Ticket to Paris
Capitolo 8: “Colpevole”
Quando Paul aprì gli occhi si maledisse all'istante. Le
pareti che lo circondavano stavano vorticando, senza alcuna intenzione di
fermarsi. Era come se fosse nell'occhio del ciclone e prima che un conato di
vomito avesse la meglio su di lui, Paul chiuse di nuovo gli occhi,
concentrandosi sugli altri sensi che erano rimasti vigili, o perlomeno
funzionanti.
Sapeva di essere sdraiato su qualcosa di morbido, sotto
il confortevole tepore di morbide coperte. Sapeva di avere un mal di testa
assurdo, come se nel suo cranio ci fosse un picchio che si divertiva a colpirlo
sulle tempie, poi sulla fronte e infine sulla nuca e di nuovo da capo. Stupido animale!
Lentamente Paul portò due mani sulle tempie,
massaggiandole con movimenti circolari.
Dove si trovava lui c'era silenzio. Gli unici rumori
provenivano da fuori, ma erano ovattati e non propriamente chiari.
Paul rimase in quella posizione il tempo necessario per
uscire dal dormiveglia e assicurarsi di non vomitare una volta aperti gli
occhi. Poi raccolse il suo coraggio e lo fece. Aprì gli occhi e mise a fuoco il
soffitto. Era tutto bianco con un piccolo, semplice lampadario al centro.
Bene, era in una stanza. Il problema era scoprire quale
stanza. Voltò la testa alla sua destra: no, decisamente non riconosceva il
posto in cui si trovava. O forse non lo rammentava, il che era abbastanza
probabile. La camera era ammobiliata con una piccola poltrona e un armadio con
due ante. Sul muro di fronte al letto c'era una finestra chiusa, con le
persiane serrate. La fioca luce del mattino entrava come timidi spiragli, come
se sapesse e volesse rispettare le condizioni non ottimali di salute di colui
che era all'interno.
Paul riconobbe per terra e sulla poltrona il suo zaino,
insieme a quello di John.
Ah già! John!
Non c'era alcun segno della sua presenza in camera. E
dire che lui era uno che si faceva notare anche con il gesto semplice e
silenzioso del respirare. Paul voltò la testa alla sua sinistra. La parte del
letto accanto a lui era vuota, sul cuscino i segni di qualcuno che vi aveva
dormito sopra, e le coperte erano ben tirate verso l'alto, in modo che neanche
un po' di freddo potesse entrare per aggredire chi ancora dormiva. Paul.
Sorridendo fra sé e prima che potesse accorgersene, la
sua mano destra scivolò sotto le coperte, sfiorando le pieghe sul lenzuolo
lasciate dal corpo di John, percependone ancora il calore che emanava quando
dormiva accanto a lui, immaginando i suoi movimenti durante il sonno che in
confronto a Paul erano quasi nulli. John aveva la straordinaria capacità di
risvegliarsi nella stessa posizione in cui si era addormentato. Come se per un
momento smettesse di vivere. Paul rabbrividì allo spaventoso pensiero. Poi
spostò la sua mano sul cuscino di John, stringendolo con le dita. In questo
modo si accorse di avere ancora indosso la maglietta del giorno prima e anche i
pantaloni.
Non ricordava molto della sera precedente. Era tutto un
po' sfocato. Rammentava l'arrivo a Parigi, la sfacchinata su quelle dannate
scale e il trovare in modo del tutto casuale Montmartre. Poi c'era stata la
futile ricerca del Moulin Rouge e la discreta
baguette al bistrot e alla fine tutto
improvvisamente diventava verde. Sapeva solo di essersi risvegliato in
quella camera d'albergo.
Senza John.
A proposito, dov'era finito? E che ore erano?
Con estrema calma Paul avvicinò il polso destro al viso e
controllò l'orologio: dieci meno un quarto.
Proprio in quel momento la porta si spalancò e John
entrò, canticchiando allegramente a bocca chiusa. Quando si accorse che l'amico
era sveglio, sorrise e saltò sul letto, che ondeggiò pericolosamente, e Paul
imprecò fra sé per un movimento di stomaco che per fortuna cessò subito.
"Ben svegliato, mio bell'addormentato. Pensavo che
non aprissi più i tuoi occhietti."
Paul fece una smorfia infastidita, sfiorando con le dita
la propria fronte: "John, ti prego, non urlare."
La sua voce era rimbombata nelle sue orecchie con i
decibel di cento dei loro concerti, tutti messi insieme. Una vera tortura.
"Postumi della sbornia, eh? Mi sembra il minimo, con
quello che hai bevuto." esclamò John con l'aria di chi la sapeva lunga.
Ed effettivamente era così, lui in fondo aveva perso il
conto di quante volte era finito a vomitare anche l'anima in un parco con uno
dei suoi amici, soprattutto Paul, a tenergli la testa e rassicurarlo sul fatto
che presto sarebbe finito tutto.
"Che cosa ho bevuto?"
"Assenzio. Di pessima qualità, se proprio vuoi
saperlo."
"Oh."
"Ma! Il tuo amico John, qui, a cui un giorno dovrai
dedicare un monumento o almeno un'intera canzone, è uscito questa mattina per
portarti degli ottimi rimedi al tuo essere un totale idiota."
"Di che si tratta?" domandò Paul e scelse di
ignorare il piccolo insulto di John per il semplice, meraviglioso fatto che lui
si fosse alzato relativamente presto per i suoi standard da vacanza e fosse
uscito per comprare qualcosa per farlo stare meglio. Proprio lui, John.
Il giovane si sedette a gambe incrociate e gli mostrò un
sacchetto di carta, prima di aprirlo ed estrarne il contenuto. Si trattava
essenzialmente di un paio di bottiglie d'acqua e...
"Allora qui abbiamo quelle che sembrano delle
succose mele rosse.” disse adagiando sul letto quattro bei frutti, dall’aspetto
succulento, “Lo sai cosa si dice della
mela, vero, Paul? Il frutto del peccato e altre cazzate del genere? Ma noi
sappiamo anche che fa molto bene quando sei vittima dei postumi della sbornia.
È una ricca fonte di zuccheri. In più abbiamo anche un po' d'acqua. Devi berne
molta per eliminare prima quella schifezza che hai trangugiato. Tieni!" esclamò
infine porgendogli una mela e una bottiglia d’acqua.
Paul guardò le offerte e poi John, mentre prendeva
l‘acqua e il frutto dalle sue mani. Fece per portarsi la mela alla bocca,
quando all'improvviso si fermò e rivolse uno sguardo scettico a John.
"Mm. Sei sicuro che possa fidarmi?"
"Certo che sì. Non l'ho mica avvelenata."
"E chi me lo può assicurare?" domandò
scrollando le spalle, "In fondo non so neanche dove le hai prese. Potrebbe
succedermi di tutto. La mela avvelenata potrebbe farmi cadere in un sonno
eterno e solo il bacio del vero amore potrà svegliarmi..."
"In tal caso penso che rimarresti così per
sempre." commentò John, ma Paul proseguì senza badare a lui più di tanto.
"Oppure, Dio mio, potrei rendermi conto di essere
completamente nudo e che tu hai abusato di me."
John lo guardò, profondamente annoiato dal McCartney’s show.
"Ti farebbe male il culo in quel caso. E
comunque..." disse dandogli un ceffone sulla nuca, "Sta' zitto e
mangia quella cazzo di mela!"
Paul ridacchiò e obbedì dando un morso al frutto,
gustandone il dolce sapore in bocca. John lo imitò subito e Paul lo osservò divertito,
pensando che quel momento, quella deliziosa colazione a letto fosse finora il
momento più bello della loro vacanza perché sapeva di tranquillità, una cosa
che difficilmente riuscivano ad avere a Liverpool o durante i loro soggiorni ad
Amburgo. E in fondo una vacanza non doveva prevedere solo divertimento, ma
anche momenti di relax. Altrimenti non era una vacanza!
"Allora, ti ricordi qualcosa di quello che è
successo ieri sera?"
Paul scosse il capo: "No, sono fermo a dopo la
baguette. Vuoi essere così gentile da illuminarmi?"
John lo guardò per un istante e si morse il labbro
inferiore, mentre si chiedeva se avrebbe dovuto dirgli cosa fosse
effettivamente successo, cioè che era quasi stato derubato da una francesina
sfrontata. Conoscendolo, se John glielo avesse detto, si sarebbe vergognato da
morire, sarebbe diventato tutto rosso sul volto e le labbra si sarebbero
assottigliate per la tensione. Per non parlare del fatto che per tutta la
giornata avrebbe rimuginato su quello che era accaduto, sarebbe stato taciturno
e non si sarebbe goduto le bellezze che quel viaggio aveva da offrire loro.
“D’accordo. Allora sappi, mio caro Paul, che ieri per
colpa tua abbiamo perso un’occasione d’oro con due belle pollastrelle che ci
avevano adocchiato.”
“Per colpa mia?” ripeté Paul, sbattendo le palpebre.
“Certo, colpa tua e della tua stupida sbronza. Le ragazze
erano uno schianto e sicuramente ci sarebbero state, ma no, tu eri così fottuto
che ho dovuto rinunciare a un po’ di sano divertimento per prendermi cura di
te, perché non eri più con noi.”
Paul chinò il capo, guardando la mela in mano: “Mi
dispiace, John."
"Fai bene a dispiacerti. Ho cercato di farti
svegliare, ma niente. Eri completamente andato. E tutto questo perché non mi
hai dato retta, quando ti ho detto di andarci piano con quella roba."
Paul ascoltò i rimproveri di John e giocherellò con la
mela tra le mani, per non pensare al rossore che stava appropriandosi delle sue
guance.
"Paul, mi hai fatto preoccupare davvero quando non
mi rispondevi." affermò John con quel tono che ora aveva perso il tono
scherzoso, "Ho dovuto portarti qui sulle spalle. E l’unica stanza
disponibile, ovvero questa, è al secondo piano. Sai cosa significa fare due
rampe di scale con il tuo dolce peso sulle spalle?"
Paul scosse il capo e cercò di combattere il sorriso che
si stava facendo strada sulle sue labbra all'immagine che John aveva creato
nella sua mente, e ci riuscì pensando di essere stato così conciato da essersi
completamente perso quel momento. Sì, era stato lì, sulle spalle di John, ma
senza sensi. Senza poter percepire le sue braccia che lo sorreggevano o l'odore
della sua pelle o peggio ancora, le imprecazioni che doveva avergli rivolto
durante il breve tragitto. Lo divertivano sempre moltissimo. Ma ora non ne avrebbe
avuto memoria, solo parole, cose effimere che non potevano emozionarlo tanto
quanto un gesto o il suo ricordo.
"Prometto che non ti farò più preoccupare, John.
Davvero." gli assicurò.
"Sì, come no. Questa l'ho già sentita." sbottò
John, incrociando le braccia.
"Vero, ma non l'ho mai promesso e ora lo sto
facendo."
"Non so. Potrebbero essere i residui di alcol a
parlare al posto tuo."
"Lo sai che sono io." gli disse, guardandolo
negli occhi.
John ricambiò lo sguardo per un lungo minuto, poi
sospirò.
"Se mi fai ancora preoccupare in questo modo,
riceverai una bella punizione. Stanne certo."
"D'accordo." esclamò Paul sorridendo,
"Allora, pace fatta?"
"Pace fatta? Perché, abbiamo litigato?"
Paul scrollò le spalle: "Beh, ho fatto una cosa
terribile come impedirti di andare con quelle ragazze..."
John rise, abbandonandosi all'indietro sul letto e
stiracchiandosi.
"Oh, sai, non erano poi tutta questa grande
bellezza. Può darsi che sia stata una fortuna. Ero così stanco per colpa di
quelle tue fottute scale che la mia prestazione sarebbe stata piuttosto
insulsa. E sai, John Lennon ha una reputazione da difendere. Una molto
alta." spiegò, facendogli l’occhiolino e Paul ridacchiò.
"Oh, ma certo, John."
"Adesso mangia queste cazzo di mele, altrimenti ti
ammazzo."
"Sissignore, signore."
“Così almeno vediamo di darci una mossa oggi, e non
restare tutto il giorno qui.”
Paul annuì e si affrettò a mangiare la mela. Di tanto in
tanto alzava lo sguardo per rivolgerlo rapidamente, furtivamente verso John che
sgranocchiava la sua mela, sdraiato sul letto con la testa accanto alla piccola
collinetta delle coperte sotto cui vi erano i piedi di Paul.
John non sembrava davvero arrabbiato, decretò Paul.
Sicuramente aveva fatto tutta quella messinscena per farlo sentire in colpa perché
aveva perso l’occasione con quelle ragazze, ma Paul non poteva sentirsi in
colpa. Anzi era quasi felice di ciò che era accaduto. Non desiderava davvero
che John andasse con qualche insulsa francesina, conosciuta solo mezz’ora
prima, che non sapeva neanche da dove venisse. Era in viaggio con lui,
dannazione, con Paul, e tutti gli altri potevano anche andare a farsi fottere
solo per un attimo, invece che distrarre John da quel piccolo, prezioso momento
che stavano condividendo insieme, un ricordo che sarebbe appartenuto solo a
loro due e nessun altro.
Un viaggio che stava facendo fuoriuscire tutti quei
sentimenti che Paul aveva sepolto da qualche parte nel suo cuore, e solo ora si
stava accorgendo di non aver fatto un buon lavoro. Proprio come anni prima aveva
percepito che John, dietro la sua facciata spavalda, stesse soffrendo per la
morte di una madre persa due volte, allo stesso modo ora era consapevole che
neanche lui riuscisse più a nascondere quei sentimenti e che fosse proprio John
a tirarli fuori. Era come se fossero nascosti semplicemente dietro una tenda e
John, in quel viaggio, con tutti quei piccoli gesti di preoccupazione,
protezione verso Paul, il suo prendersi cura di lui, aveva solo compiuto il
semplice movimento di scostare appena la tenda, come se volesse guardarvi
all’interno. Paul aveva paura che lui lo facesse, ma allo stesso tempo lo
desiderava, voleva che lui guardasse in quel punto della sua anima che era
sempre stato chiuso per tutti, anche per John. Forse anche per lo stesso Paul.
Perché solo John avrebbe avuto la forza di scostare quella tenda e perché
dentro non avrebbe trovato nient’altro che se stesso.
Paul non poteva sentirsi colpevole per questo. Proprio
non ce la faceva.
****
Che schifo di serata!
Era stato uno di quei giorni
in cui Paul aveva rimuginato su tutti quei pensieri, dubbi e problemi che ogni
tanto si divertivano a tornare a galla e tormentarlo. E quando lo tormentavano,
sapevano essere crudeli. Se decidevano di occupare la sua mente per tutta la
giornata, non c’era alcun modo di far cambiare loro idea. E così da quando si
era svegliato, aveva avuto la mente impegnata in quel lavoro decisamente poco
gradevole, perché in questi casi un'occupazione simile coinvolgeva tutte le sue
capacità, con il risultato che Paul era distratto e con i riflessi rallentati.
Anche suonare diventava complicato e capitava spesso che sbagliasse. Come era
accaduto quel pomeriggio e quella sera al Top Ten.
Non capitava spesso che Paul
sbagliasse un accordo o un'entrata. Di solito lui era quello precisino e
perfettino della band e quando toccava a lui sbagliare, tutti i suoi compagni
ne approfittavano per prenderlo in giro e sfogarsi in questo modo per tutte le
critiche che Paul aveva sempre rivolto loro. A parte John. John lo guardava con
un misto di preoccupazione e delusione perché da lui non se lo aspettava.
Perché se inciampava Paul, gli aveva detto una volta, inciampavano anche tutti
loro. E quello, quel suo semplice sguardo era più tagliente di qualunque
insulto potessero rivolgergli George o Pete o quel coglione di Stuart. Lo
sguardo di John aveva la straordinaria capacità di farlo sentire colpevole,
come se gli avesse ammazzato il cagnolino.
E ora Paul stava recandosi
verso l'unico luogo, verso l'unica cosa che avrebbe potuto consolarlo: una
rapida scopata nel suo letto con la prima ragazza disponibile.
Fino a pochi secondi prima era seduto al
bancone del bar, lo sguardo perso nei cubetti di ghiaccio del suo drink,
stranamente interessato al modo in cui galleggiavano nell'alcol. Aveva aspettato
lì che qualcuno del gruppo lo raggiungesse per fargli l’ennesima strigliata,
magari John, che l’avrebbe rimproverato per bene, forse anche pesantemente. Ma
poi sarebbe finita, John avrebbe lasciato tutto alle spalle, sicuro che Paul
avesse compreso la sua paternale, sicuro di aver chiarito quanto fosse
importante, fondamentale per lui il suo ruolo nella band, e sarebbero tornati
allegri e spensierati come prima.
Tuttavia John non si era fatto vedere. E Paul
si era sentito quasi dispiaciuto. Non voleva che calasse la notte sugli errori
che aveva commesso, sui dispiaceri che aveva procurato a John. Voleva dirgli
che era mortificato, che non sapeva proprio cosa caspita gli fosse successo e
assicurarlo che cose simili non si sarebbero più ripetute. Ma niente, di John
neanche l’ombra.
Poi era arrivata questa biondina tedesca che
l'aveva abbordato con un inglese traballante, ma decisamente migliore rispetto
al modo in cui lui parlasse tedesco, e Paul inizialmente non era stato
particolarmente entusiasta. Non aveva proprio voglia di parlare con nessuno, a
parte John, naturalmente. Paul aveva fatto schifo durante l'esibizione e John
l'aveva rimproverato con quei suoi occhi chiari e penetranti che per un momento
Paul si era sentito totalmente spoglio di fronte a lui, con tutti quei pensieri
e sentimenti in bella mostra per John e nessun altro. La sensazione era stata
così impotente che alla fine Paul aveva colto
l’occasione con quella ragazza solo perché finalmente avrebbe avuto il
controllo di qualcosa quella sera, solo perché gli avrebbe permesso di tenere
occupata la testa e non pensare, né provare nulla al di fuori del semplice
piacere.
Perciò ora stava scendendo rapidamente le
scale verso il loro piccolo appartamento, con la mano della ragazza stretta
nella sua. Aveva fretta, ma non perché fosse eccitato. In effetti non lo era,
non sentiva il sangue correre nelle sue vene, riscaldare ogni parte di lui, non
percepiva quella piacevole sensazione che gli alleggeriva la pancia, una
sensazione di trepidante attesa. Aveva il cervello stordito, però, e la vista
offuscata, proprio come quando stava per darsi da fare con qualche ragazza.
Sapeva che questo dipendeva dall’urgenza che aveva di spegnere la sua mente e
tutto quel suo rimuginare che lo stava tormentando da quando si era svegliato
quella mattina, come se si stesse preparando per qualcosa, come se stesse per
succedere qualcosa di importante… il che lo rendeva solo ancora più agitato.
Oh, aveva davvero bisogno di quella
distrazione!
Fu sollevato quando giunse davanti alla porta
e la spalancò con impazienza. La spalancò, attirò dentro la ragazza e subito si
fermò. Per tutta la stanza echeggiavano gemiti e grugniti e Paul capì subito da
dove provenissero. Nel lettino di fronte, c’era un piccolo sedere che andava su
e giù, avvolto da due gambe snelle (1).
John che si dava da fare con una ragazza.
“Oh, cià okkupato.” disse la ragazza accanto a Paul e ridacchiò
scioccamente.
La sua risatina ebbe come effetto il far
fermare i movimenti di John e l’amico si voltò bruscamente verso di loro,
lasciandosi scappare un brontolio. Paul lo vide socchiudere gli occhi per
mettere a fuoco gli intrusi, con quell’espressione infastidita che molte volte
aveva visto sul suo viso. Non gli piaceva essere interrotto quando parlava, figuriamoci
quando dava e riceveva piacere da una ragazza. Erano guai seri per chi lo
faceva!
“Paul?! Che cazzo ci fai qui?!”
Quasi gli ringhiò contro e Paul aggrottò la
fronte: “Beh, questa sarebbe anche camera mia.”
“Ma porca puttana! Non si può avere un attimo
di privacy, qui.”
“Oh, laszalo pertere.” disse la ragazza sotto di lui, stringendolo ancor
di più con le gambe e le braccia, invitandolo a voltarsi verso di lei per un
bacio profondo, invitandolo a non prestare alcuna attenzione a Paul.
A ignorarlo.
John rise, riprendendo a muoversi dentro di
lei con foga. Paul tornò sui propri passi, la ragazza lo seguì nel piccolo
ingressino, e poi lui chiuse la porta, appoggiandovi la schiena: i gemiti di
John giungevano ancora alle sue orecchie, riverberando in lui attraverso il
legno.
Cosa gli stava succedendo?
Stava tremando, sentiva tutto il suo corpo
fremere, le mani, le braccia, il petto e il cuore all’interno, che sussultava
irrequieto ed eccitato e felice e spaventato.
Perché?
Per quello che aveva visto? Non aveva visto
niente di così insolito, solo John e la sgualdrina di turno.
E poi perché se n’era andato? Dopotutto non
era la prima volta che condividevano la stessa stanza durante quei momenti di
intimità con una ragazza. Allora perché, perché cazzo se n’era andato?
“Allora, ke zi fa?”
gli domandò la ragazza, piuttosto annoiata.
Paul sussultò a quella domanda che lo aveva
sorpreso nel bel mezzo dei suoi pensieri, dei suoi perché che portavano a
risposte che lo spaventavano. Per un momento si era dimenticato di lei e ora,
bruscamente riportato alla realtà, Paul la fece scostare da un lato e senza
dirle una parola se ne andò, lasciandola da sola e allibita, davanti alla porta
del loro appartamento. All’improvviso il divertimento che lei poteva offrirgli
perse d’interesse e Paul voleva solo andare lontano, il più lontano possibile
da quella ragazza, da quell’appartamento e sì, anche da John. Soprattutto da
John e quella puttanella che senza farsi problemi, gli aveva detto di lasciarlo
perdere. Lui, Paul! Lei che senza la benché minima conoscenza di John, di Paul,
di ciò che erano e avevano condiviso e continuavano a condividere, aveva osato
avanzare quella richiesta.
Paul si portò una mano sulla bocca, mentre
avanzava a passo spedito lungo la Reeperbahn,
ignorando tutto ciò che lo circondava e tentava di richiamare la sua
attenzione, eccezion fatta per quell’insistente martellare del suo cuore nel
petto, nelle orecchie, in qualunque parte del suo corpo.
Era come se una parte di lui si sentisse più
felice ora, più leggera e spensierata, mentre l’altra era disperata e
spaventata da questo sentimento che gli offuscava la vista e annebbiava la
mente e che lo faceva vagare senza meta, con un solo pensiero in testa. Il
pensiero che sarebbe stato assai più felice da qualche parte, da qualunque
parte con John che lo rimproverava perché aveva suonato da schifo per tutto il
giorno, magari anche insultandolo con cattiveria, piuttosto che lasciarlo a
divertirsi con quella sgualdrina.
Se quella era davvero gelosia, così come
chiaramente sembrava, allora lui era davvero fottuto. Andava bene essere geloso
di John a causa di Stuart, in qualche modo Paul se n’era fatto una ragione.
Inoltre aveva un po’ di senso, Paul voleva essere l’amico speciale, quello
specialissimo di John.
Ma essere geloso di John a causa di una
ragazza? Era diverso, oh, era così terribilmente, pericolosamente diverso.
Significava che Paul non volesse essere solo l’amico speciale di John.
Significava che Paul volesse essere la persona speciale per John.
L’unica.
L’unico a provare per lui quel sentimento che
era insieme dolcezza e possessività.
Perché lo stava provando?
E soprattutto, cos'era?
****
Paul sospirò intensamente, al ricordo che aveva appena
attraversato la sua mente e che l’aveva fatto arrossire. Sospirò perché in
effetti aveva tutti i motivi del mondo per sentirsi colpevole.
Perché quella fu la sera in cui si accorse di amare John.
No, non come amava George e neanche come amava Mike o suo
padre.
Lo amava con quel sentimento che sconvolge e conforta e
poi scoraggia e ancora rasserena. Quel sentimento che era nato lentamente, così
lentamente in lui che quando se n’era accorto era troppo tardi per rimuoverlo o
ridimensionarlo o cercare di trasformarlo in qualcos’altro.
E poi a pensarci bene, neanche voleva cancellarlo. Non
voleva pensare di non aver mai provato qualcosa del genere per John. La sola
ipotesi era più terribile della sua situazione attuale, che era già abbastanza
disperata.
Amare John Lennon? Amare il suo migliore amico? Doveva
essere pazzo. Aveva sempre pensato che quello pazzo fra i due fosse John.
Invece infinite erano le sorprese che poteva riservare la vita e questa, in
fondo, è solo ciò che accade quando si è impegnati in altri progetti (2).
E Paul aveva sempre pensato che un giorno, ancora lontano, sia chiaro, si
sarebbe innamorato di una ragazza e se ne sarebbe accorto in modo banale,
prendendola per mano come al solito e guardandola negli occhi.
Con John non era accaduto nulla di tutto questo. Era
stata una rivelazione violenta e improvvisa. Di punto in bianco Paul aveva
aperto gli occhi, nel cammino della sua vita, e si era accorto che al suo
fianco c’era John: camminava con lui, nella stessa direzione, camminava con il
suo stesso passo, verso gli stessi sogni, la stessa felicità, lasciandosi alle
spalle le stesse esperienze, gli stessi dolori.
Come un’anima gemella.
E questo, la condivisione di un’intera vita era così
potente che Paul non aveva potuto fare a meno di innamorarsene. Della vita.
Della sua vita con John. Dello stesso John.
“Ehi!”
In quel momento John lo richiamò dandogli un pizzicotto
sulle dita del piede, attraverso la coperta, facendo saltare letteralmente Paul
sul letto. Il giovane lo guardò e arrossì vistosamente per essere stato colto
nel bel mezzo dei suoi pensieri più intimi che coinvolgevano quel ragazzo con
cui condivideva la camera e la vita.
“Che c’è?” gli domandò.
La voce tremava, ma Paul era ormai allenato a camuffarla,
in modo che John non si accorgesse che qualcosa, qualcosa che riguardava
proprio lui, lo stesse turbando.
“Stavo pensando una cosa.” cominciò a dire John
portandosi le mani dietro la testa.
“Di che si tratta?”
“Ti andrebbe di restare a Parigi per tutta la settimana?”
“A Parigi?” ripeté Paul, spalancando gli occhi per la
sorpresa, “Ma tu non volevi andare in Spagna?”
“Oh sì, ma è così lontana. E sai, in fondo questa camera
non è male.”
“No, non è affatto male, John. Per non parlare del letto,
è così comodo.” disse Paul e sorrise, allungandosi sotto le coperte con i
movimenti felini di un gatto.
“Esatto. È sempre meglio di quelle macchinine e quei
camion su cui dovremmo dormire se decidessimo di proseguire per la Spagna.”
Paul si morse il labbro, pensandoci su: “In effetti non
abbiamo visitato Parigi per bene.”
“E in Spagna potremmo sempre andarci l’anno prossimo,
quando riceverò ancora i soldi per il mio compleanno.”
John gli fece l'occhiolino e Paul scoppiò a ridere.
“E se non ne riceverai proprio?”
“Beh, allora ci andremo quando saremo famosi. Perché sai
che un giorno accadrà, vero?”
Paul annuì, lo sapeva perché ci credeva John e John non
sbagliava mai. Almeno per quanto riguardava il loro gruppo. Così gli sorrise e
scrollò le spalle.
“Ma sì, restiamo a Parigi. La Spagna rimane dov’è,
giusto?”
“Giusto! Chi la sposta da lì?” esclamò e poi gattonò sul
letto verso di lui, scostando all’improvviso le coperte.
Una ventata d’aria fredda colpì Paul che subito ritrasse
le gambe.
“John!”
“Dai, ragazzino, abbiamo una città che aspetta solo noi.
Datti una mossa e vai a lavarti. Non ho intenzione di trascorrere la mia
giornata in hotel.”
“Ok, ok, ho capito.”
Paul si alzò e gli rivolse uno sguardo prolungato, prima
di dirigersi verso il bagno.
Forse era davvero colpevole e il suo reato era quello di
amare il suo migliore amico. Un reato grave che probabilmente nessuno, neanche
lo stesso John, avrebbe potuto capire e tollerare.
Forse amare John sarebbe stata la cosa più difficile da
affrontare nella sua vita. Sarebbe stata la fine della loro amicizia, se non
addirittura la fine della sua stessa vita. Era un’opzione plausibile, quella
storia poteva avere un’unica fine, un'unica sentenza: il suo cuore a pezzi. Una
morte lenta e dolorosa che aveva cercato lui stesso.
Ma andava bene così.
Come
si dichiara l’imputato?
Non avrebbe rinunciato ad amare John per tutte le
assoluzioni del mondo.
Colpevole,
Vostro Onore.
(1)- Citazione dall'Anthology,
quando Paul dice di aver sorpreso una volta John con una ragazza e di aver
visto un "piccolo sedere che faceva capolino su e giù e sotto c'era una
ragazza".
(2)- Riferimento al verso della
canzone “Beautiful boy” di John.
Note
dell’autrice: pubblico questo capitolo dopo il concerto
della tribute band dei Beatles. Ah, che bella serata. :D
Allora, un capitolo importante questo, per una
rivelazione importante sul nostro Paul. Spero
che sia uscito bene come me lo immaginavo io.
Il prossimo capitolo, “Coraggio”, sarà l’ultimo con i
flashback.
Grazie a kiki per la correzione
e weasleywalrus93 per il consiglio sulle frasi italiane pronunciate dalle
ragazze tedesche. J
Con la pagina “Two of us” sto partecipando a un contest con questa storia: parla
di un Paul che cerca di trovare John dopo la sua morte, grazie all’aiuto di una
pastiglia di LSD. http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2227469&i=1
Se voleste leggerla e mettere mi piace al link che
trovate alla fine della oneshot, ve ne sarei grata. J
A domenica prossima, con il capitolo 9.
Kia85