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Autore: reb    24/10/2013    1 recensioni
*Questa storia ha partecipato al contest di Kat_jinx "Mamma, papà, devo parlarvi..." classificandosi prima*
Da che ricordasse, Neville Paciock, in quella stanza, il tempo si era fermato al primo novembre 1981. [...] Perché alla fine era proprio quella, la verità. Non c’era alcun bisogno che una persona fosse perfetta, per essere esattamente ciò di cui si ha bisogno. Alice non era perfetta, ma aveva trovato comunque il modo per fargli capire che lo pensava, che gli voleva bene. Sua nonna non era perfetta, ma gli era sempre stata a fianco nel modo migliore che le fosse stato possibile. E Luna, eccentrica, leale, strampalata, forte e coraggiosa, nemmeno Luna, lo era. Non era perfetta come non lo era nessuno, ma era esattamente ciò che gli mancava nella vita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice Paciock, Altro personaggio, Frank Paciock, Luna Lovegood, Neville Paciock | Coppie: Luna/Neville
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Il cielo di Londra, quel giorno, era di un pallido azzurro che faceva pensare alla primavera, sebbene il calendario fosse ancora fermo su novembre. Dalle finestre se ne riusciva a intravedere solo un piccolo scorcio, appena visibile tra le chiome degli alberi che circondavano l’edificio. Di persone, in strada, nemmeno l’ombra, nonostante l’invito a uscire che la giornata recava con sè.
Quello era l’unico particolare che mostrava l’inganno anche a un occhio disattento. L’illusione di potersi appoggiare all’intelaiatura bianca esterna della finestra e poter, comunque, osservare lo scorrere vorticoso della vita fuori da quelle quattro asettiche mura, svaniva proprio per la mancanza di essa.
Le finestre, come il paesaggio fuori di esse, erano solo una mera illusione.
Nessuno, avrebbe permesso ai pazienti di quel piano di potersi affacciare mostrandosi al mondo solo per gustarsi un po’ d’aria fresca in viso. La sicurezza magica era più importante e la sicurezza dei ricoverati ancora di più. Dopotutto quando si perdeva perfino la consapevolezza di noi stessi, il pericolo assumeva contorni sfumati e vaghi. Spariva, addirittura.
E così, chiunque avesse guardato fuori dalla finestra, si sarebbe trovato di fronte un pallido cielo azzurro e gli alberi con appese tenere foglie verdi, specchio fedele di quello reale che stava là fuori.  Ma era un paesaggio deserto, e per questo spettrale per la sua stessa natura.
Londra non era mai deserta, nemmeno durante le peggiori nevicate invernali, e quella mattina il clima era stato clemente, ennesimo segno che stesse per arrivare la primavera.
Ma il calendario, ancora, era fermo a novembre.
Sempre.
Da che ricordasse, Neville Paciock, in quella stanza, il tempo si era fermato al primo novembre 1981.
Da che ricordasse, la finestra era sempre magicamente chiusa perfino nell’illusione, le tende appena discoste e il calendario fermo a quel primo giorno di una nuova vita che nessuno sembrava più in grado di vivere.
Certamente non percepire.
Il ragazzo fece un ennesimo, profondo, respiro, stringendo inconsciamente la mano della donna che gli stava silenziosa al fianco.
Era la prima volta che permetteva a qualcun altro, estraneo alla famiglia, di entrare in quella stanza.
Harry, Ron ed Hermione, che anni prima vi erano capitati per caso, così come erano entrati nella sua vita durante quel primo viaggio sull’espresso per Hogwarts, senza sapere cosa vi avrebbero trovato all’interno, non contavano, non solo perché non era stato lui a volerli vicini, ma perché non li avrebbe affatto voluti vedere in quel luogo. Probabilmente non lo avrebbe desiderato nemmeno in quel momento, nonostante sapessero da anni la verità e si fossero mostrati amici fidati e sinceri.
Da ragazzo era stato per timore di essere deriso e compatito, in quel momento per il senso di protezione che provava. Come un genitore con i propri figli.
Ancora tremava, al pensiero di quello che avrebbe potuto apparire sul viso di Luna, una volta che avessero scostato la tenda immacolata che proteggeva dal mondo quello che restava della sua famiglia.
Un estraneo stava per entrare nel mondo protetto in cui lui e sua nonna avevano racchiuso Franck e Alice, una tenda immacolata per garantirne la privacy, una stanza come unica sicurezza, il San Mungo come unica possibilità di continuare a vivere. Per tutti.
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
-Mamma, papà, devo parlarvi..- quante volte aveva pronunciato quelle parole, durante le sue frequenti visite all’ospedale?
A undici anni aveva raccontato loro dell’arrivo della lettera per Hogwarts, di essere stato assegnato a Grifondoro, come loro, e dell’orgoglio della nonna nel dimostrare, per la prima volta, che qualcosa del padre fosse passato anche a lui, suo figlio.
Nel corso degli anni, poi, aveva raccontato loro la paura della guerra imminente, gli scherzi ignobili dei compagni di scuola, la sua prima uscita con una ragazza, in occasione del ballo del ceppo. E tante altre cose, così tante che nemmeno riusciva più a ricordarle.
Mai una volta che avessero risposto.
E sapeva che sarebbe stato così anche quella volta.
Sarebbe entrato, avrebbe parlato loro, presentandogli per la prima volta una persona, un’amica, la donna di cui era innamorato.
Avrebbe voluto vedere le lacrime spuntare negli occhi di sua madre.
Avrebbe voluto che suo padre gli battesse una pacca sulla spalla, orgoglioso di vederlo diventare grande.
Avrebbe voluto che le sorridessero, sinceramente contenti di conoscerla.
Ma non sarebbe successo niente di questo. Forse le sue parole nemmeno sarebbero state comprese, non nel loro significato ultimo.
Lo ascoltavano, lo facevano ogni volta, ma non lo comprendevano davvero. La maledizione non aveva risparmiato niente, forse solo l’amore per il proprio figlio.
Facendosi coraggio, come non ricordava di aver fatto nemmeno di fronte a Voldemort, strinse più forte la mano di Luna e allungò il braccio libero verso la tenda candida che ancora impediva loro la visuale all’interno della camera.
Sentì la mano fresca della ragazza bionda che gli stava a fianco lasciargli una leggera carezza sul braccio che la teneva legata a sé. Forse per dargli forza, per esprimere comprensione, per fargli coraggio. Forse, semplicemente, per ricordargli che lei era al suo fianco, in quel momento e in futuro.
Percependo la sua indecisione, che forte combatteva per non abbandonarlo, dopo anni e anni passati a proteggere quel luogo perché niente potesse turbare la pace rarefatta in cui i suoi genitori vivevano, fu Luna stessa a scostare la tenda.
Incuriositi da quel rumore, Frank e Alice Paciock, si voltarono nella loro direzione. Non che niente, nei loro occhi opachi, fosse cambiato, semplicemente avevano registrato un cambiamento nel loro mondo, a opera di una figura estranea.
Neville aveva rinunciato a cercare un cambiamento in essi da anni.
Aveva trascorso tutta l’infanzia alla ricerca di un segno, un gesto, che segnalassero al mondo, a lui, che vederlo aveva cambiato qualcosa e ogni volta le sue aspettative venivano deluse.
Le prime volte che la nonna l’aveva portato con sé in ospedale, si era ritratto spaventato, trovandosi davanti quelle due spettrali e inconsistenti figure che, lo sapeva, rispondevano al nome di mamma e papà, ma che non riusciva a percepire come tali.
Erano così diversi, dalle immagini che la nonna gli mostrava così spesso, affinché non li dimenticasse mai!, ricordava di aver pensato con timore.
Con il tempo, l’aumentare delle visite, l’accettazione della scena che gli si presentava invariata davanti ogni volta, la paziente presenza della nonna, così estranea al suo abituale comportamento, aveva accettato di staccarsi dalle sue gonne per avvicinarsi ai genitori.
Alice gli accarezzava i capelli, a volte. Neville aveva imparato ad apprezzare quei gesti forse privi di significato profondo, come i medimaghi gli avevano ripetuto spesso, ma che per lui rappresentavano le giornate migliori.
Frank, invece, batteva ritmicamente sul letto vicino al suo fianco, senza nemmeno guardarlo negli occhi, ma lui lo percepiva sempre come un invito silenzioso perché gli si sedesse accanto.
Quelle, quando mostravano di percepire la sua presenza, erano le loro giornate buone.
Altre, tuttavia, continuavano a vivere nel loro mondo di fantasmi e quelle, per l’allora giovane Neville, erano le peggiori. Perché vedeva quanto la maledizione che li aveva colpiti li tenesse in pugno anche in quel momento, dopo anni. E niente, nessuno, nemmeno lui, il loro unico figlio, avrebbe potuto riportarli indietro.
Bellatrix, quella notte a Hogwarts, era morta, l’aveva vista cadere con i propri occhi, eppure il suo spettrale ricordo continuava ad aleggiare, immortale e invincibile, intorno ai proprio genitori.
-Mamma, papà, come va?- chiese come d’abitudine, avvicinandosi apparentemente tranquillo ai letti vicini dei genitori.
Aveva fatto loro visita solo tre settimane prima, eppure, come ogni volta, gli apparivano più vecchi e opachi del precedente. Come se la maledizione stesse risucchiando loro la vita e i loro contorni.
Razionalmente sapeva che non era possibile.
Sapeva che era solo il suo inconscio a giocargli un qualche brutto scherzo, ma non poteva evitarsi di fissarli e vederli come sfocati. E non erano le lacrime, a creare quello sgradevole effetto.
Forse, semplicemente, aveva infine accettato che Alice e Frank, i due giovani sorridenti e felici che ogni giorno lo salutavano dalle cornici delle fotografie nel salotto della casa in cui era cresciuto, erano in quella stanza solo fisicamente. La mente era altrove, loro lo erano.
-Questa è Luna Lovegood, mamma. È la mia ragazza.- riprese il suo monologo concentrandosi sulla mano fresca che ancora stringeva la sua per rimanere presente.
Luna, con il suo solito sorriso svagato, si avvicinò ai letti trascinandosi dietro anche il ragazzo.
Non sapeva come, ma lei doveva aver percepito la sua riluttanza ad avvicinarsi, esattamente come poco prima. Avrebbe impiegato altri minuti, prima di vincere le proprie resistenze e sedersi vicino al padre, come faceva ogni volta. Facendolo, sapeva che era assurdo, ma non poteva evitarlo, gli sembrava di invadere qualcosa che era solo loro, contaminandolo con la propria presenza.
La ragazza, d’altro canto, continuò ad avvicinarsi con una tranquilla risolutezza, una caratteristica, quella, che aveva acquisito dopo la grande battaglia di Hogwarts, fino a sedersi sulla sedia ai piedi del letto di Frank e prese a fissare a sua volta Neville, aspettando che facesse altrettanto.
Neville, vedendo il padre iniziare a battere sul materasso come d’abitudine, gli si avvicinò per sedergli a fianco e iniziò a parlare di niente, le solite sciocchezze che raccontava loro ogni volta.
“Il lavoro va bene, mamma, tra un paio di mesi tornerò a Hogwarts per il nuovo anno scolastico…”, oppure “Stamattina sulla gazzetta ho letto della vittoria dei Puddlemere United, non siamo potuti andare a vedere la partita perché si è svolta in Romania…”.
Eppure erano altre, le parole che voleva dire loro. Erano arrivati fino al San Mungo proprio per quello, ma non ne aveva ancora fatto cenno.
E Luna, la sua fantastica Luna, riempiva le sue pause con i suoi discorsi strampalati, “E’ un bene, che abbiano dipinto le pareti solo di bianco, i Nargilli odiano questo colore. Almeno non bisogna proccuparsene…”, senza affatto prendersela per quel suo prolungato silenzio.
Per l’ennesima volta, Neville, non poté impedirsi di pensare a quanto fosse straordinaria Luna.
Era stata straordinaria a scuola, quando non si interessava dei commenti cattivi dei compagni di classe così come dei loro scherzi continui.
Era stata straordinaria durante la guerra, non aveva dato di matto per essere stata catturata dai Mangiamorte, ma si era invece rimboccata le maniche e aveva fatto in modo di essere utile. Nei sotterranei di Villa Malfoy, si era presa cura di Olivander. Durante quell’ultima notte di battaglia, aveva dato il meglio di sé, come strega e come donna.
Aveva sempre avuto una forza che lui non possedeva. Lo pensava anche quando gli raccontava di sua madre. La prima volta che l’aveva fatto avevano sedici anni e lei aveva detto di capire, che gli mancassero i genitori, perché anche lei aveva perso la madre. Neville si era visto costretto ad affrontare un discorso che non aveva mai affrontato con altri, ammettendo che entrambi i suoi genitori fossero ancora vivi e le aveva spiegato rapidamente, con poche approssimative parole, la loro condizione. Lei, per tutta risposta, gli aveva raccontato di sua mamma e dell’incidente che ne aveva causato la morte, senza riversargli addosso le pietà o le vuote parole come aveva temuto.
Aveva parlato con un tono sereno e pacifico che lui gli invidiava profondamente perfino dopo anni, perché lui, non sarebbe mai riuscito a pensare a Frank e Alice nello stesso modo in cui Luna pensava a sua madre. Non avrebbe mai accettato quello che la sorte aveva deciso per loro.
Nonostante continuasse a ripetersi di aver rinunciato, a sperare, a credere, a pregare, poco di vero c’era in quelle parole. Non poteva evitare di sperare in un miglioramento, anche piccolo e ma non per questo più probabile, nei genitori.
Perfino in quel momento lo stava aspettando.
Si decise finalmente a parlare con quel solo, singolo, pensiero in mente.
“Quella volta, sarebbe stato diverso. Quella volta, avrebbe cambiato tutto.”
-Mamma, papà, devo parlarvi. Io e Luna ci sposiamo. Il mese prossimo.- disse con il cuore in gola, osservando attento i genitori.
Entrambi lo osservavano. Lo facevano ogni volta che parlava loro, ma quello era tutto.
Alice piegò il capo a sinistra e poi a destra, continuando a guardarlo. Frank riprese a spostare lo sguardo a lui al muro che aveva di fronte, come aveva fatto da che erano arrivati.
-Mamma, papà, devo parlarvi. Tra un mese mi sposo.- ripeté Neville, deciso a non darsi per vinto.
Alla fine avrebbero capito, avrebbero sorriso per mostrargli la loro gioia.
Alice continuò a piegare la testa prima da un lato e poi dall’altro e Frank a osservare il suo viso e il muro, a intervalli regolari di cinque secondi esatti.
Il ragazzo sentì gli occhi inumidirsi, e i loro contorni farsi ancora più sfumati. Adesso, ai suoi occhi, erano opachi come un fantasma. E, forse, quello erano.
Erano fantasmi nella sua vita, perché non riuscivano a interagire in nessun modo.
Erano fantasmi nella loro, di vita, perché niente altro che i ricordi delle persone che una volta avevano amato li legavano a quel mondo.
Erano fantasmi perfino nell’apparenza. Tanto ai suoi occhi che a quegli degli altri.
-Mi sposo, mamma. Mi sposo. Mi sposo. Mi sposo.- continuò a ripetere con voce rotta, le lacrime che, ormai scendevano libere sulle sue guance.
Sentì Luna avvicinarsi e prendergli una mano tra le sue. Adesso le sentiva caldissime a confronto delle proprie, probabilmente congestionate.
-Mi sposo. Mi sposo. Mi sposo, dannazione!- urlò l’ultima parola, liberando insieme a essa tutto il dolore che sentiva dentro.
Quell’urlo era solo la dimostrazione della delusione che sentiva dentro. L’ennesima di tante, ma forse la peggiore.
Si sposava.
Aveva pensato per giorni, a come dar loro la notizia.
Si sposava.
Aveva voluto che fossero loro, i primi, a saperlo.
Si sposava.
Aveva perfino chiesto a Luna di tacere per un poco con il proprio padre, perché questo potesse verificarsi.
E, tuttavia, tutte quelle premure a cosa erano servite?
Si sposava.
Eppure si ritrovava, per l’ennesima volta, in quella stanza con la consapevolezza di non essere stato abbastanza. Perché non era abbastanza per portare indietro le loro menti.
L’amore che provavano per lui, che forse sentivano ancora nonostante tutto, non era abbastanza per vincere lo spettro di Bellatrix.
Bellatrix continuava a governare le loro vite, come aveva fatto per tutta la sua vita.
Non era bastata la sua morte, ad allontanarla.
E non era bastato lui, a farla svanire.
Si sposava.
E avrebbe percorso quella navata con la consapevolezza che potevano aver vinto la guerra, ma non potevano dirsi davvero vincitori come non lo erano mai stati.
Tutte le sue aspettative infrante per l’ennesima volta.
Sentendosi soffocare, lacrime, dolore, delusione, rabbia, si alzò di scatto e uscì dalla stanza senza guardarsi indietro.
In quel momento niente, nessuno, sarebbe riuscito a tenerlo in quel posto un secondo di più.
Si fermò solo quando ebbe raggiunto la fine del corridoio e riprese fiato, asciugandosi gli occhi e il viso. Luna lo raggiunse silenziosa alcuni minuti dopo, sempre così attenta agli altri da sapere quanto, in quel momento, desiderasse rimanere da solo.
Uscirono dal San Mungo e trovarono Londra brulicante di vita, sotto un cielo pallido, ma comunque insolitamente limpido e gli alberi carichi delle prime foglie novelle.
La primavera era infine giunta, perfino nella piovosa Londra.
Non importava cosa dicesse il calendario. La primavera era infine giunta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Avevano detto a Xenophilius Lovegood dell’imminente matrimonio il giorno seguente.
Quel giorno, Xeno, indossava un abito color lapislazzuli che aveva sicuramente visto giorni migliori, ma che, come Luna gli aveva spiegato poco dopo, era la tonalità ideale per piantare i semi di lavanda di cui gli gnomi erano ghiotti.
-Papà, devo parlarti. Io e Neville ci sposiamo.- gli aveva detto la ragazza, con un sorriso raggiante e gli occhi che brillavano, interrompendo il padre durante le sue operazioni di giardinaggio.
L’uomo aveva reagito come Neville avrebbe voluto reagisse suo padre, sebbene magari con meno esuberanza, che invece era propria del padre di Luna. Si era commosso nell’abbracciare la figlia, e aveva stretto la mano a lui, intimandogli di trattare la sua bambina come la principessa che era.
Aveva poi offerto loro uno speciale decotto che, aveva promesso, avrebbe garantito loro la buona sorte. Neville, d’altra parte, l’aveva solo trovato orribilmente disgustoso, ma per buona misura l’aveva bevuto lo stesso.
“Di fortuna non se ne ha mai abbastanza”, aveva pensato, tra una sorsata e l’altra.
Erano poi passati da casa Paciock, dirigendosi sicuri verso il salotto verde, il preferito di sua nonna.
La donna, come ogni pomeriggio, era seduta sulla poltrona di pelle appartenuta al marito, intenta a bere il the delle cinque come ogni signora degna di tale nome.
Era un’inglese fino al midollo, sua nonna.
-Nonna, devo parlarti. Io e Luna ci sposiamo, il mese prossimo.- gli aveva detto prima ancora di salutarla.
Si era aspettato una battuta mordace per le quali la donna era famosa, per ricordagli che la buona educazione che in larga parte gli aveva fornito non era cosa da dimenticare così alla leggera, per fargli presente quanto fosse impossibile, organizzare un matrimonio, in un solo mese. Magari perfino che era da pazzi deciderlo così, su due piedi.
Invece la donna aveva lasciato cadere la tazza, incurante della macchia umida che si era andata a formare sul tappeto intessuto dai folletti del nord e sull’orlo del suo vestito, lei sempre così attenta all’immagine che mostrava al mondo, e gli si era avvicinata per abbracciarlo stretto.
Neville l’aveva stretta a sua volta, senza stringere troppo, senza sapere dove mettere le mani e perfino senza idea alcuna di cosa fare delle proprie braccia, tanto rare erano state le volte che quella scena si era presentata.
La nonna l’aveva abbracciato quando era arrivata la lettera per Hogwarts.
Quando era tornato a casa dopo la grande battaglia.
Quando le aveva detto di aver ottenuto il posto come docente di Erbologia a Hogwarts.
Si staccò da lui per poi guardarlo negli occhi e annuire seria, dando loro la sua silente benedizione. Ma fu quello che lesse nello sguardo della donna che fece inumidire gli occhi del nipote.
Perché in quegli occhi di nonna c’erano tutte le mille sfumature che aveva ricercato, il giorno prima, in quelli dei genitori.
C’era amore, in quegli occhi. E orgoglio e commozione.
C’era, in quegli occhi, tutti i sentimenti che una mamma ha per il proprio bambino.
La nonna si spostò per poter abbracciare Luna, che rispose commossa al gesto inaspettato.
-Benvenuta in famiglia, Luna.- le aveva detto soltanto.
Fu in quel momento che capì.
Sua nonna l’aveva cresciuto, ripetendogli ogni giorno della sua vita, chi fossero i suoi genitori. Facendoli rivivere per lui attraverso i suoi ricordi.
Aveva messo da parte i propri sentimenti, il proprio dolore, per il nipote, perché potesse avere una parvenza di normalità in un mondo che, sembrava, non ne avesse alcuna.
Ogni giorno gli aveva ricordato chi era e chi l’avesse messo  al mondo. Ogni giorno gli aveva ribadito la sua posizione nella sua vita. Nonna e nipote.
Eppure l’aveva cresciuto, come meglio aveva potuto.
Era quella, sua madre.
Non importava chi l’avesse realmente partorito. Se l’avesse amato o meno in un passato ormai lontano, ma non per questo meno doloroso. Non importava nemmeno che sua madre, Alice, non avesse mostrato alcun segno di comprensione.
Non importava nemmeno che sua nonna avesse voluto mettere quei paletti fin dal primo momento, affinché il bambino che era stato non potesse fare confronti o andare incontro a malintesi, tra quella nonna forte e spesso autoritaria che lo cresceva e la donna pallida e lontana che, invece, doveva chiamare mamma anche quando non rispondeva, anche se era così diversa da tutte le altre mamme.
Era stata sua nonna a consolarlo quando, di notte, si svegliava preda di incubi incomprensibili. Sempre lei lo aveva accompagnato a Diagon Alley per le compere per la scuola o gli aveva mostrato l’ingresso segreto che portava all’espresso per Hogwarts, ogni primo settembre per sette anni. Aveva preso per un orecchio suo zio, quando lo aveva lanciato in strada per capire se avesse qualche goccia di magia nelle vene o meno. Lo aveva accolto a casa con un abbraccio e l’anima a pezzi, sgridandolo per aver messo a rischio la propria vita durante la guerra e lodandolo per quello.
C’era stata lei, in ogni istante della sua vita, da che avesse memoria.
Sua nonna. Sua madre.
Non importava come la chiamasse, le etichette cui la donna teneva tanto.
Le aveva detto “Nonna, devo parlarti” mille volte, nel corso degli anni, e ogni volta, ogni singola volta, ora lo sapeva, stava dicendo “Mamma, devo parlarti”.
E in quel momento, vedendo quella donna, sua nonna, sua madre, abbracciare Luna, sentì finalmente la tranquillità che era mancata in quella visita all’ospedale.
La tranquillità che solo una mamma era capace di dare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
Il giorno del matrimonio era finalmente arrivato e Neville aspettava con trepidazione il momento in cui Luna sarebbe apparsa.
Avevano organizzato una cerimonia intima, l’avrebbero scelta lo stesso, ma sua nonna aveva tenuto a precisare, con i suoi soliti modi spicci, che in un solo mese di preparativi quella, era l’unica soluzione possibile.
Dei pettegolezzi che quella scelta, e la loro fretta, aveva scatenato nel mondo magico, non se ne era curata affatto, per niente toccata da quelli che considerava semplici sanguisughe senza spina dorsale. Si era semplicemente concentrata sul ragazzo e i suoi bisogni. Come aveva sempre fatto.
Seduti nelle sedie che avevano disposto ordinatamente in giardino, tutti i loro amici e parenti.
Harry e Ron erano al suo fianco, in qualità di testimoni.
Hermione e Ginny, invece, sarebbero arrivate presto, annunciando l’arrivo della sposa, in qualità di damigelle di Luna.
Sua nonna e Xenophilius, invece, erano seduti accanto in prima fila, nei posti che solitamente erano occupati dai genitori degli sposi, così contrapposti, lei con un sobrio abito da cerimonia verde bottiglia e lui in una splendente tunica gialla, eppure, per una volta, vicini.
Finalmente le damigelle fecero il loro ingresso, adorabili nei loro vestiti grigio fumo. Entrambe splendenti, come solo la gravidanza può rendere una donna, eppure con strane espressioni in viso. Ginny, palesemente, cercava di trattenersi dal ridere. Hermione, invece, mostrava un misto di sconcerto e disapprovazione, malamente camuffate in un sorriso di circostanza.
L’ingresso di Luna, fu accompagnato inizialmente dal tipico sospiro deliziato che accompagna ogni sposa al suo ingresso, ben presto soppiantato dalle risatine incredule che il suo copricapo portò con sé.
Se l’abito bianco che indossava, infatti, avrebbe potuto essere il sogno di ogni donna in quella stanza, la strampalata parrucca che nascondeva i suoi luminosi capelli biondi, lasciò tutti quanti perplessi.
E, ovviamente, incredulamente divertiti.
La stessa reazione che avrebbe causato anche in lui, se ormai non si fosse abituato alle stramberie della propria fidanzata. Moglie, nel giro di pochi minuti ancora.
Solo quando la ragazza fu abbastanza vicina, Neville notò quanto particolare fosse, in realtà, quella parrucca dai mille colori.
Le arrivava poco sotto le orecchie, in un caschetto sbarazzino che le sarebbe stato d’incanto, se non fosse stato per i materiali con cui era stato realizzato. Mille e mille ancora involucri di caramella disposti con cura andavano a creare un frusciante gioco di colori che la facevano assomigliare a un leone.
Neville sentì gli occhi inumidirsi di nuovo guardandola.
Conosceva quegli incarti da tutta la vita.
Sua madre, dopo ogni visita in ospedale, gli regalava decine di quelle cartine che erano poi tutte ordinatamente conservate in una scatola sotto il suo letto e aumentavano di volta in volta.
-Tua madre me ne ha date alcune, dopo che sei andato via, il mese scorso e visto che ogni sposa indossa sempre qualcosa della madre dello sposo, ho pensato…- iniziò a spiegargli Luna appena gli fu affianco, prima di venire interrotta dal ragazzo, che le poggiò una mano sul collo per avvicinarla a sé e poterla baciare.
Luna, la sua bellissima e fantastica Luna.
Adesso tutto aveva un senso, i ritardi della ragazza in tutto quel mese, le mani sempre appiccicaticce di colla, il rifiuto per il velo che la nonna aveva indossato al proprio matrimonio, nonostante la tradizione. Perfino la frase che gli aveva detto un mese prima, appena fuori dal San Mungo, acquistava significato.
 
 
 
-Le cose che perdiamo trovano sempre il modo per tornare da noi, anche se non sempre come noi ce l’aspettiamo.- gli aveva detto serena.
 
 
 
E si trovò a ripeterle quella stessa frase, nello sbigottimento generale.
-Le cose che perdiamo trovano sempre il modo per tornare da noi, anche se non sempre come noi ce l’aspettiamo.-
Per tutta rispose lei gli sorrise felice, prima di prendere in mano la situazione con la sua solita eccentricità.
-Ci sposi, signore. È ora che Neville faccia di me una donna onesta!- disse allegra all’officiante, facendo ridere tutti quanti, perfino sua nonna ed Hermione, certamente il pubblico più difficile da accontentare.
Perché alla fine era proprio quella, la verità.
Non c’era alcun bisogno che una persona fosse perfetta, per essere esattamente ciò di cui si ha bisogno.
Alice non era perfetta, ma aveva trovato comunque il modo per fargli capire che lo pensava, che gli voleva bene. Aveva trovato il modo per dirgli che si, sapeva di essere sua madre.
Sua nonna non era perfetta, ma gli era sempre stata a fianco nel modo migliore che le fosse stato possibile. Aveva fatto si di esserlo, quella madre.
E Luna, eccentrica, leale, strampalata, forte e coraggiosa, nemmeno Luna, lo era.
Non era perfetta come non lo era nessuno, ma era esattamente ciò che gli mancava nella vita.
E quel giorno, la sposava.
 
 
Non importava cosa dicesse il calendario. La primavera era infine giunta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
 
Questa storia che mi è entrata nel cuore fin dalle prime battute ha partecipato al contest “Mamma, papà, devo parlarvi…” indetto da Kat_jinx classificandosi prima. Il fantastico banner che ho adorato alla follia è opera sua.
Non avevo mai pensato di scrivere qualcosa su questa coppia, perché voglio così bene ai Neville e Luna originali, che non ho mai avuto il coraggio di cimentarmici prima. Ma poi arriva Kat-jinx, con questo suo favoloso contest a pacchetti. E una serie di pacchetti fortunati, ovviamente: insalata di riso (parrucca), ippopotamo (Neville) e menta (delusione) e la storia si è scritta da sola.
Quindi grazie Kat!
Passando a un paio di note, lo sapete che sono una fissata, la nonna di Neville è una gran donna, sempre pensato. E ho cercato di renderle onore come meglio ho potuto. Dopotutto ha cresciuto un nipote dopo aver perso un figlio, e dico perso con piena cognizione di causa anche se non nel senso canonico del termine, e ha fatto un gran bel lavoro. D’altra parte, ho cercato di rendere Neville e Luna quanto più IC ho potuto, tenendo però conto che sono comunque passati alcuni anni dalla fine della guerra e non sono più i ragazzi che abbiamo incontrato l’ultima volta a Hogwarts.
Riferimenti random sono la tunica gialla di Xenophilius che per i matrimoni è un must, come ci ha insegnato al matrimonio di Fleur e Bill, e le carte di caramelle che compongono sono le stesse che, nell’Ordine della Fenice vediamo Alice regalare a Neville alla fine della sua visita al San Mungo.
La frase pronunciata da Luna, invece, “Le cose che perdiamo trovano sempre il modo per tornare da noi, anche se non sempre come noi ce l’aspettiamo”, la conoscete tutti. La rivolge a Harry sempre nell’Ordine della Fenice.
Sotto vi incollo il commento di Kat alla storia, perché mi ha quasi fatto piangere dalla contentezza. Sapere che la storia le sia piaciuta così tanto mi ha fatto fare la ruota come un fagiano. Un pavone. Una quaglia. Insomma sempre un uccello è!
 
PRIMA CLASSIFICATA: Reb91 

Grammatica e forma: 5/5 
Utilizzo pacchetto 1: 5/5 
Utilizzo pacchetto 2: 5/5 
Utilizzo pacchetto 3: 5/5 
Originalità: 10/10 
Gradimento personale: 10/10 
Totale: 40/40 

punteggio pieno! No cara non scherzo affatto questa davvero è in assoluto una delle storie più belle che io abbia mai letto. E io che solitamente non amo molto il sentimentale ma davvero hai superato te stessa, la adoro e consiglio a tutti di leggerla e appena l'avrai postata fammelo sapere che devo assolutamente metterla tra le preferite. A livello grammaticale non ho visto proprio nulla, al massimo un errore di distrazione ma niente di più e dato che errare è umano, che il contest è mio e che succedono anche a me li ho palesemente ignorati ;) 
I pacchetti sono stati, oddio, Neville era lui, un Neville cresciuto che ha affrontato tutte le sue difficoltà e altro ma era proprio lui, c'ha tatuato paciock in fronte. L'emozione provata da Neville è stata intensa e toccante e i dialoghi ne sprigionavano da ogni dove, e la reazione della nonna è...non potevo aspettarmi di meglio da quella vecchiaccia. Infine l'oggetto, cioè, sei geniale davvero, quando ho cominciato a leggerlo mi son detta, ecco qua che mi cade sull'oggetto e me lo mette là a caso e invece...l'hai personalizzato, l'hai plasmato, l'hai fatto tuo e della tua storia e ora: voglio anche io la parrucca di luna ç__ç e luna è dolcissima, è la moglie perfetta per Neville, così svitata e fuori dagli schemi comuni che è la moglie perfetta per quel pacioso. E non mi era mai capitato di leggere del rapporto tra neville e i genitori in quello stato, se non come qualcosa di distante, ma mai avevo sentito così affranto questo personaggio. 
Devo aggiungere altro? Mi è piaciuta un casino, l'ho davvero amata, non so come tu abbia fatto ma è davvero una delle più belle storie che abbia mai letto, l'ho detto e l'ho ripeto, sei riuscita a farmi scendere fiumi di lacrime, fantastica, punteggio pieno. 
 
 
 
 
Spero che qualcuno mi lascierà un commentino.
Un abbraccio, Rebecca.
   
 
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