THE BEGIN
Ci sono storie diverse dalle fiabe, quelle dal sapore
tragico, che traggono il proprio svolgimento dai suoni oscuri della morte e dal
colore del sangue. E l’epilogo, in questi casi, non può mai essere dei più
felici o sereni. La vera cruda realtà è un mondo bastardo in cui i buoni
sentimenti vengono divorati e le persone altruiste calpestate sotto le suola
dei cattivi.
Un mondo che dirige un’orchestra sprezzante di
tradimenti e bugie.
La verità per Katerina Petrova era stata un
piatto indigesto che ancora le pesava dolorosamente nello stomaco e le dava un
sapore amaro in bocca insieme già a quello del sangue. La giovane bulgara aveva
sopportato tante brutte cose nella sua breve vita, ma mai una cosa del genere e
mai si sarebbe aspettata quanto l’inferno nel quale era destinata a scendere fosse
così oscuro e tenebroso. Se ne era resa conto troppo tardi perché lo aveva
reputato prima d’allora come un paradiso, fatto di colori, feste e gioia.
Inganni ipocriti, finzioni per
far sembrare bianco ciò che è nero.
Per questo ora stava
scappando, ai limiti delle forze e con le membra stanche. Aveva un taglio
profondo sulla fronte, il fiato pesante e non riusciva ad orientarsi nella
foresta buia; non poteva far altro che scappare a velocità sempre maggiore per
sfuggire al suo fato maledetto.
Non si sarebbe mai fatta
prendere. Quei mostri non avrebbero mai avuto la sua vita per il loro insano
desiderio. Meglio la morte, di cui loro erano tessitori molto abili e esperti.
Purtroppo durante la fuga Katerina era inciampata maldestramente e per la troppo fatica
il corpo non era riuscito ad alzarsi, così si era rannicchiata dietro un
albero, coprendo il terreno anche del cadavere del suo amore.
Se amore poteva definirsi
ancora tale, dopo aver scoperto la verità a lei celata per così tanto tempo che
proprio sbugiardava quel sentimento. Le ferite di quella delusione bruciavano
più di quelle del corpo traumatizzato.
Cercò più che poté di
nascondersi, di non far sentire il suo fiato accelerato per la corsa, quando
all’improvviso nel buio della notte sentì un urlo. Una voce che la invocava a
gran forza.
Molte volte aveva udito quella voce, che le
ricordava delicate onde di seta. Ora però aveva solo traccia di pericolosità,
di minaccia mortale. Il suo salvatore si era poi rivelato il carnefice
peggiore.
“Katerina!”
Quell’ordine imperioso non prometteva nulla di buono
e Katerina cercò con tutte le sue forze di
anestetizzare ciò che sentiva nel cuore, un tempo pieno d’amore proprio per
lui, ma che ora invece vi dimorava il terrore. Paura totale, tanto che le vene
si ghiacciarono.
“So che sei vicina.”
Altre parole terribili. Il passo di un cacciatore
pericoloso che stava per avvicinarsi, per intrappolare la sua preda.
Ma era davvero lui? Per lei era ancora impossibile,
non si capacitava che un uomo dotato di così tanta gentilezza e eleganza, che
aveva alleggerito le sue giornate buie, potesse essere un tale mostro senza
scrupoli.
“Sento l’odore del tuo sangue.” Quel sibilo basso,
come quello del predatore quale era, la fece rabbrividire fin dentro le ossa;
una sensazione che non aveva mai sentito prima d’ora e che non credeva di
provare la prima volta proprio a causa sua.
Così Katerina lasciò da
parte gli stupidi pensieri, i rimpianti di un passato dissolto dalle menzogne,
e cercò di trovare un modo di fuggire via senza farsi notare.
Si alzò malamente contro l’albero, non osando
neppure respirare e con l’aiuto di Trevor, usato da lei come via di scampo,
riuscì a sorpassare i suoi inseguitori. E così Katerina
si lasciò alle spalle la figura pericolosa e temeraria di Elijah Mikaelson, la cui maschera di gentilezza e nobiltà era
appena caduta sulle foglie infangate e stropicciate della foresta per mostrare
il suo vero volto bestiale e demoniaco che reclamava vendetta.
Se la sarebbe potuta tenere la sua vendetta e Katerina pregò che con quella si strozzasse, che gli
comprimesse l’aria in petto, impedendogli di andare avanti nella sua fasulla e
vuota immortalità. Lui non l’avrebbe mai più avuta e lei non si sarebbe
lasciata più afferrare dal buonismo dei sentimenti.
Katerina Petrova era arguta e intelligente ma anche sensibile e
fragile. Aveva desiderato ciò che era proibito, trasformandolo così nella sua
condanna maledettamente incalcolabile e imprevedibile.
E mentre fuggiva via, la fanciulla calpestava i suoi
stessi sentimenti con la forza di uno che vuol sopravvivere a tutti i costi; calpestò
la sua stessa anima. Ne trascinò la carcassa fino al rifugio di Rose Famil e lì sarebbe rimasta sepolta per rinascere sotto
un’altra forma, un’altra se stessa.
Fuori nell’oscurità pareva predominare una tempesta
di urla, il vento strideva in maniera terribile ma nel suo cuore, tra i suoi
resti, vi era solo silenzio. Il silenzio di un cuore morto, lo stesso che
combaciava in quello di Elijah Mikaelson.
E gli spettri della foresta buia, i tessitori del
destino, fecero da testimoni al mutamento di queste due anime condannate fin
dal principio.
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Katherine Pierce si era sempre
detta che meritava una
vita serena sotto un cielo limpido, privo dalle nubi con cui il passato può
oscurarlo. Dopo ciò che aveva passato per proteggere Katerina
se lo meritava eccome, visto che aveva rinunciato a tutto per sopravvivere.
500
anni. Un gran traguardo.
E
il traguardo era purtroppo stato raggiunto con affanni di paura, la stessa che
l’aveva colpita quella notte nella foresta.
Ora però Katherine doveva rimboccarsi le maniche
come sempre e cercare una via d’uscita da quell’inferno schifoso. Ma come? Si
era fatta beccare e ora era tenuta imprigionata da due aguzzini micidiali,
aguzzini che non erano cambiati col tempo. Anzi, se era possibile, il loro
bisogno di vendetta era aumentato da farne la ragione d’esistenza. E lei sapeva
benissimo che quando si ha una sola ragione per sopravvivere la caparbietà sale
alle stelle e affronta le più alte montagne.
Quei maledetti ce l’avevano infine fatta e ne era la
prova il suo essere segregata obbligatoriamente in uno schifo d’appartamento,
senza alcun contatto esterno e immersa nella noia. Almeno quel giorno non vi
erano state torture fisiche, anche se il corpo ciondolava dalla stanchezza
sulla sedia ove era seduto.
Portava indumenti semplici, troppo secondo il suo
stile, capelli ricci ormai abbandonati a una sfila di nodi, unghie rotte e
l'espressione del viso era piena di smorfie.
Odiava stare lì e se lo ripeté nella mente quando
aprì meglio le palpebre indebolite.
Il mondo in poco tempo si contrasse, fino a che non
si ridusse nel nero dei suoi occhi.
Per poco Katherine non ebbe l’impressione di star
vivendo un incubo di tenebra da cui non vi è risveglio nella luce.
Quell’Originale dal gusto impeccabile non perdeva
occasione di sbatterle contro la sua inqualificabile freddezza attraverso un
semplice sguardo. Quel giorno Elijah Mikaelson girava
col suo passo elegante per l’appartamento, sistemando alcune cose, e
apparentemente era disinteressato a quella terza e strana presenza nella sua
dimora; ma gli occhi stretti in due fessure nere non la perdevano mai di vista,
come un falco predatore. A intervalli brevi o lunghi di tempo, ma comunque si
posavano su di lei, senza esternare niente che non fosse glacialità e presa di
potere.
Indossava il suo classico smoking scuro, capelli
sempre perfetti senza un ciuffo fuoriposto. Tranquillissimo, come se non avesse
un sequestrato in casa e le promettesse ogni volta che gli aggradava degli
sguardi di morte.
Katherine tuttavia era stanca di quella stupida
recita.. che la uccidessero senza troppe chiacchiere e la facessero finita.
Erano due settimane che era rinchiusa lì, obbligata a comportarsi come gli
altri ordinavano e a restare a subire numerosi tormenti fisici.
Klaus aveva sfruttato la sua amicizia con Isobel e
l’aveva poi catturata, soddisfando così la sua sete
di vendetta che durava da secoli. Ed era andata sempre peggiorando col tempo, e
non perché il carattere di Klaus era sempre più intrattabile, ma perché in
veste di boia con la spada luccicante del giudizio era poi sopraggiunto Elijah.
Il fratello ritenuto il più gentile e affascinante dei due quando in realtà nel
far paura era tale e quale all’altro.
Segregata con le uniche due persone che Katherine
aveva sempre temuto.. proprio lei, la stronza manipolatrice. Incutere terrore
era un dono che gli Originali avevano nel sangue e nemmeno lei poteva
gareggiare ad armi pari dinanzi a loro.
Klaus la umiliava con torture fisiche, battute
pungenti e sguardi da serpente pronto a morderti. Elijah invece tutto il
contrario. Si limitava a fissarla con sguardi ricolmi di vuoto, freddezza e
severità invalicabile. Non le rivolgeva mai la parola, se non per il stretto
necessario, non la toccava mai ma non per questo Katherine lo temeva di meno.
Perché in fondo al suo cuore sapeva che sarebbe
stato lui quello che l’avrebbe fatta soffrire di più. Era stata proprio lei,
stupidamente, a dargliene per prima la possibilità 500 anni prima.
Già sentiva un fastidio continuo per via del suo
impenetrabile silenzio e il suo ostinarsi a guardarla in quel modo; non avrebbe
retto a lungo e infatti la sua lingua tagliente non tardò a uscire.
“Se è questo il tuo modo di farla pagare a qualcuno
mi deludi enormemente Elijah. Credevo potessi competere con Klaus ma lui sa
farlo molto meglio, credimi.” Mormorò saccente e serrando le braccia magre al
petto.
La battuta attirò inevitabilmente l’attenzione di
Elijah, che comunque rimase nella sua compostezza distaccata e non si prese
neppure il disturbo di alzare lo sguardo su di lei mentre toccava delicatamente
un libro sul tavolo.
“Ci sono molti modi per uccidere e provocare la mia
pazienza è uno di questi. Ti invito a rilassarti Katerina
per il tempo che ti concederemo.” Il suo parlare inquietante si mescolò incredibilmente
con l’eleganza con la quale muoveva le mani.
Elijah non perdeva mai ciò che era, era pieno di
classe ma pericoloso. Era insieme bello e agghiacciante. Non avresti mai potuto
trovare un aspetto solo, li avresti dovuto sopportare entrambi e quella confusa
e strana mescolanza ti avrebbe fatto per prima cosa irrigidire, per poi tremare
fin dentro le ossa. Perché non sapevi mai cosa potevi aspettarti da quell’uomo
di ghiaccio, a contrario di Klaus.
Non poter anticipare le sue mosse, la rendeva
infatti furiosa e inviperita.
“Spiegami come posso rilassarmi se non posso fare
niente.” Replicò stizzita sbattendo le mani contro i braccioli della sedia,
come una principessa che vuole tutta la corte ai suoi piedi e ai suoi comandi.
“Non potresti fare niente neppure da morta. E visto
che ancora non lo sei, goditi questi piccoli e preziosi attimi di vita.
Perché saranno gli ultimi che avrai.” Rispose Elijah in maniera secca, come se
non stesse davvero sperperando parole di morte ma invece una semplice
conversazione sul tempo. Strabiliante come si mostrasse distaccato persino in
argomenti che ti dovevano far rizzare i peli del braccio o scalpitare dalla
goduria sadica. Non faceva mai nessuno di questi, Elijah, come se ormai si
fosse così abituato alla morte tanto da non sentire più nulla nel provocarla di
sua stessa mano.
E quindi Katherine pensò che non doveva più
ritenersi tranquilla dall’indifferenza di Elijah, visto che poteva apparire la
miglior arma mortale nelle mani di un temibile assassino.
“Sei cambiato Elijah.” Azzardò di dire lei. Era lo
stesso avvenente uomo di un tempo e aveva mantenuto persino i modi, ma laddove
c’era stata gentilezza adesso c’era freddezza impenetrabile, come se in lui un
voragine di vuoto era andata a crearsi in quei secoli, scavando fino a non far
rimanere più nulla di umano.
“Ma non così tanto come vuoi far credere. Tu non mi
uccideresti mai, so cosa hai provato per me..” Il suo intento furbo venne
subito surclassato dalla voce autoritaria e secca di Elijah.
“Ti prego, non giocare la carta di un qualche amore
fasullo e risparmia la fatica di crearti una possibile via di fuga, perché con
me non funziona. Non sono come quegli sciocchi che hai raggirato per anni.”
Le parole di Elijah risuonarono severe e spietate
come sempre ma erano dipinte da un velo di durezza che la fece irrigidire sulla
sedia. Sapere come lui fosse irremovibile, che nemmeno le avrebbe fatto dono di
un gesto caritatevole, la ferì più di quanto si aspettasse.
Una sensazione nuova arrivò in lei, accantonata per
secoli per non farsi più aspettative su nessuno e agire solo per stessa:
delusione. La sentì farsi strada in maniera malefica dentro di lei, come un
morbo che intossica tutto ciò che trova per la sua strada.
Osservò in silenzio quello sguardo che tanto tempo
prima era solito mostrarle riguardo e attenzioni, ma che ora le offriva
soltanto indifferenza priva di scrupoli e glacialità che poteva appartenere
solo a un essere che non sentiva più nulla.
Osservava con inquietudine quelle mani che tanto
tempo prima l’avevano toccata come se fosse un tesoro prezioso, sempre con
delicatezza, e che ora non la sfioravano neppure per sbaglio, anche se non avrebbero
chiesto niente di meglio che strapparle il cuore in pieno petto, vendicandosi
così per il suo tradimento.
Le prime parti del passato riguardavano solo Katerina. Quelle del presente invece solo Katherine. Forse
era per questo che vi era tanto accanimento, che la stretta attorno a lei si
serrava sempre di più nell’animo, con la delusione che le marcava i lineamenti
del viso e sorpassando così la sua maschera di diabolicità.
Katherine all’improvviso riprese le redini della sua
mente indebolita e scacciò i ricordi che non dovevano valere nulla in quel
tempo perché soffocati dagli inganni e dall’odio. Deglutì senza farsi notare,
ingoiando anche la presenza fastidiosa dell’altra se stessa per farla star
buona con le sue debolezze e per portare avanti il suo gioco.
“Non sei sciocco ma nemmeno disumano. Sei il maestro
degli accordi, io sono pronta a farlo qualunque siano le clausole. Volete
qualche informazione sul perché Klaus non riesca a creare ibridi nonostante
Elena sia morta nel sacrificio? La troverò io per voi, sono maestra nel
scoprire le cose” disse con voce provocante per fargli capire i vantaggi che ne
avrebbero ricavato da una sua alleanza anziché prigionia.
Questa volta Elijah alzò lo sguardo e la guardò per
intero.
Aveva
sbagliato prima Katherine a non osservare una cosa: i suoi occhi. Erano la
parte più terribile di lui, neri come l’oscurità, come un abisso pronto ad
inghiottirti all'improvviso, quando meno te lo aspetti.
Katherine
quindi divenne di ghiaccio, come gli occhi che la osservavano implacabili
dall’alto in basso.
“Così anche nel tacerne per perorare la tua causa in
segreto.” Aggiunse lui alle sue parole, sbugiardando quindi furbamente le sue
intenzioni. Gli occhi neri tornarono ai suoi, taglienti e affilati come spade.
Katherine sentì quasi una lama sfiorarle delicatamente il viso e stentò a
respirare per non farla andare a fondo.
“Non ti accontenterò in nessuna richiesta, Katerina. Tu resterai qui fino a quando non deciderò il
contrario e dopo mi occuperò personalmente di te.” Finì di dire lui diabolico e
inequivocabile, arrestando il contatto visivo nel voltarsi prontamente.
Fu come se Katherine fosse ritornata a respirare
senza un nodo che le serrava il collo. Tuttavia sentiva ancora quella lama
gelida sul corpo in segno di minaccia letale e pericolo di vita.
Doveva stare attenta. Con Elijah non era facile
usare i giochetti degli inganni.. non lo sarebbe stato mai. Ma non doveva
neanche accettare di sottomettersi come una creaturina
indifesa perché non sarebbe stata nella sua natura e se allora lo fosse stata
si sarebbe davvero vergognata di se stessa.
“Bene. State esercitando il vostro potere da bravi e
perfidi Originali quali siete. Fatemi pure del male, ma non otterrete niente da
me. Nessun grido, né lacrime né implorazioni. Io non mi faccio disarcionare da
nessuno, Elijah. Imparalo bene questo” ribattè in
maniera arrogante e spregiudicata, incrociando le gambe e fulminando alle
spalle.
Elijah aveva camminato per la stanza, poi aveva
chiuso le tende della finestra con un gesto misurato, preciso, proprio come il
suo tono voce che le fece comunque sentire di più quella lama contro la pelle.
“E tu la lezione non l’hai imparata bene come
sembra. Mai, mai abusare della mia pazienza. E’ tanta ma ha un limite. Non
oserei sorpassare i confini della ragione se fossi in te.” Ribattè
lui voltandosi alla fine verso di lei, per inchiodarla con uno sguardo
durissimo e invalicabile.
Nella sua voce c’era ancora quel distacco e glacialità che le ricordava gli
iceberg.
Katherine cercò di rimanere retta sulle sue
intenzioni manipolatrici, ma non riuscì a evitare di tremare di fronte
all’aurea di potere che emanava Elijah e che riuscì a incastrare dentro di lei
una scintilla del terrore che aveva imparato a dominare in quei secoli.
Cercò comunque di
nascondere quel dato di fatto, anche se lui sicuramente l’avrebbe smascherata.
“Tu non mi
toccheresti mai con un dito, sei pur sempre un gentiluomo. Con quale tortura
pensi di ferirmi sentiamo?” cinguettò furbamente facendo oscillare la gamba
incrociata per cancellare il tremore precedente del corpo.
Elijah abbassò gli occhi su di lei, esaminandola a
lungo ma non facendo comunque trasparire ciò che pensava. Era impenetrabile
come un’alta muraglia di ghiaccio, i suoi occhi neri e attenti facevano da
vedetta costante: quella barriera
troppo alta le impediva di arrivare a
lui, alla sua mente, al suo cuore.
“Giochi male le tue carte Katerina.
Non sono più quello di un tempo e presto lo scoprirai, a tue spese.” Di nuovo
le sue parole letali e ferme le instillarono un brivido freddo lungo il corpo.
E i 500 anni di amore e odio si avventarono su di lei, calandole addosso come
un macigno in piena testa.
Quel vampiro onorevole era davvero cambiato dunque.
Il suo sguardo indagatore non mostrava niente a meno che non lui intendesse
farlo di sua spontanea volontà, ma solo per intimorire la sua preda. La sua
voce non offriva niente se non la carezza gelida e tagliente del ghiaccio. Lo
stesso ghiaccio che ibernava il suo cuore.
Tutto quello che restava di Elijah, il lord che
aveva conosciuto nel 1492, era il suo fantasma.
La delusione parve incendiarle un pezzo dell’anima.
Katherine fece allora un profondo respiro per controllarsi
e scacciare l’inquietudine di cui era vittima solo esclusivamente con lui.
Si sentiva come catapultata in
un luogo fatto di cenere e rimanere significava soffocare. Doveva fare qualcosa
e subito.. inventare uno dei suoi soliti piani diabolici per fuggire in tempo
prima di soccombere.
Picchiettò le unghie nei
bracciali della sedia mentre faceva lavorare doverosamente la mente, quando
sentì la voce di Elijah infrangere il silenzio.
“E sì non mi permetterei di infliggerti torture
fisiche. Sei pur sempre una ragazza che non può difendersi ad armi pari,
estraniata dal resto del mondo e rinchiusa...” il suo tono sovrappensiero
sembrava compatirla sebbene non l’avrebbe realmente fatto – non si sarebbe mai
permesso con una donna – però la sua aria di supponenza e altezzosità perenne
la fece imbestialire.
“Ma credimi.. il mio
eterno disprezzo è una tortura più che sufficiente.”
Katherine serrò le labbra duramente di fronte a
quello sguardo ombroso e gelido. Davvero credeva di ferirla così? Stupido
arrogante. Nessuno avrebbe mai potuto ferirla dal punto di vista dei sentimenti
perché era lei a manipolarli e sfruttarli per prima.
“Davvero divertente, se ti accontenti così.” Lo
rimbeccò con un sorrisetto facendogli intendere ciò che pensava.
Elijah incassò con indifferenza e inclinò il volto.
“Tu ti divertirai meno, suppongo. Ho detto che sarebbe una tortura sufficiente… non quella che realmente ti infliggerò.”
Katherine allora traballò, non era riuscita a
trattenersi. La voce di Elijah era stata dura e glaciale, segnata dal tradimento e
torti che la donna gli aveva inferto secoli prima. E quando uno come Elijah
viene tradito sull’onore… c’era da scappare a gambe
levate. Lui non conosce perdono o misericordia in quel caso, può solo graziarti
attraverso una morte meno dolorosa di quella prevista.
Ma
attraverso i suoi occhi infernali Katherine capì che con lei non si sarebbe
trattenuto né fermato. Nemmeno per ciò che aveva provato per lei, anzi forse
quello era il motore scatenante della sua crudeltà, visto che la ferita era
risultata doppia, più profonda e dolorosa di qualsiasi altra.
Katherine
cercò comunque di darsi un forte contegno ma non c’era modo in quel momento
perché lo sguardo di Elijah Mikaelson pareva avere il
potere di oltrepassare la sua maschera di invincibilità, costruita per la
sopravvivenza in quei secoli, e ne metteva a nudo ogni piccola crepa. Non si
era mai sentita così vulnerabile, forse la sensazione era al pari di quella che
aveva provato nella foresta quella notte.
Elijah avanzò lentamente e elegantemente verso di
lei, le mani nelle tasche, lo sguardo che vigilava su ogni suo pensiero o
mossa. Poteva apparire calmo come una
statua di marmo, ma l’espressione di Katherine alla sua vicinanza era di chi
vede la morte in piedi davanti a sé. E la morte aveva le sembianze di un
cavaliere nero, impeccabilmente vestito, impeccabilmente misurato, e
impeccabilmente letale.
L’Originario si fermò a 5 passi da lei, entrambi
immobili. “Credevi davvero di sfuggirci per l’eternità? Credevi sul serio di
poterti tirare indietro dalle tue colpe?” Il suo volto non tradiva emozioni, i suoi occhi erano due pozzi che
parevano risucchiarla. Se in qualche modo provava irritazione e delusione nel
cuore per la sua fuga, non lo dimostrava. Come se tutto si rivolgesse all’onore
tradito, non a sentimenti passati.
Katherine fece una smorfia.
“Io da sola posso fare tutto, se solo quegli
zoticoni inutili non si fossero messi in mezzo io a quest’ora sarei a spasso. E
non mi pare che tu e il tuo fratellino siate dei santi immacolati, quindi le
tue accuse tienitele per te” rispose accusatoria e saccente come sempre.
Elijah di fronte alla sua
verve sorrise freddamente. Un sorriso che era al pari del taglio di una lama,
fatta per squarciarti e dividerti.
“Ti conviene non assumere questo atteggiamento
davanti a Klaus” disse lui tranquillo sviando lo sguardo e indietreggiando di
alcuni passi, proprio nello stesso momento in cui la porta dell’appartamento si
apriva.
Katherine sbuffò tra sé e sé. Ci mancava proprio
lui. Evviva... Andiamo a prendere lo champagne che lei furbamente aveva
nascosto.
Se avesse sentito il vociare fastidioso e supponente
di Klaus sarebbe davvero esplosa quel giorno. Doveva avere paura anche di lui
ora a dire di Elijah? Avrebbe dimostrato che non ne provava neanche un
briciolo, sebbene la morsa che la faceva sentire dolorosamente stretta.
Klaus era entrato di soppiatto e parlava ad alta
voce a causa dell’irritazione furiosa per non riuscir a creare ibridi,
nonostante avesse mandato a termini giorni prima il sacrificio. Mentre l’animo
del quasi ibrido si surriscaldava come un vulcano in eruzione, l’animo di
Elijah era pacato e calmo come neve che si posa delicatamente al suolo.
Alle orecchie infatti le arrivavano le parole
infuocate e rabbiose di Klaus e quelle calme e ordinarie di Elijah, così decise
di alzarsi e rivolgere a loro un sorriso scaltro e furbetto.
“Problemi per caso? La vostra meravigliosa esistenza
non va come previsto?” domandò provocatoriamente.
“Tu zitta e buona se non vuoi che ti cavi gli
occhi!” ribattè Klaus allungando un braccio verso di
lei e continuando poi la conversazione col fratello.
Elijah invece l’aveva guardata per un attimo con la
coda dell’occhio senza darle troppa importanza. Enorme sbaglio, non si sarebbe
fatta sottomettere come la più stupida delle stupide. Era Katherine Pierce lei.
Quei due potevano anche essere i vampiri più potenti
sulla faccia della terra ma non l’avrebbero mai piegata del tutto. Katerina Petrova non era riuscita
a sopravvivere alla loro cattiveria, ma lei sì.
Avanzò di qualche centimetro, in silenzio e senza
farsi notare. Non sapeva cosa avrebbe fatto di preciso…
magari sarebbe saltata loro addosso, per dimostrare che non si sarebbe mai
arresa e avrebbe cercato con tutte le sue forze di provocare loro un po’ di
male meritevole. Oppure sarebbe ricorsa ai mezzi delle manipolazioni vocali per
perorare la sua causa.
Di certo non sarebbe rimasta incolume o piagnucolante
come il suo doppio odioso.
Ma quando avanzò di un altro centimetro, lo sguardo
di Elijah si posò su di lei, ghiacciandola seduta stante. Non l’aveva fulminata
con uno sguardo duro, era normalissimo a prima vista e quello scambio era
durato brevemente, ma era bastato per lei da paralizzarla. Perché lo conosceva dopotutto…
Le aveva rivolto lo stesso sguardo di quando era
sceso nella caverna sotterranea, quando era rinchiusa con Stefan.
Elijah aveva perdurato nel fissare Stefan e parlare
civilmente con lui, e solo di sottecchi l’aveva onorata - o maledetta - col suo
sguardo.
Uno sguardo terribile che diceva nelle profondità:
“Ora che ti ho in pugno non ci sarà tregua per te. Me ne occuperò
personalmente.” E da quelle fredde profondità i suoi occhi parvero
dire le medesime parole, sempre con una severità attenta a non svelarsi troppo.
Katherine per poco non ebbe la
stessa reazione come quella nella caverna: ossa tremanti, animo serrato in una
morsa di terrore, istinti di preoccupazione accesi ancor prima di vederlo
comparire o in questo caso agire; il respiro accelerato e negli occhi un
barlume per la consapevolezza che non se la sarebbe potuta cavare con i
semplici trucchetti. Non con lui, che si sarebbe
rivelato il suo peggior carnefice.
Mai come allora Katherine si
sentì perduta. Come se l’animo fragile di Katerina
stesse per prendere il sopravvento.
Elijah finì poi la discussione
in maniera pacata e rivolse ancora gli occhi freddi su di lei, non dimostrando
assolutamente niente dei suoi pensieri corazzati. Katherine tuttavia si sentì
perseguitare come una bestiolina presa in trappola dal cacciatore esperto.
Deglutì e sviò lo sguardo per
darsi un contegno; non voleva che Klaus e soprattutto quell’Originario
impeccabile si accorgessero della sua debolezza precaria.
Si stiracchiò le braccia per
alleggerire la tensione. “Tempi davvero bui per tutti noi. Non c’è mai pace,
che ne dite se ci rilassiamo insieme?” propose civettuola, mascherando ciò che
aveva sentito un minuto prima.
Klaus le rivolse un ringhio
per farla stare zitta e si incamminò veloce in un’altra stanza. Elijah invece
rimase fermo con lo sguardo impenetrabile e calmo, mani nelle tasche.
Nonostante quell’apparenza Katherine si
sentì ghiacciare di nuovo e cercò di rafforzarsi nel camminare per la stanza in
sovrappensiero.
“Hai finito con le tue
calunnie? Posso starmene un po’ in pace ora?”
Elijah la guardò tranquillamente e inclinando
lievemente la testa. Si incamminò a passi soppesati verso di lei, mantenendo la
postura e lo sguardo di prima. Katherine gli fece capire che non lo temeva
affatto nel sedersi di fronte a lui, accavallando le gambe e fissandolo in
maniera tranquillissima.
Elijah si fermò prima di poterla sfiorare anche solo
di un millimetro, come se un solo suo tocco potesse scottarlo.
Le disse, con voce impenetrabilmente calma: "Tieni a mente ciò che ti ho detto." Il
tono fu medesimo e Katherine sbatté solamente le ciglia nella sua direzione.
Non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione, si era prefissata nel suo obbiettivo
di non dargliela vinta in alcun modo.
Elijah successivamente
sviò lo sguardo in un punto lontano da loro. Lo sguardo era incisivo comunque,
come se le stesse scavando la pelle.
"Tra non molto
tutto questo sarà finito, poi deciderò cosa farne di te."
Katherine trovò il gelo
nelle sue parole letali. Anche se era inequivocabilmente una minaccia, le sue
parole non furono tracciate da alcuna emozione.. Ne erano prive.. Proprio come
il suo essere.
Katherine sentì quindi
un inequivocabile brivido lungo la spina dorsale e anche se aveva lottato per
dimostrarsi forte come sempre, si sentì sprofondare in un vuoto interminabile
nel momento esatto in cui Elijah si defilò in maniera totalmente impassibile.
E anche se se ne era
andato, la scia della sua minaccia letale la avvolgeva ancora, accompagnando
anche l'aria che Katherine inspirava, instillando così veleno nei polmoni.
Deciderò cosa farne di te.
Le
forze erano sul punto di abbandonarla, come il sangue da vene tagliate. Ma
diamine non poteva sentirsi così, lei era Katherine Pierce! Ci voleva ben altro
ben intimorirla. O forse questo altro non lo aveva conosciuto durante la sua
fuga perché aveva sempre cercato di tenersi a debita distanza da Elijah, non
solo da Klaus.
Perché
sapeva che il maggiore dei Mikaelson si sarebbe
vendicato nel modo più crudele, nonostante il sentimento - o come diavolo
doveva nominarlo - che li aveva legati.
Katherine
grugnì tra sé e sé, pensando perché diamine Elijah l'aveva avvertita su Klaus
quando intendeva essere solamente lui il suo carnefice, quello che gliela
avrebbe fatta davvero pagare.
Ed
ecco che di nuovo una morsa le strinse l'animo in maniera durissima quando
pensò che Elijah aveva sempre parlato al singolare durante le minacce, mai al
plurale. Lui e solo lui le avrebbe fatto conoscere l'oscurità.. Ma quella che
fa più paura.. Non quella che ti deruba dei sentimenti e ti offre il potere..
Quell'oscurità che é in grado di ghermirti, di spogliarti e lasciandoti nuda e
in piedi, alla vista completa delle proprie debolezze e vulnerabilità che lei
mascherava sempre.
E
quell'oscurità avrebbe scavato un buco nel suo cuore, creando un'umana e nera
disperazione senza speranza.
Katherine
ritornò alla realtà, soffiando in maniera irritata come un gatto selvatico che
vuole ribellarsi. Quell'arrogante Mr. impeccabilità poteva anche avere i
miglior capelli e i migliori smoking del mondo ma non ce l'avrebbe fatta a
vincere nella partita più ardua e impossibile di tutte: sopraffare l'audace
Katherine Pierce. Mai!
Conscia
di quel pensiero Katherine si alzò spedita, serrando duramente il viso.
Stava
imparando a conoscere i metodi di Elijah, e anche se lui riusciva sempre a
smascherarla con uno solo sguardo lei ci sarebbe riuscita con lui. Così, tanto
per dimostrargli che non si pentiva di essere diventata la stronza Katherine e
di aver gettato nel bidone degli oggetti inutili la fragile Katerina.
Il
cigno nero che aveva fatto affogare il cigno bianco, soppiantandolo.
Non
che Elijah non avesse fatto lo stesso.. Seppur in maniera diversa..
Entrambi
avevano l’anima all’obitorio. Entrambi avevano relegato i ricordi passati nel
punto più profondo del loro essere, dove era impossibile arrivare e murandoli
con una barriera spessa pur di non farli risalire da quell’abisso.
Come
aveva potuto permettersi di perdere il controllo in quel modo? Lasciare che le
debolezze prendessero per un momento, anche se minuscolo, il sopravvento?
Intollerabile
per la sua sopravvivenza, poiché sentir bruciare le vene di delusione per l’indifferenza
di Elijah al loro passato equivaleva fare i conti con la vecchia e defunta
anima di Katerina, e Katherine non avrebbe mai permesso
che ciò che accadesse.
Avrebbe
perso in partenza quella partita contro quei demoni. Se non ci fosse stata lei,
Katherine, lo sarebbe già stata.
Perciò
la vampira si rimboccò le maniche come sempre, rimise a posto la sua maschera e
la sua barriera, ricomponendo le piccole crepe con più precisione e destrezza.
E alla fine rinfoderando con più energia.
Una
smorfia malvagia e furba si disegnò nella labbra della vampira.
I
suoi aguzzini, specialmente lui,
credevano già di aver vinto su di lei? Katherine non si faceva soccombere dalle
avversità del destino, né ghiacciare le membra dal ghiaccio che Elijah
rappresentava e che uccideva attraverso i suoi tagli profondi.
La
partita per la sopravvivenza era appena iniziata.
Una
partita senza esclusioni di colpi perché quando c’è in gioco tutto – la tua
vita, le cose che hai di più care – devi saper giocare duro, senza
tentennamenti o rimpianti.
E
se la partita in questo caso aveva come imbocco principale l’odio nato da un
amore impossibile, era destinata in tutta sicurezza alla morte di una delle due
parti condannate.
Vincere
o morire. Era semplice, non c’erano altre vie di scampo. Gli errori del cuore
non potevano essere permessi.
Katherine
si sistemò i ricci, rimuginando sulle sue prossime mosse.
Ormai
era chiaro che la maledizione che univa lei e l’Originario in un vincolo
stretto, rifiutato ma incancellabile, si sarebbe tramutata in una lama affilata
che avrebbe trafitto i loro petti e squarciato i loro cuori neri.
E
Katherine era più che intenzionata ad evitare quella lama…
e magari a farla arrivare dritta nel punto principale dell’anima corazzata del
suo eterno carnefice.
Così
sarebbe stata libera, attraverso il colpo di boia che solo il vincolo d’amore
odiato può dare.
FINE CAPITOLO
Alloooora… come avete trovato questo capitolo d’inizio?
Se
non avete capito in che periodo siamo è all’incirca alla 2x22.. Klaus nella mia
fanfic, per ragioni di trama, non ha ancora messo il
fratello nella bara e insieme collaborano per la vecchia storia degli ibridi
che non vogliono nascere. Katherine come ben ricordate era segregata nell’appartamento
di Klaus e ci resterà molto di più rispetto al telefilm.
Per
restare fedele al telefilm ho riguardato alcune scene Kalijah
della 2 stagione… e sono rimasta basita. Nella 2x11
Katherine aveva una paura pazza di Elijah. E Elijah la guardava come se fosse
un moscerino pronto da schiacciare. Guardate qui -à http://www.youtube.com/watch?v=JnJ8owdgdGI
E nella 2x22 lei non ha
battuto ciglio alla sua “morte”.
Quindi
come siamo arrivati al grande amore della 4 stagione? Che cosa ha innescato il
cambiamento e il ritorno della fiducia?
La
Plec come al solito non bada a questi dettagli
importanti perché se non c’entrano col dannato triangolo allora a lei non
gliene frega un fico secco. Ma a me sì -.- Quindi è per questo che inizio dal
principio e proseguo per gradi.
Il
flashback non ha bisogno di commenti perché è ripreso dal telefilm. Iniziamo
bene direi XD Ma il prossimo capitolo sarà dal punto di vista di Elijah.
Spero
che mi farete sapere che ne pensate della fanfic,
ogni opinione o aiuto è ben accetto e aiutano la stesura!
Ringrazio
moltissimo la pagina di grafica facebook Miss Black (il link è questo https://www.facebook.com/?q=#/pages/Miss-Black/142713825871734?ref=ts&fref=ts)
per il banner che trovate sopra
in alto. Bellissimo a parer mio *__*
Bene ora vi lascio… spero che il capitolo vi sia piaciuto così come i
due protagonisti ^^
Alla prossima!
-Elyforgotten