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Autore: PinkBiatch    27/10/2013    3 recensioni
Draco precipitava, il vento a fendere ogni piccola parte di lui. Quanto era alta la Torre di Astronomia? Quanto sarebbe riuscito a resistere prima di schiantarsi al suolo?
Di nuovo qualcosa stava scivolando via dalle sue braccia, di nuovo aveva perso il controllo, e forse stavolta per sempre.
Riuscì a ricordare una cosa, una sola cosa, che portava milioni di altre cose, prima che la paura spalancasse i suoi occhi.
Un ragazzo estremamente pallido, coi capelli biondissimi ed i lineamenti affilati, stava camminando lungo un corridoio gremito di ragazzi di tutte le età. Li osservava senza essere interessato da nessuno di loro, fino a che qualcosa non attirò la sua attenzione.
Erano capelli castani, di un castano ordinario. L'unica cosa straordinaria, in quei capelli, era che erano più crespi che mai.
La proprietaria di quel cespuglio marrone si voltò verso di lui, quasi captando la sua presenza nonostante lui fosse ancora a qualche metro da lei.
“Hai visto un rospo? Un ragazzo di nome Neville l'ha perso.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Rose/Scorpius
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Ed eccomi qua, di nuovo, a scrivere dei nostri Draco ed Hermione, dando qualche squarcio di vita di Scorpius e Rose. Qua trovate un po' di risposte dalle domande che dovreste esservi posti alla fine della precedente fanfic, anche se qualcosa, perlomeno per adesso, rimarrà oscuro. Fatemi sapere cosa ne pensate!
 


1.

 

 

 

Hermione si sentì trascinare giù da qualcosa che sapeva già in partenza fosse più forte di lei. Sarebbe stata catapultata là dentro, nel labirinto, sotto gli occhi inermi di Draco che nei suoi anni migliori l'avrebbe rincorsa e afferrata come con un boccino, per portare la squadra di Serpeverde in vantaggio.
Però, adesso si disse che non l'avrebbe fatto. Non la bramava come un boccino, perlomeno non adesso. Forse in precedenza l'aveva fatto, o le aveva detto di averlo fatto senza che l'avesse fatto in realtà, ma comunque questo cambiava ben poco la situazione attuale. Se anche Draco Malfoy conservasse dentro al cuore un'eco di un sentimento passato, stava facendo di tutto per lasciarlo lì, nel ripostiglio del cuore. E Hermione sapeva quanto era cocciuto, aveva amato la sua testardaggine tanto da conoscerla e sapere che lui non sarebbe tornato, non l'avrebbe amata, non di nuovo. Non avrebbe continuato l'unica azione buona della sua vita solo per lei, solo perché adesso il suo fragile corpo veniva chiamato da metri e metri più sotto, solo perché adesso sarebbe stata imprigionata e forse uccisa da sua figlia, costretta a farlo.
Cosa aveva in serbo per lei, adesso, quel Labirinto? Cosa sarebbe successo? Quale sarebbe stata la sua sorte, la sorte di quella madre, di quella donna che aveva guardato in faccia la morte molte volte prima di allora, ma che non riusciva ad esserne meno spaventata adesso che le si ripresentava davanti?
Sarebbe stata stroncata da quel gioco, da quel Labirinto che lei stessa aveva collaborato a creare, cercando di renderlo più innocuo possibile per la salvezza della sua bambina, che veniva prima di tutto? Lei, che aveva combattuto con il cuore, con la testa, con le ossa, con la pelle; lei che aveva combattuto con l'anima stretta tra i denti, lei che non se n'era mai andata, lei che aveva guardato la morte in faccia ed aveva trovato, dentro di sé, il modo di sorridere, se ne sarebbe andata via sotto gli occhi del suo più grande amore che la vedeva, ancora una volta, sfuggire via dalle sue braccia senza poter far niente, senza nemmeno provare a fare niente?
Sentiva gli occhi di Draco addosso ed il vento che cercava di strapparle via tutto, ma che non riusciva a strappare via lui. Sentiva quanto ardeva di desiderio di andarla a prenderle e sentiva quel grande peso sul petto che non la voleva prenderle, che si era già arreso. Sentiva quante parole non dette adesso bussavano alla porta della bocca e del cuore per uscire ed essere udite da una spettatrice migliore dello specchio di camera sua, sentiva quanto avrebbe voluto dirle che l'amava; ma soprattutto, più di ogni altra cosa, sentiva quel silenzio.
Era il silenzio di chi sente tante cose in testa e nessuna fuori. Perfino il rumore del vento si fermava lì, nella sua testa. Le sferzava la pelle senza fare rumore, come se il silenzio di Draco avesse zittito tutto il resto, come se non ci fosse spazio in quell'aria per qualcosa che non comprendesse l'amore che c'era tra loro.
Draco se la guardò portare via un'altra volta con la stessa tristezza di chi dice addio senza aprire bocca. Probabilmente sarebbe finita lì, e se lei fosse sopravvissuta sarebbe andato tutto a puttane perché lui non aveva fatto niente, non le era corso in contro, non l'aveva inseguita o trattenuta a sé come avrebbero fatto lo Sfregiato e Weasley, come avrebbe fatto qualcuno che dimostrava di tenere a lei.
Mentre cadeva Hermione provò ad immaginarsi come dovevano essere quegli occhi adesso troppo lontani per essere visti in quel preciso istante, mentre lei cadeva in una trappola che si era creata da sola, del tutto inconsciamente. Le sembrò di potersi aggrappare a quello sguardo e di poter viaggiare libera come solo gli occhi possono, lasciando che la verità trapelasse in lei come fosse un libro aperto per chiunque, anche chi non la conosceva. Le sembrò di poter arrivare, proprio come quello sguardo che era adesso, fermo su di lei, oltre l'immaginazione, oltre la visione di ciò che era reale, e le sembrò di potersi attaccare a quello sguardo come fosse una scaletta di salvataggio, come potesse risalirla e come potesse arrivare all'unica meta dove sperava di arrivare in quel momento: le braccia di Draco.
Nulla sarebbe stato più confortante, più magico della sua stretta, nulla sarebbe stato più saldo e più reale di quelle braccia e quelle mani strette intorno al proprio corpo. Nulla sarebbe stato capace di salvarla più di quanto sarebbe riuscito a salvarla Draco Malfoy semplicemente respirando, e respirando accanto a lei senza doversi controllare, facendole vivere anche ogni respiro che avrebbe mai compiuto.
Sentì quello sguardo portarla in su, in salita, proprio verso dove lei voleva arrivare: Draco.
Stava volando, volando di nuovo, come se il Labirinto non la volesse più e la stesse risputando in aria. Sentì lo sguardo sgranarsi e dilatarsi ed impaurirsi e sorprendersi e meravigliarsi. E sorridere. Quello sguardo le sorrise addosso mentre lei ancora non lo vedeva, e poté sentire la sua pelle toccare quel sorriso come se fosse proprio lì, a stretto contatto con lei. Doveva essere un sorriso meraviglioso, il sorriso di chi accoglie i segni in cui non aveva mai creduto. Poteva, Draco Malfoy, credere che non fosse un segno vedere Hermione volare verso di lui come se qualcosa più potente di tutto, anche della forza della gravità, -forse l'amore?- la stesse spingendo?
Hermione rimase sospesa a mezz'aria quando arrivò all'altezza di Draco, e, ironia della sorte, qualcosa che continuava ad essere misterioso la spinse con forza tra le sue braccia, dove lei rimase, davvero desiderosa di non scendere mai.
Si guardarono, si guardarono a lungo e si esplorarono come fosse la prima volta che si vedevano in tutta la loro vita, la loro esistenza. Come se qualcosa di estremamente meraviglioso si fosse parato davanti ai loro occhi per la prima volta e loro non potessero far altro che ammirarlo in tutta la sua splendida bellezza.
Draco non sembrava accusar nessuna fatica a tenerla in braccio e stare su una scopa contemporaneamente, mentre quella di Hermione era ormai volata chissà dove. Era come se le sue braccia ed i suoi muscoli fossero stati creati per quel momento in cui avrebbe dovuto sostenerla. Avrebbe voluto dire qualcosa, e vide che anche Hermione avrebbe voluto farlo, ma avevano così tante cose da dirsi che finirono per tacere e continuare a guardarsi, perché non sapevano da che parte cominciare.
Hermione si accoccolò con la testa nell'incavo della spalla destra di Draco, un orecchio che riusciva a sentire il cuore pulsare fortissimo sotto quella pelle chiarissima. Chissà cosa lo faceva battere così forte.
Forse la fatica, lo sforzo di tenerla. Forse averla lì, tra le braccia, come ai vecchi tempi. Forse il sentirsi di nuovo ragazzino, sentirsi di nuovo libero di fare ciò che più gli piaceva, come era riuscito a fare solo una volta dopo la Battaglia, dopo averla combattuta dalla parte sbagliata, con lei.
Dopo molto tempo che passarono a guardarsi, a capirsi, a rincontrarsi, a conoscersi come fosse la prima volta, a riconoscersi, a cercare dei cambiamenti in quei volti che adesso sembravano gli stessi di quando avevano undici anni ed avevano cominciato a stuzzicarsi senza conoscere ciò che sarebbe stato il loro futuro, senza sapere quanto poi si sarebbero cercati l'un l'altro, decisamente troppe volte senza nemmeno provarci, capirono che era il momento giusto di parlare.
“Io..” Cominciò Hermione, balbettando.
“Tu?” Chiese interessato Draco guardandola e spronandola con lo sguardo più dolce di sempre.
“Mi.. mi sei mancato.” Disse, o meglio sussurrò. C'era imbarazzo. L'imbarazzo di chi si sente in colpa di essersene andato e cerca di scusarsi perché gli importa, gli importa davvero tanto che adesso quella persona torni così come se n'era andata.
“Anche tu.” Sussurrò lui, distogliendo lo sguardo dal suo viso e guardando in alto, lontano, nel cielo, in un punto imprecisato del cielo che adesso sembrava contenere i segreti del mondo da tanto lo guardava insistentemente, come si aspettasse che da un momento parlasse e gli dicesse cosa sarebbe stato giusto fare.
“Come stai?” Gli chiese Hermione, prendendo di nuovo parola dopo un lungo silenzio, più statico del precedente.
“Io sto..” Draco non sapeva come stesse, ma quando i suoi occhi si fusero con quelli di Hermione capì che le risposte non erano mai state in cielo quanto in quegli occhi del colore dell'ambra e del cioccolato. Come poteva star male con lei tra le braccia? “Sto bene.” Pronunciò dopo, socchiudendo gli occhi e le labbra per lasciare che l'aria vi passasse e rientrasse nei polmoni, dopo un po' che tratteneva il respiro per la tensione, la paura di dire qualcosa di sbagliato.
Non avevano il coraggio di dire niente, niente per rovinare quegli istanti, niente che potesse riportarli bruscamente alla realtà dei fatti. Dentro a quel labirinto c'era ancora Rose, c'era ancora Scorpius. E loro non stavano facendo niente.
“Forse dovremmo.. forse dovremmo scendere.” Disse Draco, dopo interminabili istanti che avrebbe voluto non finissero mai.
Erano così spensierati, così ancora adolescenti, lei tra le braccia di lui che gli lanciava quegli sguardi da mozzare il fiato. Ma si disse che non sarebbe durata, che non sarebbe riuscita a farlo. Come potevano andare avanti a fare così? Come potevano giocare ai ragazzini quando non lo erano più? Quanto ancora sarebbero riusciti a sfuggire da questo, dalla realtà dei fatti? Fatti come i loro figli, come Astoria, come Ron che da qualche parte del mondo li stavano ancora aspettando, ignari o forse no, desiderosi comunque che il senso del dovere trionfasse anche sul senso dell'amore che avevano dentro.
Hermione annuì, impercettibilmente. Come poteva voler fuggire un'altra volta, Draco? Forse si era sbagliata, anzi, sicuramente l'aveva fatto. Lui non teneva a lei, forse non l'aveva mai fatto, questo lei non poteva saperlo, non più. Comunque, qualsiasi fosse stato il loro passato, i sentimenti precedenti di Draco, stava inseguendo un amore, una passione, che non c'erano più. Erano svaniti con la giovinezza, erano svaniti col perdersi con la certezza di non ritrovarsi mai, che aveva fatto perdere loro qualsiasi speranza di un mondo migliore.
Scesero, e furono seguiti da svariati paia di occhi che li guardavano perplessi, incapaci di comprendere cosa fosse successo e cosa avesse portato Hermione ad abbandonare da qualche parte la sua scopa ed arrivare in braccio a Malfoy, che nel frattempo aveva l'espressione più infelice del mondo.
Appena toccarono terra Hermione si staccò da Draco e lui da lei quasi come se il contatto delle loro pelli, anche attraverso strati di abiti, li stesse bruciando, bruciando dentro. Quasi come se quei ricordi riuscissero a dare la scossa.
Hermione si precipitò nelle braccia di un preoccupatissimo Harry, e subito dopo in quelle di Ron per rassicurarlo, perché sapeva quanto stesse soffrendo in quegli istanti, spaventato più che mai di non riuscire a vedere più la sua bambina e che lei portasse come suo ultimo ricordo del padre lui che le inveiva contro e che non le rivolgeva più la paura.
Quanto era stato mostruoso, a non augurarle nemmeno buona fortuna?
Quella del Labirinto era stata la riconferma più grossa al fatto che sua figlia fosse molto più matura di lui, anche con svariati anni di differenza, era stata la riconferma più grossa al fatto che lui per l'ennesima volta non era riuscito a capire cosa passasse nella testa della persona a cui teneva più al mondo, come in precedenza era successo molte altre volte con la sua attuale moglie, anche se non sapeva quanto ancora sarebbe riuscita a durare.
Però quell'abbraccio gli fece bene, come se Hermione volesse fargli capire che comunque sia non se ne sarebbe andata, fosse per senso del dovere, per paura, fosse per qualsiasi cosa. Quanto poteva importare a lui cosa provava sua moglie, finché era al suo fianco?
Quando le bugie degli altri ci fanno comodo, quasi mai ci si impegna per scoprire la verità.
Raccontò loro cos'era successo, e prima che potessero fare qualcosa videro Scorpius sconvolto correre loro in contro. Draco si voltò al suono dei passi del figlio, come se li avesse ascoltati per anni ed anni senza farsi notare, pronto a riconoscerlo sempre e comunque.
“Scorpius!” Gridò mentre correva lui incontro e gli regalava il primo abbraccio della sua intera vita.
C'erano milioni di cose in quell'abbraccio, c'erano milioni di scuse, milioni di cose che suo padre aveva avuto paura che non sentisse prima di abbandonare quella vita, milioni di cose che adesso gli avrebbe urlato fino a che non fosse stato sicuro che le avesse imparate a memoria, per non dimenticarle mai. C'era più affetto di quanto il corpo di Draco riuscisse a contenere, c'erano quegli anni di struggimento che l'avevano reso una roccia più che mai, che l'avevano reso il padre peggiore del mondo che adesso sentiva un bisogno smodato di rimediare, tutti insieme. Lo strinse forte a sé mentre veniva stretto a sua volta dalla paura di perderlo, di sentirlo sgusciare via dalle sue braccia senza che potesse far niente come era già successo con Hermione.
Scorpius rimase sorpreso per un lungo istante prima che si sciogliesse tra le braccia di suo padre e lo lasciasse singhiozzare sulla sua spalla.
“Ho avuto una paura.. pazza, folle, di perderti.” Gli sussurrò all'orecchio.
“Sono qui.” Fu tutto ciò che il figlio riuscì a dirgli, e valse più di mille altre confessioni o parole dolci che avrebbe potuto dire per confortare il padre rotto, rotto dentro.
Sentì qualcosa dentro di suo padre fare un gran boato, una botta assurda, come quando si sente chiaramente dentro di sé spezzarsi un osso.
C'è chi si rompe le ossa e chi il cuore.
Quell'abbraccio durò istanti, secondi, minuti, ore, giorni, anni interi, ma finì. Finì con la promessa di essere solo il primo di una lunga serie e non l'ultimo, con la promessa di una vita migliore, la promessa che quel padre non l'avrebbe più lasciato mai andare via dalle sue braccia, nonostante adesso guardasse il figlio andare in contro alla squadra di Auror e spiegare la situazione.
Non c'era mai stato. Non era mai stato là dentro, suo figlio.
E quel giorno sembrava che il mondo cercasse di spiegargli qualcosa, di insegnargli quanto poco era stabile il mondo, l'equilibrio cosmico, quanto poco ci volesse per perdere una persona, per vederla volare via di nuovo..
Si rese conto, per la prima volta, forse, che avrebbe dovuto vivere ogni giorno come fosse stato l'ultimo, ogni bacio, ogni abbraccio, ogni sorriso, ogni carezza, come fossero stati gli ultimi, per capire davvero quanto potessero significare per lui.
Pensò all'abbraccio con Scorpius e lo guardò, lo vide gesticolare e prendersi la testa fra le mani, riconobbe i gesti di sé stesso bambino in quell'uomo che stava al centro di adulti che lo guardavano ad occhi sgranati, quasi stesse rivelando loro i segreti dell'universo e dell'esistenza.
Vide, tra quegli adulti, colei che avrebbe dovuto vivere meglio, forse. Hermione.
L'unica donna a cui avrebbe dato tutto, insieme a sua madre. L'unica che gli avesse insegnato più cose in un anno di quante ne avesse imparate in sette anni di scuola e molti di più di vita in generale. Pensò ai loro gesti, quei gesti persi di nuovo, e stavolta più per sempre che mai.
Non aveva mai vissuto i suoi gesti come fossero stati gli ultimi, bensì come se fossero stati i primi. Questo perché lei era un diamante dalle mille sfaccettature ed ogni volta scorgeva qualcosa di nuovo in lei, qualcosa di meraviglioso, che lo portava ad innamorarsi ogni giorno, ogni minuto di lei, sempre di più, fino ad esplodere d'amore, e poi fino ad esplodere e basta, quando se l'è vista portare via, quando l'ha vista andare senza dir niente, come un gatto in punta di piedi, come una ladra che gli ha appena portato via una cosa.. il cuore.
Cos'aveva sbagliato, nella sua vita, per arrivare a questo risultato? Ad aver perso così tanti anni, quelli che avrebbero potuto essere quelli più belli, dietro alle cose sbagliate, ai principi sbagliati? Aver perso la sua giovinezza così presto da gettarsi in una cosa più grande di lui senza rendersene conto appena gli si è presentata la possibilità di essere se stesso, di vivere la sua vita come voleva fare lui senza che qualcun altro gli dicesse cosa fare.
Era sempre stato tenuto al guinzaglio da un passato sbagliato, dalla famiglia sbagliata con dei principi sbagliati, ed ogni piccola cosa dentro di lui sembrava così dannatamente sbagliata, che, pensò a malincuore, se si fosse ucciso, se fosse morto, il mondo avrebbe tratto un sospiro di sollievo.
Come poteva pensare una cosa del genere, lui? Come poteva essere cambiato così tanto da quando pensava che lo stesso mondo che adesso avrebbe tratto un sospiro di sollievo alla sua morte girasse intorno a lui? Ma soprattutto, cosa l'aveva cambiato così drasticamente, così repentinamente?
E la risposta era lì, di nuovo lì, davanti ai suoi occhi, nei gesti da madre affettuosa che rivolgeva a quel ragazzo impaurito che tremava davanti a lei quasi fosse davvero figlio suo. Per un lungo istante Draco si chiese come il suo bambino, il suo uomo, ormai, sarebbe nato e cresciuto se avesse avuto Hermione come madre, e lui sotto l'influenza perenne e continua di lei come padre, invece che Astoria Greengrass e lui e sotto l'influenza perenne e continua dell'assenza dell'altra.
Sarebbe stato più sano, più felice, con più certezze di quante adesso ne avrebbe avute in tutta la sua vita ed anche in quelle future. Sarebbe stato così gioioso di voltarsi verso Hermione e chiamarla “mamma”, così fiero di ciò che sua madre era e di tutte le sue qualità che gli aveva sicuramente trasmesso.
Si avvicinò a suo figlio per sentire cosa aveva da dire, anche se ormai capì che la sua spiegazione era giunta al termine.
Sentì solo Potter dire che andava a prendere Rose, che la sua prova, a questo punto, doveva essere finita. Solo allora si rese conto che suo figlio era quasi morto sotto i suoi occhi, che se fosse stato lui dentro al labirinto, non sarebbe nemmeno stato guardato dal padre come ultimo omaggio perché era troppo impegnato a cullare un amore perduto tra le braccia come se fosse un giorno qualunque e non avesse alcuna responsabilità o nessun altro a cui pensare.
Che razza di padre fa questo al proprio figlio?
Si maledì un centinaio di volte mentre vedeva Potter tornare col corpo inerme di Rose tra le braccia, quando lo vide correre con la nipote in braccio quasi fosse una bambola di pezza verso l'Infermeria, sperando che non le fosse successo nulla di grave a parte, ovviamente, aver creduto di aver ucciso davvero Scorpius.
Dopo qualche minuto in cui si accorse che Hermione lanciava sguardi incerti verso Ron, li vide partire insieme verso l'Infermeria, mentre Fleur e Krum lanciavano sguardi apprensivi verso di loro, in lacrime e tremanti dalla paura per la loro figlia.
Si avvicinò a Fleur e Krum tanto per fare qualcosa, per sentire se avevano da commentare questo disastroso Torneo.
“Come mai è successo questo?” Chiese Fleur, guardando Draco come se si aspettasse una gran risposta capace di schiarirle le idee e farle capire perché quel labirinto si fosse comportato così, perché la cattiveria fosse sempre nascosta dietro l'angolo e trovasse mille scappatoie per uscirsene dal suo posto e far casino.
“Non lo sappiamo.” Rispose velocemente Draco, freddo. “E non ci ho nemmeno pensato, ora come ora, sinceramente..” Disse abbassando lo sguardo.
Come pretendevano che si fosse messo a farsi domande sul labirinto mentre suo figlio era là dentro?
Già, dov'era suo figlio adesso? Si era volatilizzato appena aveva visto Rose, ma non era andato verso l'Infermeria..
Aspettò, in piedi, rigido come una tavola di legno, vicino a Fleur e Krum, tutti e tre con lo sguardo perso nel vuoto ad aspettare che qualcosa li risvegliasse, fino a che Potter, Weasley e la Granger non tornarono.
“Come sta?” Chiese Draco sinceramente preoccupato ai suoi colleghi.
“Si rimetterà.” Disse Harry, mentre Hermione lo guardava senza dire niente e si chiese da quanto in qua a Draco Malfoy importasse di sua figlia. Non era il tipico padre che s'interessa degli amichetti del figlio solo perché sono amici suoi, quindi non vedeva perché dovesse farlo con Rose, ma la cosa non le dispiacque affatto.
Guardò verso di lui e vide nel suo sguardo dispersivo quanto lui non volesse incontrare i suoi occhi per temere di fare un altro guaio, di baciarla di nuovo, illudere lei e se stesso di nuovo quando non poteva più permettersi di far male alle persone senza rimanere impunito.
Vide le persone andarsene.
Studenti, professori, poi Krum seguito dalla figlia che doveva essere stata negli spalti, poi Fleur e alla fine anche Potter, Weasley e la Granger si mossero ed andarono verso la Sala Grande, o almeno così Draco li sentì dire mentre non interveniva e sembrava vuoto dallo sguardo vacuo fisso in cielo.
Il tempo passava e lui non aveva la forza di muoversi, così tante cose erano successe, e così tante altre dovevano ancora succedere.. c'erano stati guai, e Draco sapeva che fosse solo l'inizio, che ben presto sarebbe arrivato altro, che ben presto Hermione si sarebbe stancata d'inseguirlo senza risultato e gli avrebbe di nuovo spiattellato i suoi sentimenti in faccia urlando, come faceva sempre. Non poteva farci niente, era la cosa che le riusciva far meglio, far sentire in colpa le persone che le facevano male, urlare e imbarazzare le stesse persone che l'hanno ferita, profondamente. Era una sua caratteristica, e Draco ricordò a se stesso quanto l'aveva amata, come ogni singola parte di Hermione, anche quella che gli faceva male e gli causava dipendenza.
Si sedette sul prato umido e calpestato e lo guardò come un amico, come se si stesse accomodando sopra un suo amico, lo guardò e sussurrò, prendendosi da solo per stupido “Non guardarmi con quegli occhi amico, so cosa si prova ad essere calpestati”, e poi alzò lo sguardo come se fosse stata la cosa più normale del mondo e lui fosse stato una brava persona ed avesse degnato di uno sguardo quel prato che tutti calpestano senza nemmeno chiedersi se gli stiano facendo male.
Spesso ciò che ha una forma più diversa da noi ci spaventa e lo etichettiamo per inumano perché non ha la nostra forma, i nostri pensieri, i nostri organi vitali. Ciò che è diverso ci spaventa, e non ce ne curiamo mai, e non ci chiediamo mai cosa veda, cosa non veda, cosa provi e cosa non provi. Magari da qualche parte in mezzo a quella grande prateria verdissima c'era il cuore di quel prato e tutti lo stavano calpestando senza rendersene conto, da qualche parte quel prato respirava, ed amava ed odiava e piangeva e rideva, e loro non ne sapevano niente, semplicemente lo usavano per arrivare ad Hogsmeade, o al lago, o per farci una passeggiata. Nei giorni peggiori addirittura lo infestavano con dei labirinti stregati, che chi sa se hanno capito dov'era il suo cuore e gliel'hanno rubato, lasciandolo senza cuore, perduto più che mai, come solo un prato che non conosciamo possa essere.
Guardò il sole morire per rinascere una decina di ore dopo, con lui vide tutto lo stress del mondo appendersi a tutti i raggi sperando che quel sole carico di ricordi e rimpianti se ne vada via per sempre mentre lo vedono sempre tornare il giorno dopo, ad illuminare quel cielo del cazzo che per qualche strana ragione aveva voluto essere azzurro quando avrebbe potuto prendere un altro qualsiasi colore. Vide quel sole smettere d'illuminare questi insulsi umani mentre ne andava ad illuminare altri che dio solo sapeva com'erano, loro non lo sapevano, loro erano troppo concentrati su di sé per curarsi di quelli che dormivano mentre loro vivevano e viceversa.
“Se nel mondo ogni persona, ogni giorno, decidesse di curarsi del resto del mondo per un'ora..” considerò Draco assortito, lo sguardo fermo su un raggio del sole che lotta per rimanere in quella parte di cielo, facendo il tifo per quel raggio ribelle. Vide quel raggio morire ed essere trascinato dal sole in un posto dove forse lui non voleva andare, come un bambino che fa i capricci, e continuò la sua considerazione: “Se nel mondo ogni persona, ogni giorno, decidesse di curarsi del resto del mondo per un'ora.. Quella persona starebbe male perché avrebbe gli stessi problemi moltiplicati per miliardi di abitanti e cose che vivono su questa terra, quella persona starebbe male perché si affezionerebbe a tutto e poi si vedrebbe questo tutto scivolare tra le dita senza che lei possa far niente.”
Sentì il bisogno impellente di bere qualcosa, così appellò a sé la bottiglia di Burrobirra che aveva lasciato nella sua stanza, mentre si rimetteva a pensare alla Weasley e come potesse stare, adesso che era passato del tempo da quando era stata portata in Infermeria.
Si chiese, mentre stappava la bottiglia di Burrobirra, se i suoi genitori fossero ancora lì, e si rispose che probabilmente se n'erano andati tutti per lasciarla riposare nel migliore dei modi visto che non si svegliava. Decise così, mentre aveva già bevuto tre quarti di bottiglia in due lunghissimi sorsi sperando d'affogare, che sarebbe andato a trovare la sua piccola alunna, che aveva dimostrato di avere molto più fegato di lui e di tutti gli altri, che aveva dimostrato al mondo senza un briciolo di vergogna ogni suo sentimento, anche il più privato come la nostalgia di qualcuno che se n'è andato.
Si avviò verso l'interno del castello strascicando i piedi dietro di sé come un ubriaco, mentre in realtà la Burrobirra non gli aveva fatto nessun effetto, e capiva che avrebbe dovuto Appellare il Whisky Incendiario, ma ormai era troppo tardi e la porta dell'Infermeria era davanti a lui, così si decise ad entrare.
Quel che successe poco dopo, era ciò di cui tutti parlavano qualche ora dopo, quando furono tutti convocati per un discorso su ciò che era successo al Torneo di Minerva McGranitt.
Che un'alunna “qualunque” avesse Schiantato Madama Pomfrey, era davvero una novità ed una cosa che divertiva da pazzi tutti gli alunni.
Ma a spegnere il chiacchiericcio di quei ragazzi tranquillizzati dall'agitazione della mattina e delle prove e adesso concentrati su un nuovo, “divertente” episodio, fu l'imperiosa Minerva McGranitt, che prese parola con un tono così severo che nessuno riuscì a parlare più nemmeno per finire di dire una frase, per rispondere al suo “Buonasera”.
“Come voi sapete, vi ho convocati tutti qua stasera per aggiornarsi di ciò che ne sarà del Torneo Tremaghi dopo ciò che è successo oggi, la verità è che io non autorizzerò a nessuno di far male ai miei studenti, che sia male psicologico o male fisico, per questo il Torneo Tremaghi viene annullato, e non ci sarà nessun vincitore e nessun vinto, nessun altra prova. L'anno scolastico procederà come in un anno normale, con l'unica differenza che se gli studenti di Beauxbatons o di Durmstrang vorranno rimanere saranno ben accettati e prenderemo la cosa come uno scambio culturale, da cui potremmo effettivamente imparare molto.”
Appena l'annuncio della McGranitt fu recepito da quelle centinaia di teste, giovani, adulte, anziane che fossero, un brusio generale si affrettò a martellare le orecchie di Draco, che guardava tutti e nessuno insieme.
Aveva fatto bene, si disse, ed era ciò che anche lui avrebbe fatto, se fosse stato il Preside, se la sua autorità avesse mai contato davvero su qualcosa che non fossero i compiti di Difesa Contro le Arti Oscure. Ma chi poteva biasimare per non ascoltarlo, per non renderlo una persona di conto, della quale conta il giudizio, che si prende come esempio? Chi poteva biasimare semplicemente perché lo conosceva, e sapeva ciò di cui era stato capace? Nessuno, non poteva biasimare nessuno. E dopotutto si disse che nemmeno lui stesso si sarebbe dato un briciolo di potere, perché niente lo spaventava più della sua immensa arroganza, di quel ragazzino viziato che era stato e che non avrebbe voluto essere più, che avrebbe voluto cancellare, dalla sua memoria e da quella degli altri, dall'influenza che aveva ancora su ciò che lui era adesso, sebbene fosse tanto diverso da com'era un tempo.
Se non fosse stato arrogante, forse sarebbe riuscito a tenersi Hermione stretta, a crescere il suo bambino come un bambino felice, sereno, un bambino fiero dei suoi genitori. Forse suo padre non avrebbe acconsentito a firmare il Patto col padre di Astoria, forse adesso Draco sarebbe Ministro della Magia, e forse adesso le persone si sarebbero inchinate a lui, e l'avrebbero sempre stimato, anche alla sua morte. Sulla Gazzetta del Profeta avrebbero letto tutti elogi su di lui, il giorno in cui sarebbe morto, e tutti avrebbero ricordato quel biondino così dolce, che aveva sempre sostenuto col suo grande cuore ogni cosa, che aveva combattuto per difendere il Mondo Magico. Ma cosa avrebbe pensato la gente, di lui, una volta che se ne sarebbe andato? Avrebbero tirato un sospiro di sollievo, dicendo che la Morte agiva dove non arrivava la legge, e che adesso lui avrebbe passato il resto della sua esistenza a bruciare nell'Inferno per le sue colpe.
La verità?
Draco si sarebbe reincarnato, e sarebbe diventato quell'albero che ogni autunno vede cadere le foglie di cui si era innamorato, e che, frivolo e stupido, a Primavera avrebbe rimpiazzato con nuove foglie, dimenticando quelle di prima.
Vedendo, in lontananza, la figura di suo figlio, del suo bambino e uomo insieme, stringere a sé quella ragazza che assomigliava così tanto a quella che era stata la sua donna, quella che era la madre di lei, si chiese perché non potesse arrivare a quella vita adesso. Perché non potesse puntare la sua bacchetta contro di sé e lasciare quel mondo e quella vita, dimenticando tutto, dimenticando ogni suo errore e nascendo sbagliando da capo, come sempre, come solo lui era capace di fare. Perché non poteva fuggire, fuggire e basta? Strapparsi di dosso quell'oscurità perenne che covava sopra e dentro di lui opprimendolo dal momento in cui era arrivata l'ultima lettera dall'unica persona da cui avrebbe mai voluto riceverne.
Tutto il senso che aveva potuto avere la sua vita fino a quel momento, tutte quelle ragioni che lo tenevano incollato a terra, adesso erano solo polvere, l'eco di un ricordo lontano che se n'era andato, per sempre. Adesso Scorpius aveva Rose, lui avrebbe badato a lei, e lei avrebbe saputo badare a lui molto meglio di come Draco avesse mai fatto. Si sarebbe sentito amato, e forse sarebbe riuscito a ricordare suo padre come quell'uomo buono che aveva singhiozzato sulla sua spalla per la paura che aveva avuto di perderlo. Se avesse aspettato, anche solo un istante, un secondo di più, forse Scorpius l'avrebbe guardato di nuovo ed ogni pensiero buono che sarebbe riuscito a formulare su Draco, si sarebbe dissolto nell'aria rivedendo in quegli occhi l'arroganza che l'aveva sempre tenuto distante da lui.
Sentì il bisogno impellente di lasciare, lasciare questa vita, questa terra, lasciare tutto, sentì il bisogno di rinascere da capo, delle braccia di una madre che lo cingevano e cullavano facendolo sentire al sicuro, insegnandogli le parole “casa” e “mamma” e “amore”, quasi fossero al centro di ogni casa.
Sentiva il bisogno impellente di scrollarsi di dosso quegli affanni, quei brutti pensieri, quelle cose che non andavano dentro di lui. Sentiva il bisogno di andare alla ricerca dell'Hermione della prossima vita, e sentiva il bisogno di dimostrare a se stesso che stavolta non l'avrebbe lasciata fuggire, l'avrebbe stretta a sé.
Corse a perdifiato verso la Torre d'Astronomia, dove disarmò Silente, dove confessò la sua malvagità ed arroganza al mondo, dove rifiutò l'aiuto che l'avrebbe protetto, dove rifiutò una mano tesa verso di lui che l'avrebbe portato, in futuro, lontano da dove lui si trovava adesso. In procinto di lasciarsi cadere nel vuoto, di lasciare che la vita uscisse dal suo corpo vuoto e freddo.

 

 

 

Molti piani più sotto Hermione guardava ammirata Rose e Scorpius, che senza più timore riuscivano ad abbracciarsi, a godersi quegli istanti che Rose aveva creduto perduti dopo aver agitato la bacchetta verso un falso Scorpius.
Sentì Krum chiamarla, e si voltò verso di lui, sorridendo alla ragazzina che gli stava accanto. Doveva avere più o meno l'età di Rose, ed era davvero, davvero carina. Aveva ereditato un po' i duri lineamenti del padre, ma una presenza femminile le aveva donato molta più grazia e l'aveva resa un piacere per la vista.
“Folefo presentarti mia filia Susan” Biascicò Viktor, sorridendole.
“Ehi, ciao Susan!” Disse lei di rimando, sorridendo prima al padre e poi alla figlia così somigliante. “Ti va se ti porto a conoscere mia figlia?” Le propose.
“A dir la verità l'ho già conosciuta.” Disse la ragazza, sostenendo lo sguardo curioso di Hermione scoccandogliene un altro di rimando.
“Ah sì?”
“Sì, ma mi farebbe piacere rivederla e complimentarmi con lei per come è riuscita a superare la prova al Labirinto.”
“Oh, certo che sì.” Disse Hermione, cominciando a camminare verso al punto dove aveva visto la figlia, e dove adesso era sicura di scorgere anche la figura di un ragazzo che aveva visto spesso con Scorpius, e che credeva fosse il figlio di Nott. “Ma non penso voglia parlare del Labirinto.” Ammonì la ragazza.
“Si tratterà solo di dirmi grazie, e penso che in ogni caso le faccia bene parlarne, è importante che lo ricordi, potrebbe insegnarle tanto.”
Hermione si stupì della saggezza inscatolata in quella ragazzina, della sicurezza di sé che aveva, sicuramente ereditata dal padre, e si stupì di quanto riuscisse a tener testa anche a lei.
“Sì, forse hai ragione.” Ammise, “Starai qui fino alla fine dell'anno?” Chiese alla ragazza.
“Oh, beh, già che ci sono, immagino di sì.”
“Ne sono contenta. Sarà bello per Rose avere un'amica come te. Sai, durante il Torneo sono successe cose che penso le abbiano fatto perdere l'unica vera amica che avesse mai avuto, perlomeno la più fedele.”
“Sarò contenta se mi vedrà come un'amica.”
Raggiunsero in fretta il punto dove si trovavano Rose, Scorpius e il figlio di Nott, di cui Hermione continuava a non ricordare il nome. Prima che potesse annunciare Susan alla combriccola, Rose, che era con le spalle al muro, riuscì a vederla e la salutò, presentandola a Scorpius e il figlio di Nott -che Hermione scoprì che si chiamava Robert-, che si voltarono verso di lei.
Appena Robert vide Susan, Hermione seppe tre cose di lui, mentre poco prima non ne ricordava nemmeno il nome.
Sapeva che era il figlio di Theodore Nott, colui che era stato il migliore amico di Draco.
Sapeva che si chiamava Robert, adesso.
E sapeva anche che si era appena innamorato di quella ragazzina dai lineamenti un po' duri che gli stava davanti, incantata anche lei dalla figura che le si era appena parata davanti.
Hermione poté avvertire il cambio d'aria che avvenne quando Robert vide Susan e Susan vide Robert. Sentì il tempo fermarsi intorno a loro mentre Rose lanciava uno sguardo complice a Scorpius, visto che entrambi si erano accorti come me del loro sguardo intenso, rivolto l'uno verso l'altro.
Fu allora che Hermione scoprì che non tutti gli amori sono uguali.
Ci sono amori che sono come la brezza leggera in riva al mare, tanto mutevole quanto talvolta presente e talvolta assente. Amori che le persone sentono a malapena sulla pelle, e di cui si accorgono solo quando quella brezza si trasforma in un vento tanto forte da alzare onde altissime. Ci sono quegli amori che arrivano in punta di piedi, e che talvolta se ne vanno via, allo stesso modo. Sentì quella brezza sulla pelle, e seppe dare un solo nome a questa: il nome di Draco.
Poi, però, qualcosa di simile ad una scarica elettrica la scosse fino alle ossa quando vide Robert e Susan, Susan e Robert. Così giovani, così inesperti della vita, che adesso stava per dare loro l'insegnamento più grande di tutti, così come stava insegnando anche ad Hermione un altro tipo di amore. Quella non era una brezza in riva al mare, quello era un tuono, un fulmine alto nel cielo, quello era una cosa che tutti avvertivano, una cosa impossibile da nascondere, e che talvolta poteva fare paura. Quello era uno scoppio.
Così c'erano due tipi d'amore, c'era uno scoppio, e c'era una leggera brezza in riva al mare.

 

 

Draco precipitava, il vento a fendere ogni piccola parte di lui. Quanto era alta la Torre di Astronomia? Quanto sarebbe riuscito a resistere prima di schiantarsi al suolo?
Ripensò a tutte le cose della sua vita, vide sua madre e suo padre tenersi per mano, nel luogo di nessuno dove lui stava per arrivare, li vide aspettarlo con ansia mentre la morte correva a raccoglierlo dal terreno su cui si sarebbe schiantato.
Vide Hermione, vide Scorpius, piangere sul suo corpo ormai freddo e livido, magari la bocca spalancata. Vide Hermione chiudere le palpebre che la paura gli aveva spalancato anche se lottava per tener chiuse.
Era davvero questo, quello che voleva? 
Di nuovo qualcosa stava scivolando via dalle sue braccia, di nuovo aveva perso il controllo, e forse stavolta per sempre.
Riuscì a ricordare una cosa, una sola cosa, che portava milioni di altre cose, prima che la paura spalancasse i suoi occhi.

 

. 

 

Un ragazzo estremamente pallido, coi capelli biondissimi ed i lineamenti affilati, stava camminando lungo un corridoio gremito di ragazzi di tutte le età. Li osservava senza essere interessato da nessuno di loro, fino a che qualcosa non attirò la sua attenzione.
Erano capelli castani, di un castano ordinario. L'unica cosa straordinaria, in quei capelli, era che erano più crespi che mai.
La proprietaria di quel cespuglio marrone si voltò verso di lui, quasi captando la sua presenza nonostante lui fosse ancora a qualche metro da lei.
Hai visto un rospo? Un ragazzo di nome Neville l'ha perso.”
Io?”
Sì, tu” rispose la bambina, quasi scioccata. Chissà quante volte aveva fatto la stessa domanda e chissà quante volte la gente l'aveva guardata, gli occhi un po' spalancati e la bocca socchiusa in quella che si può definire un'espressione da ebete.
No, ma se lo vedo ti farò sapere.” Rispose il ragazzino, i lineamenti che sembravano addolciti da qualcosa che non riusciva nemmeno a capire.
Si ricompose in fretta e si guardò intorno, fu allora che lo vide: un grande rospo stava saltellando per il corridoio, gracidando e spaventando delle ragazze del terzo anno.
Ehi!” Gridò, voltandosi di nuovo verso al punto dove poco prima c'era la ragazza coi capelli crespi.
Lei si voltò, pensando che qualcuno la stesse chiamando, e allora il ragazzino biondo gli gridò:
E' qui! Il tuo rospo! O meglio, quello di Neville!”
Ma lei se n'era appena andata, e lui era rimasto con l'amaro in bocca.
Per lei sarebbe rimasto sempre e solo il ragazzo con l'espressione ad ebete che non era riuscito a trovare il rospo, come molti altri.

  
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