Anime & Manga > Bleach
Ricorda la storia  |      
Autore: WouldBeRebel    20/10/2013    4 recensioni
Si chiamava Ulquiorra. Non sorrideva mai, ne pareva lasciar trasparire dal suo viso marmoreo alcuna espressione. La prima volta che l'aveva visto aveva avuto paura, Orihime. Più tardi nel tempo, però, si era resa conto che lui era l'unica persona che poteva tenerla in vita, che poteva permettere alla sua mente di rimanere umana. Lui era l'anima priva di cuore che salvava il suo.
La ragazza rimembrava alla perfezione quei due occhi, tristi e opachi. Hanno lo stesso colore della primavera, aveva pensato, non dovrebbero essere così mogi e spenti.
Quella sera di tanto tempo prima non era stata tanto differente dalle altre. Le aveva portato del mangiare, sedendosi sul divano a fissarla. Non aveva aperto bocca, come al solito, limitandosi a distogliere lo sguardo quando lei cercava di sorprenderlo a guardarla.
Se li sentiva addosso, i suoi occhi. Forse erano vuoti, ma avevano un potere incredibile e magnetico. I suoi occhi vivevano. Vivevano come lui, probabilmente, non sapeva fare. Non poteva che sorridere, quando lo sentiva parlare di quanto fossero strani e patetici gli umani. Non poteva che pensare che in una remota parte della sua anima, forse, anche lui era uno di loro.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inoue Orihime, Schiffer Ulquiorra
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Season - Il colore della tua anima'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
mmmmmmm

Spring – Lo smeraldo dei tuoi occhi


Con la sua silenziosa venuta, la primavera aveva fatto capolino alle porte della Soul Society.
Verde e rigogliosa, forte e fiera, essa spiccava da ogni angolo di quel pianeta opposto e allo stesso tempo incredibilmente simile alla Terra.
La vita sbocciava, nei boschi e nei prati. Gli alberi festosi si coprivano di gemme, talvolta già mutate in fiori, e si potevano vedere i primi cuccioli di ogni specie saltellare in giro alla scoperta della nuova casa.
I capitani del Gotei 13 avevano organizzato una grande festa. O meglio, solo in pochi l'avevano organizzata, e i restanti erano stati più o meno costretti a parteciparvi.
Era mattina, nel Seireitei. Il sole era sorto da poco, timidamente, superando le colline e le alture degli edifici. Era un sole già caldo, un sole pieno di tepore e di speranza per un nuovo inizio.
In lontananza, si potevano già avvertire gli schiamazzi dei capitani più irrequieti e festaioli, che invitavano gli altri a lasciarsi andare, rompendo la maschera di formalità, almeno per una volta.
Una festa organizzata per vedere sorgere il sole, brindare alla nuova giornata di vita e bellezza, e divertirsi senza un motivo preciso. Del resto, ogni scusa era buona per ritrovarsi e bere un po'.
In mezzo a tutto quel danzare di colori, risate e fiori, c'era però lei, rannicchiata sul tetto della propria “casa”, intenta ad osservare il cielo con le ginocchia strette al petto, il mento appoggiato su di esse.
Era più che altro un alloggio di fortuna, offertogli gentilmente da Kenpachi, dopo averla presa in simpatia. Il capo dell'11esima compagnia non era poi così cattivo, se lo si conosceva per bene.
Aspetterai qui i tuoi amici, le aveva detto il grande uomo dai capelli neri, non ci metteranno troppo a tornare. Tuttavia, ogni momento che passava trovava sempre più stupida la risposta che aveva dato. Andando con loro si sarebbe distratta, svagata. Stando lì, con tutto il tempo libero che aveva a disposizione, non avrebbe fatto altre che pensare all'unica cosa dalla quale cercava di scappare.
«Orihime....noi andiamo nel mondo umano, vieni...?»
«No, Kurosaki-kun. Vorrei, ma non me la sento.»
«Come vuoi. Staremo via un paio di giorni, non sentire la nostra mancanza!»

Aveva accompagnato la frase con un sorriso, la giovane ragazza dai capelli rossastri. Eppure Ichigo non aveva notato il suo sguardo, colmo di dolore e di nostalgia.
Da poco era stata risolta la faccenda di Aizen. Da poco era sembrata tornare quella quiete piacevole che avrebbe dovuto permeare in quel pianeta di spiriti. Ma a Inoue, nonostante la primavera le sorridesse serena e florida, il sorriso, quello vero, non era ancora tornato.
E la colpa era semplicemente sua.
Sospirò, Orihime, stringendosi ancora di più contro alle proprie ginocchia. Il vociare alle sue spalle s'era fatto più intenso, ma non sprecò tempo a guardare cosa stava succedendo. Probabilmente, si disse, avranno già iniziato a bere il Saké.
Il sole si alzava veloce, contro all'orizzonte. Era un bambino giovane e giocoso, che aveva tutta la vita davanti e che era impaziente di viverla. Anche lei sarebbe dovuta esserlo, ma in quel momento, per sua sfortuna, le cose avevano preso una piega differente.
E i suoi occhi grigi non poterono fare a meno di diventare umidi al ricordo quei momenti.

L'Hueco Mundo, letteralmente “Mondo vuoto”, poteva assolutamente andar fiero del proprio nome.
Distese brulle e desolanti di sabbia bianca lo percorrevano in lungo e in largo, facendolo sembrare un oceano di silenzio e morte.
Il cielo finto creato su Las Noches era patetico e assolutamente falso. Si sarebbe messa a ridere di fronte ad esso, la rossa, se solo non fosse stata atterrita dalla paura. Cos'era quel posto, quel luogo di falsi sorrisi e gentilezza ostentata?
Viveva in una cella, una cella spoglia e per niente simile alla sua stanza di sempre. Detestava quel posto, con le pareti vuote. Tutto in quel mondo era vuoto, e perfino lei stessa lo stava diventando.
Ogni notte aveva paura di risvegliarsi pazza, di cadere a sua volta nella disperazione di quel silenzio, di quel nulla. Fu grata ad Aizen, sebbene una parte di lei continuasse a disprezzarlo, quando iniziò ad inviargli più frequentemente visite. Visite che la rendevano più felice di qualsiasi altra cosa.
Si chiamava Ulquiorra. Non sorrideva mai, ne pareva lasciar trasparire dal suo viso marmoreo alcuna espressione. La prima volta che l'aveva visto aveva avuto paura, Orihime. Gli era sembrato come tutti gli altri, in quel posto. Più tardi nel tempo, però, si era resa conto che lui era l'unica persona che poteva tenerla in vita, che poteva permettere alla sua mente di rimanere umana. Lui era l'anima priva di cuore che salvava il suo.
Si ricordava, però, di una cosa in particolare. La ragazza rimembrava alla perfezione quei due occhi, tristi e opachi. Hanno lo stesso colore della primavera, aveva pensato, non dovrebbero essere così mogi e spenti.
Quella sera di tanto tempo prima non era stata tanto differente dalle altre. Le aveva portato del mangiare, sedendosi sul divano a fissarla. Non aveva aperto bocca, come al solito, limitandosi a distogliere lo sguardo quando lei cercava di sorprenderlo a guardarla.
Se li sentiva addosso, i suoi occhi. Forse erano vuoti, ma avevano un potere incredibile e magnetico. I suoi occhi vivevano. Vivevano come lui, probabilmente, non sapeva fare. Non poteva che sorridere, quando lo sentiva parlare di quanto fossero strani e patetici gli umani. Non poteva che pensare che in una remota parte della sua anima, forse, anche lui era uno di loro.
Dopo aver bevuto il suo tè gli si era seduta a fianco, sulla pelle chiara del mobile. Lui continuava ostinatamente a fissare un punto immobile davanti a sé, mentre lei scrutava il suo viso, un'espressione curiosa sulla faccia. Sarebbe stato un bel ragazzo, Ulquiorra, se solo gli fosse interessato qualcosa. I lineamenti erano delicati e decisi allo stesso tempo. Era proporzionato, fine, in alcuni punti perfino tagliente.

Venne però interrotta dalle proprie contemplazioni, e sobbalzò con un versetto di sorpresa al sentire la voce del ragazzo rivolgersi a lei.
«Perchè mi fissi, femmina?»
Si rilassò nuovamente contro al divano, udendo che non era nulla di preoccupante, quello che aveva da dirle. Lo guardò, incrociando le braccia sotto al seno, cercando di accennare un sorriso nonostante fosse leggermente a disagio. Le stava parlando, ma non la guardava.
«Orihime. Mi chiamo Orihime, Ulquiorra-kun.»
Fi
nalmente si voltò verso di lei, guardandola completamente privo di qualsiasi espressione. La fissò dritta negli occhi, ed ebbe paura, la rossa, di aver detto qualcosa di sbagliato.
«Quando parli con me, mi devi chiamare “Ulquiorra”. Non riferirti a me come faresti con un umano.»
Oh, ecco qual'era il problema, pensò la giovane, lasciandosi scappare un piccolo sorriso. Fece scivolare la propria mano su quella del ragazzo, osservando, mentre tratteneva una risatina, lo sguardo perplesso che rivolse a quell'intreccio delle loro dita. Era fredda, la sua pelle, ma era morbida.
«Sei molto più umano di quanto sembri, Ulquiorra. E un giorno te ne renderai davvero conto. E potrai essere felice.»
Aveva cercato di essere convincente, pronunciando quelle parole, fintanto che le pensava davvero. In un primo impatto, ricevette solo uno sguardo penetrante e silenzioso, prima che il moro si congedasse a passo svelto, le mani affondate nelle tasche. Non aveva voluto ascoltare le sue proteste, le sue richieste di rimanere ancora un momento con lei. Non aveva voglia di stare ancora da sola, ma c'era una cosa che la rallegrava, una frase che non aveva fatto che confermare quello che aveva pensato. L'aveva pronunciata quasi in un sussurro, arrestandosi un istante sulla porta prima di uscire definitivamente.
«Sei strana,
Orihime


Rimembrare quel momento in particolare fu triste e doloroso. Si accorse troppo tardi di avere il viso bagnato da qualche lacrima silenziosa, e si affrettò ad asciugarle, anche se sapeva che nessuno la poteva vedere.
Aveva avuto ragione, alla fine. Ulquiorra, pur essendo un Espada, aveva trovato il suo cuore, la sua umanità. Per sua sfortuna, però, quella sua vera essenza, quell'essere nascosto sotto alla sua espressione gelida, si era esposto soltanto nell'ora della sua fine. Ulquiorra era diventato un uomo, e, se avesse avuto la forza di scherzare per davvero sul suo triste epilogo, l'avrebbe chiamata “Terza Resurrezione”. La disperazione che s'evolve a nuova vita, diventando gioia e amore, fiorendo come la primavera.
Guardò l'orizzonte, Orihime, passando lo sguardo sui boschi verdi ai limiti della città. L'aveva capito fin dall'inizio, che quel moro era qualcosa ti diverso. Forse anche gli altri Espada lo erano stati, ma non aveva avuto il tempo per poterlo anche solo pensare.
Ulquiorra non si era meritato il suo destino. Nella sua lotta contro Kurosaki aveva messo in gioco tutto, finendo però ridotto in cenere. Non poteva crederci, che la primavera nei suoi occhi si fosse ridotta in polvere. I fiori non potevano diventare polvere, il verde rigoglioso non poteva diventare grigio.
Chiuse gli occhi, la giovane donna, ripensando ai momenti passati con lui. Che fosse amore, quel sentimento che provava nel cuore?
Difficile da dire, ma faceva abbastanza male perchè fosse come pensava.
S'alzo in piedi, una mano appoggiata contro al petto, lo sguardo d'argento poggiato sul cielo. Aveva preso una decisione.

Senza avvisare verbalmente nessuno, s'era limitata a lasciare un biglietto, congedandosi per andare nel mondo umano.
Ed eccola lì, a camminare fra le strade di Karakura Town, sentendosi quasi fuori posto a bazzicare per quel mondo che era suo, ma che dopo tanto tempo di lontananza gli sembrava estraneo.
Fissò i passanti, notando con un leggero sorriso che anche lì era arrivata la primavera. Le era mancata, l'aria fresca di casa, le spensierate risate dei bambini. Le era mancato vedere i petali chiari dei peschi e dei ciliegi volteggiare nell'aria, mossi dalla brezza.
Fu mentre seguiva la danza della vita, il ballare sinuoso della nuova stagione verdeggiante, che lo vide. Era in mezzo ai passanti, e camminava con lo sguardo fisso su un libro. Leggeva con interesse, preso da ogni parola. Sembrava un bambino bramoso di conoscenza.
Così tanto che si sentì un poco in colpa a correre nella sua direzione. Gli picchiettò un dito sulla pagina, sorridendo dolcemente quando lo vide sbattere più volte le palpebre, come se fosse stato riscosso da un sogno. Non ci sperava, Orihime. Sapeva di poter essere caduta in errore.
Fu quando sollevò lo sguardo su di lei che vide, per la prima volta in tutta la sua esistenza, che la vita era davvero fiorita. Fu quando vide i suoi occhi di smeraldo, verdi come la primavera, preziosi come gioielli, che tutto le sembrò luminoso e chiaro, che tutto riacquistò un senso e un colore.
Le luccicarono le iridi, un velo sottile di lacrime le appannò appena la vista. Ma cercò di non mostrarlo, mentre si schiariva la voce, il sorriso che s'allargava sulle sue gote.
«Ciao. Mi chiamo Orihime.» - Azzardò, senza nemmeno sapere bene come incominciare.
Lo guardò, speranzosa di una risposta. Avrebbe potuto andarsene tranquillamente, snobbandola con un'occhiata di scherno. Avrebbe potuto reimmergersi nella lettura, senza degnarla di ascolto. Il suo cuore prese a galoppare, veloce come un puledro, quando si accorse di una scintilla di interesse nel suo sguardo. Una scintilla di primavera in quegli smeraldi rari e bellissimi.
«Ciao. Io sono Ulquiorra. Ci conosciamo?»
Fu tentata di rimanere in silenzio. All'inizio le parole non le trovò per davvero, il respiro che le mancava nei polmoni. Non aveva abbastanza aria per far vibrare le corde vocali, non aveva abbastanza lucidità per pensare a cosa dire, tanto forte era la sorpresa. Ma cosa avrebbe potuto rispondere, in quel momento? Era lui, e non lo era. Non era l'uomo che incarnava la disperazione, e che dalla disperazione stessa l'aveva salvata. Era soltanto...
«Oh, non importa.» - sentì infine pronunciare, riscuotendosi dai propri pensieri. Lo guardò interrogativa, rischiando di scoppiare a piangere quando vide sulle sue labbra dipingersi un minuscolo sorriso.
«Possiamo in ogni caso conoscerci. Hai mai letto questo libro?»
Glielo chiese, alzando la copertina verso di lei, di modo che potesse leggerne in titolo. Ma non era troppo attenta, Orihime, impegnata com'era a trattenere le lacrime e tutta la gioia che provava.
Fu in quel mattino a Karakura che la vide, la vera forza della rinascita. Vide la disperazione diventare umana, la vide piegarsi alla vita splendente e forte della rinascita.
Fu in quella primavera verde, che mai prima le era sembrata tanto colorata e pulsante, che vide quei due smeraldi cupi e silenziosi brillare della luce di un sorriso, rischiarando tutto ciò che li circondava. Fu in quell'assolata giornata di marzo che per la prima volta, camminando al fianco della primavera stessa, si accorse di non essere mai vissuta, fintanto che non aveva visto quel viso pallido e apparentemente morto illuminarsi di un sorriso colmo di gioia, di vita, e d'amore.

Angolo dell'autrice

Buongiorno a tutti, miei cari lettori.
Torno in un breve lasso ti tempo con un'altra fic, scritta in un momento di profonda ispirazione.
Spero come sempre che gradiate questo piccolo scempio, e ringrazio tutti, anche i lettori silenziosi, di essere arrivati in fondo al mio racconto.

Vi comunico quindi che questa storia, così come l'altra, “Autumn – L'oro dei tuoi occhi”, va parte di una serie nella quale ogni coppia è associata ad un colore, o ad una stagione. In quelle fin'ora pubblicate ho associato il colore servendomi anche degli occhi, nelle prossime due storie lo assocerò servendomi....dei capelli.
Ci si vede quindi presto con l'Estate e l'Inverno!
Alla prossima, miei cari

Dream Catcher

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bleach / Vai alla pagina dell'autore: WouldBeRebel