasse la notte sugli errori che aveva commesso, sui dispiaceri che aveva procurato a John. Voleva dirgli che era mortificato, che non sapeva proprio cosa caspita gli fosse successo e assicurarlo che cose simili non si sarebbero più ripetute. Ma niente, di John neanche l’ombra.

Poi era arrivata questa biondina tedesca che l'aveva abbordato con un inglese traballante, ma decisamente migliore rispetto al modo in cui lui parlasse tedesco, e Paul inizialmente non era stato particolarmente entusiasta. Non aveva proprio voglia di parlare con nessuno, a parte John, naturalmente. Paul aveva fatto schifo durante l'esibizione e John l'aveva rimproverato con quei suoi occhi chiari e penetranti che per un momento Paul si era sentito totalmente spoglio di fronte a lui, con tutti quei pensieri e sentimenti in bella mostra per John e nessun altro. La sensazione era stata così impotente che alla fine Paul aveva colto  l’occasione con quella ragazza solo perché finalmente avrebbe avuto il controllo di qualcosa quella sera, solo perché gli avrebbe permesso di tenere occupata la testa e non pensare, né provare nulla al di fuori del semplice piacere.

Perciò ora stava scendendo rapidamente le scale verso il loro piccolo appartamento, con la mano della ragazza stretta nella sua. Aveva fretta, ma non perché fosse eccitato. In effetti non lo era, non sentiva il sangue correre nelle sue vene, riscaldare ogni parte di lui, non percepiva quella piacevole sensazione che gli alleggeriva la pancia, una sensazione di trepidante attesa. Aveva il cervello stordito, però, e la vista offuscata, proprio come quando stava per darsi da fare con qualche ragazza. Sapeva che questo dipendeva dall’urgenza che aveva di spegnere la sua mente e tutto quel suo rimuginare che lo stava tormentando da quando si era svegliato quella mattina, come se si stesse preparando per qualcosa, come se stesse per succedere qualcosa di importante… il che lo rendeva solo ancora più agitato.

Oh, aveva davvero bisogno di quella distrazione!

Fu sollevato quando giunse davanti alla porta e la spalancò con impazienza. La spalancò, attirò dentro la ragazza e subito si fermò. Per tutta la stanza echeggiavano gemiti e grugniti e Paul capì subito da dove provenissero. Nel lettino di fronte, c’era un piccolo sedere che andava su e giù, avvolto da due gambe snelle (1).

John che si dava da fare con una ragazza.

“Oh, cià okkupato.” disse la ragazza accanto a Paul e ridacchiò scioccamente.

La sua risatina ebbe come effetto il far fermare i movimenti di John e l’amico si voltò bruscamente verso di loro, lasciandosi scappare un brontolio. Paul lo vide socchiudere gli occhi per mettere a fuoco gli intrusi, con quell’espressione infastidita che molte volte aveva visto sul suo viso. Non gli piaceva essere interrotto quando parlava, figuriamoci quando dava e riceveva piacere da una ragazza. Erano guai seri per chi lo faceva!

“Paul?! Che cazzo ci fai qui?!”

Quasi gli ringhiò contro e Paul aggrottò la fronte: “Beh, questa sarebbe anche camera mia.”

“Ma porca puttana! Non si può avere un attimo di privacy, qui.”

“Oh, laszalo pertere.” disse la ragazza sotto di lui, stringendolo ancor di più con le gambe e le braccia, invitandolo a voltarsi verso di lei per un bacio profondo, invitandolo a non prestare alcuna attenzione a Paul.

A ignorarlo.

John rise, riprendendo a muoversi dentro di lei con foga. Paul tornò sui propri passi, la ragazza lo seguì nel piccolo ingressino, e poi lui chiuse la porta, appoggiandovi la schiena: i gemiti di John giungevano ancora alle sue orecchie, riverberando in lui attraverso il legno.

Cosa gli stava succedendo?

Stava tremando, sentiva tutto il suo corpo fremere, le mani, le braccia, il petto e il cuore all’interno, che sussultava irrequieto ed eccitato e felice e spaventato. 

Perché?

Per quello che aveva visto? Non aveva visto niente di così insolito, solo John e la sgualdrina di turno.

E poi perché se n’era andato? Dopotutto non era la prima volta che condividevano la stessa stanza durante quei momenti di intimità con una ragazza. Allora perché, perché cazzo se n’era andato?

“Allora, ke zi fa?” gli domandò la ragazza, piuttosto annoiata.

Paul sussultò a quella domanda che lo aveva sorpreso nel bel mezzo dei suoi pensieri, dei suoi perché che portavano a risposte che lo spaventavano. Per un momento si era dimenticato di lei e ora, bruscamente riportato alla realtà, Paul la fece scostare da un lato e senza dirle una parola se ne andò, lasciandola da sola e allibita, davanti alla porta del loro appartamento. All’improvviso il divertimento che lei poteva offrirgli perse d’interesse e Paul voleva solo andare lontano, il più lontano possibile da quella ragazza, da quell’appartamento e sì, anche da John. Soprattutto da John e quella puttanella che senza farsi problemi, gli aveva detto di lasciarlo perdere. Lui, Paul! Lei che senza la benché minima conoscenza di John, di Paul, di ciò che erano e avevano condiviso e continuavano a condividere, aveva osato avanzare quella richiesta.

Paul si portò una mano sulla bocca, mentre avanzava a passo spedito lungo la Reeperbahn, ignorando tutto ciò che lo circondava e tentava di richiamare la sua attenzione, eccezion fatta per quell’insistente martellare del suo cuore nel petto, nelle orecchie, in qualunque parte del suo corpo.

Era come se una parte di lui si sentisse più felice ora, più leggera e spensierata, mentre l’altra era disperata e spaventata da questo sentimento che gli offuscava la vista e annebbiava la mente e che lo faceva vagare senza meta, con un solo pensiero in testa. Il pensiero che sarebbe stato assai più felice da qualche parte, da qualunque parte con John che lo rimproverava perché aveva suonato da schifo per tutto il giorno, magari anche insultandolo con cattiveria, piuttosto che lasciarlo a divertirsi con quella sgualdrina.

Se quella era davvero gelosia, così come chiaramente sembrava, allora lui era davvero fottuto. Andava bene essere geloso di John a causa di Stuart, in qualche modo Paul se n’era fatto una ragione. Inoltre aveva un po’ di senso, Paul voleva essere l’amico speciale, quello specialissimo di John.

Ma essere geloso di John a causa di una ragazza? Era diverso, oh, era così terribilmente, pericolosamente diverso. Significava che Paul non volesse essere solo l’amico speciale di John. Significava che Paul volesse essere la persona speciale per John.

L’unica.

L’unico a provare per lui quel sentimento che era insieme dolcezza e possessività.

Perché lo stava provando?

E soprattutto, cos'era?

****

Paul sospirò intensamente, al ricordo che aveva appena attraversato la sua mente e che l’aveva fatto arrossire. Sospirò perché in effetti aveva tutti i motivi del mondo per sentirsi colpevole.

Perché quella fu la sera in cui si accorse di amare John.

No, non come amava George e neanche come amava Mike o suo padre.

Lo amava con quel sentimento che sconvolge e conforta e poi scoraggia e ancora rasserena. Quel sentimento che era nato lentamente, così lentamente in lui che quando se n’era accorto era troppo tardi per rimuoverlo o ridimensionarlo o cercare di trasformarlo in qualcos’altro.

E poi a pensarci bene, neanche voleva cancellarlo. Non voleva pensare di non aver mai provato qualcosa del genere per John. La sola ipotesi era più terribile della sua situazione attuale, che era già abbastanza disperata.

Amare John Lennon? Amare il suo migliore amico? Doveva essere pazzo. Aveva sempre pensato che quello pazzo fra i due fosse John. Invece infinite erano le sorprese che poteva riservare la vita e questa, in fondo, è solo ciò che accade quando si è impegnati in altri progetti (2). E Paul aveva sempre pensato che un giorno, ancora lontano, sia chiaro, si sarebbe innamorato di una ragazza e se ne sarebbe accorto in modo banale, prendendola per mano come al solito e guardandola negli occhi.

Con John non era accaduto nulla di tutto questo. Era stata una rivelazione violenta e improvvisa. Di punto in bianco Paul aveva aperto gli occhi, nel cammino della sua vita, e si era accorto che al suo fianco c’era John: camminava con lui, nella stessa direzione, camminava con il suo stesso passo, verso gli stessi sogni, la stessa felicità, lasciandosi alle spalle le stesse esperienze, gli stessi dolori.

Come un’anima gemella.

E questo, la condivisione di un’intera vita era così potente che Paul non aveva potuto fare a meno di innamorarsene. Della vita. Della sua vita con John. Dello stesso John.

“Ehi!”

In quel momento John lo richiamò dandogli un pizzicotto sulle dita del piede, attraverso la coperta, facendo saltare letteralmente Paul sul letto. Il giovane lo guardò e arrossì vistosamente per essere stato colto nel bel mezzo dei suoi pensieri più intimi che coinvolgevano quel ragazzo con cui condivideva la camera e la vita.

“Che c’è?” gli domandò.

La voce tremava, ma Paul era ormai allenato a camuffarla, in modo che John non si accorgesse che qualcosa, qualcosa che riguardava proprio lui, lo stesse turbando.

“Stavo pensando una cosa.” cominciò a dire John portandosi le mani dietro la testa.

“Di che si tratta?”

“Ti andrebbe di restare a Parigi per tutta la settimana?”

“A Parigi?” ripeté Paul, spalancando gli occhi per la sorpresa, “Ma tu non volevi andare in Spagna?”

“Oh sì, ma è così lontana. E sai, in fondo questa camera non è male.”

“No, non è affatto male, John. Per non parlare del letto, è così comodo.” disse Paul e sorrise, allungandosi sotto le coperte con i movimenti felini di un gatto.

“Esatto. È sempre meglio di quelle macchinine e quei camion su cui dovremmo dormire se decidessimo di proseguire per la Spagna.”

Paul si morse il labbro, pensandoci su: “In effetti non abbiamo visitato Parigi per bene.”

“E in Spagna potremmo sempre andarci l’anno prossimo, quando riceverò ancora i soldi per il mio compleanno.”

John gli fece l'occhiolino e Paul scoppiò a ridere.

“E se non ne riceverai proprio?”

“Beh, allora ci andremo quando saremo famosi. Perché sai che un giorno accadrà, vero?”

Paul annuì, lo sapeva perché ci credeva John e John non sbagliava mai. Almeno per quanto riguardava il loro gruppo. Così gli sorrise e scrollò le spalle.

“Ma sì, restiamo a Parigi. La Spagna rimane dov’è, giusto?”

“Giusto! Chi la sposta da lì?” esclamò e poi gattonò sul letto verso di lui, scostando all’improvviso le coperte.

Una ventata d’aria fredda colpì Paul che subito ritrasse le gambe.

“John!”

“Dai, ragazzino, abbiamo una città che aspetta solo noi. Datti una mossa e vai a lavarti. Non ho intenzione di trascorrere la mia giornata in hotel.”

“Ok, ok, ho capito.”

Paul si alzò e gli rivolse uno sguardo prolungato, prima di dirigersi verso il bagno.

Forse era davvero colpevole e il suo reato era quello di amare il suo migliore amico. Un reato grave che probabilmente nessuno, neanche lo stesso John, avrebbe potuto capire e tollerare.

Forse amare John sarebbe stata la cosa più difficile da affrontare nella sua vita. Sarebbe stata la fine della loro amicizia, se non addirittura la fine della sua stessa vita. Era un’opzione plausibile, quella storia poteva avere un’unica fine, un'unica sentenza: il suo cuore a pezzi. Una morte lenta e dolorosa che aveva cercato lui stesso.

Ma andava bene così.

Come si dichiara l’imputato?

Non avrebbe rinunciato ad amare John per tutte le assoluzioni del mondo.

Colpevole, Vostro Onore.

 

 

 

(1)- Citazione dall'Anthology, quando Paul dice di aver sorpreso una volta John con una ragazza e di aver visto un "piccolo sedere che faceva capolino su e giù e sotto c'era una ragazza".

(2)- Riferimento al verso della canzone “Beautiful boy” di John.

 

Note dell’autrice: pubblico questo capitolo dopo il concerto della tribute band dei Beatles. Ah, che bella serata. :D

Allora, un capitolo importante questo, per una rivelazione importante sul nostro Paul.  Spero che sia uscito bene come me lo immaginavo io.

Il prossimo capitolo, “Coraggio”, sarà l’ultimo con i flashback.

Grazie a kiki per la correzione e weasleywalrus93 per il consiglio sulle frasi italiane pronunciate dalle ragazze tedesche. J

Con la pagina “Two of us” sto partecipando a un contest con questa storia: parla di un Paul che cerca di trovare John dopo la sua morte, grazie all’aiuto di una pastiglia di LSD. http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2227469&i=1

Se voleste leggerla e mettere mi piace al link che trovate alla fine della oneshot, ve ne sarei grata. J

A domenica prossima, con il capitolo 9.

Kia85

   
 
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