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Autore: Vella    27/10/2013    8 recensioni
"Non consigliata ai deboli di cuore.
Quanti di voi hanno sempre considerato Mirtilla Malcontenta una povera sfigatella? Persino io lo pensavo. E poi? Cosa è successo? Mirtilla, la nostra fantasmina dei bagni femminili, non è quello che appare. Lei non è mai stata una stupida Corvonero. Il cappello non ha sbagliato a smistarla, la sua intelligenza, infatti, supera i limiti massimi.
E chi può rimanere colpito da tanta astuzia se non Tom Riddle?
Questa che state per leggere è una vera e propria storia, in tutto e per tutto, tradizionale fino al midollo, niente verrà scombussolato e noi, sì, proprio noi, daremo una spiegazione più che valida a tanti fattacci. Com'è che diceva Silente?
Non provare pietà per i morti, Harry. Prova pietà per i vivi e soprattutto per coloro che vivono senza amore ? Chi, infatti, ha mai detto che Lord Voldemort non stesse vivendo per amore? "
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Avery, Mirtilla Malcontenta, Rubeus Hagrid, Tom O. Riddle
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Contesto generale/vago
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Mancava un'ora all'incontro nel cortile. Tutti gli studenti erano stati invitati a munirsi di ombrello e mantello col cappuccio. Erano quasi pronti. Anche i professori, eccetto Lumacorno. Aveva un lumo per corno.
La battuta più squallida che avesse mai sentito. Tralasciando futili particolari, mancava ancora un'ora al raduno per Hogsmeade, poco gli importava sinceramente ma aveva promesso a Madame Rosmerta* che si sarebbe presentato al pub: giusto per un bicchierino di whisky incendiario, nulla di più!
In fondo quella sera doveva intrattenere una cena razionale e del tutto perfettina con i suoi studenti, non poteva mica far la figura del poco-sobrio?
Nel frattempo che il tempo scorresse via, si trovava nel suo stanzino personale, osservava attentamente le pozioni di quella settimana che avrebbe dovuto usare da campione nelle lezioni. Stava cercando di catalogarle in base agli anni, e la cosa richiedeva più tempo di quanto si fosse aspettato.
Fece scivolare la scala mobile da una parte all'altra dello stanzino e salì i primi tre gradini pronto a compiere la dodicesima ispezione.
Rimase leggermente a bocca asciutta però.
Il dodicesimo scaffale sul lato destro era la parte che curava il meno possibile, erano pozioni che non avrebbe di certo spiegato agli studenti, alcune erano quasi inutili. Proprio come quella lì.
«Dove diavolo si sarà cacciata...?!» borbottava da solo, ficcando entrambe le mani sull'intero davanzale.
Ma, possiamo dirlo, di quella piccola bottiglietta distinta semplicemente dall'etichetta non ce n'era traccia.



Pioggia che scendeva copiosa dal cielo, lasciava tracce ovunque, era abbonante, strana, quasi acida. Il cielo era scuro, le nuvole avevano perso ogni segno di una purezza antica, bianca. Il terreno impregnato d'acqua, faceva uno strano rumore ad ogni passo umano. La lunga tunica nera sfiorava l'erba, le mani erano racchiuse con cura nelle tasche, le labbra screpolate, uno sguardo vacuo e indiretto. Era quasi arrivato sotto il grosso albero. Non riuscì e non volle trattenere un sospiro di sollievo. Quando scomparì, sapeva di non esser stato intercettato da nessuno, sapeva che avrebbe potuto girovagare perfino nudo, ma l'eccitazione della giornata impediva chiunque di concentrarsi veramente sulla realtà. Quel giorno erano tutti dispersi in un mondo parallelo, un mondo che non avrebbe mai preso forma, un mondo fatto di sogni, quei sogni in cui tutti noi crediamo ma che, ovviamente, rimangono paralleli, impossibili da incontrare o incrociare per sbaglio. Anche lui camminava al fianco dei suoi sogni, ma era convinto che quella vicinanza si accorciava ogni giorno di più e che ci sarebbe riuscito a raggiungerli. Erano tanti, ma lui, in fondo, era potente. Troppo. La quiete di quel posto riusciva a distruggergli i timpani, la pioggia che picchiettava regolarmente sul vetro lo irritava. Si inumidì le labbra con la lingua, e si coprì meglio con il cappello del mantello. Aveva le mani gelate strette in un pugno, gli occhi gli pizzicavano, il freddo di quel giorno si stava impossessando di lui. Quasi per sbaglio.
Quando uscì dal luogo inatteso, sentì di nuovo la pioggia piangere sul suo viso, e gli stivali affondare nelle pozzanghere profonde.
I suoi pensieri vagavano lontani, non era lucido o stabile, ma semplicemente convinto. Doveva trovarla, era una sensazione, era pronto e sicuro di riuscirci. La rabbia lo stava accecando. Tanto da renderlo un'altra persona. Aveva quello strano sapore di piscio.
Nel frattempo, in modo consueto e dallo sfondo dolciastro, le strade di Hogsmeade sprizzavano di studenti e maghi adulti. Tutti, seppur la pioggia sembrava impedirlo, erano lì a far compere, felici e spensierati come doveva essere.
Mielandia era gremita di clienti scorbutici e rozzi, tutti alla ricerca del dolciume perfetto. Tra i tanti, Alexander teneva sotto braccio la giovane Fiabetta, e Mirtilla insieme all'amico incomodo si trovavano qualche metro più dietro, intenti ad aprire una conversazione sensata e senza destare troppo imbarazzo nelle frasi.
Mirtilla, personalmente, non riusciva a capire da dove provenisse tutta quella pazienza, la sua psicologia spingeva lei e il suo corpo ad istinti omicidi verso l'amichetta del cuore. Eppure, vedendola così felice vicino ad un ragazzo, seppur davvero odioso, la rincuorava un po'. Lo sforzo che stava affrontando quel giorno non era invano, almeno (lo sperava).
«Ragazzi! Usciamo, comincio a soffrire di claustrofobia» boccheggiò senza risultato la mora. Fiabetta si girò sorridendole a trentadue denti, aveva uno strano luccichio negli occhi che, doveva ammetterlo, l'innervosiva.
«Andate avanti tu e Kar! Vi raggiungiamo subito».
«Vi raggiungiamo subito» scimmiottò Mirtilla proseguendo Kar, perché l'amico carota che Alexander le aveva rifilato, si chiamava Kar ed era una specie di peperone rosso, con una miriade di lentiggini cadenti sul naso e i capelli corti, rivolti all'indietro: erano instancabilmente arancioni.
I due si ripararono con i cappucci dei mantelli, c'era un certo impaccio e mancanza di fantasia. Aspettarono l'uscita dei presunti piccioncini. In verità Fiabetta, doveva ancora capire se Alexander facesse per lei o meno, ma nel frattempo si divertiva e credeva che anche Mirtilla stesse trascorrendo una buona giornata. Una povera ingenua, dal viso imbronciato e gli occhi assonnati non poteva trarne il meglio, eppure l'aura positiva che aveva addosso quel giorno, la spingeva a crederci.
«Caramella?» chiese Fiabetta a Mirtilla, lei scosse la testa guardando con un certo disappunto Alexander.
«Stavamo pens-... mmh». Quest'ultimo stava mangiando della roba incorrisposta fatta di cioccolato e di altre sostanze sconosciute.
«Sì, insomma stavamo pensando di camminare un po' invece di rinchiuderci in uno stupido locale» continuò Fiabetta saltellando su una gamba sola.
Kar era un ragazzo abbastanza impassibile, aveva costatato in precedenza la piccola Malcontenta, quindi non si meravigliò quando lo sentì esclamare:
«Avete qualcosa in mente». C'era arrivata anche Mirtilla, eh. Non è che doveva perennemente fingere d'essere così stupida e brutta persino interiormente.
«Sì!» sorrise Alexander,«vogliamo andare alla Stamberga!»
«La Stamberga Strill-... ehi!» qualcuno aveva spinto Mirtilla, facendola barcollare e arrabbiare contemporaneamente.
«La Stambera Strillante, esatto Mirty. Più che una passeggiata io opterei per una corsa, comincia a piovere più forte».
"Correre come elefanti in calore su una strada stretta ed affollata, che magnifica idea", l'aveva pensato Mirtilla che senza ascoltare il resto della conversazione venne spintonata da Kar e incitata a correre. Ma lei poco lo fece. Anzi, la strada in pendenza era persino scivolosa e non aveva di certo perso tempo a contare tutte le volte che lei e l'amico carota erano caduti provocando dei ruzzoloni abbastanza dolorosi.
Ci misero non più di dieci minuti per arrivare e con sederi doloranti e mani graffiate, riuscirono a raggiungere gli altri due compagni del giorno. Avevano quell'aria così innocente che Mirtilla proprio non riusciva a mandare giù. Le mani le dolevano un sacco e neanche Kar si trovava in una situazione migliore. E - avrebbe dovuto capirlo prima- quell'idea della Stamberga era stata così affrettata che era impossibile non considerarla totalmente stupida. Da lontano, finalmente, scorsero la casetta in pendenza, intorno ad essa aleggiava una strana nebbia, lasciava intravedere appena le finestre e il cortile e non conservava neanche un briciolo di erba fiorente.
Anche a quei tempi - anni ancora ignoti a noi- si diceva che la casa fosse infestata da qualcosa di incomprensibile, che non fosse nulla di buono. Forse oscuro, ma ovviamente tutto era smentito in gran parte, le leggende giravano a gran voce ma nessuno alla fine perdeva del tempo a crederci e ad immaginare nuove storie da raccontare alle generazioni future.
Mirtilla si strinse nelle spalle, distanziava di pochi passi dall'amica, lo sguardo ricadeva tiepido sulla casa degli orrori - se proprio doveva esser soprannominata- e la pioggia sembrava essere diminuita appena. Chissà, forse il vecchio e indimenticabile professore di Storia della Magia stava radunando gli studenti per raccomandarli in qualche negozi all'asciutto e forse la gita sarebbe finita prima del previsto, ma tutto questo loro non potevano saperlo, erano lì, davanti a qualcosa che a Mirtilla poco interessava e i compagni avevano l'aria quasi eccitata.
«Da qui si vede malissimo», affermò Alexander, dava la schiena a Kar e alla mora, stringeva sotto braccio Fiabetta, e le sue possenti spalle - solo allora Mirtilla se ne accorse- erano perfette per un battitore.
"Battitore, grifondoro e apparentemente bello, cosa vuoi di più dalla vita Betta?" pensò Malcontenta scuotendo appena il capo.
No, non faceva per la mora, troppo altezzoso, con quell'aria coraggiosa e quel portamento fiero, ma lo era veramente? Una domanda che frullava da troppo tempo nella mente di Mirtilla. Kar si era avvicinato a lei, era al suo fianco e guardava la casetta, immerso in una foschia di pensieri: aveva la fronte corrucciata e non sembrava troppo preso dal battibecco che stava per nascere.
«Dovremmo avvicinarci» aveva continuato il grifone.
«Scavalchiamo!» trillò Fiabetta.
«Scordatevelo» aveva affermato quindi la mora.
Dopo di ciò, alcune frasi futili ne seguirono. Convenevoli per convincere Mirtilla e Kar, ma, si sapeva, i due boccioli non avevano alcuna intenzione di portarsi dietro anche i "terzi incomodo". O almeno, questo era il ragionamento di Alexander.
«Aspetteremo qui!»
«Sotto la pioggia, Mirty? Vi prenderete un malanno!»
"Già fatto cara".
«Allora andremo ai Tre Manici di Scopa, v'aspettiamo lì entro un'ora». La diplomazia di Kar colpì ed affondò tutti i componenti del gruppo. Mirtilla si trattenne nell'alzare gli occhi al cielo: l'idea di rimanere da sola con quella specie di carota vivente non era di certo nelle sue intenzioni e soprattutto doveva condividere una lunga passeggiata fino al villaggio dove avrebbero dovuto parlare e conversare amabilmente giunti alla locanda.
Era un flashback che si ripeteva lentamente e dolorosamente nella mente della giovane.
Strinse le braccia al petto e indietreggiò di alcuni passi: non era d'accordo, era persino diffidente.
«A dopo allora!» le conclusioni furono prese e Kar, senza alcun preavviso, afferrò il polso destro di Mirtilla trascinandola lontano da lì. La giovane ragazza non riuscì neanche a spicciar parola, il ragazzo-carota glielo impedì mentre la spingeva lungo la strada da poco percorsa nel verso opposto.
Quando arrivarono al villaggio, Mirtilla dovette mettere a fuoco la vista e cercare di orientarsi istintivamente. Fiabetta era su quel monte, da sola, con una specie di ragazzo tutto muscoli -senza cervello. La cosa doveva piacerle? Ma quelle paranoie dovevano finire, era diventata stancante persino per lei.
«Cosa... hai...» l'attenzione della Corva fu presto, di nuovo, rapita da Kar, che aveva lasciato il suo polso leggermente arrossato ed ora camminava a passo spedito verso i Tre Manici di Scopa, « fatto alla mano?» alludeva alla fasciatura intorno alle cinque dita, le bruciature le dolevano di meno, ormai si stavano formando piccole bollicine insignificanti.
«Un piccolo incidente di percorso», si limitò a rispondere Malcontenta.
«E questo percorso implica del pericolo?»
"Curioso il ragazzo", pensò lei.
«Può darsi, ma noi Corvi siamo persone intelligenti e logiche, quindi non c'è da preoccuparsi».
«Ma io non mi stavo preoccupando» ammiccò Kar, stringendosi nelle spalle, Mirtilla non ribatté, lasciò quasi cadere l'argomento appena vide dietro l'angolo l'amata locanda. Quanto tempo era passato da quando quei due s'erano rifugiati nella casa degli orrori? Sperava un sacco, non aveva intenzione di rimanere per più di venti minuti seduta alla stesso tavolo insieme all'apparente grifone temerario.
«Siamo arrivati» sospirò Mirtilla.
Aprì la porta di legno e si ficcò all'interno del luogo. Un locale ampio, poco illuminato e perennemente impregnato da uno strano odore di alcol e di caramello. Maghi e streghe sedevano a grossi tavoli di legno, il bancone era situato all'entrata del locale e i baristi, di solito, non superavano le due persone. Gli studenti, alle volte, non erano ben graditi, ma sembrava che quel giorno avessero permesso il loro ingresso, erano in vena di vendere burrobirre.
«Ordino al bancone, tu puoi...» disse Kar.
"Occupare già un tavolo" concluse mentalmente la frase Mirtilla mentre si dirigeva in un angolino luminoso, vicino alla finestra, appartato, statico, leggermente sporco.
Da quel punto non si poteva vedere molto, la strada era una distesa di acqua e di fango, lo scrosciare della pioggia stuzzicava la mente di Mirtilla che con un sospiro di -poco- sollievo, inclinò il capo e si lasciò andare per un nanosecondo al rumore del locale.
Aveva la brutta sensazione di essere osservata inconstantemente da quel brutto tempo. Aveva un presentimento antico, storto, addirittura strambo. L'aveva già detto che la pioggia non l'ispirava affatto? Se fosse rimasta al castello, sarebbe stato tutto più diverso. Anche una giornata cupa come quel giorno.
Lo sguardo era ancora perso al di fuori della finestra, gli occhi erano appesantiti e... ed è difficile raccontare ciò che successe poi, fu tutto così semplice e così pauroso da mozzare ogni briciolo di umanità. Ogni briciolo di lucidità.
Il tempo divenne qualcosa di lontano e tutto sembrò avvenire a rallentatore oppure troppo velocemente da esser notato o persino compreso.
Il fiato le mancò, il fegato si strinse a tal punto da scoppiar quasi, e la bocca semi aperta insieme agli occhi - ora spalancati- erano un subbuglio di incredulità. Le mani corsero vicino alla gola e cominciò a massaggiarsela, il corpo d'un tratto bollente, era diventato una massa bloccata.
Dall'altra parte del vetro l'aveva visti e non se l'era immaginati! O almeno credeva che così fosse.
Nessuno poteva darle torto. Nessuno poteva fermarla e farla ragionare.
Nessuno poteva dire che non fosse vero.
Erano neri. Quel nero più scuro del buio, o della pece, o dell'ebano.
Erano occhi infiammati, seguiti da lineamenti confusi con la pioggia, era stata una visione orripilante, forse perché raccoglieva quei tratti.
Lo scopo della gita era cercare di scrollarsi da dosso la sua presenza, ed ecco che veniva attaccata da crisi di un panico inesistente. Ed ecco che per puro sbaglio aveva visioni poco consone su Riddle.
Come era possibile?
Avrebbe voluto rispondere a tal domanda, avrebbe voluto alzare lo sguardo ed avere il coraggio di guardare ancora una volta fuori dalla finestra. Ma non ci riusciva. Le mancava ancora l'aria. E più spalancava le narici e più si sentiva soffocare.
«Ecco qui!» un urlo quasi, Mirtilla sobbalzò dalla sedia.
"Ma che razza di..."
Alzò la testa verso l'alto e si ritrovò il corpo di Kar davanti a lei.
«Ho portato io le due burrobirre» sorrise.
Mirtilla ricambiò e seguì i movimenti del giovane quando si sedé di fronte.
Ma la bocca si richiuse in fretta.
Gli occhi di Kar erano verdi.
Non erano neri.
Scosse la testa, intondendosi di più.
«Io non ho mai detto di volere questa bibita.» Sbottò la ragazza senza alcun preavviso. Il corpo era un subbuglio di tremolii.
«Oh, io non...» alzò appena il viso e per sbaglio o per non so cosa, fece incontrare i suoi occhi dal color di smeraldo, con quelli di Kar.
"Così neri... così scuri..."
Pensò.
Mirtilla aveva la bocca semi aperta (ancora) e continuava ad osservare il grifone. Davvero la sua mente aveva formulato tale stupidata? La seconda nell'arco di pochi minuti, per giunta.
Scosse il capo. Più che altro cercava di cacciare quei pensieri dalle orecchie. Ma chi voleva prendere in giro?
«Figurati, scherzavo». No che non scherzava. Il tono che aveva usato prima era perentorio ed accusatorio. Cosa diceva ora? Perché cercava di nascondersi? Perché ora stava osservando le vene intagliate su quel tavolo di legno? Perché ora non alzava più la testa? Si sentì la gola secca e bloccata, per questo decise di cominciare a sorseggiare la sua bevanda. Sperava ardentemente che Fiabetta ritornasse presto. La sua assenza stava avendo brutti effetti. Colpa dell'umidità? Della pioggia? Della nebbia? Colpa delle allucinazioni? Colpa dei suoi gusti personali? Beh, perché alla fine le piacevano gli occhi scuri, ma non così tanto da sognarseli.
Dimenticava che non era stata una cosa casuale però.
«Oh beh... oggi il locale non mi sembra tanto affollato...»
«No, infatti.» Rispose Mirtilla.
Non sapevano di cosa parlare. Diamine.
«Quest'anno...» cominciò la bruna, «devi affrontare i G.U.F.O., erro?»
«No. Infatti. I professori mettono sotto pressione. Pensano che così sia più facile.». Un tono morto. Troppo morto da sembrare vivo.
«Immagino non sia così, invece»
«Immagini bene» ammiccò. Mirtilla lo stava guardando negli occhi, ora. E lui se n'era accorto. Cercava -invano- di mantenere il suo sguardo. Era sicuro, al cento per cento, che lei voleva proprio questo; e non aveva tutti i torti.
La bruna, d'altro canto, non riusciva a capire. Non riusciva proprio a capire.
«Ti piace la pioggia?»
«No». Rispose Kar.
«Preferisci l'asciutto?»
«Decisamente»
«E scommetto che preferisci anche la solitudine alla compagnia».
«Cosa te lo fa pensare?»
"I tuoi occhi, Kar."
«Nulla. Penso che dovremmo aspettare gli altri fuori di qui.» se ne uscì così la corva.
«Ma siamo appena arrivati». E a Mirtilla sembrava che fosse passata un'eternità.
Malcontenta si alzò di scatto, lasciò un paio di galeoni sul banco e a passo svelto se ne uscì dalla topaia, tutto molto velocemente, non lasciò neanche il tempo a Kar di pensare o di elaborare una scusa per rimanere ancora un po' nel posto.
Le sembrava di esser diventata una palla da ping-pong. Era elastica, irrealistica, e statica.
Il vento gelido le invase l'intero viso, respirò con la bocca cercando di far scoppiare i polmoni, ma non ci riuscì. Aspettò di sentire i passi dell'amico dietro di lei, ma essi non si udivano. Doveva essere più sveglio quel ragazzo.
Aveva gli occhi chiusi, stava forse meditando?
Sentiva di tanto in tanto qualche gocciolina un po' sciocca caderle sul viso.

«Cosa c'è, Mirtilla? Ti senti forse chiusa in gabbia? Succede alle persone che dicono le bugie, lo sapevi?»

Non fu altro che un sussurro, Mirtilla spalancò immediatamente gli occhi e sentì il suo fiato sul viso, ma fu, davvero, solo un attimo. Non c'era nessuno davanti a lei se non maghi e streghe intenti a percorrere una strada scivolosa e bagnata.
Si girò di scatto e trovò il volto lentigginoso di Kar, insieme a quei due grandi occhioni verdi, così verdi e così intensi da far paura.
«H-hai detto qualcosa?» Malcontenta faticò a pronunciare la frase.
«Dicevo: hai dimenticato la tracolla sulla sedia, tieni». Ed ecco che le porse la sua borsa, la ragazza l'afferrò senza pensarci e mugugnò un 'grazie'.
In lontananza, finalmente, sentì una voce più familiare, meno allucinante.
«Penso che la gita sia finita ...» ammiccò Kar, era un sorriso tirato, gli occhi più spenti rispetto a pochi attimi prima. Quella frase aveva due significati diversi. Solo lei e lui, potevano capirlo. Era terrorizzata.
Corrucciò la fronte ed annuì appena. Rivolse un'ultima volta lo sguardo all'interno della locanda infine corse verso una Fiabetta tutta pimpante.


*Madame Rosmerta: in tal caso, la proprietaria dei Tre Manici non è colei citata nei film/libri, ma è la nonna.


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S|S: Forse mi odiate *coft*.
BUON POMERIGGIO! Oggi è domenica eheheheh u.u, e come sempre ecco qui il nuovo capitolo nella nostra stramba storia.
Siete perplessi? Avete molti buchi neri? Siete totalmente spaesati? Il mistero s'infittisce?
Nel quinto capitolo capiremo molte cose e riusciremo a comprendere meglio su questo qui u.u .
Allora,allora,allora,allora(senzaspazio), come vi è sembrato Kar? Dubbi? Cosa c'è che non quadra? Forse è un rettangolo? u.u
Ebbene, sono troppo curiosa di capire cosa vi ha suscitato questo capitolo *w*, ero partita con l'input del "il quarto capitolo sarà obbrobrioso" ed invece ne sono soddisfatta u.u (nondirlotroppoforteVella!).
Prima di salutarvi devo ringraziare qualcuno:
-Tutte le persone che hanno e recensiscono questa storia.
- I lettori silenziosi.
-Coloro che in questa settimana mi hanno spronata ed illuminata sul contenuto di questo scritto.
-Tutte le persone che hanno aggiunto la storia nelle seguite/ricordate/preferite!
-Le quattrocento visite che ha ricevuto il primo capitolo!
Vi ringrazio immensamente, siete semplicemente magnifici.
Per qualunque dubbio, non osate chiedere e.e, ricordo che questa settimana, se riesco, verranno pubblicati degli spoiler nella pagina di Facebook u.u .
Unitevi a me °^°.
Ora vi saluto, ci vediamo un'altra volta Domenica 3 novembre alle 15.00 u.u.
Always.

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