Non da fuori, come pensava. Arrivava dal piano di sopra.
Pensò subito a Rose. A quella cosa che John aveva lasciato per Catherine e che lei era tornata indietro per andare a prendere. O forse no; qualcosa l’aveva lasciato molto perplesso. In ogni caso il rumore aveva attraversato ogni cosa, ogni persona, ogni oggetto nella casa e forse non solo. Non era stato doloroso ma si era sentito toccare fin dentro. Eppure tutto sembrava intatto.
Dopo un istante di comprensibile stordimento il pensiero di Rose aveva superato tutti gli altri. Il suono l’aveva scosso in vari sensi ma stava bene. Ma lei e la dottoressa?
Attraversò le stanze in fretta, quasi travolgendo un paio di cameriere, e poi si trovò ai piedi dello scalone che portava al piano di sopra, all’appartamento di Rose e John. Anche Jackie era lì. Si scambiarono un’occhiata nervosa.
- Pete! – gemette con gli occhi sbarrati nei suoi.
- Stai qui – disse cercando di usare un tono rassicurante e corse velocemente su per le scale.
Rose giaceva a terra. Gli occhi chiusi, rannicchiata su un fianco, la testa nascosta tra le mani come per ripararsi da qualcosa.
- Rose… - la chiamò con un filo di voce e si chinò su di lei sfiorando le sue spalle, accarezzandola. Non rispondeva. Sembrava fredda, rigida. Cercò con lo sguardo l’altra donna che doveva essere con lei. Non era lì. Ma non importava, non in quel momento. Pensava solo a Rose. Sentì il suo cuore stringersi, aprirsi un buco nero in petto. Sua figlia. Sua. Figlia. Pete Tyler lo sentì una volta per tutte, lo ammise e con quello anche tutto il male che le aveva fatto pensando fosse necessario. Che cosa era successo? Aveva a che fare con il rumore che avevano sentito, era possibile ma qualsiasi ragionamento sembrava fermarsi davanti a ciò che era lì. Rose. La guardò con occhi fissi e lucidi. Poi la scosse chiamandola per nome, con urgenza crescente. Lei taceva. La prese quindi tra le braccia, rabbrividendo per il suo abbandono. Fissò il suo viso pallido, la accarezzò con dolcezza, la stessa che aveva per Liz e fu allora che la vide bambina, sebbene non l’avesse mai vista e non lo fosse mai stata, con lui.
- Lei è tua figlia, Pete… - le parole del Dottore. La sua voce nella testa.
… troppo tardi…
- Rose…! Ti prego, svegliati! – gemette scuotendola e stringendola a sé – ti prego, Rose…!
**
…Rose…
Il Dottore gemette il suo nome cercando di tenersi in piedi, dritto, le mani tremanti poggiate sui resti di quella console morta. E intanto la voce di Catherine Lane. Che non era la sua, non del tutto. Era quella di Rose ma il tono decisamente di un altro, colui che vedeva allo specchio ogni volta che si guardava e che lo guardava con gli stessi occhi che aveva quella donna.
Una chimera. Ecco come definire quello che era diventata Catherine Lane. Non aveva bisogno di guardarsi attorno per capire la perplessità di tutti a quelle parole, non sapevano che significasse; non ne avevano viste altre. Era evidente anche la confusione di coloro che l’avevano trasformata. Lo trovò terribile, come la loro incoscienza.
- La prima impressione che ebbi di te, quando ti vidi, fu strana – disse il Dottore guardando Catherine Lane – ma le mie percezioni erano confuse, io… umano in parte per la prima volta – sorrise appena, amaramente - ricordi che ti dissi?
- Mi chiedesti se fossi un clone… - lui annuì.
- Ed invece…
- Sono una chimera… - in quel momento la donna aveva gli occhi di un antico signore del Tempo severamente angosciato, a stento sulla soglia dell’ira. Il suo sguardo terribile incrociò quello di coloro che sapevano e divenne ancora peggiore – con quella pessima tecnologia, datata, insufficiente – disse disgustata - avete tentato di riprodurre il Dottore…! Ma non ci siete riusciti e non avete capito neanche il perché - quasi rise - quest’uomo è in condizioni diverse da chiunque altro nell'universo: è una metacrisi, uno stato teoricamente impossibile; lui è unico – Martha fissò spiazzata John. Non sapeva cosa volesse dire ma d’istinto non aveva difficoltà ad accettare il concetto di quanto meno improbabile, per quell’uomo – Ed anche con me! Chiaramente, non potevate che fallire.
- Avrebbero fallito in ogni caso: la tua condizione… si degrada facilmente – mormorò il Dottore.
- È vero… - annuì Catherine.
- Perché fare una cosa simile? – chiese uno di coloro che sembrava essere al comando.
- Perché il Tardis è una nave spaziale complicata da pilotare ma che ha bisogno di una guida: un signore del Tempo – disse John con tono solenne e poi sorrise – in realtà potrebbe manovrarla anche un umano, sapesse come fare, ma in questa fase Lei ha bisogno di una mente più complicata e forte e soprattutto di qualcuno che la senta dentro.
- Avete capito subito che controllarlo sarebbe stato impossibile ma soprattutto quando tutto ha iniziato a correre e cambiare, avete preso coscienza che il Dottore era legato al Tardis e che io non avrei potuto sostituirlo come pensavate – Catherine scosse il capo – e così, in me… avete potenziato la traccia di Lei, perché io fossi irresistibile per lui, attraente. Perché tentassi di controllarlo senza volerlo… senza volerlo, John – lui le sorrise tristemente. Lo sapeva – perdonami…
- Sei solo una vittima.
- Non del tutto…
- Può darsi ma hai sofferto abbastanza – disse deciso e poi spostò lo sguardo su Tashen e i suoi - usare Rose Tyler! – mormorò con odio – anche solo per questo io non potrei mai perdonarvi, mai. Ma… - sorrise – come spesso avviene, qualcosa è andato per un verso imprevisto: non avevate considerato che anche per Catherine, come per me, tutto ha iniziato ad andare più… veloce – John la fissò ancora – troppo signore del Tempo, sebbene per un terzo appena.
- Mio Dio…! – gemette Steward inorridito – ma cosa avete fatto?
- Semplicemente, dal loro punto di vista, usato nuova tecnologia, vero? Avete stravolto la natura e la natura non si fa dire cosa fare, mai.
- Ma allora che cosa è stato di… lei? – chiese Martha. Catherine le rivolse un irreale sorriso ma tacque.
- Rose, Rose! – ringhiò furioso John Smith - ma davvero pensavate che io non avrei capito? Pensavate che io fossi diventato cieco e sordo? Oh, no… non io. NON IO! – mormorò con un sinistro bagliore negli occhi.
- Le chimere non hanno una lunga vita – disse freddamente la donna con gli occhi da signore del Tempo – e il fenomeno della camaleontizzazione è dannoso per la coesione della struttura biologica in modo preoccupante. Ogni volta che si manifesta è in intensità maggiore e non senza conseguenze.
- A cosa si riferisce? – chiese Martha allarmata.
- Ad un terribile stato di cose che tende a trasformare la persona e ciò avviene in modo progressivo – rispose John – Catherine è sempre più…
- Sono sempre più Lei e te. E attratta da te… - il Dottore abbassò lo sguardo mentre lei gli sorrideva con occhi lucidi. Martha accigliò la fronte. Era necessario dirlo in quel momento? E perché la infastidiva? Si chiese come facesse a provare quella sensazione per un uomo appena conosciuto eppure più lo guardava più qualcosa dentro sembrava muoversi e sembrava riguardare un tempo…
- Rose… - sussurrò dolcemente il Dottore guardandola – è… osceno, non avrei mai pensato di potermi trovare di nuovo davanti qualcosa del genere io speravo di no… - sospirò amaramente scuotendo il capo. La indicò a gli altri, con un gesto stanco, le labbra piegate in un’espressione rabbiosamente infelice – ecco quindi Lei, come è ora. Non più umana, mai più sé stessa. Rose, adesso che la guardo. Tuttavia la parte più forte che la costituisce e che prende il sopravvento, se sono lontano, è quella presa DA ME ed ora …
- Io sono il Dottore – disse lugubre Catherine e tutti la guardarono sconvolti.
- Ma com’è possibile? – si chiese Martha in un gemito.
- Pessima tecnologa aliena usata malamente e senza alcuna coscienza – mormorò John con evidente disprezzo – sono così stupidi che non comprenderebbero l’errore neanche fra cinquecento anni!
- Hanno usato anche umani per i loro esperimenti – erano le parole che più di qualcuno attorno iniziava a dire. Questo più di altro li stava inorridendo e il Dottore pensò che fosse crudele ma sufficiente, dato il momento. E sebbene non vi fosse altra prova di quel che dicevano, a parte la presenza di quella donna, in quel momento nessuno se la sentiva di dubitare di quel che lei e il Dottore avevano loro spiegato. Gli occhi di lei non erano umani e lei stessa cambiava, davanti ai loro occhi, in modo che percepivano profondamente sebbene non riguardasse qualcosa di apparente. Si resero tutti conto che quel qualcosa riguardava il loro istinto. Sentivano che l’uomo che chiamavano il Dottore non era umano. Lo sentivano anche per Catherine Lane.
Colpa della trivella? No, non era quello, non c’entrava nulla con le sensazioni. Accigliò la fronte a quel pensiero ma il dolore lo distraeva e così la rabbia per tutto, anche per la morte imminente.
Aveva paura. Paura come mai.
- Siete delle stupide scimmie! – mormorò il Dottore a denti stretti. Si irrigidì tirandosi più su, lasciando il suo sostegno per rivolgere gli occhi in quelli della donna che sembrava sovrastare ogni cosa là dentro. Non era poi strano che fosse così: lei era il Dottore. Almeno in quel momento.
- Ma quando lei ricambiò il suo sguardo con i medesimi occhi, essi cambiarono e lei di nuovo.
- Dottore… - lo chiamò con la voce di Rose e per un istante lui socchiuse gli occhi come l’avesse toccato. Avrebbe voluto; non aveva molto tempo. Ma lei non era lì. Non completamente.
- Catherine… - la chiamò a voce più alta ma con gentilezza, tradendo il suo dispiacere perché era quello; la compativa ed era quello che l’aveva spinto lì, l’aveva portato in quel luogo a morire, alla fine – Catherine Lane…
- John… - sentì che gli aveva risposto come lei. Rose lo chiamava sempre Dottore in quei momenti. Ma la dottoressa lo aveva conosciuto con quel nome. Questo gli diede una scintilla di coraggio in più, per quel che doveva fare.
- Tu ricordi ancora di essere… Catherine? – molti in quella stanza si scambiarono occhiate confuse e persino Tashen parve avere un’esitazione, nella sua espressione immobile e irrealmente calma, pur nella furia crescente che provava verso il Dottore.
- Io lo sono – disse la donna indecisa – ma non solo. E… non sono più umana.
- Sì… lo so. Non del tutto – mormorò il Dottore abbassando appena lo sguardo.
- Che cosa vuol dire? – chiese spontaneamente Martha e fu per tutti. John la fissò un lungo momento.
- Che lei era morta – gli rispose con tono lugubre e nella stanza calò il gelo. Fece un respiro indeciso portandosi la mano al petto e stringendola forte, soffocando un lamento. Lakil abbassò lo sguardo; piangeva ancora. Il Dottore guardò il bambino alieno con un breve e faticoso sorriso, perché lui comprendeva il dolore. Ma doveva farsi forza, ne aveva bisogno – coloro che avete combattuto … i cybermen … lasciarono incomplete molte trasformazioni. Parecchi… non erano stati migliorati. Molti morirono ma qualcuno fu trovato ancora vivo. E tra le cose terribili arrivate qui con quella…. mostruosità – ringhiò – c’era… anche una cosa, una… tecnologia in grado di creare qualcosa di nuovo da ciò che era rimasto – guardò con occhi fermi ma lucidissimi la donna che non riusciva a smettere di fissare con ansia l’uomo che amava. E che in parte era – Catherine… se ti avessi trovata io, ti avrei addormentata – le disse tristemente.
- Lo so…
- Non potevi essere… salvata. Non sei stata, salvata – concluse con percepibile angoscia ma più di ogni altra cosa fu evidente che il dolore fisico ormai lo stava straziando.
- Hai rovinato ogni cosa, dannato alieno… ogni cosa…! – mormorò tra i denti Tashen. Intanto lui e coloro che gli erano vicini si stavano scambiando gesti e mezze parole dal tono urgente. Il Dottore li osservava.
Certo l’ingresso di Catherine aveva sorpreso tutti come la materializzazione della console scheletrita. Fece un sospiro ma neanche un battito di ciglia per quegli occhi le cui pupille si muovevano nervosamente come leggendo qualcosa di invisibile per gli altri.
Doveva riuscire a fare una contromossa ma non aveva nessuna idea.
Catherine certamente stava pensando la stessa cosa. Al momento le era Lui ed era il meglio che potesse sperare in fondo. Il pensiero di Rose però lo tormentava: che era stato di lei? Come era arrivata Catherine lì e proprio in quel particolare momento?
- Cosa può essere accaduto…? – continuava a chiedersi ricacciando il dolore e facendosi bastare a stento un fiato sempre più corto.
Se aveva capito dal rapido sguardo nella confusione, il dispositivo di Steward presupponeva quell’opzione dall’inizio e quindi Martha e compagni si erano recati lì per una missione potenzialmente suicida. Il piccolo gruppo che aveva incontrato, invece, avrebbe dovuto salvare chi Lakil credeva di riuscire a trovare ma niente era andato come doveva. E sinceramente si chiese per l’ennesima volta come avrebbe potuto funzionare, essendo il piano alquanto stupido e Torchwood decisamente troppo protetto per quel piccolissimo gruppo di persone che in quel parallelo definiva sé stesso UNIT.
Avevano però tutta la sua simpatia istintiva in fondo per tutta la vita si era ritrovato in situazioni paradossali e spesso da solo contro eserciti interi.
- Che sia quindi una buona morte, Dottore – pensò e gli venne in mente che la volta in cui l’aveva detto, si era ritrovato i dalek schierati davanti, la prospettiva dell’annientamento dell’umanità come certezza assoluta e la persona che riteneva più importante, rispedita indietro in un tempo lontanissimo. Rose. Lei. Ora la amava consapevolmente, era un altro uomo. Avevano vissuto quel che aveva desiderato ardentemente, seppur per un brevissimo periodo in fondo. Pensò che lo avrebbe odiato, perché era andato a morire. Pensò che sarebbe rimasta sola ma viva.
E tutto quello che pensò, lo sentì Lakil, strozzato dall’angoscia estrema.
Tutti coloro che erano in quell’edificio sarebbero stati scaraventati con esso in una frazione temporale parallela, dove teoricamente Steward pensava di poter spedire quella cosa mostruosa. Tuttavia qualcosa non quadrava. Non tanto nella scelta, alla fine, quanto nella situazione.
La trivella aveva fessurato le dimensioni anche in senso temporale, come non sapevano e non capivano, e quindi la sacca era di fatto come fisicamente instabile in troppi sensi. Ebbe un gesto di stizza che nessuno comprese e strinse ancora più forte la sua giacca ma ad un tratto di accorse di qualcosa.
Fece un respiro e guardò le sue mani. Con espressione vagamente stordita ne sollevò una davanti a sé come sfiorando qualcosa di invisibile, le lunghe dita ad accarezzare il vuoto apparente mentre i suoi occhi si aprivano di più e sembravano ancora più grandi.
Martha e gli altri notarono il suo gesto scambiandosi occhiate interrogative, Lakil invece sollevò il capo e lo fissò. I suoi occhi diventarono più profondi e terribilmente blu. Il Dottore parve toccare qualcosa, la fronte accigliata, quindi spalancò lo sguardo schiudendo le labbra come volesse dire qualcosa e qualcosa sussurrò ma pianissimo e sorrise stranamente, un istante appena. Poi mise giù la mano cercando di controllare l’emozione ma Lakil emise un gemito di sorpresa che tutti percepirono.
- Lakil… - accennò Lena.
- Mi nasconde i suoi pensieri. Non completamente ma li nasconde… - disse piano. Gli occhi di John furono in quelli di Lakil un lungo momento poi si spostarono nuovamente su Catherine Lane, irrealmente immobile apparentemente ma che Lakil percepiva in modo netto, quando lei era LUI.
La trivella era stata fermata e si era materializzato quel resto che apparteneva alla nave del Dottore.
Inutile. Totalmente. Lui.
Cosa fare di coloro che si trovavano lì era la preoccupazione di Tashen.
Perché ora avrebbero dovuto eliminare tutta la gente presente perché non fosse aperta un’inchiesta.
Un incidente allora. Quell’uomo aveva rovinato i piani.
La trivella avrebbe aperto la fessura che controllavano con il dispositivo di contenimento e semplicemente inghiottito la piccola squadra di terroristi. I rinforzi alla fine sarebbero stati anche inutili ma avrebbero certo riferito dalla cosa in modo diverso, se non ci fosse stato quell’alieno.
IL DOTTORE.
- Cosa hai in mente, maledetto? – pensò fissandolo con occhi sempre più freddi. Intanto un uomo gli si avvicinò in modo circospetto informandolo che le comunicazioni con l’esterno erano interrotte e quindi non potevano eseguire l’ordine che aveva dato ossia di mandare una squadra a casa di Pete Tyler per prendere lui e la figlia – com’è possibile? Nessuno dei nostri mezzi alternativi…?
- Signore, di fatto è come fossimo…
- Isolati e solo qui – la voce del Dottore completò la frase, Tashen lo fissò stupito e John fece un sorriso e un segno sulle labbra per far capire che aveva seguito il loro discorso da lontano – nessun udito particolarmente sviluppato, neanche prima – puntualizzò – e tuttavia mi sono rimaste le medesime percezioni che hanno sempre caratterizzato i sensi di un signore del Tempo tra cui… beh, l’accorgermi di questo – tese la mano e l’aria attorno parve vibrare. Tutti fissarono la scena interdetti, il dottor Steward preoccupato più degli altri.
- È un indebolimento del tessuto della realtà… !
- No… no – il Dottore accennò a ridere e Tashen si irrigidì ulteriormente – è una cosa molto più… divertente. Certo, per merito di questi idioti la realtà è stata danneggiata, fessurata… per colpa di quella dannata cosa tutto è in uno stato precario ma quello di cui ho preso atto ora è qualcosa di inaspettato e ben più eccezionale di un semplice danno … - rivolse gli occhi a Catherine Lane e comprese che lei lo sapeva. Ed era il motivo per cui lei era lì e non lo era Rose.
Un’entità metasolida che si sviluppa per teoriche dodici dimensioni, definisce concretamente sé stessa per la prima volta a seconda delle condizioni dell’universo in cui ciò avviene. La densità strutturale della materia di prova potrebbe qualificarsi in modo differentemente concreto a causa del dispiegarsi delle dimensioni interne verso l’esterno…
- Pareti sottilissime, invisibili ma reali – disse con voce debole ma tono trionfante – signori, siamo nel Tardis. TUTTI – mormorò con un sorriso – tutta la Gran Bretagna, in realtà! – rivolse loro un sorriso sofferente ma allegro e Lakil spalancò lo sguardo su di lui, ancora umido di pianto e terrorizzato, non riuscendo però a trattenere un accenno al riso.
- Ma aveva detto che…!
- Sì, lo avevo detto, io dico sempre molte cose… – zittì seccato uno degli uomini di Tashen e poi rivolse a Tashen in particolare un sorriso un po’ folle – ma non avevo considerato il fatto che il dispositivo di contenimento che avevo previsto per la sua materializzazione era settato per un ampio raggio d’azione… molto ampio. Ero molto preoccupato, molto davvero, per la sua prima materializzazione avrebbe potuto… - cercò la parola un istante, sollevando lo sguardo - sì… rompere la realtà, danneggiarla ma… il Tardis ha fatto diversamente da quanto credessi: ha dispiegato le dimensioni…
- Cosa? – si lasciò sfuggire Steward.
- Ci sta proteggendo! Presumevo sarebbe stata ovvia la materializzazione per qualche minuto, in uno stato indefinito magari, pensavo molto piccolo ma… è ovvio che Lei è molto più complessa e cosciente di quanto io stesso ipotizzassi… avessi il tempo me ne scuserei, con… Lei, intendo… – rise appena, scuotendo il capo, ma una mano artigliò di scatto il cappotto che indossava e strinse i denti con un gemito.
- Allora il Tardis non è andato distrutto! – Tashen lo fissò incredulo e rivolse lo sguardo a quell’oggetto materializzato al centro – ma quella console, quella…
- Lei mi parla… - mormorò – mi parla dolcemente, ha paura di farmi male… oh, povero signore del Tempo così vecchio e malridotto, pensa… - rise amaramente, con sofferenza – ma… C’è una parola che mi ha ripetuto più volte, che mi ha detto in continuazione – il Dottore sollevò lo sguardo lucido verso chi aveva davanti ma puntando Tashen – sono solo… COSE…
- Non ha senso!
- Non è necessario che ne abbia, è una bambina… ! Ha lasciato incompleto il puzzle, non ha finito il disegno, non ha concluso ciò che aveva intenzione di fare ed ora… ho capito, ti ho capita… - disse con un sorriso - perché… ecco, io credo… credo che avesse un’idea differente ma che abbia, oh… sì, diciamo proprio improvvisato, trovandosi in una situazione anomala e imprevista, quella COSA ORRENDA! Lei… mi somiglia, mi somiglia davvero! – sussurrò stupito, quasi tra sé. Lakil seguiva le sue mani nervose vagare sul suo corpo come cercando qualcosa, chiuse gli occhi un istante più lungo sentendo quella marea di pensieri provenire dal signore del Tempo, pensieri troppo veloci e che non capiva – ecco io… suppongo volesse mostrarsi a me in parte riconoscibile – continuò John con voce nervosa - ma di fronte alla lacerazione della realtà in cui perveniva, ha isolato tutto. Tutto quanto! Ha la trivella DENTRO adesso ma… non può restare in queste condizioni, è ovvio… - si guardò attorno, tradiva ansia e nervosismo, sapeva cose che gli altri non immaginavano.
- Tutto questo è incredibile – disse quello che doveva essere il comandante di una delle squadre di sicurezza governative e si rivolse verso Tashen – le condizioni sono diverse da quelle di cui eravamo al corrente. La squadra della Unit è sotto arresto ma intendo riferire della questione, signor Tashen. E’ evidente che al Torchwood avviene qualcosa di cui il Governo non è messo al corrente.
- Avete visto che si trattava di una squadra venuta per distruggere… !
- Per distruggere una cosa che quell’uomo dice pericolosa per tutti noi.
- Credete ad un loro complice? – un attimo di silenzio e l’uomo incrociò gli occhi fissi del Dottore, su di lui – sì… - disse sicuro annuendo e ad un suo cenno tutti smisero di tenere sotto tiro gli uomini della Unit.
- Vi prego… ora… fermate quel mostro – gemette John.
- Non è fermo?
- Non lo è – osservò Catherine Lane guardando verso il dispositivo di contenimento accanto a lei – va solo molto più lenta.
- Cosa possiamo fare? – chiese con urgenza Steward avvicinandosi intanto a lui, con gli altri della squadra. Il Dottore toccò di riflesso quello che l’uomo gli aveva consegnato qualche minuto prima.
- Possiamo… sfruttare il varco creato dal Tardis per giungere proprio qui… - mormorò con sguardo fisso – non possiamo fare quello che pensavate, non da dentro. Ma possiamo invece spedirla… dall’estremo di partenza…
- Cosa vuol dire?
- Che posso mandarla nell’altro mondo dal quale venivo dove… so che il Dottore la troverà, la troverà e saprà che fare, lui… saprà cosa fare… - la sua voce si ruppe e tremante tirò un lungo fiato portandosi la mano al petto, gli occhi spalancati. Fece per afferrare la console ma non vi riuscì. Cadde in ginocchio quindi, con un gemito soffocato a stento. Non così fu quello istintivo di Martha.
- Quell’uomo sta molto male – disse uno della squadra, mentre Martha, il dottor Steward e il ragazzo robusto cercavano di aiutarlo. Martha sentiva quel battito veloce e irregolare, il suo respiro rotto e scuotendo il capo si rivolse a Steward. John però non si arrendeva.
- Non posso cadere adesso, oh… no… non adesso! – protestò tirandosi in piedi, le mani poggiate alle spalle del ragazzo robusto che lo teneva su – per favore… aiutami – gli chiese in un sussurro e lui lo fissò in silenzio annuendo.
Tashen lo fissò tradendo un sorriso e ascoltò le parole di uno dei suoi, sussurrate al suo orecchio in quel momento, con una certa soddisfazione.
Sapere che il Tardis nonostante tutto non fosse perduto, era una grande notizia per loro: era più che mai evidente che dipendesse dal Dottore ma fino ad un certo punto. Poteva essere guidato dagli umani e quindi la sua squadra sarebbe venuta a capo della questione. Era importante, vitale allora, non distruggere quella nave. Non sapeva cosa avesse in mente ma erano pronti all’evenienza della perdita fisica del pozzo e già preparati ad un suo possibile recupero. Ovunque.
La fessurazione della realtà era in tutti i sensi: sapevano come seguirla ma l’importante è che non fosse distrutta e non ne avevano i mezzi.
- Se la tua nave è integra, allora la prenderemo… - disse piano, sorridendo, mentre vedeva il Dottore soffrire fino ad urlare stravolto. Urlava degli ordini, e lui li sentiva.
Un essere inutile, dal quale non avevano tratto nulla di quel che pensavano. Avrebbe dovuto aiutarlo, capire tutto, sostituirlo. Cercare di sedurlo e legarlo a sé, ad un certo punto.
Ma non era successo nulla del genere. Si era innamorata di lui come lo era la figlia di Pete Tyler.
Si chiese se sapesse di quel che aveva fatto il Dottore o se l’iniziativa di quell’uomo fosse partita in segreto. Non lo sapeva ed era poco importante. I programmi cambiavano, ovviamente tutto diventava più difficile ma non impossibile: lui stava morendo e quella donna che era lui in parte, non serviva a niente.
- Preparate il trasporto dimensionale, dobbiamo lasciare l’edificio e trasferirsi sul Captorius …
- Signore… - Tashen fece capire che non aveva tempo per obiezioni su nulla. Non in quel momento. Tutti i componenti della sua squadra attivarono un oggetto in tutto e per tutto simile ad una banale penna. Si scambiarono sguardi preoccupati.
- Siamo pronti – disse uno di loro.
- Sequenza di autodistruzione per l’edificio, attivata. Venti minuti – Tashen annuì.
- Giusto il tempo perché succeda quel che deve – quasi rise – lui sarà costretto a rimandare indietro la sua nave con dentro il pozzo e noi la seguiremo nella fenditura. Tutto il resto che era qui, andrà distrutto - mormorò con un filo di voce - ma… prima di andare devo fare una cosa – tolse dalla giacca la pistola guardando fisso il Dottore. Poi con un gesto improvviso, rivolse l’arma contro Catherine Lane e sparò.
John aveva rivolto subito gli occhi verso Catherine, aveva sentito qualcosa.
La donna giaceva riversa contro il cilindro trasparente. Gli occhi di lui diventarono istintivamente più lucidi, neri e disperati.
- No… no! – gemette e disperato fissò Lakil, impietrito e rigido davanti a lui. Lena sentiva che stava per accadere qualcosa di terribile e uno sguardo del ragazzo le fece capire che aveva ragione.
John, stringendo dolorosamente il braccio del ragazzo robusto accanto lui, chiedeva di portarlo da Catherine. Martha intanto radunava i suoi uomini. Il Dottore raggiunse faticosamente la scala, stava per salire ma il militare gli fu davanti con l’uomo di Tashen.
- Dottore, dice che Tashen e i suoi si sono trasportati in un luogo sempre dentro il Torchwood ma che è stata avviata l’auto distruzione per l’edificio.
- Co… cosa? – gemette fissandolo stravolto – dove…?
- Sono al sicuro nel Captorius è … una nave, una nave modificata…
- Modificata per cosa?
- Per attraversare i muri dei mondi…! - insistette l’uomo. Il Dottore spalancò gli occhi e lo afferrò disperatamente per il camice che indossava quindi lo attirò a sé.
- Non è possibile farlo, forse solo questo Tardis potrà farlo…!
- Il pozzo giunge in posti in cui è possibile un’esplorazione ma in tempi brevi e senza tornare indietro…! – il Dottore gemette furioso.
- Oh no… voi… pensavate di usare la trivella anche per andare… altrove, dove neanche possono più i signori del Tempo! E’… peggio di quanto temessi, peggio… – sussurrò rabbiosamente – buchi nei tempi, nei mondi! Ecco cosa ha portato il Tardis a questo veloce sviluppo… - il braccio teso su di lui gli ricadde stancamente e il Dottore abbassò il capo respirando profondamente ma non quanto avrebbe voluto e chiuse gli occhi – cosa posso fare…? Che altra mostruosità c’è qua dentro…? - sussurrò e poi rialzò il viso verso di lui – COSA!
- Dottore, un quarto d’ora all’autodistruzione – insistette il militare cercando di stare calmo e John rivolse lo sguardo alla scala.
- Da dove si attiva? Come fermarla? – sussurrò. L’uomo in camice scosse il capo, era sudato e tremante. Sussurrò qualcosa al proposito di una protezione per la trivella e John fece una smorfia di dolore e fastidio - pochi minuti, troppo pochi… immagino abbiate optato per la disgregazione materiale, vero? – chiese senza guardarlo. Quello annuì e il Dottore sorrise – il modo migliore per eliminare tutto senza fare danni.
- Dottore…
- Date ordine di uscire di qui, tutti – si rivolse al militare – fatevi scortare in uno dei laboratori, uscite da questa stanza. Se va come spero ci sarà un’esplosione e… non è il caso che siate coinvolti. In caso contrario… oh beh… nessuno saprà quel che è successo qui – poi rivolse lo sguardo verso il ragazzo robusto che da solo lo sosteneva – portami da Catherine e poi trascina via Martha e soprattutto… Lakil, non vorrà andarsene…
- Lo prenderò di peso, se necessario – John gli diede una pacca sulla spalla con un debole sorriso. Il ragazzo abbassò lo sguardo umido e quindi entrambi presero la scala che portava al dispositivo di contenimento.
- Andate, mettetevi al riparo. C’è un’ultima cosa che cercherò di fare e la farò con Rose – sorrise alla donna che lo fissava trattenendo il dolore a stento – ora… correte – disse con la voce più ferma possibile – correte – ripeté più forte.
- Ho vissuto abbastanza – gli sussurrò. Il ragazzo robusto scosse il capo e non potendo fare altrimenti per trattenerlo diede al ragazzo un forte pugno che lo fece cadere a terra stordito poi lo prese in braccio e con tutti gli altri, rivolgendo un ultimo sguardo a John e alla donna ferita, scese di corsa la passerella per lasciare urgentemente la stanza ed essere guidati in un luogo vicino, al riparo dall’esplosione.
- Il cilindro di contenimento… - sussurrò Catherine – bisognerebbe cercare di disattivare la protezione… - lui annuì, con il cacciavite stava già cercando di modificare il dispositivo di Steward perché fosse utile in tal senso ma tremava troppo ed aveva paura di non fare in tempo, di sbagliare qualcosa. Non doveva; per l’ultima volta non poteva sbagliare. Ancora qualche istante e poi emise un doloroso sospiro di sollievo.
- Questo… - disse stringendolo pronto nella mano - piuttosto che aprire una sacca di vuoto, romperà il contenimento… - mormorò e stringendo i denti si alzò in piedi reggendosi al cilindro e fissando il suo riflesso appannato su di esso. Con le mani cercò quello che sapeva esserci, un pannello e quindi impiegò qualche breve istante a neutralizzare il conto alla rovescia attivato per la distruzione della struttura – Tashen pensa che io manderò il Tardis indietro con questo mostro ma non è quello che farò… il Tardis serve a Rose per tornare… dal Dottore – si rivolse verso Catherine, ormai del tutto la sua Rose – devo sperare che Lei riesca a farlo, che possa portarti da Lui…
- Ma tu sei il Dottore, sei il mio Dottore… - gemette e i suoi occhi erano umidi di pianto e dolore. Si fece forza per trattenersi dal non rassicurarla perché non c’era tempo, non per fare ogni cosa e lui stesso si forzava a non piangere pensando Rose altrove. Non poteva salvare sé stesso ma il suo mondo e lei. Era il suo ultimo atto d’amore: darle tutto, lasciarle ciò che restava.
- Manderò questa cosa indietro DA SOLA, attraverso la crepa dimensionale aperta dal Tardis per definirsi in questo universo e la getterò dall’altra parte dei muri … con un messaggio – tolse le mani dal pannello con un sorriso – sulla matrice del Tardis, in una lingua che ormai solo lui capisce… - Catherine lo fissò mordendosi le labbra per il dolore e piano tese una mano verso di lui. John la guardò. Oramai era tutto finito ma aveva qualche istante. Prese la mano di Catherine nella sua e si chinò su di lei che lo accarezzò sul viso.
- Soffri molto…? – lui le sorrise triste. Soffriva molto anche lei. Rispose stringendola più forte – Dottore… tanto tempo. Tanto tempo e… non ti ho mai avuto – singhiozzò dolorosamente - mai avuto… - lui la fissò schiudendo le labbra sorpreso poi comprese.
- Rose… tu mi hai avuto… - fece un lungo respiro. Valeva la pena soffrire ancora di più per darle quello. Sciolse la mano da quella che stringeva la sua e chino su di lei mise entrambe le mani sulle sue tempie, accarezzandola quindi chiuse gli occhi – guarda… - disse piano.
E le diede quel ricordo, perché vi era solo un momento. La prima volta che avevano fatto l’amore, la prima volta che per lui era accaduto in assoluto. Lei che gli aveva comprato quel cappotto, che gli aveva chiesto timidamente di provarlo e poi, in piedi davanti a lui, lo aveva fissato con gli occhi lucidi e quindi toccato; lo aveva toccato come entrambi avevano desiderato per anni, negandoselo. Rivide ancora una volta lei, toglierglielo, gettarlo sul letto, aprire i bottoni della sua giacca accarezzandolo, rimproverarlo dolcemente dei troppi strati di vestiti che aveva addosso e lui, immobile per l’emozione, lasciare che lei facesse quel che voleva, che si ritraesse, che si fermasse. Ma non era accaduto.
- Mi hai avuto, Rose… - le sussurrò aprendo gli occhi, sentendola spegnersi dentro quel ricordo con un sorriso – ed io ho avuto te… - pensò mentre fissava la donna che amava morire. Non gli importava che avesse visto nei suoi occhi anche i propri, la morte era silenzio e fine del dolore – non avevo mai… dovuto soffrire così tanto prima di rigenerarmi… – disse a voce alta sarcasticamente e finalmente solo poté lamentarsi e il suo gemito di dolore risuonò nella stanza vuota. La trivella andava lenta, vide che il conto alla rovescia sul dispositivo di Steward era quasi concluso e stringendo il corrimano, si alzò in piedi con le ultime forze. Era proprio davanti al cilindro – è stata una buona morte… - sorrise tenendosi su con fierezza. Chiuse gli occhi e pensò, pensò intensamente.