Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Yoan Seiyryu    24/10/2013    5 recensioni
[ Mad Beauty - Red Hook ]
Le vite di Jefferson e di Killian Jones si incontreranno su una strada difficile, entrambi pedine del Signore Oscuro e della Regina Cattiva. Impareranno a conoscere se stessi e a compiere le scelte giuste, vivendo secondo la loro volontà. Jefferson avrà occasione di incontrare Belle al Castello Oscuro, la quale gli insegnerà a vedere più chiaramente in se stesso. Killian verrà salvato da Red Hood nella Foresta Incantata dopo esser stato ingannato dal suo nuovo nemico. Le vicende continueranno a Storybrooke in cui i personaggi riusciranno a trovare se stessi e a compiere il passo che li porterà sulla scelta più giusta da fare.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Belle, Jefferson/Cappellaio Matto, Killian Jones/Capitan Uncino, Ruby/Cappuccetto Rosso
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




I

Howl





 

Era notte. No, molto probabilmente non lo era ancora. La luce non filtrava mai tra le tende pesanti del Castello Oscuro e ormai aveva perso il senso del tempo. Giorni? Settimane? Ore? Stava solo sognando e non se ne rendeva nemmeno conto.
Si era addormentato profondamente sulla poltrona della sala principale, il cilindro gli cadeva sulla fronte e copriva buona parte dell’espressione del viso. Il Signore Oscuro amava farsi attendere e ricordava la propria importanza più del dovuto, scomparendo nel momento in cui si sarebbe dovuto presentare. Egli diceva che non si preoccupava mai del tempo perché mai ne sarebbe stato scalfito. Concetto interessante, se solo Jefferson non avesse avuto tanti affari da svolgere. Ma non si sarebbe lamentato per nulla al mondo, nemmeno per quelle lunghe attese, visto che la ricompensa gli garantiva la possibilità di vivere negli agi.
Lo stato di semi-incoscienza iniziava ad abbandonarlo, si era appena reso conto di star sognando che in quel momento fu richiamato dall’eco di grida femminili che prepotenti risuonarono nelle orecchie, lasciando che si destasse completamente.
Il cilindro rotolò giù dalla testa e finì a terra, solo allora Jefferson spalancò gli occhi sentendosi piuttosto confuso. Quella voce l’aveva sognata o l’aveva sentita davvero?
Non ebbe il tempo di pensarlo che udì altre grida, questa volta però si fecero più intense e dunque si rese conto che erano reali, molto reali. Troppo.

Conosci la differenza tra sogno e realtà, Cappellaio?
 
Chiuse lentamente le labbra tra loro per creare una smorfia infastidita, detestava essere svegliato di soprassalto, soprattutto nei momenti in cui aveva trovato un po’ di pace.
Ci pensò a lungo ma alla fine decise di rispondere a quel richiamo e si alzò in piedi con uno scatto veloce, posizionando il piede sotto il cilindro per sollevarlo e riprenderlo a mezz’aria. Lo sistemò sotto il braccio e prese ad ispezionare la sala, sapeva esattamente dove recarsi e si avvicinò al caminetto dove scoppiettava un fuoco crepitante.
“Vediamo chi ha tutta questa forza di urlare”.
Lo disse come se fosse una cantilena.
Chinò la schiena e spostò la coda del soprabito, tese l’orecchio e cercò di ascoltare meglio le grida che confermarono la sua ipotesi. Afferrò una delle leve alla sua destra e il fuoco si spense all’improvviso, lasciando rivelare dietro di sé una camera che conduceva alle segrete del Castello. Conosceva bene quel luogo poiché Tremotino vi lasciava marcire chiunque si frapponesse di fronte ai suoi scopi.
Le fiaccole ai lati delle pareti si accesero nel momento in cui Jefferson scivolò sulle scale a chiocciola, quando arrivò all’ultimo scalino balzò giù e rimase in perfetto equilibrio.
L’eco della voce femminile continuava a penetrargli nelle orecchie, fino quasi a ferirle, tanto che fu costretto a coprirle per evitare di esserne infastidito.
“Qualcuno mi aiuti, voglio uscire di qui!” la voce ormai si faceva sempre più chiara e squillante.
Jefferson si mosse sicuro lungo il corridoio dalla scarsa illuminazione e finalmente sopraggiunse davanti alla cella da cui provenivano le grida di aiuto.
Si ritrovò davanti ad una giovane ragazza vestita da un abito decisamente singolare, era ricoperta di un tessuto dorato che le lascava soltanto le spalle scoperte e i capelli castani ornavano un viso pallido e stanco, ma sin troppo bello.
Nel momento in cui la ragazza si rese conto di non essere più sola si sistemò di fronte alle sbarre per poter guardare meglio al  di fuori.
“Voi non siete Tremotino”.
“Uhm, perspicace” rispose Jefferson che ancora si sentiva assonnato.
Andò ad appoggiare un braccio sulle sbarre e vi sistemò sopra la fronte per studiare meglio il volto della prigioniera.
 “Vi pregherei di non urlare in quel modo, oltre che arrecare fastidio mi avete anche destato dal sonno”.
Gli occhi azzurri di lei sprofondarono nel buio della cella, non si aspettava nulla di simile.
Era decisamente bella, una delle donne più belle che Jefferson avesse mai visto. Con quel suo atteggiamento composto ed impettito dimostrava di avere un carattere forte e una grande fiducia in se stessa. Si chiese il motivo per cui Tremotino l’avesse portata in quel luogo, oltre al desiderare di preservare la sua bellezza, ma era un’idea sciocca visto che in quel modo l’avrebbe solo che deteriorata.
“Mi dispiace di aver rovinato il vostro riposo” era calda la sua voce come lo era il suo sguardo.
“Ma sono stanca di rimanere rinchiusa in una gabbia. Se devo restare al Castello per sempre, vorrei farlo ai piani superiori e con un letto più comodo” quando continuò il tono era mutato diventando sarcastico.
La ragazza indicò il giaciglio di paglia dietro di lei per mostrargli le condizioni in cui era costretta a vivere.
Si era arresa all’idea di non poter tornare indietro e mai lo avrebbe fatto. Desiderava l’avventura, diventare come una delle eroine dei suoi libri, eppure si era ritrovata a stringere un accordo con il Signore Oscuro per salvare il suo regno. Un accordo che le costò la libertà.
Rammaricarsene sarebbe stato vano e sciocco, ma pretendeva un po’ di generosità e non avrebbe permesso al Signore Oscuro di vivere nel buio gelido di una cella.
“Dubito che urlare possa servire a qualcosa” sospirò Jefferson fingendo una forma di interesse nei suoi confronti “cosa avete fatto per finire qui dentro? Non mi sembrate così pericolosa da aver bisogno di essere rinchiusa”.
Belle decise di avvicinarsi ulteriormente, incoraggiata dal suo fare tranquillo, molto diverso dalla supponenza che aveva mostrato poco prima.
“Tremotino aveva bisogno di qualcuno che si occupasse del Castello e ha preso me in cambio della salvezza del mio regno” la spiegazione di lei fu breve ed indolore.
Lo disse con una calma così serafica che Jefferson quasi non riuscì a credere alle proprie orecchie. Certe stranezze erano dovute al suo datore di lavoro ma non credeva che potesse esser così capriccioso da rovinare l’esistenza di una giovane principessa, quale rivelò essere in seguito. Ecco spiegato il suo abito rigonfio e ricamato alla perfezione, per non parlare dell’atteggiamento composto che ostinava a tenere in piedi.
“Un vero peccato:  non tutti hanno la fortuna di vivere la vita che desiderano” Jefferson non provava alcun interesse nel consolare o compatire il fato avverso della giovane principessa, ma aveva trovato un modo per distrarsi dalla noia e dall’attesa.
“Voi chi siete, il carceriere?” domandò lei, sperando quasi di riuscire a convincerlo di farla uscire.
Jefferson fece schioccare le labbra e scosse la testa in segno di diniego.
“Se avevo detto perspicace, ora ci ho ripensato. Sono alle dipendenze del vostro padrone, come vi ho detto mi avete svegliato dal sonno e sono venuto solo per chiedervi di fare silenzio” si portò un dito alle labbra per enfatizzare la richiesta, svelando in verità le sue intenzioni.

Insopportabile. Insensibile! Saccente?

Belle non resistette e finì per dargli le spalle decisamente stizzita.
 “Non sono intenzionata a rimanere qui, perciò finché non verrò liberata non la smetterò di gridare” chiuse le braccia al petto, attendendo una risposta.
Jefferson sbadigliò, portando una mano alle labbra per non mostrarsi troppo scortese.
“Riferirò, buona permanenza principessa” così facendo si allontanò, almeno ci aveva provato, ma con le donne era sempre difficile scendere a patti.
Desiderava solo un po’ di riposo, nient’altro, ma aveva già intuito che gli sarebbe stato impedito dalle rinnovate grida della ragazza che ne aveva ancora per molto.  
Senza nemmeno salutarla Jefferson cercò di ritirarsi piuttosto in fretta.
“Siete tutti uguali!” gli urlò dietro lei quando si rese conto di esser stata lasciata nuovamente sola nel buio gelido della sua cella.
“Perché le donne hanno il potere di lamentarsi sempre delle stesse cose?” borbottò lui che solo per un attimo credé di aver compiuto un errore nell’esser sceso all’interno dei sotterranei del Castello, ma in quel modo non avrebbe potuto incontrare degli occhi così belli.
Ripercorse le scale a chiocciola velocemente, udendo le nuove grida di aiuto. Quella ragazza sembrava caparbia e probabilmente non si sarebbe arresa con facilità.
Non appena si ritrovò nella sala del caminetto dove aveva lasciato il cilindro prima di scendere nelle segrete, si rese conto di non riuscire a vederlo da nessuna parte.
Volgendo la testa dall’altra parte incontrò lo sguardo di Tremotino, rilassato e sorridente, seduto sulla poltrona su cui prima si era addormentato lui stesso. Reggeva tra le mani il cilindro che aveva preso a sventolare avanti e indietro.
“Chi ti ha dato il permesso di sbirciare tra le mie cose?” domandò verso di lui, accompagnando la frase con una risatina che inquietava sempre Jefferson quando la sentiva.
“Sono un viaggiatore tra i mondi magici, non è difficile attraversare le zone remote di un Castello quando il padrone di casa non c’è” si limitò a rispondere, rimanendo al suo posto per evitare qualunque tipo di impatto.
Se in un primo momento Tremotino sembrò adirato poi scoppiò a ridere e si alzò in piedi per lanciare verso di lui il cilindro che fu prontamente afferrato.
“Per questo ti chiedo di servirmi: hai un cuore oscuro quasi quanto il mio” sghignazzò prima di tirare in alto la leva del caminetto per far tornare il fuoco a scoppiettare.
“Forse non così oscuro” si limitò a sussurrare Jefferson, provocando un’altra risata nel suo interlocutore.
“Cos’hai trovato di interessante nelle mie segrete?” gli domandò facendogli segno di seguirlo davanti ad un grande tavolo dove sorgevano alcuni dei suoi incantesimi di preparazione che gli sarebbero serviti una volta ultimati.
Si sedette su uno sgabello in legno per avvicinarsi alcune ampolle di vetro al cui interno vi erano dei liquidi colorati.
Jefferson accennò brevemente  alla ragazza chiusa nella cella angusta e che lo aveva tormentato per quasi tutto il pomeriggio con le sue grida.
“Come fate a sopportare tutto quel rumore durante il giorno?” gli domandò mentre si udivano in lontananza gli echi delle lamentele.
“Uso un trucco vecchio ma efficace, mio caro” Tremotino tirò fuori dalle tasche dei tappi di sughero che gli mostrò per un istante e che poi cacciò via per fare spazio a cose più importanti.
Jefferson sogghignò.
“Prima o poi nemmeno quelli funzioneranno. Perché non le concedete di vagare per il Castello? Finirà per diventare una tortura se continuerete a lasciarla lì sotto” gli suggerì, sedendosi sul tavolo di fronte a lui.
Tremotino si leccò le labbra, riflettendo su quella possibilità.  
“Dovrei farla uscire di lì…” schioccò la lingua prima di continuare “ci penserò, al momento mi diverte più così”.
Jefferson rispose con una indifferente alzata di spalle.
“Ottimo, allora possiamo parlare della mia ricompensa”.  
 
 
 
 

**

 
 
 
 
 
Rosso come il colore del sangue.

Gli mancava l’aria e respirare era diventata una vera e propria tortura. Non ricordava assolutamente nulla di ciò che gli era capitato e di come era finito accanto a quel ruscello che continuava a domandargli il suo nome.

Come ti chiami?

I suoi occhi si fecero improvvisamente ciechi di una luce insopportabile, continuava a cadere finché non si fermò all’improvviso. Qualcuno doveva averlo colpito alla testa per farlo svenire, perché gli faceva male, molto male.

Non temere, ti aiuterò io.

Il fiume continuava a parlare con lui, anche se l’acqua era rossa e tinta di sangue. Una voce così profonda e dolce come poteva incutergli tanto timore?
Mani fredde gli afferrarono il viso, o forse era lui ad essere freddo, poiché quel contatto lo bruciò. Gridava ma senza sapere che cosa uscisse dalla sua gola, a volte aveva l’idea di non poterlo nemmeno fare. Lunghi capelli neri piombarono davanti al suo viso, fino a sommergerlo e a incatenarlo in un abisso senza fondo.

Sei qui per portarmi via?

Ora udiva solo la sua voce.
La fronte bruciava e  i suoi occhi continuavano a non vedere nulla, alternando visioni oscure a brillanti che gli procuravano emicrania e fastidi.
Per diversi giorni subì quella tortura e non riuscì a venire a capo di quel mistero, ma poco a poco si rendeva conto che il suo letto non era più fatto di pietre né di acqua, ma era un giaciglio di foglie molto più comodo.
A fatica riuscì a svegliarsi da quell’incubo mettendo a fuoco ciò che gli stava attorno, alzando il viso si rese conto che era all’interno di una piccola capanna che doveva esser stata costruita per non rimanervi a lungo. Non ebbe modo di decidere se stesse ancora sognando, ma ora riusciva a muoversi più liberamente e la prima cosa che fece fu quella di alzarsi in piedi. Non appena ci provò le gambe non ressero e cadde nuovamente sul giaciglio in modo pesante.
In quel momento sopraggiunse una figura alta e slanciata che entrò nella capanna con una certa preoccupazione, indossava un lungo mantello rosso e i capelli corvini incorniciavano un viso sottile e gentile.
“Sei un’allucinazione o sei reale?” le domandò lui portando una mano alla testa per fermare quel fastidio così intenso.
Lei gli rivolse un sorriso di sollievo e si avvicinò per farlo stendere di nuovo.
“Sono reale. Invece quelle che hai avuto in questi giorni erano allucinazioni” disse confermando la sua ipotesi mentre inumidì una pezza nell’acqua contenuta in una piccola bacinella improvvisata, dopo averla strizzata gliela posò sulla fronte “ti pregherei di non fare gesti avventati, la febbre non è ancora scesa”.
Il Capitano Hook della Jolly Roger era febbricitante? E per quale motivo aveva avuto delle allucinazioni?
“Da quanto tempo sono qui?” fu la prima domanda che le pose, non le aveva nemmeno chiesto chi fosse.
Forse il Cappellaio aveva ragione, non sapeva dare un ordine alle domande. Ora che ci pensava però, i ricordi iniziavano a venire sempre più a galla.
“Tre giorni, eri privo di sensi sulla riva del fiume e continuavi a lamentarti. Hai mangiato dei funghi velenosi, dovresti fare più attenzione” le consigliò bonariamente prima di riprendere a spiegare “ti ho somministrato una cura che usa mia nonna quando i bambini tornavano al villaggio in queste stesse condizioni, la febbre indica il fatto che stai guarendo”.
Killian tirò le labbra in una smorfia, non era affatto lieto di sapere che il suo ritorno alla Foresta Incantata era stato segnato dal malessere.
La sua memoria poco a poco iniziava a tornare e la mente si colorò di immagini più vive e profonde. Non aveva mangiato funghi di sua spontanea volontà, ricordò che una volta entrati nel cilindro magico di quel Jefferson, lui gli aveva consigliato di mangiare dei funghi che a suo dire non lo avrebbero fatto soffrire di nausea durante il viaggio verso il nuovo mondo.
Quel maledetto impostore lo aveva ingannato, per quale motivo aveva deciso di avvelenarlo? Non avrebbe mancato ai patti riprendendosi l’inchiostro, dunque perché metterlo fuori gioco per poi scappare via?
Se mai lo avesse incontrato di nuovo lo avrebbe  fatto pentire per ciò che aveva fatto.
“Immagino che io debba ringraziarti per avermi aiutato, non è così?” disse prima di portarsi la mano a coprire la pezza umida sulla fronte.
La ragazza si limitò a sorridere e si strinse nelle spalle.
“Non sei obbligato a farlo, in fondo ho scelto io di intervenire. Avrei potuto lasciarti lì dov’eri” i suoi occhi si soffermarono sull’uncino che aveva al posto della mano, da quando aveva iniziato a prendersi cura di lui si era incuriosita di quel particolare così grottesco. Per quale motivo aveva perso la mano?
Lui se ne accorse e sogghignò.
“Vorresti saperlo, non è così?” era abbastanza vicina da poter sfiorare con l’uncino ai suoi lunghi capelli a fino a lasciarli una volta arrivata la fine.
Era senz’altro bella, i suoi occhi risplendevano di un colore intenso e le sue labbra erano invitanti quanto il suo sorriso. Magari sarebbe arrivato anche al suo cuore, in fondo tutte le donne prima o poi cedevano al suo fascino.
“Mi piacerebbe prima conoscere il tuo nome, ti ho salvato la vita ma non vuol dire che dobbiamo raggiungere una sorta di confidenza”.

Com’è fredda e distante. Perché? Avvicinati.

Fu quasi un peccato non riuscire a raccontarle la storia della sua vita, di solito tutti volevano conoscere il modo in cui aveva perso la mano. O forse era davvero intenzionata a non approfondire quella conoscenza così improvvisata?
“Il mio nome è Killian Jones, ma tutti mi conoscono come Capitan Hook. Sono in debito con te visto che mi hai  aiutato, come posso chiamarti?”.
Se non voleva raggiungere alcuna confidenza, probabilmente non gli avrebbe nemmeno svelato il suo nome.
La ragazza aveva compreso fin dall’inizio che non si trattava di un semplice viandante o di un avventuriero, era proprio un uomo di mare in carne ed ossa, anzi peggio, un pirata. Aveva sentito parlare di Capitan Hook ma non conosceva i particolari del suo incidente, né del motivo per cui era scomparso dai mari che circondavano la Foresta Incantata. Si diceva che fosse stato risucchiato in un mondo diverso dove il tempo non scorreva mai e non vi era modo di sopravvivere senza affrontare pericoli continui.
“Red Hood”.
Un nome piuttosto facile da imparare, visto che indossava davvero un mantello dal cappuccio rosso.
“Posso chiederti come hai fatto a raggiungere la Foresta Incantata? Ci sono molte voci sul  viaggio verso Neverland ed ogni storia racconta una cosa diversa” non ebbe timore di chiederlo, era semplice curiosità.
Non appena fosse stato in grado di rimettersi in piedi le loro strade si sarebbero divise, per questo aveva scelto di aiutarlo. Da una parte non poteva lasciarlo morire e dall’altra aveva timore di poter diventare un pericolo molto più rischioso per lui. Nonostante sua madre prima di morire le avesse insegnato come governare il lupo dentro di sé, continuava a servirsi del mantello e a nascondere la sua natura quando si trovava in compagnia di altri.
“Sarei curioso di sentirle tutte” sogghignò Killian con una certa curiosità “in ogni caso ho fatto ritorno qui grazie all’aiuto di uno strano quanto particolare individuo che mi ha permesso di viaggiare con lui all’interno di un cappello magico”.
Red sgranò appena gli occhi, di certo Capitan Hook non doveva essere d’animo puro e tutti lo dipingevano in maniera assolutamente negativa, ma non sembrava avere un cuore oscuro. Aveva compreso di chi stesse parlando, il Cappellaio era noto nella Foresta Incantata per la capacità di viaggiare tra i mondi e tutti sapevano di chi fosse al servizio.
“I tuoi occhi parlano per le tue labbra. Sai a chi mi riferisco?” alzò leggermente il busto dal giaciglio che Red aveva preparato per lui, perché non entrasse in contatto con l’umidità che sarebbe salita di sera.
La ragazza annuì e non trattenne l’informazione per sé: “Certo, l’unico che può fare una cosa simile è Jefferson. Lui lavora per il Signore Oscuro”.
Quell’affermazione fece aggrottare le sopracciglia di Killian, non riusciva a credere di esser stato raggirato così facilmente.  Aveva donato l’inchiostro magico ad un suo nemico? Maledetto Cappellaio! Se lo avesse rincontrato gli avrebbe conficcato l’uncino in gola per poi lasciarlo dissanguare e gioire della sua morte.
Cercò di rimettersi in piedi per poterlo andare a cercare all’istante, Red che aveva compreso la situazione si spinse in avanti per farlo tornare a riposare.
“Non fare cose azzardate! In queste condizioni non puoi andare da nessuna parte, prima deve scendere la febbre o tornerai ad avere altre allucinazioni” gli disse con tono perentorio, tanto che Killian non poté continuare a contrariarla.
Sbuffò e si rimise con la nuca appoggiata sul cuscino di foglie e paglia, la pezza inumidita era scivolata a terra dunque Red fu costretta a raccoglierla e a sciacquarla ancora una volta.
“Sembra che tu conosca molto bene gli effetti di questi funghi, tua nonna è la guaritrice del villaggio?” in realtà non gli interessava minimamente ma era solo un modo per distogliere l’attenzione dal suo doppio obiettivo: far fuori Jefferson e trovare un modo per fare lo stesso con Tremotino. Servo e padrone in un solo istante avrebbero salutato questa vita.
Doveva trovare un alleato forte per farlo, qualcuno che fosse in grado come lui di odiare il Signore Oscuro, qualcuno che conoscesse tutti i suoi segreti.
“No, ma è una cuoca meravigliosa e conosce gli ingredienti adatti per curare gli effetti da avvelenamento di funghi” sorrise prima di alzarsi in piedi e dargli le spalle, sciolse il mantello rosso e lo ripose sulla superficie di un piccolo baule.
Killian si domandò il motivo per cui una donna così bella vivesse in un luogo simile.  
“Oh, capisco, questo è il tuo regalo per la mia convalescenza?” le domandò con un sorriso ironico, osservandola mentre tirava via il mantello.
Lei si voltò e gli rivolse uno sguardo di ghiaccio.
“Non farti strane idee Capitan Hook, non so che tipo di donne abbiate conosciuto qui alla Foresta Incantata, ma io non sono disposta a condividere lo stesso letto con il primo sconosciuto incontrato per caso”.
Le sue parole erano forti e dure, non aveva idea però se fossero pronunciate con altrettanta sincerità. Che strano, Milah non aveva avuto problemi a concedersi a lui la sera stessa che si erano incontrati alla locanda di un villaggio lontano.
Cacciò via quell’immagine che lo turbò abbastanza da volerla tenere da parte, dunque Red Hood voleva mantenere integra la sua figura di donna? Gli piacque e finì per sorriderle con meno ironia, decidendo alla fine di prendersi un’altra giornata almeno per riposare e schiarirsi le idee.
Poi si sarebbe rimesso in viaggio, probabilmente non l’avrebbe più incontrata, ma esser salvato da una donna così bella valeva tutti i funghi velenosi che Jefferson gli aveva propinato. 

 



 

// Nda: 

Ed ecco qui il primo capitolo! 
Intanto vi ringrazio tutte, sia le ragazze che hanno recensito che quelle che hanno inserito la storia tra le seguite, sono davvero molto contenta. 
Come avete potuto vedere il capitolo è diviso a metà e molto più in là le scene inizieranno ad unirsi, per ora vedremo episodi distaccati dei protegonasti. 
Per quanto riguarda la Mad Beauty: Vi ricordate di Belle che girda nella prigione? Ho cambiato gli interni del Castello e l'ho rinchiusa nelle segrete :3 mi affascinava di più. 
Per la Red Hook: Immagino che la Red consapevole della sua natura non si lasci andare facilmente, perché potrebbe essere un pericolo. Quindi non so se in questo caso sia da considerare molto IC xD. 
In realtà non credo di avere note da aggiungere, la stanchezza si fa sentire T_T. 
Probabilmente giovedì prossimo non aggiornerò con il secondo capitolo perché essendo Halloween pubblicherò una one-shot su quel tema quindi Take my hand slitterà ad un'altra giornata. 
Grazie mille ancora una volta e spero che il capitolo vi sia piaciuto <3.


 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Yoan Seiyryu