Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Dudy    20/10/2013    0 recensioni
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA: lo so che sono una bastarda e che manca solo un capitolo, scusate. Cercherò di pubblicarlo entro gennaio; intanto, per rispetto, inserisco questo avviso per avvertirvi. Scusate ancora, mi dispiace moltissimo, vi prometto che l'ultimo capitolo sarà sensazionale e molto, molto lungo. Imploro la vostra pietà e la vostra pazienza.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
*dal primo capitolo:
"Io sarò il primo a baciarti, e anche l’ultimo."
Oddio, era fuori di sé.
-------------------------------------------------------
*dal capitolo 13:
Fu semplice, fu profondo. Come l’azione stessa del respirare, come l’acqua cristallina che scorre gioiosa in un ruscello fresco di montagna.
Semplice e profondo.
Come l’amore.
Non era un vero bacio. Era piuttosto uno sfiorar di labbra, un tocco che per troppo tempo era stato loro proibito dalle convenzioni sociali, l’immagine tenera e densa si calore di due bambini che, tenendosi per mano, si scambiano un dolce e leggero segno di amore.
No, decisamente, non era un vero bacio.
Genere: Drammatico, Fluff, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
IMPORTANTE!!
Allora, davvero, perdonatemi. No, sul serio, non so come scusarmi, è da più di un mese che non aggiorno, e vi ho lasciate in sospeso, e... E lo so che non basterebbero neanche 100 mila scuse, questa volta ho esagerato. Ma mi dispiace, e spero davvero che voi mi perdoniate :(
Coooomunque, leggete lo spazio autrice in fondo alla storia, c'è una sorpresina per ripagarvi della lunghissima attesa :3

 

Il profumo dolce ed invitante della cioccolata calda iniziò a diffondersi nella stanza, mischiandosi a quello del legno risucchiato dalle fiamme del caminetto acceso e creando con esso un’un irresistibile fragranza che componeva in un certo senso la stupenda bellezza dell’inverno. Fuori dalla finestra, alcuni piccoli fiocchi di neve scendevano timidi dal cielo grigio e coperto di nubi. Maya lasciò cadere la coperta che la stava avvolgendo e, con passi piccoli il cui rumore era attutito dagli spessi calzini antiscivolo, si diresse verso la cucina, dove l’odore di cacao era più forte e denso. Appoggiandosi allo stipite della porta senza farsi sentire, guardò Zayn, intento a girare la gustosa crema che cuoceva in un pentolino - non avevano trovato nulla di meglio per preparare la cioccolata calda, dato che la maggior parte delle stoviglie era sporca e ammucchiata dentro il lavandino. Le piaceva osservarlo. Le piaceva perché la faceva stare bene, si sentiva semplicemente serena mentre guardava con attenzione il ragazzo che, con un cappello da cuoco in testa - “Mi fa entrare di più nel ruolo”, aveva detto prima, accompagnato da una risata di lei - mescolava il cacao con movimenti lenti, tranquilli, amorevoli. Era come se, anche con quei gesti del tutto comuni e apparentemente insignificanti, lui riuscisse a trasmetterle l’amore che provava. E Maya era felice. Era felice con Zayn, come mai lo era stata prima. 
Si schiarì leggermente la voce con un paio di piccoli colpetti di tosse. 
“Allora? E’ pronta?”
Il moro si girò di scatto, sussultando. Un largo sorriso si fece strada sul suo volto nel vederla. Cavolo, quanto era bella. Non per qualche motivo o caratteristica particolare, no. Lo era semplicemente perché era lei. Maya. Le si avvicinò, cingendole la vita con le braccia e unendo le mani dietro la sua schiena. 
“Sarà pronta se riuscirai ad aspettare qualche altro minuto”
La ragazza sbuffò, divincolandosi dalla leggera stretta di lui e facendo qualche passo indietro, verso il corridoio, mentre una smorfia imbronciata non molto credibile si disegnava sul suo volto.
“No. Non voglio aspettare”
Zayn si lasciò sfuggire una risata. Adorava quando faceva la  bambina, la trovava semplicemente adorabile, e lui si sentiva in un certo senso pronto a proteggerla da tutti i pericoli che la vita aveva in serbo per lei. Se lo era promesso, proprio la sera prima, mentre chiudeva gli occhi e vedeva dietro le palpebre la sua immagine, che già si apprestava a trasformarsi in sogno: l’avrebbe salvata da ogni brutta situazione, l’avrebbe protetta dal mondo. Si affrettò a rincorrerla, lasciando che il buffo cappello da cuoco scivolasse giù dalla sua testa per finire sul pavimento. Maya, accorgendosi che il ragazzo si stava rapidamente avvicinando, affrettò il passo, divertendosi a rendere quella situazione una specie di splendido gioco, forse anche un po’ infantile. Ben presto si ritrovarono a rincorrersi lungo il piano terra della casa del moro, ridendo come matti e facendosi strane smorfie a vicenda; si trovarono a un certo punto separati dal tavolo della cucina, lei da un lato e lui dall’altro, bloccati rispettivamente dalla sedia che nella foga della corsa era caduta a terra e dal bancone su cui era ancora poggiata la scatola di cereali svuotata a metà quella mattina. Si guardarono per un attimo: un’occhiata carica di una sfida giocosa, divertente, ma anche di affetto, di tenerezza, di un amore dolce e leggero, ma al tempo stesso profondo e semplicemente vero. Durò un momento, una frazione di secondo. Subito gli occhi di Zayn scattarono verso la scatola di cereali alla sua destra, così come il suo braccio si allungò a prenderne una manciata.
Quel movimento fu troppo veloce per Maya, che, ancora persa nel cioccolato penetrante dello sguardo del ragazzo, si ritrovò ben presto coperta di cereali sbriciolati, mentre le sue orecchie si riempivano della risata quasi canzonatoria del moro. Si riscosse velocemente, e, “Ah, è così che la metti?”, afferrò la prima cosa che le capitò a portata di mano e la lanciò verso di lui. Ma il suo lancio fu troppo debole, e la nuvola di zucchero cadde troppo presto, disperdendosi sulla superficie di finto legno che li separava. La risata di Zayn si fece più ampia e bella, quando un altro po’ di cereali andarono a finire sui capelli mossi della ragazza. Scostando la sedia caduta a terra, si avvicinò rapidamente al cesto della frutta, e un’arancia finì spiaccicata al muro, esattamente dietro il moro, ma senza neanche sfiorarlo.
“Credo che tu abbia seriamente bisogno di un corso accelerato di mira!”, e le tirò addosso una fetta del dolce preparato da sua madre non molto tempo prima, colpendola in pieno.  Decisa a ottenere una rivincita, Maya si fiondò su una busta d farina lasciata incustodita vicino al lavandino, e, prima che lui potesse fare qualunque cosa, gliela rovesciò addosso svuotando del tutto la confezione, per poi scappare verso le scale prima che potesse riprendersi dalla sorpresa. 
Come poco prima, si ritrovarono a ricorrersi per la casa, raggiungendosi nel salotto, dove Zayn, trattenendo la ragazza per un braccio in modo che non potesse sfuggirgli, le gettò sulla testa un secondo pacco di farina preso chissà dove. Si fissarono per lunghi secondi, esausti per la corsa, e, senza neanche provare a trattenersi, scoppiarono a ridere. Entrambi ricoperti di bianco, lei con un pezzo di dolce che le pendeva sulla guancia e un po’ di cereali ancora incastrati tra i capelli. Sempre ridendo, si diressero quasi automaticamente verso la cucina, e forse quella avrebbe dovuto essere una tregua. Forse. 
Fu per caso che Maya si accorse della maionese e del ketchup, lasciati inermi e innocui al fianco del frigorifero, ma non fu per caso che ne spruzzò il contenuto sul viso confuso del ragazzo, disegnando con una sorprendente precisione un paio di baffi e un naso rosso da clown. Dopo aver dato uno sguardo al suo riflesso nel vetro della portafinestra che dava sul giardino, senza esitazione il moro si gettò su di lei, riuscendo ad afferrarla per i fianchi prima che provasse a scappare di nuovo, e avrebbe voluto baciarla quasi per caso, quasi per gioco, ma, distraendosi mentre si perdeva nei suoi occhi divertiti e affettuosi, scivolò in alcune gocce di maionese che, cadendo sul pavimento, avevano formato una piccola pozza: in un istante si ritrovarono distesi per terra, lui sopra di lei, con i volti che quasi si sfioravano e i petti che si scontravano a ogni respiro. 
Zayn la baciò, in modo dolce, lento, delicato. Lei chiuse gli occhi, riaprendoli soltanto quando le labbra del ragazzo si allontanarono; e allora il suo sguardo si scontrò con l’arancia spiaccicata al muro e la polpa che colava, con lo zucchero sparso sul tavolo, con i cereali, la farina e la maionese che ricoprivano il pavimento. 
“Sai che dovremo ripulire tutto prima che tornino i tuoi genitori, vero?”
“Oh, eccome se lo so. Ma per ora non mi interessa”
E ripresero a baciarsi, ripetutamente e con amore. 

___________________________________________________________________________________________________________________
Helen si strinse nella sciarpa di lana che le circondava il collo. Aveva iniziato a nevicare, e ovviamente non aveva con sé l’ombrello. In effetti, non sapeva cosa di preciso l’avesse spinta ad uscire, quel pomeriggio. Si era convinta di aver bisogno di rinfrescarsi le idee dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni, e in quel momento il suo unico pensiero era che le idee, con tutto quel freddo, le si stavano più che altro congelando. Ma non aveva voglia di tornare a casa. Chissà perché, poi. 
Non sapeva neanche dove stava andando. I suoi piedi si muovevano automaticamente, perdendo del tutto il contatto con la testa, che invece volava in alto, ma non abbastanza per raggiungere una decisione. E, con la neve che scendeva sempre più fitta e il vento che si alzava, una decisione era la cosa che più serviva. In un lampo di genio, le venne in mente che nell’attesa di scegliere cosa fare (come se avesse un miliardo di possibilità, oltre a quelle di tornare al caldo della sua casa oppure continuare a camminare per strade che sembrano provenire direttamente dal Polo Nord) avrebbe fatto meglio ad entrare in un  bar e ordinare un caffè. 
Si guardò intorno, senza capire bene dove si trovava. Insomma, non si era persa. O almeno così sperava. Eppure quella via, con le case di mattoni azzurri e i bidoni della spazzatura colmi di rifiuti, non le era per niente familiare. Di un bar, nemmeno l’ombra, e, con quelle condizioni meteorologiche, non c’era da stupirsi che non ci fosse nessun essere vivente in giro. Cercò di tornare sui suoi passi, senza avere la minima idea di come proseguire. Iniziò ad andare nel panico. Ma cosa le era venuto in mente? Come aveva potuto dimenticarsi di prestare attenzione a dove andava? Si odiava, ma sapeva che ciò non avrebbe risolto la situazione. Ormai erano le sei e mezza, e intorno a lei il mondo si era notevolmente scurito. 
Con la mano che tremava, prese il cellulare dalla tasca dei jeans. Molto probabilmente Maya era con Zayn, e altrettanto probabilmente non avrebbe prestato attenzione allo squillo del telefono. Harry… Di sicuro era distrutto per il litigio con Fanny, ma essendo anche un cellulare-dipendente, avrebbe di certo sentito e risposto alla chiamata. 
Uno quillo…due…tre…
Poteva trovarsi sotto la doccia, ma una volta le aveva rivelato di essersi appassionato all’ecologia, per cui aveva preso l’abitudine di non lasciare l’acqua scorrere mentre si insaponava. Di conseguenza, avrebbe dovuto sentire la sua suoneria piuttosto rumorosa.
Quattro…cinque…sei…
Magari era in autobus e aveva l’mp3 che sparava musica a tutto volume nelle cuffie, ma perché mai avrebbe dovuto essere in autobus?
Gli squilli si interruppero, senza che nessun Harry rispondesse. Ormai il terrore si era impadronito di lei. Quella era una città grande, molto grande, e, in alcune zone, pericolosa. Un brivido freddo iniziò a correre lungo la sua spina dorsale, quando una sferzata di vento gelido le colpì violentemente il viso. D’un tratto, un’ombra attirò la sua attenzione. Sbucava da un vicolo laterale che prima non aveva notato, e si dirigeva nella sua direzione. Helen si immobilizzò. Avrebbe voluto scappare, ma perché non ci riusciva? I suoi piedi erano diventati un tutt’uno con la neve che oramai ricopriva la strada. L’ombra continuò ad avvicinarsi, fino a fare vedere del tutto la sua origine: e, forse, la ragazza non avrebbe dovuto essere così contenta, ma tanto era il sollievo di vedere un volto conosciuto che non riuscì a trattenersi. Corse incontro a Ryan e in due lunghi balzi lo raggiunse, saltandogli al collo e stringendosi al suo maglione di lana. 
Ma non ci volle molto perché scuotesse la testa cercando di riscuotersi, e perché si allontanasse di qualche passo dal ragazzo borbottando uno “Scusa”. 
I suoi occhi fissavano gli scarponcini blu notte comprati due settimane prima, ma sentiva lo sguardo di lui fisso su di lei. 
“Che ci fai qui?”
Le parole del ragazzo sembravano terribilmente distanti. 
“Mi…mi ero persa”
Non era mai stata abbastanza brava e veloce nel mentire. 
“Oh, beh…se vuoi…ti riaccompagno a casa”
C’era una sorta di muro invisibile che li separava, impedendo un rapporto colloquiale e normale tra due conoscenti. In effetti, quel “se vuoi ti riaccompagno a casa” sembrava così…strano. Quasi forzato, decisamente poco spontaneo. Helen non rispose. Non le veniva in mente nulla da dire, anche un “sì, grazie” le sembrava fuori luogo, nonostante avesse un serio bisogno di qualcuno che la riaccompagnasse a casa. 
Poi alzò la testa. Si guardarono. Per un’ora, o forse per un secondo. Non aveva importanza. 
“Senti, so che non dovrei neanche pensarlo dopo ieri, ma…possiamo riprovarci?”
E, come attratti in maniera indissolubile e inevitabile l’uno dall’altra, ridussero in un momento la distanza che li separava, stringendosi in un dolce e appassionato bacio.
“Sì. Possiamo riprovarci”

___________________________________________________________________________________________________________________
Nonostante il freddo pungente, il maglione di lana era intriso di sudore, e il fiato iniziava a mancare: respirare era sempre più faticoso mentre i passi aumentavano la velocità. Da almeno cinque minuti, ormai, ogni singolo muscolo del suo corpo urlava di fermarsi, di buttarsi sul mantello di neve che aveva già ricoperto la strada, di  far finire quella corsa infernale. Ma lui non ne aveva la minima intenzione. Semplicemente non poteva fermarsi, non voleva e soprattutto non doveva. Una forza a lui superiore gli imponeva di proseguire, di non fermarsi neanche per un secondo, una forza che noi, nel nostro linguaggio comune, chiamiamo generalmente amore. 
Anche se era ancora lontano, riusciva a scorgere qualche via più avanti il profilo bianco della casa. Un’elegante meridiana appesa al muro di una villetta che si affacciava sulla strada segnava le sette meno un quarto. E se fosse già stato troppo tardi? Se… 
Una macchina nera gli sfrecciò davanti, e lo avrebbe investito in pieno, se lui non avesse avuto la prontezza di spostarsi a destra. Si voltò a guardare il profilo scuro che si allontanava, e in quell’istante nella sua mente si avvicendarono una seria di agghiaccianti immagini, mentre con un tuffo al cuore riconosceva il veicolo ormai lontano. Si fermò di botto. Smise di respirare, così come il suo cuore smise di battere. Cercò di ragionare, ma non ci riusciva, la sua mente era stata come bloccata da un muro di confusione, e una nebbia sottile aveva offuscato i pensieri. Tutto era fisso sulla visione dell’automobile che avanzava rapidamente sulla strada ormai vuota. Vuota, proprio come la sua anima. 
Aveva riconosciuto quel veicolo.
Erano partiti. 
Si dirigevano all’aeroporto. 
Fanny si sarebbe trasferita in America. E lui, perso in un mondo di ambiguità ed equivoci, sarebbe rimasto solo. Non l’avrebbe più rivista, mai più. 
Quasi senza rendersene conto, riprese ad avanzare, e i piedi sembravano volteggiare sfiorando appena l’asfalto grigio sotto di loro. Pareva un fantasma, un entità che ormai, estranea al resto del mondo, vaga senza meta sperando invano di trovare un qualcosa. E quel qualcosa, in quel momento, stava andando verso un aereo che l’avrebbe trasportata in un altro continente. In effetti, non avrebbe saputo indicare con precisione perché stesse continuando a camminare verso la sua casa. Aveva visto la macchina partire, gli era passata accanto, ormai non c’era più nulla da fare. Eppure…Eppure voleva rivedere ancora una volta il luogo dove lei era vissuta, risentire il suo profumo che, chissà, magari era rimasto sulle pareti, guardare per un’ultima volta il mondo dal punto in cui, fin dalla sua nascita, l’aveva visto lei. Scosse piano la testa, ripetendosi che tanto era inutile, che tanto cosa sperava di trovare? Le sue lenzuola? 
D’un tratto, lo sguardo gli cadde su un oggetto ai suoi piedi che per poco non aveva schiacciato: ma, se, anche ci fosse passato sopra, di certo non avrebbe potuto romperlo più di quanto già lo era. Con un tuffo al cuore, riconobbe la collanina d’argento che le aveva regalato. Ora, una metà del grazioso cuore tempestato di brillantini dorati era frantumata, e l’altra metà spezzata in due. L’intero spettacolo era delimitato dalla catenina che fino al giorno prima aveva sorretto il ciondolo sul petto di Fanny, e che adesso era adagiata disordinatamente tra mozziconi ed erbacce. 
Riprese a camminare, tentando di dimenticare la scena il più in fretta possibile. Il passo dritto, deciso, fin troppo rigido. Si bloccò solo quando, quasi senza accorgersene, trovò davanti a sé una porta in legno scuro. Quella porta in legno scuro. Sobbalzò. Era aperta. O, meglio, socchiusa. Con un brivido, controllò di non aver sbagliato casa. Ma no, no, era quella, era quella giusta. Un barlume di speranza si riaccese nei suoi occhi, e si affievolì notevolmente quando, con il cuore che sembrava voler esplodere nel petto, fece qualche passò all’interno e constatò che la dimora, oltre ad avere le tutte le luci spente, era immersa nel silenzio. In effetti i genitori di Fanny erano alquanto distratti, e non si sarebbe stupito se si fossero dimenticati di chiudere la porta prima di partire. Non sapeva se ciò che stava facendo era giusto o sbagliato, ma era deciso a farlo. Senza osare far rumore, avanzò con passi felpati per il salone, per la cucina, esplorando ogni stanza di quel piano terra. Tutti i mobili erano scomparsi, così come gli oggetti d’artigianato che fino a non molto prima avevano regnato in ogni angolo dell’edificio. Esitò un attimo davanti alle scale, e le salì lentamente, come in uno stato di trance, un gradino dopo l’altro. Si ritrovò nel corridoio del primo piano, e sapeva bene dove andare. Seconda stanza a destra: la camera di Fanny. Un groppo in gola e un tamburo nel petto, socchiuse la porta. In tutta la casa, quello era certamente lo spazio più luminoso: illuminato dalla luce del lampione proprio di fronte all’ampia finestra, era immerso solo in una flebile penombra che lasciava ben visibili le pareti vuote e il pavimento altrettanto deserto… Deserto, sì, ma tranne che per una cosa. Sopra le mattonelle chiare, svettava un foglio azzurro, di quelli che lei usava sempre per scrivere le brutte copie dei compiti. “L’avrà dimenticato qui”, pensò. Lentamente, senza sapersi frenare, si avvicinò e lo prese in mano. Il cuore, che un attimo prima aveva raggiunto uno stato simile a quello si una supernova che collassa su sé stessa provocando un miliardo di potentissime esplosioni, parve sparire nel nulla quando gli occhi gli caddero sulla prima frase. 
Sedendosi per terra e appoggiando la schiena contro il muro, iniziò a leggere. 

Caro Harry, 
Lo sai, è buffo iniziare davvero una lettera con “Caro Harry”, dopo tutte le volte che ho detto che era una cosa idiota. Ma devo ricredermi. Più che idiota, è una cosa dolorosa, perché quel “Caro Harry” indica che non c’è più altro modo per parlare con te, che ormai questo è un addio. Lo so, c’è il telefono, c’è il computer, c’è la tecnologia. Ma a cosa può servire tutto ciò? Io voglio te, non un tuo messaggio, non una tua foto, non la tua faccia spiaccicata contro una webcame. Nonostante tutto, io voglio te. No, aspetta: se mai leggerai questa lettera, se mai avrò il coraggio di lasciarla davanti casa tua prima di partire, non mi fraintendere. Io sono arrabbiata, sono delusa. Non capisco: noi ci amavamo, o almeno io ti amavo. E ti amo ancora. 
Stavamo bene insieme, eravamo felici, lo hai detto anche tu. E allora perché fare una cosa del genere, perché baciare un’altra? Lascio l’Inghilterra con troppi dubbi, con troppe domande, con troppi rimpianti e con troppa sofferenza. Questo sarebbe dovuto essere un saluto amaro, certo, ma al tempo stesso dolce, perché io avrei dovuto sapere che tu, in ogni caso, anche sa da un altro continente, avresti continuato a pensare a me. E invece no, non so proprio niente, so solo che mi hai tradita, e che non ne capisco il motivo, e che tutto sta andando nel modo sbagliato.
Non lo nascondo: sto piangendo. 
E forse penserai che sono una stupida, sciocca, povera illusa, e getterai questo foglio ridendo di me insieme a quella biondina della foto. E, credimi, questo pensiero fa ancora più male. Ma io voglio che tu sappia ciò che provo, perché così un giorno, magari tra un anno, magari tra dieci, ci ripenserai, come per caso, e ti dirai “Cavolo, quella ragazza mi amava, e io l’ho delusa, sono stato un bastardo”, e avrai il desiderio di riparare, ma sarà tropo tardi. Chissà, forse quel giorno soffrirai come sto soffrendo adesso, e mi capirai. 
Mi odio, mi detesto con tutta me stessa, perché vorrei pensare al mio trasferimento come a un punto di partenza, per lasciarmi alle spalle il tuo tradimento e ricominciare, e invece no, continuo a fissarmi sul ricordo della tua risata, dei tuoi capelli, delle tue mani, di te. Vorrei venire a casa tua e urlare “Cazzo, baciami, io ti amo”, ma non ne ho la forza. Forse verrò lo stesso, e lascerò questa lettera nella cassetta della posta, oppure la affiderò al tempo sperando che un giorno tu la trovi e la legga pensando al periodo che abbiamo trascorso insieme. Un bel periodo, eh? 
Ma tanto ora è finito tutto. Un po’ per colpa tua, un po’ per colpa dei miei genitori, un po’ per colpa destino, e magari un po’ di colpa me la prendo pure io, dato che di sicuro avrò fatto qualche passo sbagliato. Ma ogni caso, ora è finito tutto.


Harry si alzò di scatto, senza neanche finire di leggere. Come se una volontà maggiore guidasse le sue azioni, uscì dalla camera tenendo la lettera stretta in mano, scese le scale, si diresse verso la porta e poi nel piccolo giardinetto posteriore. Lì, sdraiata sull’erba in un angolino tra il cespuglio di rose e la finestra di quello che era stato il salotto, una figura sospirava osservando il cielo. Fanny.
Il ragazzo si chiese come avesse fatto a non pensarci prima; lui lo sapeva, lo sapeva che lei adorava quell’angolo del giardinetto posteriore, e che trascorreva lì i momenti in cui provava le emozioni più intense. 
Non le diede il tempo di accorgersi della sua presenza, le si mise davanti, le afferrò dolcemente il braccio portandola ad alzarsi, esattamente davanti a lui. Sorrise.
“Cazzo, baciami, io ti amo”
E, senza un attimo di esitazione, si baciarono sul serio, nonostante ciò che era accaduto, nonostante ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, nonostante tutto. 
“Harry, io…”
“La foto, non prestare attenzione a ciò che diceva la foto, è stata scattata quest’estate, quando non ancora iniziavamo a frequentarci, ti prego, credimi”
“Harry, voglio crederti, sai, ne ho bisogno, anche se una parte mi de mi sta urlando di lasciarti perdere. Ti credo, ok? Ma…”
“Non dirmi che è tropo tardi, Fanny, non dirmelo”
“I miei genitori sono andati a salutare dei loro amici, tra poco mi verranno a prendere, e dovrò andare in America con loro”
Il riccio sospirò, voltandosi per non farle notare gli occhi lucidi. 
“Non c’è niente che possiamo fare per…”
“No. Mi dispiace, è…è finita”
Di scatto, le afferrò le spalle, la scrollò, la baciò velocemente. 
“Continueremo a sentirci per telefono, e lo so che non sarà mai come vederci e poterci abbracciare, ma sarà meglio di niente, no? E comunque, ricordati di una cosa: dovunque tu sarai, io continuerò ad amarti, sempre e incondizionatamente”
“Ne sei sicuro?”
“Sì”
E ripresero a baciarsi, in un dolce addio dal sapore amaro. 


ANGOLO AUTRICE
Come ho già detto, mi dispiace, sul serio. Non so come io abbia potuto farvi aspettare così tanto, e quasi mi vergogno a ripresentarmi qui, dopo mesi, con questo capitolo da vomito.
SCUSATE!!!
Il fatto è che a settembre ho iniziato il liceo classico, e sono stata molto, ma molto impegnata. Ma tanto a che serve dirlo? In ogni caso sono imperdonabile, e non c'è scusa che tenga.
PER LA SECONDA VOLTA, SCUSATE!!!
Maaaa passiamo avanti. In questo capitolo c'è tanta paaaace e tanto ammmoooore <3 <3 <3 Awww, i miei personaggi sono così dolci che mi fanno venire il diabete (sì, ok, era pessima _._)...
Questo, inoltre, è il terzultimo capitolo della storia: eh sì, per vostra fortuna mancano solo due capitoli, compreso l'epilogo. Ow, già mi mancano Zayn e Maya Q.Q Solo una cosa: come ho già detto, sono molto impegnata e non vi aspettate che aggiorni tanto presto :(
PER LA TERZA VOLTA, SCUSATE!!!
Ah, come vi avevo anticipato sotto il banner, ho una sorpresina che spero mi aiuterà a farmi perdonare: sono disponibile per fare banner su richiesta, in qualunque periodo dell'anno (non lasciatevi ingannare dalla mia bio, che dovrò cambiare), per chiunque e per qualunque fandom :D
Vabbuè, devo andare. 
Al prossimo capitolo!
:)


 
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Dudy