Di ritorno da un viaggio ai confini settentrionali dell’impero, Marco Polo racconta a Kublai l’esito della sua ambasciata. Poi, dopo una pausa: “Ma un’altra cosa ho riportato con me dal mio viaggio: un dono per te, o sire”.
“Cosa mai potresti donarmi, straniero, che io non possieda?”, risponde incredulo l’imperatore.
Marco estrae da una scatola d’ebano, posata sul pavimento davanti a lui, uno splendido bicchiere di vetro, finemente lavorato; e il Gran Khan, ammirato, osserva la luce danzare sulla superficie trasparente. Ma Marco, con un rapido movimento, getta a terra il bicchiere, mandandolo in frantumi.
“Perché l’hai fatto?”, chiede con stupore Kublai.
“Il mio dono, sire, non era il bicchiere; ciò che voglio regalarti è un insegnamento”; e raccogliendo con attenzione uno dei frammenti, lo porge all’imperatore. “Ecco, guarda: nella tua mano ora c’è un pezzetto d’arcobaleno. In una città dell’estremo nord ho incontrato un vecchio sapiente, che raccoglieva e conservava tutti i cocci di vetro che la gente buttava via. Una sera mi ha invitato nella sua stanza, ed ecco su una parete aveva creato un coloratissimo mosaico, che risplendeva alla luce tremolante delle candele”.
Kublai Khan rimane pensieroso un attimo, poi chiede: “E qual è l’insegnamento?”.
“Solo questo, sire: la vita è come uno scaffale su cui si allineano uno dopo l’altro i nostri sogni, come vasi di cristallo. Una folata di vento basta a farli cadere, mandandoli in mille pezzi. Ma se noi, invece che piangere sui sogni perduti, raccogliamo con pazienza uno ad uno tutti i pezzi, potremo costruire con essi un nuovo disegno, che prima non immaginavamo neppure, e che ora colorerà la luce che vi si riflette, rendendola più bella”.