Buonasera ragazzeeeee!
Allora, mi scuso subito per l’imperdonabile
ritardo con cui mi presento stasera: non ho avuto problemi di nessun tipo, solo
mi sono lasciata prendere la mano dalle serie tv e ne ho guardate a bizzeffe XD
adesso però ho messo in pausa Breaking Bad e mi sono messa qui a correggere e a
scrivere le note ;)
Bene, avete aspettato un mese e quindi non
vi faccio aspettare oltre, vi lascio direttamente al capitolo :) solo… non
uccidetemi e abbiate fede in me, che so già come dovranno andare le cose ;)
Un bacione, e alla prossima!
Solo il tempo
Capitolo
26
«Sono
così contenta di rivederti, Bella! Dobbiamo incontrarci più spesso, però, e non
così di rado.» blaterò Esme al mio orecchio, mentre mi teneva stretta nel suo
abbraccio. Più che un abbraccio, però, sembrava una morsa: le spalle
cominciavano a farmi male per quanto stava stringendo forte.
«Quando
vuoi tu, Esme, sono sempre disponibile!» replicai ridendo. La madre di Edward
mi piaceva un sacco, ed era sempre un piacere trascorrere del tempo insieme a
lei.
Specialmente
quando cominciavamo a prendere per i fondelli suo figlio più piccolo!
«Ci
organizziamo più avanti, allora, magari si uniscono a noi anche Rose e Alicia.
Siamo tutti una grande famiglia, ormai! Non è meraviglioso?» urlò, entusiasta.
Da
quando aveva ricevuto la notizia che sarebbe diventata presto nonna, ossia da a
malapena una settimana, Esme era uscita fuori di testa e non vedeva già l’ora
che quei mesi di attesa finissero. Ma visto che il tempo era quello che era, e
lei non era una strega, doveva aspettare… e nel frattempo aveva organizzato un
pranzo con tutta la famiglia riunita. La famiglia allargata, per essere
precisi.
Quella
Domenica ci trovavamo tutti nella grande casa Cullen: c’eravamo io, Allyson e
Edward, c’erano Rose e Emmett, Alice e Jasper, i coniugi Cullen, naturalmente,
e i genitori di Rose e Jasper, Jack e Alicia. Era la prima volta che li
incontravo e parlavo con loro, ma sembrava che li conoscessi già da mesi ormai,
dato che Rosalie e Jasper mi avevano parlato moltissimo di loro.
Erano
brave persone, e anche molto giovani: Jack dimostrava meno dei suoi
cinquantanove anni e Alicia sembrava ancora una ragazzina, tutta allegra e
solare. Adesso capivo il motivo per cui lei e Alice andavano così tanto
d’accordo, erano identiche! Si somigliavano sia di nome che di carattere… stare
insieme a loro due, così esuberanti, sarebbe stato un incubo da una parte! Mi
immaginavo già la scena.
Prima
del pranzo Carlisle aveva invitato tutti a spostarsi in salotto per consumare
un aperitivo; i maschi avevano accettato tutti, brindando come solo loro
sapevano fare, e noi donne invece ci eravamo limitate a restare sedute sul
divano, chiacchierando del più e del meno.
Quella
che attirava di più l’attenzione, però, non era Rose con il suo nuovo stato di
futura mamma: era mia figlia. Aveva gli occhi di tutte puntati addosso, neanche
stesse facendo qualcosa di strano… stava semplicemente parlando, a macchinetta,
ma stava parlando.
Alicia
si era perdutamente innamorata di lei, sin dal primo momento che le aveva
parlato, e adesso non faceva che tenerla vicina a sé, facendole complimenti e
moine di tutti i tipi. Il fascino della piccola aveva colpito ancora, e non
avevo ancora capito come cavolo riuscisse a farsi voler bene da tutti.
Forse
era davvero una streghetta, lei.
«Arriva
il cuginetto tra un po’, sei contenta?» le chiese Alicia, pizzicandole il naso.
«E
dov’è adesso?» domandò Allie, concentrata e attenta sulle sue dita che
giocavano con la collana di perle di Alicia. Sperai che non la rompesse, in
qualche modo.
«E’
dentro la pancia di Rosalie.» le rispose, soddisfatta e orgogliosa; anche lei
stravedeva per il piccolo bambino che stava per arrivare.
Allie
distolse l’attenzione dal suo nuovo gioco, ovvero ammirare le perle, e si girò
guardando attentamente Rose, che se ne stava tutta tranquilla seduta accanto a
loro e sorrideva. Io ero seduta sulla poltrona, poco lontano, e notai che gli
occhi di mia figlia erano puntati proprio sulla pancia, ancora piatta, della
mia amica.
Chissà
cosa le frullava per la testa…
«Ha
mangiato il cuginetto?» esclamò, tornando a guardare Alicia.
Ridemmo
tutte alla sua domanda, così innocente. Fino a quando restava su quelle e non
cercava di scoprire qualcos’altro ero contenta: mi sarei vergognata e non avrei
saputo come rispondere, se mi chiedeva… beh, come si facevano i bambini.
«Ma no,
amore, non lo ha mangiato!» dissi, avvicinandomi e inginocchiandomi accanto a
lei.
Le sue
sopracciglia si inarcarono, mentre pensava. «E come ci è entrato nella pancia
di Rosalie?» domandò.
Ahia, qui le cose si mettono male!,
pensai subito.
«Ce lo
ha messo Emmett, tesoro.» intervenne Alice.
«E come
ha fatto?»
«Esme,
non hai bisogno di una mano in cucina?» domandai, alzandomi in piedi. Sentivo
le guance calde, segno che l’imbarazzo stava prendendo piede. Non mi andava
proprio di dirle in quale modo Emmett aveva ‘messo’ un bambino nella pancia
della sua ragazza.
Non
erano cose che si dicevano a una bambina di quasi quattro anni, dannazione!
«E’ già
tutto pronto, Bella, ma ti ringrazio per il pensiero.» Esme mi sorrise, e
quella che mi era sembrata l’unica via di fuga sfumò all’improvviso.
«Ma
deve esserci qualcosa che posso fare!» pigolai in preda all’ansia.
Accanto
a me, Alice si stava sbellicando dalle risate. Lei metteva le pulci nelle
orecchie di mia figlia, che faceva domande scomode, e alla fine quella che ci
rimetteva ero io… come potevo risponderle?
Avevo
bisogno di un aiuto!
«Mamma,
devo fare pipì!» la richiesta della bambina arrivò proprio al momento
opportuno.
«Davvero?
Andiamo al bagno, allora!» colsi la palla al balzo.
«Non ti
preoccupare, Bella, ce la accompagno io. Va bene per te, piccina?» intervenne
Alicia, alzandosi dal divano e facendo scendere Allyson dalle sue gambe.
«Andiamo,
andiamo!» Allie afferrò al volo la mano di Alicia e insieme uscirono dal
salotto.
Non era
mica la prima volta che mia figlia mi snobbava per stare insieme a nuove
persone: scene simili le rivivevo tutti i giorni, grazie alla presenza quasi
fissa di Edward. Stavo cominciando ad essere un po’ gelosa di questo.
«Salva
per miracolo, eh Bella?» esclamò Rosalie, cercando di non ridermi in faccia.
«Sì,
divertiti pure! Voglio vedere quando ti troverai al mio posto!» occupai il posto
lasciato vuoto da Alicia e, sbuffando, incrociai le braccia sul petto.
«Mi
inventerò la solita storia delle api e dei fiori, o della cicogna…»
«Spera
che non voglia mai sapere il metodo vero e proprio per fare i bambini, o dovrai
metterti a parlare di patatine e pisellini.» ribattei.
«Uh,
che cosa divertente! Posso assistere anche io?» si intromise di nuovo Alice,
parecchio divertita per i nostri discorsi.
Le
risposi lanciandole la mia solita occhiata raggelante, ma dubitai che potesse
avere ancora qualche effetto: la usavo così spesso, ormai.
Il
pranzo era durato un bel po’, ma complici anche i discorsi e le risate che
erano nate nel mezzo quelle ore sembravano essere trascorse in un baleno.
L’argomento più parlato e ascoltato era stato, ovviamente, il bambino di Rose e
Emmett: Edward, poi, coglieva ogni occasione che gli capitava a tiro per
prendere in giro suo fratello, e veniva ogni volta premiato con uno
scappellotto dietro la nuca da parte mia, o di sua madre.
Esme
era parecchio suscettibile, adesso che stava per diventare nonna: guai se
qualcuno toccava il suo bambino maggiore!
E un
altro argomento, che aveva coinvolto tutti noi e che ci aveva lasciato
parecchio sorpresi, era stato un altro: il loro matrimonio.
Certo,
non era da sorprendersi se avevano deciso di sposarsi, specialmente adesso che
stavano per diventare una famiglia… ma, non potevano annunciarlo così, come se
niente fosse! Ad Alicia era quasi preso un colpo, tanto che si era versata il
vino sulla camicetta e adesso aveva una vistosa macchia scarlatta sul seno. Ma
si era ripresa subito, e si era unita a Esme nel ciarlare di date e di location
per il grande giorno.
«In che
giorno pensate di sposarvi?» chiesi ai due neo-fidanzati, approfittando di un
momento di calma che non sarebbe durato molto a lungo; le due consuocere si
erano allontanate per andare a prendere l’album delle nozze di Esme e Carlisle.
Stavano prendendo parecchio sul serio quella situazione, e cominciavano a fare
paura.
«A me
piacerebbe la fine di Maggio, non farà troppo caldo e non sarò ancora diventata
una mongolfiera per allora!» scherzò Rosalie, con la testa appoggiata sulla
spalla di Emmett; lui, sorridente, le accarezzava un braccio. «Tu che ne pensi,
orsacchiotto?»
«Dico
che prima è, e meglio è. Non ho voglia di ascoltare le nostre madri che
ciarlano senza smettere mai!»
«E dove
sta il divertimento dei preparativi, altrimenti? Qualcuno fuori di testa deve
esserci, per animare l’atmosfera!» ribadii.
«O per
rompere le palle… quindi è deciso, fine Maggio!»
«Fuori
una. Passiamo al prossimo punto della lista!» Alice si animò tutta,
scribacchiando qualcosa su un bloc-notes: pure lei mica scherzava, in quanto a
uscire fuori di testa. «Vestito da sposa…»
«Per
quello c’è tempo. Insomma, non posso prenderlo già adesso, o non mi starà più
per allora.»
Lei
sbuffò, depennando anche quel punto. «Va bene, ci torniamo dopo. Damigella
d’onore: hai bisogno di una damigella d’onore, o più di una! Devono
organizzarti l’addio al nubilato, aiutarti nei preparativi, cacciare i tuoi ex
fidanzati…»
«Quali
ex fidanzati?» si allarmò Emmett.
«Nessuno,
tesoro, è Alice che svalvola.»
«Io non
svalvolo! Dicci, Rose, chi saranno le tue damigelle?»
«Non lo
so, devo pensarci su.»
«Questa
lista non serve a niente, allora, visto che non sai ancora niente!» inacidita,
chiuse di scatto il notes e lo gettò sulla poltrona, sopra a Jasper.
«Alice,
che modi!» la rimproverò lui.
«Non
diventerai così quando ci sposeremo noi, eh?» il bisbiglio di Edward giunse
alle mie orecchie, facendomi sobbalzare. Ero così presa ad ascoltare i discorsi
fuori controllo di Alice da non dare attenzione a nient’altro.
«Eh?»
la mia risposta confusa gli fece inarcare le sopracciglia.
«Dicevo,
non diventerai una maniaca del controllo quando ci sposeremo noi, vero?»
«Dobbiamo
sposarci?» sgranai gli occhi, colpita.
«Mica
dobbiamo farlo adesso! Un giorno, forse… era per dire!» ecco, lo avevo fatto
confondere.
«Ah.»
parlare di matrimonio, ora come ora, era escluso: mi sembrava molto prematuro
pensare alle mie prossime nozze quando stavo vivendo ancora sulla mia pelle il
fallimento delle prime… però, il fatto che Edward mi aveva posto quella domanda
mi faceva sperare. «No, non diventerò così pazza.» aggiunsi.
Questo
lo fece sorridere. «Oh, bene. È consolante saperlo!» rise, ed io gli pizzicai
una guancia.
Nel
frattempo, Rosalie stava inveendo contro Alice e le sue idee sul matrimonio:
«Senti, Alice, dammi almeno un po’ di tregua prima di parlare di queste cose!
Ma di una cosa sono sicura: voglio degli spogliarellisti al mio addio al
nubilato, un sacco di uomini belli e nudi! Come a ‘Magic Mike’.»
Alice
batté le mani, eccitata. «Stupendo! Sarà la prima cosa che organizzerò:
spogliarello e Magic Mike!»
«Rose!
Ma…» Emmett, poverino, era un po’ sconvolto.
«La tua
futura moglie ha bisogno di distrarsi! Non penserai davvero che dovrà vedere
solo e soltanto il tuo pipino per tutta la vita?» lo sbeffeggiò ancora lei,
puntandogli un dito contro.
«Ragazzi,
questi non sono discorsi adatti alle orecchie di una minorenne.» Jack, che fino
a quel momento era rimasto in ascolto divertito, aveva prontamente coperto le
orecchie di mia figlia, appollaiata sulle sue gambe, e guardava tutti in modo
severo. «Le verranno idee strane, altrimenti.»
«Ne ha
già fin troppe, di idee strane.» mugugnai tra me e me, e la risata sonora di
Edward mi fece capire che aveva sentito il mio commento.
«Che
cos’è un pipino?» domandò Allyson, guardando in faccia Jack. Evidentemente le
sue mani non erano state dei buoni tappi per orecchie.
«Ehm…»
lui guardò Carlisle, che cercava di non ridere, e non era di nessun aiuto.
Ci
pensò Edward, a tirarlo fuori dai ‘guai’. «Pipino è una persona, tesoro, che fa
parte di un film!» esclamò in fretta e furia, alzandosi e andando da lei. Ah,
sia ringraziato il cielo che ci fosse un Pipino anche nel Signore degli Anelli!
«Però,
che brutto chiamarsi Pipino… ehi, Pipino!» Emmett non si risparmiò neanche per
quella volta una battuta a sfondo sconcio, che fece ridere Jasper.
«Quanto
sei infantile!» lo rimbrottò Rosalie, sbuffando.
Venni
distratta da tutte quelle chiacchiere a causa del mio cellulare che si mise a
squillare. Lo recuperai dalla tasca del cardigan, un po’ scocciata, e sbirciai
il nome che lampeggiava sullo schermo: Martha.
Il
malumore per quel disturbo venne scacciato via dalla sorpresa di scoprire che
mi stava chiamando. Balzai in piedi, scusandomi con gli altri per la chiamata,
e andai in corridoio per rispondere in pace e con calma; non sentivo Martha da
un po’, ovvero da quando la avevo informata che Allyson si era presa la
varicella, ed ero contenta di poter scambiare qualche chiacchiera insieme a
lei, seppur velocemente e non come avrei voluto.
«Martha,
che bello sentirti! Tutto bene?» risposi, appoggiandomi con la schiena contro
la parete.
«È un piacere, Bella! Però… vedi, io non sono
Martha.» ricambiò la voce dall’altra parte della linea: una voce che non
sentivo da troppo tempo, che non era di Martha e che era decisamente maschile.
Mi
paralizzai, per la sorpresa e per qualcos’altro di indefinito a cui non riuscivo
proprio a dare un nome. Felicità? Tristezza? Nervosismo? Angoscia? Paura?
Colpevolezza? Forse era un misto di tutte quelle emozioni.
«Sei ancora lì?» domandò James,
accennando una risata nervosa, e questo mi riscosse dal torpore in cui ero
sprofondata.
«Oddio,
James! Come… come stai?» domandai, e il tutto uscì dalle mie labbra sotto la
forma di un flebile mormorio. Era un gran risultato se fosse riuscito a
sentirmi…
«Bene, sto benissimo. Ho lasciato il centro,
sono risultato idoneo e pulito al cento per cento.» mi informò, e lo sentii
un po’ più rilassato rispetto a prima.
Sorrisi,
e il mio sorriso venne accompagnato dal pizzicore che sentivo agli occhi e che,
come sempre, anticipava una crisi di pianto. Strinsi le dita della mano libera attorno
al piccolo ciondolo a forma di cuore, da cui non mi separavo mai. «Non sai
quanto sono felice di saperlo! Tua madre me ne aveva parlato l’ultima volta che
ci siamo sentite… e so anche di Victoria. Lei come sta?»
Lo
sentii ridere. «Non ha perso tempo, la
mamma! È sempre la solita! Victoria sta bene, sta parlando di là con mia madre
in questo momento. Mi hanno… lasciato da solo, per poter parlare con te con
tutta calma.» mi spiegò.
«Capisco…
ma più tardi devi salutarle entrambe da parte mia!» dissi, tanto per smorzare
quel po’ di tensione che sentivo aleggiare nell’aria.
«Contaci, loro mi hanno detto di fare la
stessa cosa!» mi unii alla sua risata, mentre sentivo le chiacchiere di
Esme e di Alicia che percorrevano il corridoio per tornare dagli altri; Alicia
teneva stretto tra le braccia un album enorme rivestito di pelle bianca, che
doveva pesare parecchio. Le salutai, e loro fecero la stessa cosa con me,
facendomi cenno di raggiungerle non appena finivo la telefonata.
«E tu, Bella, come stai? Come state?»
continuò a dirmi, e stavolta lo sentii incerto mentre parlava. «Mia madre mi ha detto che hai un ragazzo,
che la bambina ha cominciato la scuola, ma mi piacerebbe sentire tutto questo
dalla tua voce. Hai un po’ di tempo, possiamo parlare di questo?» chiese,
alla fine.
«Che
domande stupide che fai, certo che possiamo parlare!» esclamai, allontanandomi
dall’entrata del salotto per rifugiarmi nell’enorme studio di Carlisle. Ero
sicura che a lui non sarebbe dispiaciuto, se mi nascondevo in quel posto per un
po’…
Rannicchiata
sulla poltrona di pelle dietro la scrivania, persi la cognizione del tempo e mi
immersi completamente nella conversazione insieme a James. Avevo poggiato il
cellulare sulla scrivania, in vivavoce, così ero libera di poter usare entrambe
le mani mentre ascoltavo e parlavo, ricordando quelli che erano stati i primi
mesi della mia nuova vita a Los Angeles insieme a mia figlia. Cercai di non
tralasciare nulla, e se mi sfuggiva qualcosa ci pensava James, che ogni tanto
faceva delle domande per approfondire meglio quello che gli dicevo.
Non
parlai sempre solo io, infatti arrivò anche il turno di James di raccontare
come aveva trascorso l’ultimo anno della sua vita.
Mi
spiegò di come aveva deciso di cercare un aiuto per uscire dal cerchio della
droga, di come era stato accolto a braccia aperte non appena mise piede al
centro, e di come all’inizio le cose non sembravano andare come aveva sperato.
Le
poche visite che poteva ricevere, le rare chiamate a casa che a volte venivano
negate del tutto, la nostalgia che provava nel sapere la sua famiglia lontana e
il dolore che sentiva nel cuore, al pensiero che non avrebbe rivisto mai più
Allyson.
Quelle
erano le parti della lista che mi aveva elencato e che non sopportava. Mi
sentivo così coinvolta e in colpa, anche, nel sentirlo parlare, e avevo
cominciato a piangere in silenzio, temendo che mi potesse sentire.
Tutto
quello che avevo provato io non era niente, in confronto.
«Mi sono sentito un po’ meglio quando ho
conosciuto Victoria. Lei… lei è una persona meravigliosa.» sorrisi, sentendolo
animarsi mentre parlava della sua ragazza. «Ricordo
che venne a parlarmi per la prima volta durante una riunione, una delle tante
che facevamo tutti insieme e che serviva per conoscerci e per parlare tra di
noi. È una assistente, e cercava di coinvolgermi nei discorsi e di farmi
parlare… non parlavo quasi mai, a quelle riunioni.»
«E
scommetto che lei è riuscita a farti sciogliere.» dissi, mascherando la mia
voce e cercando di non farmi sgamare mentre piangevo.
«Sì, c’è riuscita. Abbiamo parlato tanto,
della mia vita e di quello che era l’obiettivo che mi ero prefissato, e… e
siamo finiti con l’innamorarci. Non credo di aver mai amato così tanto una
persona, così come amo lei.»
Ridacchiai.
«Dovrei sentirmi offesa per questo, J! Ricordati che siamo stati sposati per
tre anni!»
«Beh, no che non dovrei. Se è per questo,
anche tu ti sei innamorata di un altro!» berciò, con fare scherzoso.
«Allora
vuol dire che siamo pari…» asciugai le ultime lacrime colate sulle guance e
poi, con il povero fazzoletto martoriato che avevo stretto nella mano, mi
soffiai il naso.
«Cos’era quel rumore?» chiese, allarmato
dal rumore poco lusinghiero che avevo provocato.
«Nulla,
niente!» minimizzai il tutto, maledicendomi mentalmente per il mio naso
rumoroso, e mi scappò un singhiozzo.
«Bella! Non starai mica piangendo, vero?»
«James,
mi dispiace così tanto per quello che è successo!» esclamai, riprendendo a
piangere, e al diavolo tutti i tentativi che avevo fatto per nasconderlo. «È
tutta colpa mia…»
«Bella, ma stai scherzando? Perché dici così?»
esclamò, spaventato.
«Perché
se io mi ero fatta gli affari miei e non ti avessi chiesto il divorzio, adesso
non staresti così male per nostra figlia! Non ti avrebbero tolto la custodia, e
mi sento una merda per aver fatto tutto questo…»
«Okay, frena! Tappati la bocca, stai calma!»
mi zittì, perentorio e deciso come se si fosse trovato davanti a me. «Bella, non è vero. Quello che stai dicendo
non è assolutamente vero. Non è stata colpa tua… anzi, hai fatto quello che hai
ritenuto più giusto e hai pensato alla bambina prima di tutto il resto. Hai
fatto esattamente quello che avrei fatto io se mi fossi trovato al tuo posto, e
non ti biasimo per questo. Non incolparti inutilmente, scema!»
«Ma è
come se fossi stata io a portartela via! Come puoi non maledirmi per questo?»
continuai a piangere, non riuscendo a fermarmi.
«Non ti entra proprio in testa, eh? Che devo
fare per fartelo capire? Non. È. Stata. Colpa Tua. Okay? Sono stato io il cretino che si è rovinato con la droga, io e
basta. Mi sono meritato questo e dovevo meritarmi anche di più…»
«Non
dire così, quello che ti hanno fatto è stato anche troppo.» pigolai,
strofinandomi gli occhi con le mani. Me le ritrovai nere di mascara colato. Non
osai immaginare lo stato della mia faccia in quel momento: come minimo, dovevo
essere la brutta copia di un panda.
«Comunque sia, adesso questa storia è tutta
acqua passata e non possiamo tornare a rimuginarci sopra. Però, c’è una cosa
che possiamo fare e di cui vorrei parlartene, Bella. Riguarda Allyson…»
«Cosa?»
Passò
un minuto buono prima che James riprendesse a parlare, e se non fosse stato per
il suono del suo respiro poteva benissimo sembrare che avesse chiuso la chiamata.
«Ho contattato un avvocato, qualche settimana
fa, e gli ho spiegato la mia situazione, del divorzio e di tutto il resto. Ha
tenuto da parte il caso e la mia richiesta dicendomi che mi avrebbe contattato
più avanti, quando avrebbe studiato bene il tutto… e la settimana scorsa mi ha
convocato nel suo studio. Dice che ci sono buone possibilità, anche se poche,
per far sì che la mia richiesta venga accettata.»
Ci
stavo capendo poco e niente, in tutto quello che aveva detto. «Quale
richiesta?»
«Quella per poter avere di nuovo
l’affidamento di Allyson.»
«L’affidamento?
Non… non vorrai portarmela via? Non…» domandai a stento, sentendo qualcosa di
strano formarsi in gola.
«No no no, non pensarlo neanche! Non potrei
mai portarti via la bambina!» mi
bloccò subito, prendendo di nuovo la parola. «Voglio solo avere la possibilità di starle accanto, di passare un po’
di tempo con lei… insomma, vorrei essere un buon padre per lei, anche se a
distanza. Ma prima, devo riuscire ad ottenere il consenso del giudice.»
«James,
questo è… è…» non riuscivo a trovare le parole.
«Da pazzi?»
«No, è
un bel gesto. È la cosa più bella che potresti fare per nostra figlia…»
«Ma c’è un ‘ma’, vero? Sento che c’è un ‘ma’.»
la sua considerazione mi fece scappare un sorriso.
«Ma
devo pensarci. Non è un no, e non è mia intenzione rifilartelo, però… dammi un
po’ di tempo per pensarci bene, per capire tutto questo…» sospirai, passandomi
stancamente una mano tra i capelli.
«Ci credo, ti ho dato tutte queste
informazioni così, su due piedi, è il minimo. Ti do tutto il tempo che vuoi,
Bella, prenditi tutto il tempo che ti serve. Non ti metterò nessuna fretta, te
lo prometto.»
«Ti
ricontatto io, non appena me la sento e so quello che voglio fare. Ho il numero
di tua madre, per qualsiasi cosa…»
«Ti do il mio numero, Bella. Hai qualcosa su
cui poterlo scrivere?»
Rubai
temporaneamente un blocchetto di post-it dal cassetto della scrivania e, con la
mano un po’ tremolante, scribacchiai il numero che James mi stava dettando.
«Okay, fatto.»
«Ti lascio andare, adesso. Posso… chiederti
una cosa, prima?» mormorò, incerto.
«Dopo
tutto quello che ci siamo detti? Chiedi tutto quello che vuoi.»
«Dai un bacio alla nanerottola da parte mia,
va bene?»
Strinsi
le labbra tra di loro, annuendo, poi mi ricordai che ci trovavamo a migliaia di
chilometri di distanza e che non poteva vedermi. «Va bene, lo farò.»
«Grazie, Bella. A presto?»
«A
presto…» mormorai. Qualche secondo dopo, un piccolo ‘clic’ seguito dalla linea
libera del telefono mi fecero capire che James aveva chiuso la chiamata.
Quella
era stata decisamente una giornata piena di sorprese: Emmett e Rose che
annunciavano le loro nozze imminenti, James che tornava a farsi vivo con una
telefonata e che mi chiedeva il consenso per ottenere l’affidamento congiunto
di Allyson… una volta uscita da quello studio, cosa avrei scoperto ancora? Che
Edward in realtà non era Edward, ma un vampiro centenario che desiderava
soltanto affondare le zanne nel mio collo?
Aver
rivisto Dracula la sera prima non sembrava
essere stata una buona idea.
La
porta dello studio si aprì, piano, quando io stavo ancora decidendo se
prendermi qualche altro minuto per calmarmi e per raccogliere le idee, oppure
andare dritta al bagno per sciacquarmi il viso e per togliere qualsiasi traccia
di pianto. Naturalmente, non potei fare nessuna delle due ipotesi.
Rimasi
seduta alla scrivania, con la testa poggiata sulle mani, e osservai Edward fare
capolino dalla porta solo con la testa. Accennò un piccolo sorriso prima di
intrufolarsi all’interno dello studio e dirigersi verso di me.
«Mi
sembri un po’ sconvolta…» disse, cercando di farmi ridere, ma la sua battuta mi
fece solo storcere le labbra. «Tutto bene?»
«Insomma,
stavo decisamente meglio prima.» borbottai, passandomi una mano sugli occhi.
«Sono
venuto a cercarti e poi sono rimasto qui fuori. Ho sentito che parlavi e… non
volevo disturbarti.»
Tornai
a guardarlo, sconcertata. «Hai sentito tutto? Hai origliato?» domandai.
«Non
era mia intenzione farlo, lo giuro, e poi parlavi a voce abbastanza alta! Però
mi sembravi anche un po’ provata, così sono rimasto. Volevo starti accanto.» mi
spiegò, poggiandosi alla scrivania con le mani.
«Non
dovevi origliare, non è bello!» lo rimproverai.
«Non
volevo, mi dispiace.» si scusò ancora.
Sospirai,
grattandomi la faccia. «Non fa niente, tanto te ne avrei parlato lo stesso… non
è una cosa che posso nascondere.»
Sentii
Edward spostarsi e fare il giro della scrivania, e ben presto me lo ritrovai
accanto, inginocchiato di lato alla sedia e con le mani poggiate sulle mie
gambe velate dalle calze. Le carezzava piano, infondendomi un po’ di calore. Le
sue mani erano bollenti… e dopo qualche secondo, scoprii che non era Edward ad
essere bollente, ma io ad essere gelata.
Senza
dire niente, mi fece alzare in piedi e dopo che ebbe preso posto sulla poltrona
mi fece sedere sulle sue gambe, cingendomi con le braccia nel tentativo di
scaldarmi un po’. Nascosi la testa nell’incavo del suo collo, cercando di
rannicchiarmi più che potevo contro di lui. I movimenti di Edward erano
gentili, dolci, mi stava dimostrando la sua presenza e allo stesso tempo mi
stava lasciando da sola con i miei pensieri…
Ma non
volevo pensare in quel momento, avevo paura di quello che la mia testa avrebbe
potuto partorire.
«Che
cosa posso fare? Se dico di sì ho paura che tutto possa andare storto… se
invece dico di no, mi sentirei in colpa per non aver dato a James questa nuova
possibilità. Tu che ne pensi?» sibilai, senza abbandonare il mio nascondiglio.
«Non lo
so, tesoro, non è una scelta che posso fare io. Non… Allyson non è mia figlia,
la amo ma… ma non sono il suo vero genitore.» disse, e percepii il suo fiato
infrangersi sulla mia fronte.
«Però
la ami, lo hai detto. Pensa a questo: se la ami, cosa vorresti fare per lei?»
«Farei
qualsiasi cosa per renderla felice. Le regalerei il mondo intero, se è quello
che desidera.» fu la sua risposta, semplice e diretta.
Depositai
un piccolo bacio sul collo di Edward mentre la confusione prendeva piede dentro
di me. La sua risposta era la stessa che avrei dato io se mi avessero posto
quella domanda, ma le mie paure mi frenavano. Avevo paura per Allyson, per
quello che avrebbe provato se qualcosa non fosse andato secondo i piani… era
così piccola, ed in qualche modo era stata già delusa una volta, quando con il
divorzio si era ritrovata senza il suo papà accanto.
Potevo
rischiare la sua felicità ancora una volta?