Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: MadLucy    26/10/2013    4 recensioni
Sono passati ormai otto anni dalla prematura morte di re Joffrey; ora sul Trono di Spade siede Tommen Baratheon, bello quanto ignaro, manovrato con fine astuzia dall'intraprendente moglie, Margaery Tyrell. Al Nord regna Bran Stark: il suo improvviso ritorno è avvolto in una caligine di mistero, così come il sinistro e devastante potere grazie al quale ha conquistato il comando; al suo fianco c'è la moglie Meera, ma a corte tutti sanno che il re passa le notti nel letto del suo consigliere più fidato. Quando, per vendicare i torti subiti dalla sua famiglia in passato, il principe barbaro Rickon Stark si sporca le mani di sangue Lannister e rapisce la principessa Myrcella, non si può più tornare indietro: è guerra. Che parte interpreteranno Sansa Stark, Yara Greyjoy e Gendry Waters in tutto questo? Tra amori conflittuali, alleanze strategiche e scandali a palazzo, i nuovi concorrenti possono schierare le pedine: e che il gioco del trono abbia inizio.
(Bran/Jojen; Rickon/Myrcella; Gendry/Arya)
Genere: Generale, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bran Stark, Myrcella Baratheon, Rickon Stark, Shireen Baratheon, Tommen Baratheon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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I. Bianco fu il lutto.






-Fatelo entrare.-
Bran contrasse le dita attorno al bracciolo del trono, meditabondo -era finito il tempo delle domande, per lui, piuttosto le aveva spente tutte in risposte. Al suo fianco, Meera batteva nervosamente un piede per terra e quello era l'unico rumore ad affondare nel silenzio pastoso di disagio. Sua moglie aveva già la mano destra puntata al fianco, pronta a sfoderare subitaneamente il pugnale appeso alla cintura -perchè temeva un inganno, come al solito. Quella era la Meera del loro primo anno di matrimonio, la Meera che scattava per difenderlo non appena presentiva una minaccia, la Meera allegra che sapeva ridere della nuova vita, a soffocare la sua anima come una tenaglia d'acciaio -la Meera sfiorita con l'avanzare dell'inverno ed il ritorno del freddo, perduta per strada ad un punto che Bran non sapeva nemmeno quale fosse, forse consumata un po' alla volta dalle pareti di pietra e dal tepore delle candele. 
Poi due persone comparvero alla soglia. Lei era una donna dai ricci capelli scuri che si confondevano con il mantello lanoso, dallo sguardo obliquo e pungente. Lui era il bambino di otto anni che Bran aveva affidato alla sorte appellandosi alla sua clemenza -solo con i capelli più lunghi, gli occhi più bui e le mani più rosse. Nuove cicatrici sulla sua pelle parlavano, cumuli di pellicce pesavano sulla schiena. Gli occhi tagliavano la realtà come coltelli.
-Rickon.- Non fu un saluto, ma piuttosto una mera constatazione. A Grande Inverno, Rickon. Dopo troppi anni, Rickon.
-Ciao, Bran.- La voce di uno sconosciuto, con appena un'intuizione familiare. Quel ragazzino non era soltanto l'incarnazione d'un fantasma.
-Maestà.- Osha osservò con nostalgica amarezza il suo protetto: Bran non era più un piccolo lord, ormai. La donna volse lo sguardo un po' più a destra. -Meera. Ne hai fatta di strada, dall'ultima volta che ti ho visto.-
La regina del Nord sorrise ironica, un barlume scuro e compiaciuto negli occhi; il re soppesò quell'immagine cara d'infanzia con gli occhi irremovibili.
-Vi ho fatto chiamare appena ho potuto.-
Rickon alzò le spalle sotto il mantello logoro, in un gesto scostante. -Se avessi voluto restare dov'ero, l'avrei fatto. Non sono venuto perchè mi hai chiamato tu.-
Lo sguardo impossibile di Jojen seguì l'avanzare del giovane Stark fino ai piedi del trono, quasi un severo avvertimento, un giudizio nero ossidato nelle pupille -un giudizio che veniva da lontano, dal giorno dopo o da due anni più tardi, forse.
Bran strinse la bocca in una smorfia. -Sei venuto qui perchè vuoi giustizia. Come me. Abbiamo ancora qualcosa in comune, dopotutto.-
-Non si chiama giustizia. Si chiama vendetta. È la stessa cosa, soltanto più sincera. Soltanto più cattiva.- Il fratello minore sollevò il mento, fino a sfidare con lo sguardo pallido come ghiaccio primaverile quello bruno di Bran. Il re serrò gli occhi in due schegge che luccicarono d'ossidiana.
-Giustizia. Niente di più, niente di meno di quel che ci spetta. Voglio concedere la pace eterna alle anime degli Stark, non scrivere il mio destino con il loro sangue. Spero che la lontananza non ti abbia fatto scordare che appartieni al tuo nome. Che appartieni al Nord.-
-Io non appartengo a nulla e nessuno, fuorchè a me stesso.- sbottò Rickon, stizzito, sputando per terra con malgarbo. Jojen continuava a valutarlo con lo sguardo, esplicito, silente, irreparabile. -Ti conviene impararlo in fretta, se non vuoi combattere questa guerra da solo.- 
Il fratello scosse il capo. -Certe cose che ci riguardano sono vere da prima della nostra nascita. Molte cose saranno per sempre.-
Le labbra screpolate di Rickon disegnarono un sorriso vagamente sfrontato. -Molte cose sono
cambiate, Bran.-
Esattamente come temevo, pensò Bran gonfiando il petto in un profondo sospiro.
***
Otto mesi dopo.

Myrcella tossì. La cenere, ingombrante e caliginosa come nebbia, impregnava l'aria -una lorda, viscida tossina a insinuare dita venefiche nella gola, e più giù, nel plesso solare, e ancora giù, nelle viscere. Ella avvertiva al ciglio della spina dorsale la morbosa tentazione di voltarsi a guardare, ma un presagio alienante come una malattia le anestetizzava ogni senso. Le gambe non sarebbero state capaci di fare altro che piazzare un passo dopo l'altro, in quel momento; il suo collo rigido come corteccia non ricordava più la sua funzione e il capo premeva contro il petto, imperterrito, inerme. Alle sue spalle, se stava bene a sentire, ella coglieva gli ultimi sghignazzi mormorati dalle fiamme che, fino a poco prima, si attorcigliavano forti e selvagge nel cielo e correvano come creste di comete, seguendo imprevedibili traiettorie, trasformando una realtà nitida e palpabile in poltiglia nera. Poltiglia nera.
Non può essere successo sul serio. Myrcella era inorridita, ma i suoi occhi non sapevano chiudersi, soltanto raspare il terreno con calma fissa e devastante; aveva l'infallibile certezza che le sue labbra serrate non si sarebbero mai più separate l'una dall'altra: di certo non si sarebbero schiuse in una supplica. La sua vita oscillante sembrava non appartenerle più; di certo in quel momento le interessava meno di quanto avrebbe dovuto, tanto era in bilico nel precipizio, tali erano gli accadimenti. Myrcella avvertiva persino sul palato quel sapore di bruciato, acre al punto da indurla a desiderare di sputarlo per terra. Il debole lume d'un grido diffondeva una sleale nostalgia in quel corpo chiuso nel suo ribrezzo. Un triste, perforante sconcerto si faceva strada nella sua mente scoccando fendenti, e quell'apatico squarcio di stordimento che inghiottiva ogni reazione se ne impadroniva, lasciando una indefinita, intraducibile rassegnazione. Fintanto che una corda le mordeva i polsi e la trascinava, ordinandole da che parte andare, Myrcella avrebbe proseguito a camminare, aggrappandosi ad essa come può fare soltanto chi sospetta che il resto del mondo si sia completamente dimenticato della sua esistenza. Chissà chi è morto, pensò, magari tutta la mia famiglia è stata sterminata. Fu una constatazione come un'altra, che la sfiorò come avrebbe potuto fare un soffio di brezza. L'unica reazione che causava era un lieve aggrottamento delle sopracciglia, quasi che fosse un nodo in cui ella era incappata pettinando la propria chioma bionda. Myrcella comprese, avvilita, che ancora non ci credeva; temette il giorno in cui la mole di quella rivelazione si sarebbe scaricata completamente sulle sue spalle. C'era un impedimento roccioso, nella sua gola, ch'ella non riusciva a sciogliere nemmeno deglutendo.
Myrcella si sentiva sporca ed annerita come un tizzone arso e non aveva la forza di guardare in che condizioni fosse l'abito che aveva addosso, nè di verificare quanto del suo corpo ancora celasse, ma scoprì che, nonostante il suo innato pudore, non le importava granchè. Guardarsi intorno sarebbe stato il principio d'un approccio diretto, d'una reazione, e Myrcella non voleva affatto reagire, perchè reagire significava accorgersi e colmarsi della verità fino a farla propria. Myrcella, quello strano scompiglio di carneficine e urla di soldati, non lo voleva. La violenza, finora conosciuta da lei soltanto di nome, quella storpia incomoda di cui la sua famiglia le aveva premurosamente risparmiato addirittura la vista, aveva fatto capolino nella sua vita in modo imperdonabile, con l'egocentrico proposito di spazzare via tutto quello che vi si trovava e rimanere l'unica, stonata protagonista. Di certo, se anche lei fosse morta, sarebbe stato un sollievo abbandonare quella confusione ingovernabile; le sarebbe stato risparmiato l'onere di difendere la propria vita e comprendere la calamità che aveva mozzato le gambe al suo futuro. Semplicemente svanire, perdere conoscenza, galleggiare via, senza nemmeno un solo pensiero da trattenere fra le tempie...
Un rude strattone fece notare a Myrcella di aver inconsapevolmente accorciato il passo; ella, quasi mortificata, si affrettò a compiacere il volere della persona che le stava di fronte. Non s'azzardava nemmeno ad alzare lo sguardo, conscia che così avrebbe incontrato la sua schiena; gli occhi avevano dimenticato l'arte della vista, e comunque la fanciulla aveva perso fiducia in loro.
Non si ricordava di lui, ovvio. Erano passati così tanti anni da quella visita a Grande Inverno di cui tutti avevano avuto modo di pentirsi; Myrcella sapeva che v'era anche uno Stark più piccolo degli altri, scomparso insieme a quel Bran attualmente sul trono, però come avrebbe mai potuto interessarle? Quando egli aveva fatto irruzione al torneo, era ormai troppo tardi per organizzare qualsiasi piano di fuga. Con un così breve preavviso, i partecipanti avevano potuto soltanto udire il numero dei soldati del Nord che stava per abbattersi su di loro come una tempesta, e poi morire. Myrcella non aveva capito nulla, dall'inizio alla fine; sapeva solo che d'un tratto uno squillo di tromba aveva interrotto la musica e il duello dei cavalieri, che il disordine imperava sulla massa, che le altre lady sedute accanto a lei sugli spalti bisbigliavano concitate che sì, erano gli Stark, erano gli Stark, erano venuti a vendicarsi, e la tensione aveva trasformato il vento in un cavo d'acciaio. Poi sua madre l'aveva afferrata per un braccio e l'aveva condotta in cima ad una torre di vedetta, ordinandole di chiudere il portone con il chiavistello e non aprire a nessuno, proprio a nessuno. Le aveva detto che l'amava ed il suo bacio era stato un roseo schiocco radioso di madreperla. Poi Myrcella non l'aveva più vista. Nel frattempo aveva avuto modo di pensare: era da un pezzo che suo nonno si aggirava inquieto per la Fortezza Rossa, dicendo che bisognava prendere provvedimenti contro Bran Stark lo Spezzato, perchè, visto che non s'era ancora fatto sentire, probabilmente stava architettando qualche sotterfugio. E come sempre aveva avuto ragione, ma troppo tardi ne avevano avuto la prova. Però, si chiedeva Myrcella, dato che Bran non può neanche camminare, chi sta dirigendo questo esercito? Aveva atteso trepidante che sua madre venisse ad aprirle, dicendo ch'era tutto finito, che il Nord era stato rimesso al suo posto; dalla finestra di vedetta lo spettacolo che le si era parato di fronte era molto diverso. I soldati del torneo, pochi, colti alla sprovvista, stavano subendo una degradante sconfitta, questo era chiaro persino ad un'inesperta come lei. Poi erano scoppiati gli incendi, gli strilli delle donne si erano levati al sole come suppliche, il sangue arrugginiva l'erba di nero, e ad un certo punto Myrcella non aveva più osato guardare, temendo che qualcuno potesse adocchiarla lassù -oppure di rendersi conto che l'ennesima vittima del massacro era Tommen. Il cuore scandiva concitato una canzone sconosciuta, e la fanciulla aveva cominciato a preoccuparsi davvero per la sua incolumità. Ma sua madre sarebbe tornata. Sua madre non l'avrebbe mai lasciata lì, abbandonata a se stessa, senza cibo nè acqua. Giusto? Il suo più grande timore era stato quello di morire dimenticata là; nemmeno immaginava cosa veramente l'aspettasse, e Myrcella malediva amaramente la propria ingenuità. Se fosse stata una ragazzina ardimentosa ed autosufficiente come Arya Stark, forse la sua sorte sarebbe stata diversa; invece non era Arya, era Myrcella Baratheon la principessa reale, ed era rimasta lì ad aspettare la mamma, come ogni fanciulla obbediente che si rispetti.
Non c'era stato bisogno d'aprire. Il ragazzo era entrato da solo, sfondando quel pesante portone in cedro con la sua sola forza. Il suo aspetto stesso aveva avuto un impatto violento contro le iridi verdi e perlate di Myrcella: di corporatura era allampanato ed asciutto come una lama, con gambe lunghe e mani forti, dal palmo largo e le nocche spellate; una massa arruffata di capelli rossastri frustrava le spalle e azzannava le scapole ad ogni suo movimento, e lunghe ciocche aguzze scendevano sul volto dai lineamenti duri, quasi a nasconderlo; il bagliore degli occhi risaltava in maniera impressionante, vincendo e scostando i ciuffi, e Myrcella rimase sinceramente colpita -ammaliata ed intimorita insieme- da quel colore azzurro, tenace come il cielo lacerato dai fulmini e cancellato dai lampi e slavato dalla pioggia, ma che di quel supplizio ha fatto la sua potenza. Un lupo di mostruose dimensioni, dal folto ed ispido pelo nero, così alto da arrivargli all'anca, lo affiancava sondando l'aria con il naso umido. Myrcella era in ginocchio, in preghiera, ma quando lo aveva udito salire le scale aveva chiuso gli occhi e si era abbandonata alla pietra del pavimento; aveva compreso che non si trattava di sua madre dal suono di quei passi estranei, pesanti, addirittura furibondi tant'erano roboanti. Aveva aspettato, fissando dal basso il cielo sporco di nero fuori dalla finestra, aveva aspettato la morte convinta che, quand'essa sarebbe calata sul suo collo, non se ne sarebbe nemmeno accorta. Il frastuono del portone abbattuto l'aveva fatta voltare di scatto, ed egli l'aveva squadrata, alto, furioso, implacabile.
A quel punto Myrcella aveva realizzato di non poter sostenere quella pausa dolorosa: aveva esposto il petto candido in modo che la spada del ragazzo potesse infrangerlo e si era limitata ad intensificare il contatto con quegli occhi ombrosi, quasi sfidandolo a mettere alla prova il suo contegno. Se doveva morire, sarebbe morta da principessa di sangue reale.
Le labbra di lui si erano contorte in un ghigno insinuante, anche se nel suo sguardo v'era l'astio, corposo, denso, palpitante; aveva liberato uno sbeffeggio che sibilò alle orecchie di Myrcella come una frusta.
-Andiamo, ragazzina, pensi davvero che morire ti sarà così facile? Alzati.-
Quasi intorpidita dallo sconcerto, tentando di mantenere una fermezza altezzosa in volto, ella aveva obbedito un po' esitante. C'era una domanda confusa nelle sue iridi.
Egli l'aveva afferrata per il polso e l'aveva trascinata via, con la stessa irruenza con cui avrebbe sradicato un arbusto dal terreno. Myrcella aveva trattenuto un gemito fra le labbra; il suo giovane rapitore aveva le mani incrostate di sangue asciutto e rappreso. La concentrazione per non scivolare sugli stretti gradini acuminati era stata parecchia, contando che il ragazzo balzava giù terribilmente in fretta. Poi, mentre ella veniva accecata dalla luce impietosa dell'uggiosa giornata e strattonata nel campo di battaglia, i soldati lì appresso bofonchiavano quello, quello è uno Stark, è uno Stark. Le era risultato difficile sovrapporre l'immagine del marmocchio senza volto visto a Grande Inverno a quella del guerriero che aveva davanti. Anche lui era sopravvissuto, dunque: in quel momento, Myrcella non riusciva a rallegrarsene.
Un uomo sulla quarantina, con un'armatura che riportava lo stemma d'una casata del Nord, l'aveva osservata inquietato per qualche istante e poi aveva domandato, con il tono di chi teme di conoscere la risposta: -Che ne farai?-
Il ragazzo aveva rivolto a lui quel suo sguardo vorace, impetuoso, crudo. La sua voce non aveva ancora un timbro maturo, ma sferragliava le parole dalle labbra come se desiderasse storpiarle una ad una.
-Tutto quello che vorrò, ser. E perchè no? Questa qui non è nemmeno una vera nobildonna: nient'altro che un piccolo abominio biondo. Ma un abominio davvero grazioso, vero? Già, proprio così, non si può negarlo.-
L'aveva sfacciatamente esaminata, con derisorio disprezzo, e la fanciulla stavolta aveva abbassato gli occhi, mentre l'oltraggio le arrossava le gote -perchè sapeva ch'era quanto lui si aspettava.
E poi era cominciata la marcia. Myrcella, dopo aver rivissuto i ricordi della giornata per l'ennesima volta, focalizzò nuovamente l'attenzione sulle pietre che i suoi occhi afferravano e poi lasciavano scivolare via. Un drappello compatto e scuro avanzava a passo unanime, torvo e silenzioso, pregno della morte che avevano donato e della stanchezza che avevano raccolto, ma confortato della vittoria. Durante il cammino, mentre i dubbi di Myrcella svolazzavano impotenti attorno a quella cupa figura davanti a lei, il silenzio mormorava una nenia bianca. Il lutto ebbe a disposizione tutto il tempo che credeva per dilatarsi nel petto di Myrcella, senza nome nè oggetto, senza rancore nè consistenza -non ancora. Ella sapeva che da quel giorno nella sua vita sarebbe mancato qualcosa, ma in pratica non aveva perso nulla.
La carovana dovette percorrere a ritroso la strada che aveva compiuto per giungere fino a Runestone: si trattava di un percorso assai insidioso fra le montagne della luna, durante il quale ogni attimo di distrazione poteva essere fatale, disseminato di rocce, tronchi crollati, strapiombi e passaggi talmente stretti da costringere gli uomini a procedere in fila indiana. Non era un'impresa da poco, contando il fatto che vi erano molte ore di strada e che i comandanti dei diversi contingenti urlavano in continuazione di accelerare il passo, per non trovarsi in ritardo rispetto alla tabella di marcia, elaborata secondo l'esigenza di non correre rischi quali l'essere raggiunti da truppe nemiche o finire le provviste -il che avrebbe significato doversi rifornire presso un villaggio, cosa che l'esercito assolutamente preferiva evitare. La scelta di quella strada improvvisata era stata obbligata: percorrendo una via già tracciata, o -ancora peggio- passando per la valle di Arryn, sicuramente il loro arrivo sarebbe stato preannunciato al torneo e l'effetto sorpresa sarebbe andato in malora; c'era anche da dire che tagliare per le montagne rendeva il viaggio più breve, seppur molto più complesso e dispendioso d'energie e rifornimenti. Ovvio, v'era il pericolo dei clan delle montagne, ma era raro che si azzardassero ad assalire un esercito così numeroso, con le armi rudimentali ch'avevano. Myrcella aveva fatto del suo meglio, però quelle macchie di boscaglia erano piuttosto diverse dai saloni della Fortezza Rossa, così come la pietra brulla non assomigliava proprio ai pavimenti di granito: più volte aveva temuto di scivolare e precipitare giù dai pendii scoscesi dei passaggi di montagna, di inciampare in qualche intreccio di radici nodose e rompersi una caviglia, visto che nemmeno le sue scarpine di tela -logore e consumate dalle troppe ore di cammino- erano granchè adatte per arrampicarsi e guadare i fiumiciattoli. Ogniqualvolta ella barcollasse o perdesse l'equilibrio, bastava uno strattone della fune che la legava per rimetterla in piedi; così come i cavalli si lasciavano guidare per le redini dai proprietari, così Myrcella faceva con la corda. Per il resto, la fanciulla era molto prudente ed osservava dove il giovane Stark mettesse i piedi, per poi imitarlo. La cosa a cui Myrcella invece era abituata era sottomettersi ad un rispettoso, docile silenzio: e infatti tacque, senza proferir parola per otto ore e più.
Si accamparono a tarda notte, per mangiare, scaldarsi e recuperare le forze piuttosto che per dormire: pochi ci sarebbero riusciti, con i numerosi pericoli in agguato nel bosco -ad ogni modo, v'erano molte sentinelle. Furono organizzati dei bivacchi e s'accesero dei fuochi; appena Myrcella si sedette sulla ruvida erba intrisa di fango, le parve di non aver mai avvertito sotto di sè un giaciglio così comodo. Le scarpe di tela erano pregne di sangue: tutte le vesciche erano scoppiate, in una profusione di sofferenza talmente sorda che Myrcella la udì a malapena, troppo provata dalla stanchezza e dalle emozioni della giornata. Le dita e gli avambracci erano segnati da graffi che provocavano un pallido ma aspro bruciore, dal profilo spezzato, sottile e rossastro, procurati nell'afferrarsi ai rovi ed alle cortecce degli alberi per non cadere. Ella lanciò un'occhiata al proprio vestito verde, dalle maniche sbrindellate fino al gomito, dai nastri del corpetto aggrovigliati. Pensando a quanto era stata gongolante all'idea d'indossarlo al torneo, provò un senso di malinconia vivido e pulsante come il fuoco.
Il ragazzo Stark, dopo aver evocato le fiamme da una piccola catasta di ramoscelli, s'era seduto presso il focolare e aveva assicurato la corda di Myrcella al proprio polso, dimodochè se si fosse addormentato avrebbe potuto immediatamente svegliarsi, qualora la prigioniera avesse tentato la fuga oppure qualcun altro fosse intervenuto per liberarla. I suoi occhi fissi e concentrati su qualche inesorabile pensiero, tinti di quell'azzurro terso e bellicoso, riflettevano le ombre delle fiamme come un'intuizione d'ambra. Ad un certo punto, quando un alfiere giunse a dargli della carne da arrostire, egli l'accettò senza nemmeno guardare l'uomo in faccia e cominciò direttamente a morsicare via brandelli con famelica voracità e leccarsi il mento imbrattato di rosso, con la distratta spontaneità dettata dall'abitudine. Myrcella fece il possibile per trattenere il disgusto. Carne cruda! Sanguinolenta, fibrosa e scricchiolante di nervi! Era qualcosa d'improponibile. L'alfiere aveva portato per Myrcella dei tozzi di pane, una ciotola d'acqua e qualche piccolo frutto che nell'offuscamento della semincoscienza la ragazza non riconobbe; comunque mangiò, pur faticando ad ingoiare a causa della siccità della gola.
Del colossale pezzo di carne che gli era stato dato, Stark lasciò un pezzo al suo metalupo, che vegliava stringendoglisi al fianco. L'animale, improvvisamente, alzò il muso al cielo pesto ed emise un breve, lugubre ululato, che colmò la radura per qualche istante. Il giovane sorrise fra sè, quasi che avesse compreso quanto il lupo aveva detto e lo trovasse spiritoso.
Myrcella, che assisteva alla scena schermando discretamente la propria presenza, raggiunse una reminiscenza che si era protesa a ghermire per tutto quel lasso di tempo.
-Rickon! Ti chiami... Rickon?- esclamò stupita, accorgendosi appena di aver parlato ad alta voce. Era troppo stordita dalla rivelazione sbocciata nella sua mente per temere la reazione del ragazzo. Egli volse gli occhi nella sua direzione solo dopo pochi secondi, quasi gli sembrasse improbabile che a parlare fosse stata proprio la sua silente prigioniera; effettivamente, anche Myrcella udì quella voce acuta, arrochita dalla desuetudine, sgorgare dalle proprie labbra come se fosse stata la prima volta.
Egli la guardò per bene negli occhi, con aspro livore. Infine proferì, con un tono secco dal quale però riaffiorava sempre un presentimento d'incandescente, attivo rancore:
-Non ti ho dato la licenza di parlare.-
Io sono la principessa Myrcella Baratheon e non ho bisogno della licenza di nessuno per parlare, pensò ella offesa, ma ingoiò la protesta e quietò lo stolto moto di ribellione.
Rickon -Myrcella era quasi certa che il nome fosse quello- non le dedicò nemmeno uno sguardo di più e ritornò al fuoco, quasi che agisse su di lui con un magnetico potere. Quelle fiamme mansuete ricordarono alla prigioniera gli incendi appiccati alle tende dei partecipanti del torneo. Nato per distruggere. Cosa le aveva detto, suo zio Tyrion, diverso tempo prima? Diffida di ciò che è nato per distruggere. In un primo momento, quelle parole le erano parse soltanto una formula altisonante proveniente da qualche vecchio libro; adesso acquisirono alle sue orecchie un altro sinistro significato. Myrcella dimostrò di aver imparato la lezione e non osò aprire bocca, anche perchè non sapeva cosa avrebbe potuto dirgli, sebbene fosse istigata dal vigoroso capriccio di parlargli ed ascoltarlo parlare ancora. Più tardi giunse un altro alfiere, per riferire alcune notizie riguardo la marcia e i rifornimenti; Rickon non diede nemmeno segno di averlo udito. Quando ebbe assolto il suo compito, l'uomo allungò un'occhiata interrogativa verso Myrcella e domandò:
-Questa è la sorella di re Tommen? La figlia dei Lannister?-
Rickon si limitò ad inarcare le sopracciglia, inespressivo.
-E... non hai intenzione di ucciderla?- insistette quello. Quando Myrcella credeva che il ragazzo avrebbe sbottato d'essere lasciato in santa pace, Stark mosse gli occhi a guardarla dritta nelle pupille. Anche nel rispondere all'uomo proseguì a fissarla, quasi che quelle parole fossero in realtà rivolte a Myrcella.
-Ho ucciso suo nonno, sua madre e suo padre. Non m'interessa bere il suo sangue, ma le sue lacrime.-
La scoperta scatenò un panico diffuso nella prigioniera, che riflettè con innaturale razionalità. Suo nonno. Sua madre. Suo padre- ovvero lo zio Jaime, visto che tutti credevano ancora a quell'infame calunnia.
Suo nonno, sua madre, suo zio.
A Myrcella non veniva da piangere -era quasi difficile ammetterlo con se stessa- e comunque non l'avrebbe mai fatto davanti a lui. Sarebbe stato un comportamento umiliante ed indecoroso. Lo sguardo ferino del ragazzo la faceva sentire così stupida. Non piangerò mai davanti a te, Stark, sappilo, pensò impegnando tutta l'eloquenza del suo sguardo. Rickon sorrise ancora, piano, schernendo quel patetico tentativo d'audacia, atrocemente divertito. Poi l'alfiere se ne andò, evidentemente perplesso, e quell'immensa giornata terminò.
Per quanto riguardava Rickon, non riuscì subito ad assopirsi: il fuoco danzava ancora davanti ai suoi occhi e l'empio sangue delle vittime formicolava sulle sue mani, mentre le immagini della vittoria si susseguivano eccitanti nella sua mente; il sonno lo sorprese a tradimento, approfittando del primo istante di distrazione, subdolo e lesto come uno svenimento. A Myrcella invece pareva inconcepibile la sola idea di riuscire ad addormentarsi sulla nuda terra, e allo stesso tempo spaventosa quella di passare la notte insonne; così, esasperata dal rimuginare sul destino proprio e della sua famiglia, da quella giornata incoerente, precipitò con gli occhi fra le impervie gole della montagna e infilò lo sguardo in ogni fessura della roccia, come se cercasse il buio per imprimerselo nella mente e non ricordare mai più.
Il suo rapitore era addormentato, ma Myrcella non avrebbe mai neppure cercato di scappare: l'incognita di ciò che l'aspettava nel bosco, di tutte le ore di corsa a tentoni nel buio della notte, della fame e della sete e del freddo che in mezzo alla vegetazione sarebbe stato assai più cruento, e peggio ancora della disperante solitudine, era sufficiente ad atterrirla. Dove andare? Indietro? E dov'era indietro? A casa? Ma dov'era casa, esattamente? E qual era? Nel caso in cui fosse capitato qualcosa a Tommen, la Fortezza Rossa non sarebbe stata più casa. Per quanto riguardava Castel Granito, la fortezza in cui sua madre e lo zio Jaime erano cresciuti, Myrcella a malapena ricordava come fosse fatta. Ella sarebbe impazzita, senza una strada da seguire, senza una guardia a scortarla, disarmata ed inutile sotto ogni aspetto. Andare da chi?, osò poi chiedersi, trattenendosi poi dal realizzare ulteriormente la propria situazione, perchè non avrebbe potuto sostenere l'effettività d'essere rimasta sola. Prima era una lady, una principessa, a cui si dovevano mille rispetti, riguardi e gentilezze, omaggi e riverenze da ogni parte, ed ora? Ora quanto valeva la sua piccola, flebile vita? Quanto valevano quei riccioli dorati di cui tanto andava orgogliosa? Lo stesso sangue Lannister che un tempo era il suo vanto, la sua inestinguibile salvezza, in quel momento diveniva il motivo fondamentale della sua rovina? Era rimasto in vita qualcuno a cui importasse della sua sopravvivenza, qualcuno ancora in grado e intenzionato a sottrarla alla sciagura? Sua madre, suo zio e suo nonno, ormai, erano confinati in una gabbia dalla quale non sarebbero mai potuti fuggire, e le loro mani tese verso di lei non avrebbero mai potuto più interferire nel suo destino. La protezione che finora l'aveva accerchiata e rincuorata mancava, annullata, annichilita, neutralizzata. Ora lì, in quel bosco, era soltanto un patetico essere umano come chiunque altro -ed a questo non si sarebbe mai avvezzata.
L'idea di casa richiamò timidamente l'esotico, avvolgente profumo di Dorne, quel misto inconfondibile di sabbia arroventata dal sole mattutino e di spezie fiammanti e di frutta succosa il cui sapore esplodeva in bocca potente e freschissimo, e l'aroma degli unguenti con cui la principessa Arianne si frizionava il manto di capelli corvini, e i mille lussureggianti colori degli abiti dorniani, superbi e squillanti come le piume di un pappagallo. A quell'invasione concatenante di pensieri, in cui l'uno germogliava dall'altro, Myrcella s'intristì. Una palizzata invalicabile la separava da quel passato dolce e mite, sprecato a causa dell'alito fetido d'una malattia oscura. Ricordava ancora gli ultimi giorni di agonia di Trystane, e ricordava la maniera ossequiosa e impietosita in cui le serve le impedivano d'andare a far visita al suo promesso sposo. Non era in condizione d'essere visto da lei, le dicevano. Myrcella non aveva potuto constatarlo con i suoi occhi, però durante la notte udiva quanto rauchi e disperati fossero i colpi di tosse del moribondo, sguaiati ed esorbitanti come i latrati d'un vecchio cane. Le era scesa una lacrima, quando l'avevano seppellito, pensando a quanto fosse vivace e ardente di vita il corpo di Trystane, prima d'essere avvelenato irreparabilmente, misurando con lo sguardo la sofferenza priva di parole che deturpava il viso di quella famiglia che l'aveva accolta come una figlia. Myrcella rabbrividì nell'aria tagliente della sera, perchè la sua vita non sarebbe più potuta ritornare quello ch'era prima -una spenta e tiepida monotonia di banchetti, ricevimenti, cene in famiglia, lezioni di canto e cucito e buone maniere, sedere nei vasti giardini della Fortezza Rossa ad ammirare quanto le piante fossero verdi e i fiori fossero gialli. Non l'aveva chiesta, quella vita di palazzo, non l'aveva desiderata: ma l'aveva accettata, vi si era avvezzata, l'aveva apprezzata per il solo motivo ch'era la propria, la vita che il fato aveva assegnato a Myrcella Baratheon. Tutto questo non sarebbe stato più, senza nemmeno il permesso di dirgli addio; forse un distacco lento e consapevole sarebbe stato più doloroso, in fin dei conti. Ed ella rabbrividì perchè da quando era tornata alla Fortezza Rossa, diversi anni prima, Dorne non le era mai parsa così distante, quasi un sogno vecchio che inizi a deteriorarsi agli angoli come pergamena.
Ai suoi morti, poi, Myrcella non riusciva a pensare: era davvero una figlia ingrata, una fanciulla senza cuore per non aver ancora pianto la loro morte. Strizzò le palpebre, sperando di costringersi, senza alcun risultato; avrebbe dovuto venirle spontaneo, eppure i suoi occhi erano ancora asciutti come la cenere che aveva seppellito i cadaveri dispersi nel fango. No, ancora non ci credeva sul serio.
Il giorno dopo, l' ultimo ricordo che Myrcella recuperò risaliva a quei momenti in cui s'arrampicava con lo sguardo fino alle punte svettanti degli abeti e ai saluti fiochi delle stelle; a quanto pare doveva essersi addormentata, ad un certo punto. La luce del giorno invadeva e sbiancava la radura. Rickon era già sveglio: lo vide informarsi presso i vari alfieri sui numeri dei soldati; per il resto, egli la ignorò bellamente. Subito si rimisero in marcia. Il giovane Stark slegò il nodo della corda, e mentre già cominciava strattonarla come aveva fatto il giorno precedente un uomo lo fermò.
-La ragazza non può farcela, mio signore. Sarebbe un'impresa troppo faticosa per lei.-
Importunato dall'intervento, Rickon scoccò uno sguardo scontroso all'attendente; Myrcella non capì se fosse infastidito dal fatto che un suo inferiore avesse criticato la decisione o semplicemente che gli avesse rivolto la parola. Ad ogni modo egli scrutò la giovane da capo a piedi, con occhi accigliati, quasi che stesse valutando se romperle l'osso del collo e buttarla giù da un precipizio per non averla più fra i piedi.
-Caricala nel carro delle vivande.- ordinò, prima di concederle un'ultima occhiata indagatrice ed essere inghiottito nella moltitudine dei suoi uomini, con il suo lupo al seguito.
Nel carro delle vivande. No, Myrcella Baratheon non era mai stata trattata in questo modo da nessuno, prima d'allora.
***
Le ante della porta sbatterono fragorosamente contro il muro, spalancandosi con foga.
Dalla sua postazione su un piccolo scranno Margaery Tyrell s'alzò in piedi, una mano a bilanciare il dolce peso del ventre vistosamente ingrossato dalla gravidanza avanzata, l'altra a stringere l'orlo delle gonne fruscianti. Il volto era dolcemente turbato, la bocca schiusa in un'espressione allarmata e le sopracciglia piegate in una domanda senza parole. Sulla soglia, scompigliato e tentennante, comparve il re dei Sette Regni.
-Mio signore! Marito mio! Che siano ringraziati gli dèi...- Margaery accorse, mentre le scarpe schioccavano sul granito specchiante.
Tommen incespicò, fino a che potè abbandonarsi al conforto profumato del petto della ragazza. Quelle braccia soffici e immacolate lo avvolsero con trepida, appassionata dedizione. Egli aveva le guance paonazze dallo spavento e l'elmo stretto al fianco. I riccioli, d'un timido ed amabile color oro, rimbalzavano schiacciati sul capo e disordinati attorno al collo.
-Margaery... mia cara... non puoi neanche immaginare. Un disastro... una tragedia... è andato tutto storto.- balbettò Tommen, cercando di darsi un tono, raddrizzandosi e portando una mano a lisciare ansiosamente i capelli all'indietro. Margaery gli strinse apprensivamente il viso accalorato fra le mani.
-Marito mio, ero così in pensiero. Quando mi hanno dato la notizia, il mio cuore si è fermato. Cos'è successo? Raccontami tutto, ma prima riprendi fiato, te ne prego...-
-Non pui neanche immaginare...- ripetè Tommen, affranto. -Mia madre... Myrcella! Hanno ucciso nonno Tywin e anche mia madre... e lo zio Jaime rischia la vita... e Myrcella è sparita!- La sua voce era affannata, ma soprattutto sgomenta. Lo sconcerto, l'indignazione e il timore si affacciavano deformando a turno i suoi lineamenti. Incapace di realizzare stava lì, in piedi, con quel pezzo di ferro sottobraccio, a guardarsi intorno, quasi nella speranza di adocchiare tutti i suoi cari scomparsi e porre fine alle angosce.
-Oh, mio signore, dev'essere stato terribile. La cosa importante è che tu sei qui adesso, sano e salvo.- esclamò Margaery, partecipe, carezzandogli l'aureo capo.
-Meno male che non sei venuta anche tu, Margaery!- sbottò il ragazzo. -Altrimenti, a quest'ora...- Visibilmente sollevato, le toccò il ventre gonfio con dita tenere ed incerte, quasi alla ricerca d'una gioia alla quale aggrapparsi. -Tu e il bambino non avete corso alcun pericolo, e questa è la cosa davvero importante. Non permetterò loro di torcere un capello a mio figlio... e neanche a te, Margaery.-
La regina gli cinse le spalle e gli baciò la fronte velata di sudore. -Non tenermi ulteriormente sulle spine, ti scongiuro! Ch'è accaduto?-
Tommen pareva non credere alle sue stesse parole. -Un esercito del Nord ha fatto irruzione al torneo con un numero esorbitante di soldati. Ci hanno sbaragliato... eravamo impreparati a una simile catastrofe. Mia madre è morta, la sua gola... non.... non c'è stato nulla da fare.- Si morse il labbro inferiore, trattenendo le lacrime. -Anche mio nonno è morto. Ho visto la sua testa... la sua testa! Staccata da corpo, sembrava più... piccola. Assurdo. Poi abbiamo trovato lo zio Jaime con il sangue che gocciolava sull'armatura. Era per terra, esanime... Però è vivo. Almeno lui, è vivo. Il Maestro dice che non si sa se sopravviverà, ma una speranza è meglio di niente. Invece Myrcella... I miei uomini l'hanno cercata ovunque, invano. Poi dei testimoni hanno riferito d'averla vista legata, al seguito dell'esercito, catturata da... da un certo Rickon. Rickon Stark. È stato lui: mia madre, nonno Tywin, zio Jaime... Myrcella. È stata tutta colpa sua. Ma chi è, questo qua, e perchè ce l'ha con mia sorella?! Se è un vero uomo, che venga qui ad uccidere me, invece di fare del male alle donne e alle fanciulle indifese!- Il suo corpo era scosso da potenti tremiti.
Margaery evitò di riferirgli che fare del male ad un ragazzino dolce ed inetto come lui sarebbe stato più codardo che fare del male a qualsiasi fanciulla del mondo; lo abbracciò, affondandogli la testa contro la spalla. -La tua povera mamma... Tywin... l'amabile Myrcella! Che disgrazia, amore mio.-
Cersei Lannister era morta, allora; Margaery avvertì una profusione di trionfo inebriarle le vene. Finalmente quella troia guastafeste era stata eliminata, per giunta senza che lei avesse dovuto esporsi rischiando d'essere scoperta. Ti devo un favore, Rickon Stark, pensò.
Ora che le era stato concesso campo libero, Margaery poteva cominciare ad impostare il suo gioco. Ben presto, l'intera corte di Approdo del Re sarebbe stata avvinghiata da rovi di rose gialle.
-Cosa vorrà da Myrcella, quel maledetto?! Perchè l'ha rapita?! Lei non c'entra nulla. Lei è sempre stata... una brava sorella. Una fanciulla gentile.-
Tommen si lasciò sfuggire un singhiozzo soffocato, che evase dalle sue parole; era sempre stato molto legato alla sorella, sua confidente e migliore amica. Margaery aveva una mezza idea in proposito al perchè quello Stark l'avesse rapita, ma non disse nulla e si limitò a baciare il marito sulla bocca con soffice delicatezza. Tommen ricambiò stentatamente e poi, con un sospiro affaticato, cominciò la scalata fino al Trono di Spade. Vi si sedette con incertezza, ben attento a non ferirsi con le lame. Il pianto premeva ancora contro i suoi occhi verdi e trasparenti.
Non era un vero re, no. Però Margaery era una vera regina: solo questo importava davvero.
A quel punto, a varcare l'ingresso della sala del trono fu Tyrion Lannister. Sul suo volto, attraversato da parte a parte da una cicatrice, era ritratta una rabbia basita.
-Qualcuno mi spiega cosa accidenti è successo?!- Percorse la vastità della sala con tutta la velocità che le sue gambe tozze gli permisero.
Tommen chinò il capo, come un bambino che attenda d'essere rimproverato.
-Sono stati gli Stark, zio Tyrion. Hanno radunato sotto i loro vessilli tutte le più prestigiose famiglie del Nord e hanno guidato un assalto a Runestone. Le vittime sono state centinaia...-
-Questo lo so.- Tyrion serrò le braccia in un movimento di brusca risoluzione. -La parte che mi è sfuggita è quella in cui un adolescente armato di mannaia fa a pezzi la mia dolce sorella e il mio caro padre, che aveva soltanto... uh... quanti? cinquant'anni di esperienza bellica alle spalle? Un novellino, in pratica. A quanto pare, l'idiozia della pubertà e un'accetta affilata sono un connubio esplosivo. Un bel colpo e, zac! il fantasma di un bambino morto ha eliminato i due personaggi più influenti dei Sette Regni e, indovinate un po', si è pure procurato una concubina altrettanto Lannister. Che fausta giornata, eh?-
-Non... non parlare più in questo modo!- Tutto ciò era troppo per le orecchie di Tommen Baratheon. Tyrion riconsiderò le proprie parole: sì, forse subìre la morte della madre e del nonno, il rapimento della sorella, una sconfitta in battaglia e pure l'umorismo sferzante d'uno zio nano sarebbe stato troppo per chiunque.
-Ti chiedo perdono, Maestà, però bisogna considerare le cose per quel che sono. Nascondersi dietro mezze verità e vaghe allusioni non serve a niente.- Tyrion inchiodò gli occhi del nipote nei suoi. -Parliamoci chiaro. Il Nord non ha dimenticato: c'era da aspettarselo. Fin da quando abbiamo scoperto della morte di Bolton e della ricostruzione di Grande Inverno, abbiamo capito che si trattava soltanto d'una questione di tempo; se non abbiamo attaccato, è stato perchè il Nord si è completamente sottomesso alla casa Stark e non potevamo avventurarci in quei territori ostili senza rimetterci la pelle. Lo scontro era inevitabile, e lo è tutt'ora. Gli Stark ci hanno semplicemente anticipato. Esaminiamo la situazione: Cersei Lannister è stata trucidata brutalmente, e già questo basterebbe per dichiarare guerra. Visto che anche mio padre è stato ucciso, poi, siamo quasi obbligati a farlo. Per non parlare del rapimento di Myrcella... quello può essere il pretesto più convincente. Perciò datti una mossa, Tommen. Reagire immediatamente è la cosa migliore che puoi fare, non lasciarti cogliere alla sprovvista. Sono appena stato da Jaime... è ridotto in condizioni pietose. Le prossime ore saranno decisive per stabilire la sua sorte, a quanto mi hanno detto. Ad ogni modo, devi scegliere nuovi membri per la Guardia Reale: ne sono morti tre, se non erro. Cercherò un espediente per spostare il campo di battaglia in una zona più vantaggiosa per noi, anche se non sarà facile... Dovrai essere forte, Tommen.-
Lo squadrò per qualche istante, con un pizzico di scetticismo, quasi a dimostrare che non ci credeva granchè. In effetti, il ragazzo non sembrava affatto in grado di prendere una qualunque decisione, figurarsi d'essere forte. Tyrion rammentò di non avere di fronte un uomo, e di conseguenza di non poter pretendere così tanto da lui.
Intanto ragionava fra sè. Rickon Stark... aveva già sentito parlare di lui, ma soltanto di sfuggita. Si diceva che fosse stato cresciuto a Skagos, e si sapeva bene quali fossero, i commenti a proposito delle preferenze alimentari di quell'isola. A giudicare dal macello che aveva fatto, quel ragazzo aveva la tenerezza d'una scure bipenne, per cui fra le sue grinfie Myrcella sarebbe rimasta vergine tanto a lungo quanto la sua spada era rimasta pulita; c'era quasi da rassegnarsi e considerare spacciata la povera fanciulla. L'unica cosa certa era che quel Rickon era un morto che camminava. Non si poteva progettare l'omicidio di Tywin, Cersei e Jaime Lannister e sperare di sopravvivere.
A che gioco stava giocando Brandon Stark? Dopo anni di silenzio, aveva mandato contro i Lannister il suo fratellino cannibale a sollazzarsi. Che il re metamorfo avesse un piano? E gli Arryn, perchè avevano permesso il passaggio delle truppe del Nord attraverso le Montagne della Luna? Tutte domande a cui Tyrion intendeva trovare risposta.
-Adesso è guerra, immagino.-
Tommen strinse le dita; una lama baciò il suo palmo ed il sangue scivolò dalla stretta, percorrendo la lunghezza d'una spada, simile al baluginio d'un rubino.
-La guerra non è mai finita, a quanto pare.-
Era l'unica risposta di cui tutti avevano bisogno. Margaery Tyrell nascose un sorriso. Tyrion Lannister fissò a lungo suo nipote, con qualcosa di simile alla compassione negli occhi; infine annuì solennemente. A noi, dunque, Bran Stark, pensò.
E guerra fu.
***
Le piante scorticate dei suoi piedi bruciarono a contatto con il manto della neve e i suoi occhi si confusero affondando nel candore di quel mondo cattivo. Myrcella inspirò forte il vento del Nord, schietto e verace: un mondo cattivo ma onesto, nella sua limpida austerità, come i miasmi stordenti di Approdo del Re non avrebbero mai permesso alla città di essere.
Il freddo avvolse Rickon Stark in una cappa, dolcemente, quasi riconoscendolo; il ragazzo non parve farci caso.
-Muoviti.- le intimò, strappando la fune che la legava dalle mani d'un attendente. La fanciulla gli scoccò un'occhiata adirata, ma o il giovane non se ne accorse o lasciò perdere. Myrcella, durante il lungo viaggio, non aveva ancora avuto modo di scoprire cosa Rickon pretendesse da lei: la maggior parte del tempo, ella l'aveva trascorso nella penombra d'una cassa chiusa a quattro ruote, trascinata da alcuni servi, insieme ai rifornimenti di cibo. Il ragazzo si assicurava soltanto al calar della sera che lei fosse lì: talvolta, intimidita dalla sua presenza, Myrcella fingeva di dormire per non dover affrontare il suo sguardo penetrante ed insolente.
Non aveva idea, per esempio, di cosa egli potesse stare pensando in quel momento: la fronte era aggrottata, le labbra s'incurvavano talora in un piccolo e fugace ghigno per poi distendersi e ricomporsi, gli occhi tallonavano ostinatamente il filo d'un pensiero fisso. Rickon, dopo aver rivolto con lo sguardo un compunto saluto al sole apatico e fumoso del Nord, marciò a lunghi passi verso le mura di Grande Inverno. Myrcella la ricordava talmente diversa che, non appena la vide, credette che si trattasse d'un altro luogo. Il fatto era che la ricostruzione aveva intaccato gravemente la bellezza della roccaforte: vi rimaneva soltanto una rigorosa, intransigente, piatta brutalità, nella forma squadrata delle pietre che la componevano così come nel disegno sgraziato dei merli e nella statura rozza delle torri. Non vi era più quell'antica nobiltà, quel tradizionale calore, quella secolare onorevolezza che una volta erano caratteristici di Grande Inverno, soltanto un fortino, un maniero che esibiva le sue cicatrici e ringhiando sfidava gli esterni a provare ad assediarla. Guerriero, tetro, ostile. Quella resurrezione sapeva di morte, non di sangue.
Rickon si fece riconoscere dalle guardie semplicemente con una lenta occhiata minatoria. Myrcella doveva come sempre affrettare il passo per stargli dietro, e i piedi nudi -i sandali stracciati avevano ceduto da un pezzo- stridevano di dolore stillando proteste dalle ferite. Lievi impronte rosate di sangue seguivano la sua ombra.
Rickon e il suo metalupo avanzavano con sicurezza nei corridoi semibui che si aggiravano nella fortezza fino a condurre al centro, ad un portone a battenti di pietra alto almeno dieci piedi. Erano quasi giunti alla meta, quando una voce frenò la loro avanzata.
-Rickon? Sei tornato.- Una donna incedeva dall'altra parte del corridoio. Vestiva con un umile abito marrone che cadeva a pennello sul suo corpo snello e una pelliccia sulle spalle. I capelli indomati s'arruffavano lungo la schiena, in un morbido disordine.
Rickon le lanciò un'occhiata che, per la prima volta, a Myrcella parve distendersi d'una certa affabilità. -Speravi d'esserti liberata di me, Osha?-
La donna avanzò fino a trovarglisi di fronte e gli assestò una mano sulla spalla, in un gesto burbero ma chiaramente affettuoso. Infine sorrise orgogliosa.
-Sapevo che sarebbe andato tutto per il meglio. Non ho mai dubitato di te.- La giovane Lannister non riuscì assolutamente a decifrare la natura del bizzarro legame che intercorreva fra loro.
Rickon la fissò con impetuosa, quasi corrucciata intensità. -Come potresti fare diversamente? Dopo tutti questi anni...-
Qualche istante di comunicazione silenziosa scorse nel contatto dei loro sguardo, poi Osha si congedò. -Su, va'. Lui ti sta aspettando.-
Fece un cenno con la testa verso la porta. Il giovane annuì infastidito; attese che l'amica proseguisse lungo il corridoio fino a sparire dietro un angolo ed esitò un momento, prima di girarsi verso Myrcella; ella, che non s'aspettava d'essere considerata così d'un tratto, sussultò.
-Quando entriamo, non dire una sola parola. Stai sempre zitta, qualsiasi domanda mio fratello ti faccia. Rispondo io al posto tuo. Capito?-
Myrcella gli lanciò un timoroso sguardo fra le ciglia e annuì appena oscillando il mento. Quel viscerale, vibrante rancore che si faceva strada nelle iridi celesti di lui, quasi squarciandole, continuava ad impressionarla ed agire contro di lei, come un'orrenda deformazione, che la faceva quasi vergognare -come se davvero credesse d'avere una responsabilità nei confronti della sua rabbia.
Capito? C'era un'aggressività tagliente in quella domanda. Rickon tirò energicamente la corda e spintonò la porta appoggiandovisi con la spalla.
La sala del trono era grande, disadorna e desolata. V'erano due grandi tavoli di legno addossati ad ambo le pareti, a percorrerle per tutta la loro lunghezza, qualche candeliere a bracci appeso ai muri ad equivalente distanza l'uno dall'altro, a reggere lumi dallo stoppino intatto, e null'altro. In fondo, sopraelevati rispetto alla sala da cinque gradini, v'erano due scranni di pietra massiccia.
I passi di Rickon risuonavano risoluti in un'eco funerea, disperdendosi nell'aria inquinata di buio. Myrcella, scostando a fatica le tenebre con gli occhi, distinse i regnanti del Nord.
Aveva molto sentito parlare di Brandon Stark, il re storpio: eppure, appena lo vide, si vergognò precipitosamente d'aver anche solo udito quell'epiteto sprezzante dalla bocca altrui. Nei suoi brumosi ricordi, Bran era un ragazzino gracile infagottato nelle coperte del suo letto, a lottare per la vita, accerchiato da un capannello di familiari premurosi: non ve n'era più la benchè minima traccia. Anche lui, come Grande Inverno, pareva sprofondato in un mondo infero, sotterraneo -pareva guastato d'ombra, con inchiostro nelle vene anzichè sangue.
Il volto era allungato, smagrito, scavato, come se su quei lineamenti fossero state combattute mille battaglie; nei suoi occhi, invece, c'era l'inesplicabile fermezza della vittoria d'una guerra. Il suo sguardo era gravoso, opprimente, pregnante, una verità inesorabile che abbatteva qualsiasi difesa, un'atroce consapevolezza che non si può accettare senza venirne schiacciati, un'amarezza irrefrenabile che evadeva i confini, penetrava nella pelle e privava brutalmente d'ogni via di fuga, lasciando a mani vuote e mente disarmata. Le guance completamente glabre erano macchiate di pallore, come se l'alito del Nord le avesse punte e la pelle non fosse stata in grado di dimenticare il suo tocco; egli indossava un ampio mantello di velluto grigio, bordato di pelliccia più scura, trattenuto al collo da una spilla ch'effigiava lo stemma della casa Stark. Un anello di ferro era adagiato fra le sue ciocche castane mogano, che s'allungavano languide fino alle clavicole; ma in fondo era il potere a designarlo, il dolore a fregiarlo, l'autorità ad incoronarlo, come un diadema non avrebbe mai fatto. Myrcella comprese che in quel volto, in quella sala, in quella fortezza s'era cicatrizzato tutto il male ch'era stato compiuto -tutta la sofferenza ch'era stata bevuta, incorporata, assimilata.
Bran Stark ispirava rispetto: non il commiserevole rispetto suscitato dalla pietà, ma quello generato dall'attanagliante sensazione d'asservita, inconsapevole, sordida inferiorità. Rispetto regale. Nella sua anima era inciso qualcosa di totale -qualcosa di annientante. La fanciulla pensò a quello che si diceva di lui, c'era capace di uccidere con la sola forza dello sguardo, e d'un tratto non le parve più così inverosimile. Bran non guardava lei bensì quelle iridi, in cui non si riconosceva più l'oscurità della pupilla, concentravano la loro spaventosa attenzione più indietro, dritto nell'anima di Rickon Stark.
Il fratello più giovane rispose senza remore. -Ti sembra questa la maniera di accogliere un vincitore?-
-Parla.- L'ordine risuonò chiaro e lapidario come un sasso in mezzo alla fronte.
Rickon, serrando appena gli occhi, parve tentato di disobbedire a tutta quell'autorevolezza. Infine prevalse la soddisfazione d'elencare i propri trionfi. Ogni parola fu uno stiletto fra le costole per Myrcella.
-Tywin Lannister l'ho servito per primo, senza che abbia avuto nemmeno il tempo di amministrare i suoi uomini. Mi sono premurato di staccargli per bene la testa dal collo. Un lavoro sporco quanto appagante. Poi la gemella troia. Come ultimo eroico gesto, ha tentato di mettere in salvo la prole. Tenero, non trovi? Aveva persino un pugnale nel corsetto, la baldracca. Le ho aperto la gola da parte a parte. A quella è arrivato Jaime, il paladino ritardatario... cosa credeva di fare, con quel moncherino che si ritrova al posto della mano destra?! Si è lasciato infilzare come un lattante. Sua sorella mi ha dato più filo da torcere di lui. Sfigato. Invece il mostriciattolo biondo è riuscito a fuggire, grazie alla sua amorevole madre... quasi quasi, vorrei che fosse sopravvissuta soltanto per ucciderla di nuovo.-
-Smettila con questi commenti di cattivo gusto. Limitati ad esporre i fatti.- tagliò corto Bran, visibilmente infastidito dalla tracotanza del fratello.
Rickon non gli diede retta. -Il mostriciattolo è scappato a cavallo, insieme a quella ragazzina impubere di Loras Tyrell. La puttana di Altogiardino invece al torneo non c'era: altrimenti l'avrei squartata come una scrofa e ti avrei portato il suo bastardo nella bisaccia.-
Rendendosi conto che si stava riferendo a Margaery, la moglie di suo fratello, incinta di otto mesi, Myrcella rabbrividì.
-Rickon, per l'amor del cielo!- Bran poggiò pesantemente il capo nell'incavo del palmo, esasperato.
Quell'altro, indifferente, proseguì. -Nemmeno il Folletto c'era. A quanto pare è rimasto alla Fortezza Rossa. Beh, sarebbe stato troppo facile, se li avessi eliminati tutti in un sol colpo: ne rimangono tre. Tommen Lannister. Tyrion Lannister. Il bastardo nella pancia della Tyrell.- Rickon li numerò uno ad uno sulle dita. Poi la sua bocca si storse in un ghigno. -Ah, e poi c'è lei, naturalmente.-
Indicò Myrcella con un cenno indolente del capo; la fanciulla, di riflesso, abbassò la testa come se si aspettasse un manrovescio. Quanto in fretta s'impara la dottrina della paura, pensò.
Il re del Nord a quel punto la osservò, le iridi -a celare egregiamente i suoi pensieri- mosse in un gesto ponderato. Sorvolò sull'aurea bellezza dei suoi boccoli scomposti, sull'immacolata dolcezza della sua pelle denudata dall'abito logoro, sulla soave armonia della sua figurina aggraziata, e considerò quella situazione che evidentemente non si aspettava. La scrutava con lo stesso circospetto, biasimante disappunto con cui s'esamina le vittime mietute da una calamità.
-Questo succede ad affidare un esercito ad un sedicenne assetato di sangue.- commentò egli freddamente.
Sorprendentemente Rickon, per quanto fosse permaloso d'indole, si limitò a sogghignare compiaciuto. Myrcella era quasi incredula: sedicenne? Soltanto sedici anni? Egli sembrava più grande della sua età, forse era per via dell'altezza. Il re del Nord proseguì.
-Sarebbe stato meglio se ti fossi attenuto alle disposizioni e avessi ucciso soltanto Tommen Lannister, ma va bene così. Gli altri ovviamente non meritavano la morte meno di lui.-
Rickon s'imbronciò. -Allora, se non sei soddisfatto, la prossima volta vacci tu a combattere, invece di rifilare il lavoro sporco agli altri e poi lamentarti!-
-Sai benissimo che se potessi lo farei...- Bran liquidò la questione con un gesto seccato. -Tornando alla prigioniera, non credo sia stata una buona idea. Perchè mai l'hai portata fin qui? Hai intenzione di ricattare Tommen? Sarebbe una vana speranza. Dopo tutti questi omicidi, è escluso che voglia sentir parlare di compromessi. Inoltre non è soltanto lui a prendere le decisioni: il suo Consiglio gli proibirà tassativamente di arrendersi ad una pace umiliante, per giunta a caro prezzo, per avere indietro nient'altro che lei. È la stessa cosa che avvenne con Arya e Sansa...- 
-C'è un'altra persona che non vuole sentir parlare di compromessi, e sono io: non lo scordare mai più, Bran.- ringhiò Rickon. -Niente ricatto, niente oro, niente pace. Me la sono presa io, quindi è mia e ci faccio quel che mi pare e piace. Se muore, lo decido io. Se vive, lo decido io. E' chiaro?-
Il fratello non gradì quell'atteggiamento bellicoso. -Stai attento a come parli.- lo avvertì a mezza voce.
-Indubbiamente, sei un vero gentiluomo, Rickon.-
Quella voce era nuova a Myrcella: a parlare era stata la regina. Quando la giovane Lannister spostò lo sguardo, vide il sorriso malizioso d'una ragazza con una nuvola di ricci fitti e castani, vaporosi intorno al viso. Ciò che confortò appena Myrcella fu il fatto che, per la prima volta dopo quegli interminabili giorni, qualcuno la osservasse senza rancore o diffidenza, o addirittura disgusto. Tutti quegli sguardi affilati e ostili l'avevano ferita più dolorosamente dell'accidentato terreno sotto i piedi scalzi. La regina invece la guardava con indiscrezione, ma senza malevolenza, e per un attimo Myrcella si ritrovò a sperare che l'avrebbe tolta da quella situazione orribile. Ma naturalmente era un disperato vagheggiamento.
-Nessuno ha chiesto la tua opinione, mangiaranocchie.- sibilò Rickon, lanciando alla ragazza seduta sul trono un'occhiata scorbutica.
-E io te l'ho data lo stesso, vedi che discola?- ironizzò lei. Poi il sorriso si freddò in un'espressione più torva che le fece luccicare una nuova malinconia negli occhi, come se un'ombra fosse calata lentamente sul suo viso. -Bran è sempre il tuo re, e un atteggiamento come questo gli arreca offesa. Se vuoi, posso chiarirti il concetto in un altro modo.-
Rickon scoprì i denti: evidentemente non chiedeva di meglio. Portava ancora la spada alla cintura. -Quando vuoi.-
-Basta, tutti e due!- Bran dischiuse un pugno, sollevando il palmo in un gesto perentorio: comandò il silenzio ed esso calò docile. -Come possiamo pretendere di combattere una guerra, se ci scontriamo in primo luogo fra di noi? Meera, non devi stare al suo gioco. Se lui ti provoca, lascia correre. Rickon...- Per qualche istante, ponderò le parole sulla lingua. -Ognuno ha un suo ruolo qui, e forse devi ancora capire qual è il tuo. Per quanto riguarda la prigioniera, invece...-
Myrcella, nell'udir scandire quella frase, abbassò il capo per evitare il suo sguardo. Quegli occhi le bruciavano la nuca. Quando non li avvertì più su di sè, Myrcella osò alzare la testa; Brandon s'era voltato alla sua sinistra, a cercare lo sguardo del ragazzo in piedi accanto al trono. Finora Myrcella non vi aveva fatto caso: egli era alto, slanciato, con ondulati capelli d'un biondo cenere che si perdeva nel castano miele; era vestito d'una lunga e ruvida cappa verde, che ammantava la sua intera figura fino alle caviglie, adagiandosi sulle sue spalle. Il ragazzo trovò gli occhi del suo re, dove indugiò per pochi attimi; infine chinò appena il mento in un assenso impercettibile.
-È deciso.- dichiarò allora Brandon Stark.
-Era già deciso da prima.- precisò Rickon, dedicando un'ultima occhiata minacciosa all'indirizzo del ragazzo vestito di verde, che da parte sua non battè ciglio.
Myrcella credeva di sapere chi fosse quel giovane, ed arrossì. Suo nonno Tywin aveva parlato anche di questo, quando sproloquiava a proposito del re del Nord: aveva utilizzato il termine sodomita, per l'esattezza.
Rickon strattonò la fune e Myrcella, con gli occhi vuoti e il cuore pesante, lo seguì senza azzardare una parola.
Quando il portone si chiuse dietro di loro, Meera si rigirò sul sedile di pietra fino a guardare per bene Bran negli occhi.
-È proprio necessario? Avanti, non hai visto com'era terrorizzata? In fondo, è soltanto una ragazzina. Che parte vuoi che abbia avuto nel complotto contro la tua famiglia? Probabilmente non ha neppure idea di cosa sia successo...-
-Ciò non è sufficiente ad assolverla.- replicò Bran. -Non siamo stati noi a dare inizio a questa faida. Credi che a qualcuno importasse l'innocenza di Sansa, quando è stata trattenuta come ostaggio ad Approdo del Re? Credi che qualcuno si sia fatto il minimo scrupolo nell'eliminare Arya in qualche modo che nemmeno sappiamo? La moglie di Robb era una donna, era incinta, ed è morta. Perciò, per quale motivo dovrei graziare Myrcella? Non m'importa così tanto. Inoltre, non voglio rischiare di complicare il mio rapporto con Rickon, che già è quello che è, per colpa d'una Lannister... Se mio fratello vuole che Myrcella muoia, o che Myrcella diventi la sua schiava sessuale, così sia.- Nel notare l'espressione accigliata di Meera, Bran sospirò. -So che l'idea non ti piace, non credere che per me sia diverso. Però non ho l'arroganza d'affermare d'avere fatto la scelta giusta. Solo quella più facile.-
La ragazza proseguì, indispettita. -Almeno non dirmi che sul serio permetteresti a Rickon di strappare un bambino dal grembo di sua madre!-
Il marito le rivolse uno sguardo indecodificabile. -Davvero vuoi che un giorno arrivi un Lannister a Grande Inverno a uccidere nostro figlio per vendicare suo padre? Io e Rickon siamo la prova vivente che, quando si vuole sterminare una famiglia, bisogna accertarsi che non vi sia alcun superstite.-
Meera annuì gravemente; la sua espressione s'irrigidì scomodamente all'altezza delle guance. -Capisco. Come vedi, Bran, nella vita tutta la sofferenza che elargiamo torna indietro a seppellirci.-
Bran distolse lo sguardo velocemente, quasi inquietato; invece Jojen Reed fissò molto a lungo e molto intensamente sua sorella, senza dare a vedere se fosse pensieroso o preoccupato, quasi le scavasse la mente alla ricerca di quella verità ch'aveva omesso.
Intanto, Rickon trascinava Myrcella nelle viscere della Terra. Scendeva i gradini in fretta, furiosamente, e la fanciulla barcollava atterrita, incapace nel buio di vedere dove metteva i piedi. Infine la rampa di scale avvolta su sè stessa terminò e vi fu solo il terreno accidentato d'un sotterraneo. D'un tratto il giovane Stark si fermò e cominciò ad armeggiare, causando un frastuono sconclusionato di ferraglia; Myrcella rimaneva con il fiato sospeso, ad aspettare il suo destino. Poi le braccia forti del suo rapitore la spinsero in avanti -dentro ad una cella, a quanto sembrava.
Rickon chiuse la porta dietro di sè, in uno schianto di metallo arrugginito. Rimase fermo, immobile, quasi ad aspettare qualcosa. Myrcella aveva le viscere contorte nello stomaco.
Quando il ragazzo si voltò, con un sorriso sospeso sulle labbra che svelava i canini triangolari, lei capì.
-Dov'è finito l'onore degli Stark?- sussurrò, in un soffio di voce esile come un petalo di soffione. Rickon la afferrò per il fragile pezzo di stoffa che ancora le cingeva il seno, traendola a sè, saccheggiando il suo fiato.
-Già, dimmelo tu. Dov'è finito? L'avete calpestato tutti quanti sotto le scarpe, l'onore degli Stark.- ringhiò sottovoce.- Non osare ripeterlo, non osare mai più: non posso sopportare la parola onore sulle labbra d'una Lannister.-
E, proprio come se volesse succhiarle via quella parola di bocca, strappargliela dalla carne, vi si avventò con efferato impeto. Fu l'impatto con il fondo d'un precipizio.
Myrcella realizzò cosa sarebbe successo e deglutì a fatica. Non si era mai sentita finora piccola, vulnerabile e sola come in quel momento, invasa da un calore selvaggio che le scottava l'anima.
A Rickon bastò lasciar scivolare le unghie sul fianco sinuoso di lei ed il tessuto sbrindellato cadde a terra, lasciandola completamente nuda e bianca. Non v'era più nessuna difesa a dividerla -a preservarla- dalla cruda essenza di quegli occhi diafani. La bocca di Rickon la possedeva gradatamente, si prendeva tutto il tempo per gustare il suo corpo e sorbire il suo panico, a leccare via la pelle d'oca dalle sue braccia, ad azzannare i suoi tremiti per frenarli. Strofinando le labbra contro di lei, mordendole i capezzoli fino a farli sanguinare, sorrideva ancora.
-Non ti verrà mica da piangere, vero?- Poco più d'un graffio roco, un istante prima di affondare violentemente fra le sue cosce, tentando di estorcerle un gemito di dolore -sfidandola a soffrire.
Myrcella non distolse mai gli occhi dai suoi -nemmeno per un istante.

















Note dell'Autrice: Salve salve! Ecco qui il primo capitolo. Mi ci sono impegnata parecchio, quindi spero che sia ben riuscito! Nel caso in cui Bran sia risultato inquietante, Meera incazzata, Tommen un povero cucciolino e Rickon una magnifica, fottuta carogna, allora sì, il capitolo è ben riuscito. ^-^ Caspio, quanto amo Rickon. Bran di più, ma abbastanza anche Rickon.
Come avete avuto modo di osservare, Rickon ha fatto la sua plateale entrata in scena! XD Nel vero senso della parola, con tanto di porta sfondata. E questo è l'inizio di tutto, ovvero un certo torneo tenuto a Runestone -ho cercato su Internet: è una città vicino alla Valle di Arryn dove già in passato si è svolto un torneo- che poi è finito in tragedia, almeno in tragedia per i fan dei Lannister. Per quanto mi riguarda, Starks 'til death, ragazzi. Cioè. Non è che abbia una predilezione per i moralisti, eh, tutt'altro! Però i Lannister sono noiosi e si incavolano per niente e sì, se le vanno a cercare col lanternino. Dài, qualche Lannister doveva morire pur! Della serie: Rickon passa subito ai fatti (*-* lasciatemi sbizzarrire coi doppi sensi, per favore!). Allora mi sono sbarazzata dei Lannister che più mi intralciavano nello svolgimento della storia.
E sì, avete capito bene: Bran e Meera hanno pure un figlio (piccolino piccolino, eh!), di cui si accennerà meglio nel prossimo capitolo. Adesso, io ho sentito molti dire cose tipo che Bran in seguito alla caduta non può più avere figli, ma dato che nel telefilm nessuno lo dice chiaramente (e che deve darsi moooolto da fare con Jojen...) e che non deve essere per forza vero, e che a me gira così, faccio finta di niente.
Concludo qui. Volevo solo ringraziare chi ha messo questa storia fra le preferite/ricordate/seguite, chi ha recensito il prologo e chi ha letto questo lungo capitolo! Vi preannuncio che nel prossimo si riparlerà ovviamente di Rickon e Myrcella, Sansa entrerà in scena e... ci scapperà un pelino di slash. XD
Mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensate, circa i personaggi e le vicende o robe del genere! Grazie ancora a tutti, al prossimo aggiornamento!
Lucy 
  
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