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Autore: idrilcelebrindal    06/11/2013    6 recensioni
La Battaglia dei Cinque Eserciti è terminata, ed è stata una strage; ed anche se nessuno dei Durin ha trovato la morte sul campo, i Nani sono privi di guida. Thorin, menomato dalle ferite, in preda a spaventosi rimorsi e sensi di colpa, straziato dall'ansia per la sorte dei suoi ragazzi, medita di rinunciare al Trono per cui ha tanto combattuto.
Kili, privato di suo fratello disperso in battaglia, profondamente deluso dallo zio, si aggrappa disperatamente alla vita; in questa lotta, ha come solo conforto la presenza della sua dolce Liatris, e la convinzione che Fili non è morto, e prima o poi tornerà.
E intanto, molto più ad ovest, gli Orchi in fuga trascinano con loro alcuni prigionieri: uno, con un'astuta messinscena, prepara una rocambolesca fuga, senza sapere quali ostacoli incontrerà e se l'impresa non gli costerà la vita; un altro, alla disperata ricerca del suo passato, scoprirà che l'amicizia può fiorire anche in luoghi e momenti del tutto inaspettati. Non sa che questa amicizia lo trascinerà su una via oscura e piena di pericoli, ma anche di sorprese, ed alla fine potrebbe anche ritrovare se stesso ed il suo destino.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Fili, Kili, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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8 Ostaggi
Scusate il ritardo, in questo periodo sono davvero molto impegnata  e non riesco a trovarmi il mio angolino tranquillo. Accidenti, speriamo in tempi migliori!
Ho seminato indizi come Pollicino…  buona lettura!


8. Ostaggi

Il Nano si guardava intorno, dal suo  scomodo punto di vista, cercando di  raccogliere più informazioni possibili  sul numero, la disposizione, lo stato di quelli che lo tenevano prigioniero. Gli Orchi in vista erano un centinaio, e non tutti uguali. Orchi, di tribù diverse, e Goblin, insieme. Non è comune.
E’ possibile che ce ne siano altri più distanti?  Si chiese.
Sì. Tra gli alberi radi ed i grossi cespugli si intravedevano bagliori che potevano far pensare ad altri fuochi. Una grossa banda… ma piuttosto male in arnese. Gli Orchi ed i Goblin accanto ai quali passava mostravano i segni di un aspro combattimento: molti erano feriti, tutti erano sporchi – beh, più del solito -  e chiaramente affamati. Per un attimo un brivido gelido gli percorse la spina dorsale.  Speriamo che gli ordini non cambino… vivi e belle armi.
Già, perché? Le belle armi, se mai le aveva avute, erano sparite, ma non c’era da meravigliarsi. Un pensiero gli frullò per la mente, qualcosa che aveva a che fare con i suoi stivali. Scosse il capo, istintivamente, come per schiarirsi i pensieri. Era ancora molto confuso e il mal di testa, che peggiorava in quella posizione, non aiutava di certo. Stivali…?
Coltelli negli stivali!  Ho dei coltelli negli stivali! Ma… ho gli stivali?

Stava oziosamente pensando che di certo non era a piedi nudi, quando fu brutalmente scaraventato a terra, dove rotolò alcune volte per fermarsi a faccia in giu. Cercò di far forza sui gomiti per girarsi, ma una mano lo afferrò per il dietro della camicia, cercando di metterlo in piedi. Impedito dalle corde intorno alle caviglie, e sentendosi cedere le gambe, immediatamente ricadde sulle ginocchia.
“Ti avevo detto che se non lo sleghi non può stare in piedi!” la voce dietro di lui era ancora quella di Shagat.
“E se scappa?” ribattè Nathak.
“Ma dove vuoi che vada?”
Il battibecco fu interrotto da una voce aspra davanti a lui.
“Basta, voi!” il Nano alzò gli occhi, cercando di mettere a fuoco le figure che stavano davanti a lui. Almeno cinque mostri, di cui due Orchi e tre Goblin. Insieme.
Gli altri prigionieri erano accanto a lui. Due Elfi in piedi, uno a terra, inanimato, accanto al Nano che biascicava parole incomprensibili. Potè vedere quest’ultimo  un po’ meglio e si rese conto che doveva essere piuttosto giovane.   Gli Elfi … erano Elfi. Per lui, tutti uguali, con quei capelli biondi lisci; anche i due in piedi però  sembravano malconci, uno dei due aveva uno straccio legato intorno alla fronte, mentre l’altro era coperto di sangue e zoppicava vistosamente.
Ma per Mahal, cosa ci faccio qui?
Riportò la sua attenzione sui cinque davanti a lui, che avevano cominciato ad interrogare gli Elfi.
“Chi siete, voi due? E il vostro amico a terra?”
“Siamo Elfi Silvani,  della Guardia di Mirkwood.”
L’ Orco più grosso ruggì.
“Non cominciamo con le fandonie, feccia elfica! I guerrieri della Guardia di Mirkwood hanno tutti la stessa divisa e le stesse armi. Voi tre no. Chi siete?”
“Ma non è una fandonia!” rispose l’Elfo dalla voce giovane. “Facciamo parte della Guardia. Cosa ne sai di come siamo equipaggiati?”
“Qui le domande le faccio io!” ruggì di nuovo l’Orco. “Avrete un nome, almeno! E se non è così… vuol dire che non ci servite a niente.”
Il Goblin più grosso intervenne.
“Avevo detto che non era una buona idea! Mangiamoceli e basta!” I Goblin intorno acclamarono all’idea. L’Orco che non aveva ancora parlato alzò la lancia che teneva in mano. “Silenzio.” La voce bassa e raschiante, il tono calmo, fece rabbrividire il Nano più che i ruggiti o gli urli. Era… raggelante. Istintivamente capì che doveva essere il più potente dei cinque. Poi continuò, con un tono vagamente annoiato, come se stesse spiegando l’ovvio a dei cuccioli un po’ tonti.
“Ed una volta mangiate queste quattro ossa, avremo tutto l’inverno per morire di fame… o per essere annientati. Possiamo cavarcela durante il viaggio, visto che per ora nessuno ci sta inseguendo da vicino, ma quando faremo ritorno alle nostre tane nelle Montagne Nebbiose, sarà dura. Noi a Gundabad abbiamo poche  scorte, e lassù ci sarà già la neve; Azog contava di passare l’inverno ad est, e non ha provveduto. Anche se siamo rimasti in pochi, non sopravviveremo un mese con quello che abbiamo. Voi state meglio? Se non avete bisogno di questi prigionieri ce li terremo noi; ma di sicuro non si mangiano adesso.”
Il Nano pensò che il mondo stava andando alla rovescia. Non avrei mai pensato di essere d’accordo con un orco.
“Non oseranno inseguirci! E una volta nelle nostre grotte, saremo invincibili!” gridò il secondo Goblin.
L’Orco lo guardò sprezzante.
“Se vuoi crederci… ne riparleremo quando avrete Elfi a est ed Elfi a Ovest… per non parlare dei Nani. Credi che non ne vedremo più? Si sposteranno da ovest a est a migliaia! E noi siamo esattamente sulla loro strada.  Siamo rimasti in pochi,  malconci, e tra poco saremo affamati! E se vogliamo salvarci abbiamo bisogno di…”
Il Nano stava rapidamente elaborando le informazioni. Ma certo. Sono nei guai; non possono nascondersi, se non hanno scorte, e un combattimento li eliminerebbe. Hanno bisogno di…
“… merce di scambio!” disse l’Orco.
Beh, io avrei usato la parola ostaggi, ma questi sono orchi... ed io sono nei guai fino al collo. Se non altro non mi faranno la pelle subito. Spero.
“Quindi,  Ogerak, scegli qui e subito! Vuoi questa feccia o no?” intervenne il primo Orco.
Ogerak lo guardò con odio.
“Vedremo se serviranno a qualcosa, Uglùn! Chi dannazione sono, tanto per cominciare? E perché i loro compagni dovrebbero fare  qualcosa per loro?”
“E’ quello che stiamo cercando di scoprire,” rispose Uglùn, “se la piantate di farci perdere tempo!” poi si rivolse ai prigionieri frastornati.
“Beh, vi è chiara la situazione? Convincetemi che ho interesse a tenervi vivi… perché in caso contrario vi lascerò finire nella pentola dei Goblin! Allora, ricominciamo. Chi siete?”
I due  Elfi si guardarono, poi il più vecchio si strinse nelle spalle.
“Siamo Guardiani; facciamo parte della Guardia Personale di Thranduil. Io mi chiamo Darendel e lui è Lirien.”
Il secondo Orco chiamò con un cenno della mano un altro mostro dietro di lui. Questo si avvicinò e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Dopo un breve scambio di battute, concluse:
“Sono sicuro, mio signore Thorbag.”
“Hmm!” bofonchiò Thorbag. “Potrebbero essere utili. Mi dicono che i Guardiani di solito sono Elfi di stirpe nobile, vedremo se ai loro parenti importa qualcosa di loro. Continua, Uglùn. E l’altro?”
Di nuovo i due elfi si guardarono. Lirien scosse il capo, ma Darendel lo ignorò.
“Lui è Vandil. E’ un Guardiano, ma anche il nipote di Thranduil…”
“No!” cercò di interromperlo Lirien, ma un Goblin alle sue spalle lo colpì, facendolo cadere in ginocchio.
“Bene bene,” osservò Uglùn, il primo Orco. “Quindi vale qualcosa… se lo rimetteremo in piedi. Non credo che Thranduil concederebbe alcunchè per un cadavere. Portatelo via e vedete di curarlo!”  Due orchi sollevarono l’elfo inanimato e lo portarono via.
Il  Nano sentì una mano brutale che lo rimetteva in piedi, trattenendolo mentre un coltello scendeva a recidere le corde che gli legavano le caviglie. Mosse impacciato i piedi, tentando di trovare un equilibrio e di evitare di cadere a faccia in giù davanti ai suoi catturatori. Maledizione, stai in piedi!  Si ordinò. Fai vedere chi sei.
“Cosa abbiamo qui? Chi siete voi due?” era ancora Uglùn.
Nessuna risposta. Naghak diede una spinta brutale nella schiena del Nano, che cadde in ginocchio per un momento, ma subito si alzò di nuovo.
“Ebbene?”
Un piccolo Goblin corse ad inginocchiarsi davanti ad  Ogerak, squittendo:
“Signore, signore! E’ uno di loro! Uno di quelli che hanno ucciso il Grande Goblin!”
Un silenzio di tomba cadde sul gruppo e sugli spettatori.
Oh. Maledizione. Adesso sono davvero nei guai.
Ogerak balzò in piedi.
“Uno di loro! Lo uccido!” così dicendo si avventò verso il Nano con la lancia alzata.
“Un attimo.” La voce imperiosa di Thorbad  lo fermò. L’Orco si voltò verso il piccolo goblin.
“Ne sei sicuro? Come hai fatto  a vederlo così bene ed a ricordartelo?” il goblin vacillò davanti allo sguardo gelido del grande Orco di Gundabad. All’improvviso non sembrò più così sicuro.
“S-sì signore… credo… mi sembra…”
“Lo è o no? O ti sembra…”
“Come… come faccio ad essere sicuro, signore? Sono tutti  uguali!”
Certo. Come no, pensò il Nano.
“Cosa ti ricordi di loro?” continuò Thorbad.
“Erano tantissimi! Decine! No, centinaia! Delle furie scatenate! E uno era bruttissimo, pensa, senza barba! Un mostro!”
“Beh, questo la barba ce l’ha… come tutti i Nani. Ma il testimone non mi sembra attendibile: i Compagni di Thorin Scudodiquercia non sono mai stati più di quindici…” meditò l’Orco.
“Guarda, signore!” lo interruppe Naghak. “Ha sussultato quando hai nominato il Grande Nemico! E’ uno dei suoi!”
“Certo che è uno dei suoi, maledetto idiota!” sbottò Uglùn. “Erano tutti ai suoi ordini, tutti maledetti Durin! Certo che lo conosce!” poi si rivolse al Nano. “Allora, feccia nanica! Preferisci finire subito arrosto o vuoi dirci chi sei tu, e chi è  il tuo compagno?”
“Chi sia lui, non ne ho idea. So solo che è il fratello di qualcuno. Non l’avevo mai visto prima.”
“Allora la voce ce l’hai!” intervenne Ogerak. “Dicci qualcosa di interessante, topo, o ti farò squittire!”
Naghak si sporse per colpire di nuovo il Nano, ma questa volta il prigioniero era pronto. Fece un passo di lato e ruotò il busto, sferrando una violenta gomitata che colse il goblin allo stomaco.  Con un grugnito, Naghak si piegò su se stesso; il Nano alzò i pugni legati e li abbattè sulla nuca del goblin, che finì a terra privo di sensi.
I Goblin presenti si avventarono sul Nano, che si trovò a terra circondato da una selva di lame. In tutto questo tempo, dalle sue labbra non era uscito un suono.
“Fermi!” ancora una volta la voce gelida di Thorbad bloccò tutti. “Indietro.”
“Hai visto! E’ pericoloso!” gracchiò il secondo capo dei Goblin.
“Ha detto indietro, feccia!” sbraitò Uglùn. “Obbedite!”
I Goblin si allontanarono di malavoglia, tenendo sempre le lame puntate contro il Nano che  si stava rialzando.  Thorbag lo guardava con uno sguardo calcolatore.
“Bene, bene… un bravo rissaiolo, vedo. Se davvero fosse uno dei Compagni di Thorin Scudodiquercia, potrebbe essere utile. Portate qui le sue cose, vedremo se ci diranno più di quanto intende dire lui.”
Un Orco si fece largo, portando una bracciata di armi e pezzi di armature che gettò a terra ai piedi di Thorbag. Fu Uglùn, però, ad alzarsi  e ad andare a rovistare nel mucchio.
Una cotta di mithril. Protezioni per i gomiti e le spalle,  spade e pugnali, un elmo, cinture, tutti oggetti di fattura nanica, meravigliosamente forgiati, del migliore acciaio con decorazioni degne di un principe o di un comandante.
“Uhm… non è l’equipaggiamento di un normale soldato, questo; devono essere entrambi personaggi importanti.” Poi, rivolto al Nano: “Beh, non vuoi dirci chi sei?”
Ancora nessuna risposta. Uglùk scambiò uno sguardo di intesa con Thorbag; poi, improvvisamente, raccolse una spada e la lanciò al Nano. D’istinto, questi sollevò le mani ancora legate ed afferrò la spada dalla parte dell’elsa, con la mano sinistra, e si mise in guardia.  Thorbag fece un sorriso gelido, mostrando le zanne, ed il Nano capì di aver commesso un errore irreparabile.
“Bene,” grugnì l’Orco. “Un guerriero addestrato.  Troppo giovane per essere un veterano che ha imparato in mille battaglie; sei  un Nano di nobile stirpe che ha avuto maestri d’armi fin da bambino. E mancino. Ci hai detto un sacco di cose su di te, bastardo, anche senza parlare. Non sarà difficile scoprire chi sei. Portateli via, e curate quell’altro! Ah, dategli qualcosa per coprirsi, se vogliamo che vivano.”
“Un momento.” L’ultimo Goblin parlò per la prima volta.
“Che hai, Sobek?” grugnì Ogerak. “Non abbiamo già perso abbastanza tempo con queste sciocchezze?”
“Perdonami, Ogerak,” disse Sobek a mezza voce. Il Nano sentì un brivido correre lungo la spina dorsale. Per qualche motivo quest’ultimo Orco lo spaventava più di tutti gli altri, anche più di Thorbag; doveva essere quella voce sibilante, sommessa… perversa. C’era qualcosa in lui che faceva vacillare la ragione del Nano, e gli ispirava un terrore cieco. Pazzia
Il Goblin si alzò ed andò a piazzarsi davanti al prigioniero.
“Hmmm… penso che Kretak potrebbe aver ragione, potrebbe essere uno dei Compagni di Scudodiquercia…” girò attorno al prigioniero, che fece appello a tutto il suo autocontrollo per rimanere impassibile.
“Che dici?” proseguì la voce sibilante. “Sei tu che hai fatto cadere il nostro Grande Re?” si chinò vicino all’orecchio del Nano. “Sai, potrei perfino ringraziarti per aver tolto di mezzo quel pazzo…”
Nessuna risposta.
L’Orcò alzò una zampa e con un dito munito di artiglio sollevò il mento del Nano che fu costretto ad assecondarlo per non rimanere sgozzato. Anche così, l’artiglio penetrò nella pelle delicata della gola: un sottile rivolo di sangue macchiò la corta barba del prigioniero.
“Hmmm… in ogni caso sei un bell’esemplare… certo, potremo sempre usarti come ostaggio… ma non è necessario che tu sia integro… cosa ne dici…?”
A questo punto il Nano non era solo  spaventato: era terrorizzato. E’ più che semplicemente pazzo; è uno psicopatico totale.  Intravedeva un abisso di orrore e di perversione che lo spaventava ben più di una semplice morte in battaglia.  Si sentiva come l’uccellino incantato dal gatto in caccia che gira lentamente attorno a lui, così terrorizzato da non riuscire a muovere un muscolo.
“Basta così, Sobek.” La voce di Thorbag pose fine all’incantesimo perverso in cui il Goblin pazzo aveva avvolto il prigioniero, al quale sembrò di liberarsi da un incubo. “Basta con i giochetti. E in quanto a te, Nano, parleremo ancora domani. E finalmente mi dirai il tuo nome.”
Il Nano si lasciò condurre via senza emettere un suono. Sempre in silenzio afferrò un mantello di cuoio che Naghak gli aveva lanciato, mettendoselo con difficoltà sulle spalle a causa dei polsi ancora legati. Puzzava da morire, ma almeno riparava dal vento della notte.
Non che potesse far qualcosa per scaldare il gelo che il Nano aveva nell’anima. Sedette a terra; guardò l’otre con l’acqua ed il tozzo di pane che gli avevano messo davanti, senza raccoglierli, anche se la sete lo tormentava.
Non avrebbe potuto ingoiare nulla, talmente era tormentato dalla nausea.
Appena i suoi carcerieri voltarono le spalle, si accasciò appoggiando la fronte  sui polsi legati, le spalle scosse da un tremito violento.
Perché quando gli avevano chiesto il suo nome, non aveva taciuto per orgoglio.
Aveva taciuto perché non aveva la più pallida idea di quale fosse.
Non so chi sono. Non so da dove vengo, niente.
Niente.




Colpo di scena!
E adesso vado a studiarmi gli aspetti medici dell’amnesia. Non voglio dire bestialità. 
  
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