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Autore: Acinorev    07/11/2013    15 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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Would you listen to me?

Capitolo 24

Vicki.
 
Parcheggiai l’auto ad una decina di metri di distanza da casa di Abbie, ringraziando il cielo di aver trovato un misero posto tra un’altra macchina ed un cassonetto in pessime condizioni.
Il mio labbro inferiore stava probabilmente chiedendo pietà, dato che l’avevo torturato senza sosta fino a quel momento, cercando di rilassarmi e di non pensare al peggio: non avevo più sentito Zayn e la curiosità e la preoccupazione non mi lasciavano in pace.
Stringendo la borsa in tessuto nero sotto il braccio, affondai il viso nella sciarpa in cotone dello stesso colore, a causa del vento che quella sera soffiava tra le strade di Londra: potevo già intravedere l’appartamento della mia amica – se così poteva essere definita -, ma di Zayn non c’era traccia.
Il portone di casa di Abbie era deserto e in penombra, perché il lampione lì vicino si stava per fulminare: corrugai la fronte e trattenni il respiro. Dove diavolo era?
Mi mossi lentamente, facendo qualche passo per avvicinarmi un po’ di più e magari accorgermi di aver avuto una svista. Proprio nel momento in cui passai di fianco ad un piccolo vicolo, però, soffocai un grido quando una mano si avvolse intorno al mio polso.
«Sono io!» cercò di tranquillizzarmi una voce, mentre io provavo a liberarmi dalla presa non troppo insistente e mentre il mio cuore batteva talmente velocemente da sembrare che volesse fuggirmi dal petto.
Spalancai gli occhi e assottigliai lo sguardo, respirando con agitazione. «Zayn» mormorai, in un misto di sollievo e rimprovero.
La scarsa illuminazione di quel piccolo vicolo nascondeva in parte il suo viso: i capelli e gli occhi sembravano davvero dello stesso colore delle notti più buie, e – con un po’ di sforzo – mi accorsi del suo viso stanco. Indossava solo una t-shirt scura e i soliti jeans neri un po’ consumati, e mi chiedevo come potesse sopportare la temperatura ostile di quella sera.
«Mi hai fatto prendere un colpo - gli feci presente, portandomi una mano al petto. La sua stava ancora stringendo la pelle del mio polso, anche se più delicatamente. – E cosa ci fai nascosto qui?» chiesi. Sembrava un latitante.
«Fama internazionale, ricordi? Col cazzo che ho intenzione di farmi vedere da qualcuno, stasera» borbottò aspramente. La linea delle sue labbra era rigida, così come la sua espressione: era nervoso, quasi arrabbiato.
In effetti avrei potuto pensarci prima: Zayn non sarebbe rimasto semplicemente sotto casa della sua migliore amica in mia attesa, correndo il rischio che qualsiasi passante potesse riconoscerlo e quindi peggiorare solo il suo stato d’animo.
«Ok, ehm… Allora andiamo: ho la macchina qui vicino» spiegai, guardandolo con un cipiglio confuso.
Cosa ti è successo?
Zayn non rispose. Si limitò ad annuire con la mascella serrata e a superarmi, lasciando la presa su di me e infilando le mani in tasca. Il capo basso e un sospiro a gravargli il petto.
 
Inspirai profondamente e morsi l’interno della mia guancia, stringendomi nelle spalle.
Ormai eravamo insieme da quanto? Tre quarti d’ora? Forse di più? Eppure non c’era modo per capire cosa stesse succedendo a Zayn: dal momento in cui si era seduto al posto del passeggero al mio fianco, non aveva più parlato, se non per chiedermi se avessi già mangiato e per obbligarmi a fare tappa al Mc Drive, nonostante io insistessi nel dire che avrei potuto farne a meno.
Per tutto il tragitto, avevo combattuto con me stessa per evitare di tempestarlo di domande e di incoraggiamenti a dire qualcosa: sapevo che l’avrebbe fatto quando si sarebbe sentito pronto, quando avrebbe smesso di fumare nervosamente e magari quando avrebbe deciso di degnarmi almeno di uno sguardo.
Eravamo seduti su panchine di legno divise da un tavolo rettangolare e abbastanza stretto, uno di quelli che si usano di solito per i picnic, ben fissi nel terreno: era stato Zayn a portarmi in quel piccolo parco, quasi fuori Londra, infatti era a me sconosciuto. Praticamente deserto, oltre a poche giostre per bambini – un po’ cigolanti per il vento – ospitava diversi alberi più o meno grandi, che producevano delle strane ombre sull’erba umida, a causa dei lampioni che emettevano una vivace luce bianca.
Davanti a me, i resti della mia cena: a causa di quella situazione, non ero riuscita a finire tutte le patatine fritte e anche il panino era rimasto a metà.
Tamburellai le dita della mano destra sulla superficie in legno e guardai Zayn con impazienza. Ognuna delle sue gambe magre stava ad un lato della panchina opposta alla mia e lui fissava qualcosa di fronte a sé, o forse nella sua testa, lasciandomi l’opportunità di studiare il suo profilo senza troppi problemi: l’ennesima sigaretta mezza consumata tra le dita e le labbra secche.
Mi schiarii la voce, incapace di aspettare oltre, e «Zayn» lo chiamai, un po’ esitante. Avevo come l’impressione che potesse scoppiare da un momento all’altro e che anche una sola parola sbagliata o di troppo da parte mia avrebbe potuto farlo innervosire ancora di più.
Ovviamente non mi rispose, anzi, sembrò quasi che non mi avesse nemmeno sentita.
Pestai i piedi a terra, sistemandomi meglio sul legno duro. «Cosa c’è?» domandai in un sussurro, sporgendomi leggermente in avanti.
Sospirai, quando di nuovo non ottenni un cenno di vita, e mi guardai intorno cercando di racimolare ancora un po’ di pazienza: non che fosse quello il problema, ma era evidente che lui fosse tormentato da qualcosa, e il fatto che io non riuscissi a farlo aprire mi torturava, perché desideravo solo farlo stare meglio. Fare il possibile, almeno.
Guardai l’orologio al mio polso, senza nemmeno una vera e propria curiosità riguardo che ora fosse. Le 21.17.
Louis era già con Eleanor? Le stava parlando di noi? Come si sentiva nel rivederla? E lei?
Ero ancora infastidita dal suo improvviso cambio di programma, nonostante quella sensazione fosse momentaneamente indebolita da altre preoccupazioni, ma ero comunque tentata di mandargli un messaggio: aveva detto che ci saremmo sentiti più tardi e quello sembrava il momento adatto per fare qualcosa a riguardo, dato che il mio interlocutore non aveva intenzione di intrattenermi in alcun modo. Avrei potuto scrivergli e – chissà -ricevere una risposta che mi avrebbe parzialmente tranquillizzata, chiedergli dove fosse e come stessero andando le cose: insomma, avrei potuto comportarmi da normale ragazza in una normale relazione con un normale ragazzo.
Il punto era che il “normale” non si addiceva a noi, a qualunque fosse il nostro rapporto, di preciso: probabilmente, alla vista di un mio sms, Louis avrebbe solo alzato gli occhi al cielo e pensato che fossi opprimente e paranoica, sapendolo con Eleanor. Probabilmente non era riuscito a dirle di noi e a chiudere i rapporti con lei – sempre che fosse quella la sua intenzione – e probabilmente si stava divertendo in sua compagnia. Probabilmente non mi avrebbe nemmeno risposto e sicuramente io avrei passato il resto del tempo a rimuginare e a darmi della stupida da sola.
Mentre il mio stomaco si rivoltava a quei pensieri poco tranquilli, un movimento improvviso mi fece riscuotere, quasi spaventandomi: davanti a me, Zayn si era alzato di scatto, allontanandosi di qualche passo e incastrando le mani tra i capelli dopo aver gettato la sigaretta a terra.
Schiusi le labbra e lo ascoltai respirare lentamente, osservando ogni suo movimento e ogni muscolo della schiena che gli si contraeva. Non sapevo se parlare di nuovo o se semplicemente stare in silenzio e aspettare che fosse lui a farlo.
«Vaffanculo!» sbottò poi, come se mi avesse letto nel pensiero, calciando qualcosa davanti a sé con più rabbia di quanta me ne sarei aspettata. Mi alzai in piedi velocemente, più per lo spavento che per la preoccupazione, anche se dopo un solo secondo le motivazioni si erano già invertite. Zayn era ancora di spalle ed io avevo il battito accelerato.
«Vaffanculo! – gridò di nuovo, questa volta con il viso rivolto al cielo nero. – Vaffanculo!»
Esitante, mi avvicinai a lui, senza sapere bene come comportarmi. Quando però imprecò di nuovo, il mio istinto prevalse e mi portò ad abbracciare la sua schiena, premendo il viso sulla sua scapola sinistra e chiudendo gli occhi, come se avessi potuto tranquillizzarlo. In realtà sentivo ancora il suo respiro accelerato, mentre le mie mani si intrecciavano sul suo addome, ed ero sicura che, se mi fossi sforzata abbastanza, avrei potuto udire i suoi denti stridere gli uni contro gli altri mentre serrava la mascella.
Era rigido e freddo, ma non si ritrasse, né si ribellò a quel mio gesto affrettato e anche un po’ disperato.
Passò qualche secondo in cui nessuno dei due si mosse e in cui io mi illusi di essere riuscita a placare il suo stato d’animo, almeno un minimo: subito dopo, però, le sue mani si posarono sulle mie e mi costrinsero a sciogliere la presa, con delicatezza.
Io le assecondai, guardando Zayn con apprensione, nonostante si ostinasse a darmi le spalle: mi morsi il labbro inferiore e attesi in silenzio, spostando continuamente il peso da un piede all’altro.
«Ti ho dato ascolto, sai?» esclamò all’improvviso, di nuovo con una mano tra i capelli e il tono di voce basso ma deciso, quasi in procinto di esplodere.
Corrugai la fronte e aspettai. Ancora.
«’Fanculo, io ti ho dato ascolto e non è servito ad un cazzo. Anzi, ora è ancora peggio» continuò, facendo sorgere in me l’istinto di indietreggiare di un passo. Non per paura, no, ma per un sottile senso di colpa, per la consapevolezza di poter aver sbagliato, anche se non sapevo in cosa.
«Di cosa stai parlando?» chiesi con un fil di voce.
Lui si voltò verso di me – finalmente – e mi guardò per un paio di secondi senza aggiungere una parola: non avrei saputo descrivere i suoi occhi in quel momento, perché potevo giurarlo, non pensavo avrebbero potuto racchiudere tanto dolore e tanta stanchezza.
«Mi hai detto di pensare alle vostre differenze – spiegò, con la stessa serietà. E in quel momento, mi diede la conferma su quello che era l’argomento e il problema: fino ad allora le mie erano state solo ipotesi, ma ormai era evidente che tutto si riconducesse a Kathleen. – Ed io l’ho fatto. Ho continuato a farlo, ma ora…»
Abbassò le palpebre e respirò profondamente, prima di tornare a guardarmi. «Ma ora è tutto uno schifo, perché tutte quelle differenze che ho trovato, tutti quei particolari… Io so che non li troverò mai più in nessun’altra. So che non ci sarà mai nessun’altra che potrà farmi sentire come… Non ci sarà più nessuna Kathleen per me».
Quelle parole si incastrarono in me e mi ferirono senza via di scampo.
Avevo dato quel consiglio a Zayn per rendergli più semplice la mia vicinanza, dato che nonostante tutto mi aveva più volte ripetuto che ne avesse bisogno, ma non avevo fatto altro che spingerlo in un altro baratro: perché non ci avevo pensato? Perché non avevo ragionato sul fatto che chiedergli di riflettere su ciò che aveva reso Kathleen unica e sua, lo avrebbe portato a disdegnare tutti gli altri, a sentirsi solo e incapace di trovare pace con un’altra persona? Come se fosse davvero morto con Kathleen e per lui non ci fosse più una speranza?
Il tono di voce che aveva usato, la difficoltà nel concludere una frase per le mani che tremavano e gli occhi iniettati di mille emozioni diverse, erano troppo da sopportare.
«Io… Mi dispiace – balbettai, incapace di dire altro. – Mi dispiace così tanto. Io non volevo… Non… »
Optai per il silenzio solo per non rendermi ancora più ridicola, nonostante desiderassi con tutto il cuore scusarmi per quel passo falso che l’aveva ridotto in quello stato. Il senso di colpa mi stava divorando, e il pensiero che fosse stato un errore non intenzionale non riusciva a consolarmi.
Non sapevo se Zayn fosse infuriato con il mondo o se fosse effettivamente arrabbiato con me per quel dannato consiglio, anche perché se così fosse stato probabilmente non mi avrebbe contattata ammettendo di avere bisogno di me, ma non potevo esserne certa.
«Non è colpa tua – decretò, duramente, alleviando in parte i miei dubbi. – È solo che… Cazzo! Non ho più forze, capisci? Vorrei solo che tutto questo dolore scomparisse una volta per tutte, anziché continuare a mangiarmi vivo».
Le sue parole non mi rassicurarono più di tanto, perché che lui non ce l’avesse direttamente con me non significava che io non avessi fatto un errore: in più, avrei voluto dirgli che anche io desideravo lo stesso. Che anche io avrei solo avuto vederlo sorridere senza doversi incupire subito dopo per i sensi di colpa o per l’immagine di Kathleen nella sua mente.
Ormai la sua voce era un sussurro. Per quanto fosse carica di rabbia, dolore, occhi scuri che da troppo tempo non vedeva e amore che da troppo tempo non provava, rischiava comunque di confondersi con il vento che soffiava ancora.
E cosa potevo dirgli, io? Come si faceva, a dirgli qualcosa?
Perché in fondo aveva ragione ad essere arrabbiato, anzi, furioso. Aveva ragione ad urlare vaffanculo alle stelle che non si vedevano e a stare in silenzio per un’ora intera solo per non gridare troppo. Perché anche io avrei reagito allo stesso modo e perché, effettivamente, la morte fa schifo e l’amore non è da meno.
Il fatto era che, per quanto lui avesse tutto il diritto di avercela con il mondo, non poteva continuare all’infinito, non poteva vivere in quel modo. Ed era lì il problema, perché come si fa a dire a qualcuno che deve smetterla anche se è nel giusto?
 
Non sapevo quanto tempo fosse passato, ma sapevo bene che i miei vestiti avevano assorbito parte dell’umidità del terreno e che le punte dei capelli si sarebbero arricciate ancora di più. Sapevo che non me ne importava e che il respiro finalmente calmo di Zayn al mio fianco riusciva a rilassare anche me, mentre fissavo il cielo sopra di noi, nella speranza di scorgere qualche stella in più che non fosse nascosta dalla luce dei lampioni.
Avevamo finito per sdraiarci a terra, proprio nel punto dove poco prima lui aveva urlato tutta la sua frustrazione: semplicemente, dopo qualche minuto di silenzio, lui si era passato una mano tra i capelli e si era seduto, fissando l’erba sotto i suoi piedi. Io l’avevo seguito e avevo preso l’iniziativa, consigliandogli in silenzio di imitarmi, memore di quanto – da piccola – fosse un buon rimedio contro i pensieri che non mi lasciavano in pace.
Zayn non mi aveva guardata come se fossi stata una pazza, anzi, mi aveva semplicemente dato ascolto, sdraiandosi affianco a me e portando le mani dietro la sua testa. Da quel momento, poi, nessuno aveva più parlato. Di nuovo.
Ormai avevo capito che forzarlo non avrebbe portato a niente e che eventualmente sarebbe stato proprio lui a liberarsi di quei tanti piccoli pesi che gli gravavano sul petto. Quindi mi ostinai a non dire niente ma semplicemente ad esserci, nel modo più semplice e genuino che potesse esistere.
«Io cantavo per lei» furono le prime parole che Zayn pronunciò dopo chissà quanto tempo.
Mi voltai lentamente alla mia sinistra, verso di lui, e lo osservai cautamente: il suo viso aveva in parte abbandonato il cipiglio nervoso e sofferente che aveva indossato per tutta la sera, e i lampioni rendevano le sue linee più chiare e definite, grazie al contrasto con il buio della notte. Non mi guardava, ma a me stava bene così: sapevo che il mio viso gliene ricordava ancora uno ben più doloroso per lui e sapevo che non doveva essere facile, soprattutto se il suo affetto per me in quanto Victoria gli impediva di tenermi lontana.
«Durante i concerti?» osai chiedere, sperando di non interrompere i suoi pensieri.
Lui assottigliò lo sguardo e scosse impercettibilmente la testa. «No – soffiò flebilmente. – Cantavo per farla addormentare» spiegò. Ed io dovetti combattere con un brivido che di certo non era dato solo dall’umidità.
La mia anima da eterna ed inguaribile sentimentale, scalpitava dentro di me nell’immaginare Zayn in un gesto tanto dolce e allo stesso tempo tanto significativo.
Poi, come dopo aver avuto un’illuminazione, mi tornò in mente uno dei nostri primi incontri: la festa a sorpresa per Abbie, nel giorno del suo compleanno.
«È per questo, quindi? – chiesi, sperando di non fare un enorme strafalcione. – Quella volta a casa tua, durante la festa per Abbie, mi hai detto che non ti piace il karaoke: cantare ti fa…»
«Sì – mi interruppe, senza darmi l’opportunità di finire la domanda. – Mi fa male».
Oh.
«E come fai con… Sì, insomma, con tutti i concerti e le esibizioni?»
«Te l’ho già detto, Vicki: non sono così egoista – rispose, come già una volta aveva fatto, quando io gli avevo chiesto perché mi stesse aiutando con Louis. – Faccio parte di una boy band insieme ai miei migliori amici, non posso esserlo».
«E loro sanno come ti senti a riguardo?» domandai ancora, cercando di capire qualcosa in più su di lui. La sua forza era strabiliante e probabilmente ne aveva molta di più di quanto credesse.
«Sì, e all’epoca hanno anche cercato di scendere ad un compromesso – raccontò. Le iridi sempre fisse nel cielo. – Una pausa, o qualcosa del genere. Ma io ho rifiutato».
«Zayn? – lo chiamai dopo qualche istante, nonostante stessimo già parlando. Volevo solo che mi guardasse negli occhi per un attimo, così ripresi solo quando si voltò verso di me. – Credo che Kathleen sarebbe stata fiera di te, per quello che hai fatto. Io lo sono, e forse non ti rendi conto di quanta forza ci voglia per fare quello in cui tu sei riuscito».
Erano le parole che avevo voglia di dire, quelle che sentivo rimbombarmi in testa e che ero sicura che lui avesse bisogno di sentire. Nonostante la linea dura delle sue labbra nel sentire pronunciare il nome di Kathleen, nonostante il dolore dell’ascoltare una frase ipotetica.
Le sue iridi rimasero su di me per una manciata di secondi, facendomi chiedere se avessi azzardato troppo o meno. «In cosa sono riuscito? Guardami adesso» sussurrò, quasi in un rimprovero a se stesso, prima di tornare nella posizione iniziale.
«Hai tenuto duro e hai fatto la cosa che ritenevi più giusta per gli altri, nonostante ti facesse star male. E ora stai così semplicemente perché sei umano e perché ne hai bisogno».
«Bisogno? – chiese, abbastanza scettico. – Credi davvero che io abbia bisogno di tutta questa merda?»
«No – lo corressi, continuando ad osservarlo. – Ma da quanto ne so, in base a quello che mi hai raccontato, non sei mai stato in… In lutto, diciamo».
«Vicki, che stai dicendo?»
Come spiegarmi? «Quello che voglio dire è che ti sei sempre sforzato di fingere. Non fingere di stare bene, ma di non stare così male: ti sei sempre trattenuto, in qualche modo, perché avevi gli impegni con la band e perché non volevi pesare sui tuoi amici. E forse anche per paura. – Sospirai, cercando le parole adatte. – Quindi adesso è normale che tu sia scoppiato, in un certo senso, non credi?»
Zayn non rispose, anche se notai dalla linea dei suoi occhi e dal suo respiro che le mie parole gli erano entrate dentro.
«Hai mai parlato di lei?» domandai dopo un paio di minuti buoni, con delicatezza. Stavo disperatamente cercando un modo per aiutarlo, affidandomi a quel buon senso che speravo fosse sufficiente.
Lo sentii irrigidirsi al mio fianco ed inspirare profondamente.
Per l’ennesima volta, non mi diede una risposta.
«Hai mai ricordato ad alta voce un bel momento passato insieme e riso per un aneddoto che la riguarda?» chiesi allora, lentamente.
«No» disse a denti stretti.
«Perché?»
«Cosa vuol dire “perché”?» ribatté, quasi fosse ovvio.
«Oltre al fatto che i tuoi amici e la tua famiglia la conoscevano, perché non hai mai parlato di lei?» mi limitai a ripetere, ben consapevole che non fosse una spiegazione vera e propria e che in realtà lui avesse già compreso a pieno il significato della mia domanda.
Lo osservai serrare la mascella e poi rilassarla, passando la lingua sulle labbra schiuse.
«Ho l’impressione che sarai tu a dirmelo» sussurrò. Forse, semplicemente, non voleva ammetterlo.
«Io non ho mai dovuto affrontare la morte di una persona a me cara – ammisi, corrugando leggermente la fronte, – però credo che si possa dire di aver accettato la scomparsa di qualcuno solo quando si riesce a parlare di lui o di lei e si è felici di farlo. Quando la malinconia per quello che si è perso c’è ancora, ma il voler ricordare con un sorriso quello che è stato è molto più forte. E allo stesso tempo, credo che non sia solo un traguardo, riuscire a farlo, ma anche un mezzo: farla vivere non solo dentro di te, ma anche al di fuori, nelle cose che fai e in quelle che dici… Io penso che potrebbe aiutarti: al posto di tenerla rinchiusa nel cuore, parlare di lei ogni tanto potrebbe farti accettare la sua assenza, perché la renderebbe più reale, e potrebbe comunque permetterti di sentirla vicina. Non so quanto sia utile fingere con il mondo che lei non sia esistita, non nominarla nemmeno per evitare il dolore».
Ripensai alle mie parole, sperando di non aver fatto un discorso completamente insensato e di aver invece reso bene il concetto: non dissi altro, perché mi resi conto che ammettere apertamente che Zayn avesse ancora molta strada da fare poteva essere davvero eccessivo, soprattutto dal momento che lui stesso era il primo ad esserne consapevole.
«Farebbe troppo male» commentò, mentre il suo viso rispecchiava quell’idea.
«Ci hai mai provato davvero? – indagai, quasi sicura della risposta. – Chi ti dice che non sarebbe un sollievo?» lo incitai.
Avevo notato la tensione che si impadroniva di Zayn ogni volta che io nominavo Kathleen. Avevo notato le sue mani stringersi a pugno e i suoi occhi chiudersi per un attimo. Il sorriso svanire e il respiro accelerare impercettibilmente. E potevo finalmente capire che non era solo il dolore per la perdita, quello che era responsabile di quei gesti, ma anche la volontà di sfuggirgli: reagendo in quel modo, Zayn scappava dal ricordo di Kathleen e soffocava i suoi sentimenti, tenendoli per sé e finendo per renderli il suo stesso veleno, nella speranza di dimenticarli e di metterli a tacere, prima o poi.
Tornai a fissare il cielo sopra di noi, che era testimone di tutto e niente e che quella sera ci stava aiutando a fuggire dagli sguardi di uno o dell’altro, e mi arresi al silenzio di Zayn: per quanto sperassi di avere ragione, non ero intenzionata a spingerlo oltre il suo limite, perché – oltre a non averne il diritto – avrei rischiato solo di recargli un danno.
Lasciai che le mie orecchie si riempissero solo dei nostri respiri leggeri e del frinire di qualche grillo in lontananza. Permisi ai miei pensieri di correre liberamente e di catturarmi in modo totalizzante, tanto da farmi dimenticare dove fossi e quanto l’erba mi solleticasse il collo. Immaginai cosa avrei fatto io al posto di Zayn e mi chiesi se avrei preferito vivere un amore così intenso solo per poi perderlo o accontentarmi di un sentimento più blando che mi avrebbe però accompagnata per tutta la vita: ovviamente non arrivai ad una vera e propria risposta, anche se la parte più masochista e romantica di me – aggettivi che nel mio vocabolario erano inscindibili – optava per la prima possibilità.
«Vicki?»
Corrugai la fronte, riscuotendomi improvvisamente dalle mie fantasticherie, e mi voltai verso Zayn, che non mi stava guardando.
«Sì?»
«Tu mi ascolteresti? – domandò in un flebile soffio. – Se io provassi a parlarti di lei, tu mi ascolteresti?»
Non riuscii ad impedire che le mie labbra si inclinassero lentamente verso l’alto, nell’accenno di un sorriso che sapevo lui non avrebbe potuto vedere. Non sapevo se essere più felice della sua decisione di provarci, o di provarci in mia presenza.
«Sì, Zayn. Ti ascolterei» risposi.
Lo osservai mentre deglutiva e mentre prendeva un respiro profondo.
Più volte schiuse le labbra per dire qualcosa, solo per poi richiuderle per sigillare le parole che trovava difficile pronunciare.
Dopo qualche minuto, però, ci riuscì. «Frequentavamo lo stesso liceo. E una volta, mi ricordo che lei fu beccata dal professore di chimica a dormire sul banco, con uno dei minerali da analizzare al microscopio stretto nelle mani» cominciò, lasciando apparire l’ombra di un sorriso sul suo volto.
Ed io lo accettai. Lasciai che partisse dal periodo scolastico, così lontano, consapevole del fatto che fosse un modo per non toccare momenti più importanti e intimi. Non ancora.
Lo ascoltai in silenzio senza interromperlo. Risi quando era il caso e strinsi le labbra quando lo vedovo fare lo stesso per la nostalgia. Rispettai le sue pause, a volte molto lunghe, e non insistetti nel sapere quegli episodi che iniziava a raccontare ma che poi abbandonava con uno sguardo cupo. Pitturai Kathleen nella mia mente, seguendo le sue descrizioni a volte non molto dettagliate ma comunque in grado di far trasparire il sentimento che li aveva legati e che in qualche modo aveva ancora la sua forza iniziale. Respirai profondamente – ma in silenzio per non farmi sentire da lui – quando, tramite le sue parole, riusciva a trasmettermi le migliori qualità di quella ragazza e anche i suoi vizi più fastidiosi, facendomi chiedere come sarebbe stato conoscerla non solo tramite dei ricordi. E sorrisi quando mi resi conto di che persona forte e testarda dovesse essere.
Così, mentre l’umidità ci entrava nelle ossa e nei capelli, mi lasciavo trascinare da lui nel suo passato, più presente di quanto avrebbe dovuto e di quanto Zayn avrebbe voluto.
 

 


ANGOLO AUTRICE

Buoooonasera! Capitolo in anticipo perché dovevo farmi perdonare per la scorsa volta hahah
Premetto che mi si chiudono gli occhi per la stanchezza, perché sono tornata  a casa
mezz’ora fa, quindi non so quanto sarò coerente in questo spazio autrice!
Detto questo, passiamo al capitolo: i protagonisti indiscussi sono Zayn, Vicki e Leen
e io spero davvero di non avervi deluse e di essere riuscita a trasmettere tutto quello che volevo!
Stranamente non credo sia venuta fuori una cacchetta, ma aspetto comunque le vostre opinioni!
Zayn ha avuto una “ricaduta”, derivata dal consiglio di Vicki: credo che la reazione
di Zayn a quei pensieri sia abbastanza comprensibile, perché dover affrontare in modo così
diretto l’unicità della persona che ha amato con tutto se stesso deve essere demoralizzante.
Il suo “non ci sarà più nessuna Kathleen per me” non è solo un “non ci sarà più Kathleen”,
ma anche un “non ci sarà più nessun in grado di farsi amare da me come amavo lei” (era chiaro?).
Da lì, Vicki cerca di aiutarlo un po’: ora, vorrei precisare una cosa. I consigli che lei gli dà,
non sono assolutamente professionali o frutto di uno psicologo, ma semplicemente
quelli che darebbe un’amica “inesperta” (tant’è che l’ultimo non ha avuto l’effetto sperato),
quindi se non vi piacciono o non siete d’accordo con lei fatemelo sapere :)
Ma comunque, quello che lei dice è giusto: Zayn sta finalmente affrontando davvero la morte
di Kath, dato che per tutto quel tempo era troppo impegnato a fingere. Cosa ne pensate?
E riguardo il parlare di Kathleen? Siete d’accordo con il discorso di Vicki?
Ah, non ho approfondito i racconti di Zayn perché non mi andava e perché forse sarebbe stato
“troppo”: vorrei solo specificare che non si mette a fare un romanzo sulla loro storia haha
Spero di essere stata chiara in questo: racconta solo piccoli pezzi di vita, perché per lui
non è facile e perché è effettivamente la prima volta che lo fa!
Ok, mi sto dilungando troppo! In sintesi, fatemi sapere cosa ve ne pare hahha
 
Riguardo Louis, ricomparirà nel prossimo capitolo (<3333) e i vostri dubbi verranno risolti!
Avete proprio poca fiducia in lui ahhaha Chissà se avete ragione (:
Mi è stato chiesto di scrivere un suo POV ma la risposta per ora è no:
ho in mente di scriverne uno più avanti, ma per ora vedremo Louis solo dagli occhi di Vicki :)
E Zayn: so che molte di voi sperano ancora che possa stare con Vicki, ma credo che ormai
sia chiaro chi lei abbia scelto. E sinceramente, dovreste anche capire a questo punto
perché questa coppia non sia possibile :)
 
Grazie mille a tutte per le recensioni, il sostegno e la gentilezza che ogni volta mi riservate <333
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi voglio bene <333
 
Nuova flash-fic su Zayn: "Holding on"


 
 
  
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