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Autore: skippingstone    08/11/2013    4 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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2. La lama affilata del falcetto

«Livius, sai cos'è la mietitura, vero?»
«Sì, è quello che succede prima degli Hunger Games, quando chiamano il nome del tributo scelto.»
«No, Livius. La vera mietitura. Sai cos'è?»
«Esiste un'altra mietitura? Cosa mi dici mai?»
Sorrido, l'ingenuità di Livius mi ha sempre divertito.
«La mietitura è un processo che si usa nell'agricoltura. Il distretto 11, ad esempio, si occupa di agricoltura e compie la mietitura quando bisogna raccogliere i cereali che sono diventati maturi e pronti per diventare cibo.»
«Come fanno a tagliare i cereali?»
«Usano il falcetto.»
«Noi siamo cereali?»
«No, ma loro, quelli di Capitol City credono di sì. Vengono con il falcetto, ci tagliano e ci portano direttamente nel grande forno che è l'Arena.»
«Io non sono pronto per andare nel forno.» - Livius mi confida quella cosa mentre gioca con i petali di una rosa bianca appassita.
«Io non sono pronto ad essere proprio tagliato.»
Più guardo Livius, più penso al nostro probabile destino. Riesco a pensare solo ad una cosa: nessuno è padrone della propria vita. Là fuori troveremo, sempre, qualcuno che ci butti in un forno senza domandarsi se quello sia il momento giusto per farlo. 
Bisogna diventare maturi prima dei tempi richiesti!

Livius mi sta stringendo la mano. Forse non se ne accorge nemmeno. 
Io non guardo più gli occhi indiscreti di tutte quelle persone, sto guardando gli occhi del mio migliore amico. Dentro ci leggo paura, disperazione e sento che lui sta pensando solo ad una cosa: alla sua morte.
«Livius, va tut..» - cerco di rincuorarlo, ma mi interrompe mentre guarda un punto indefinito.
«Lo sai? Mi sei sempre stato simpatico. È tutta colpa dei tuoi capelli. Sono troppo chiari. Anche i tuoi occhi. Sembri essere gelido come il ghiaccio ma dentro c'è un cuore liquido. Sei come una rosa bianca.»
«Livius, sembra tu mi stia dando un addio.»
«Perché lo sto facendo. Prima o poi, tutti dobbiamo incontrare la morte, no? Gli Hunger Games affretteranno il mio incontro.»
Abbassa il capo dopo aver detto quelle parole così dure. Allora slego la mia mano dalla sua e gli alzo il volto. Con sorpresa scopro che sta piangendo.
«Livius, asciugati il volto, ora!» - egli segue i miei ordini. - «Smettila di piangere, non tocca a te.»
«Tu chi sei? Il veggente di Panem?» - lui sorride tra un singhiozzo silenzioso e un altro. Sorrido anche io perché ha ripetuto la battuta che gli avevo fatto io precedentemente. Da una parte sono sollevato nello scoprire che Livius riesca ancora ad essere ironico ma, dentro, il mio cuore batte come un pazzo. So che forse ha ragione: io e lui non siamo ricordati con amore dai cittadini del distretto. Molti ci definiscono strani perché i figli ci chiamano così. Insomma chi ci avrebbe risparmiato? Nessuno. Avrebbero preferito fare il nostro nome, invece di nominare qualcun altro di più preparato, se sia possibile esserlo per una cosa del genere. 
I soldati iniziano a prendere tutti noi ragazzi e ci dispongono, uno accanto all'altro, con le spalle al muro. Ad ognuno di noi viene dato un pezzo di spago a cui è attaccato un cartello con un numero. Ci cingono la vita con quello spago come se fosse una cintura. Ora non siamo più persone, siamo numeri. Poi saremmo diventati burattini nelle mani dei strateghi. Io sono il numero 428. 
A Livius, che è vicino a me, è toccato il numero 427. Davanti a noi un tavolino, tanti fogli di carta e ogni persona che si accomoda al banco deve scrivere un numero, deve dire chi vuole mandare nell'Arena. C'è gente che ci guarda minacciosamente, altri che guardano i figli pensando al loro futuro, altri che piangono mentre scrivono il numero di qualcuno.
È il turno di mio fratello; ci guardiamo per pochi istanti e sorride. Lascia il foglio bianco. Lo capiamo tutti perché il soldato che gli sta alle spalle gli dà un colpo alla testa con la parte inferiore del fucile.
«Dovete scrivere un numero. Chi non scrive un numero che corrisponda ad uno dei ragazzi verrà ucciso, davvero.»
Il soldato urla queste parole a tutti gli adulti che sembrano essere confusi, sbalorditi e, poi, torna a parlare con quel ragazzo che condivideva con me la stanza.
«Inteso, bastardo?»
Mio fratello prende la penna e scrive un numero, piega il foglio e lo butta nell'anfora. Tra me e lui nessun contatto visivo, nessun saluto anche se mi regala una scena memorabile. 
Alzandosi, infatti, dice ad alta voce: «Il bastardo ha inteso le parole che gli ha detto un altro bastardo.»
Con il suo solito modo di fare da ragazzo che vuol sembrare più forte di quello che è, sorride al soldato che gli sta per sferrare un pugno. Con molta eleganza, lo scansa e va via senza pensare che tutto questo potrebbe avere delle serie conseguenze. 
Proprio per questo ho perdonato mio fratello: dal ragazzo che mi aveva passato la lametta, al ragazzo che mi difende davanti un'autorità di cui tutti hanno paura. 
Continuano le selezioni. Nel frattempo si sono formati dei gruppetti e molti stanno decidendo chi far andare in Arena. La maggior parte dei gruppi guarda nella mia direzione. 
«Livius, posso essere sincero con te?»
«Sempre!»
«Credo stiano usando il falcetto contro di me.»
«Perché lo pensi?»
«Tutti guardano me.»
Il mio amico inizia a guardare chi ci sta di fronte e inizia a sudare freddo, si rende conto della realtà dei fatti: lui si sarebbe salvato, io sarei morto.
«Se scelgono te, io cosa farò?» - Livius bisbiglia queste parole come se fossero la dimostrazione di una debolezza, come se avesse paura di dirle, ma io la vedo come la più bella confessione di bene che io abbia mai ricevuto da una persona.
«Andrai avanti, Livius.»
Cade il silenzio. È finita la sezione maschile, ora tocca alla sezione femminile. Stesso procedimento che hanno usato con noi. Gli adulti, di nuovo, devono scegliere chi mandare in una guerra che non avrà mai fine.
Controllo le loro reazioni e ne rimango sorpreso perché tutti cercano di mantenere la calma. Non riesco a capire come facciano! Come possono minimamente pensare di scrivere un numero su quei foglietti? Come continueranno a vivere pensando che loro stanno implicitamente uccidendo un ragazzino? Io non sarei potuto sopravvivere a tutto questo, io sarei morto all'istante. 
Mi accorgo anche di un'altra cosa. La scelta delle ragazze è molto più lenta rispetto alla nostra. Forse, per quanto riguardava i maschi, sapevano già chi voler mandare via ma per le femmine, invece, sembra che non abbiano idea. Un altro particolare è che il tempo non passa. Quanto ancora devo aspettare prima di esser certo di dover morire? Ne voglio la conferma perché è sempre diverso sentirsela dire una cosa invece di immaginarsela semplicemente.

Siamo tutti di nuovo in piazza, senza preoccuparci dell'ordine, dei soldati, dei genitori. Finalmente è arrivato il fatidico momento. Victor Vict sta prendendo il primo biglietto dall'anfora.
Tocca prima alle ragazze. Victor pesca, uno ad uno, tutti i foglietti e annuncia i numeri. Per ogni numero pronunciato appare una X sul grande schermo. Alla fine, quella con più X è una ragazza di nome Level Rose. È una ragazza di diciotto anni, occhi azzurri, capelli neri, labbra carnose. Lei sorride come se quella fosse stata la cosa più ovvia e più bella che le sia mia capitata nella vita.
«Io non sorriderò così quando chiameranno il mio nome.»
Livius non mi ascolta, forse si sta proiettando su quella ragazza. Starà immaginando sé stesso o me che percorriamo quel corridoio, sotto gli occhi di tutti. Le ragazze, intanto, tirano un sospiro che, a mio avviso, è un gesto davvero poco carino. Capisco la sensazione di liberazione ma vedo anche l'assenza di tatto e la poca empatia che tutti hanno con la ragazza sfortunata. In realtà non si tratta neanche più di fortuna. Era fortuna quando i nomi venivano pescati per caso ma ora che, invece, bisogna essere scelti non è fortuna. È una presa per il culo perché tutti ti sacrificano come se fossi un agnello. È sbagliato, dannatamente sbagliato!
Ora tocca a noi maschi e sento il cuore martellare nel petto. Anche se so come andrà a finire, vengo rapito dall'ansia del momento. Come presumevo, il mio numero è già il primo pescato. Proprio come aveva fatto Level Rose, io sorrido divertito. 
«Non avevi detto che non avresti sorriso?»
Livius cerca di distrarmi ma rimane di sasso e irrigidisce i muscoli perché, ora, è stato chiamato il suo di numero. Più si va avanti e più X accompagnano il mio numero e quello di Livius.
«Cosa abbiamo fatto per farci odiare così tanto?» - mi chiede Livius.
«Vallo a chiedere a loro!»
Iniziano a spuntare altri numeri e l'anfora diventa meno piena. Anche se ne appaiono di nuovi e, perciò, nuovi probabili "guerrieri", io e Livius siamo quelli con più X.
«L'ultimo numero!» - Victor ci avverte - «Prima di scoprire l'ultimo numero quale sia, ricontrolliamo i dati. Il numero 356 ha sette X, il numero 409 ha quarantasei X, il numero 413 ne ha due, così il numero 423, il numero 427 ne ha centotrentadue, il numero 487 ne ha cinquantanove, il numero 492 ne ha sette.»
Ascolto i numeri e mi chiedo perché non abbia detto quante X abbia io.
«L'ultimo è il numero 428 che ha centotrentadue X. Proprio come il numero 427.»
Deglutisco. Io e Livius abbiamo lo stesso numero di X e non so cosa fare. Siamo pari. Se quel bigliettino avesse il mio numero? Se ci fosse il suo di numero? Se non ci fosse nessun numero? Potremmo finire noi due nell'Arena e sarebbe strano, diverso… ma almeno staremmo insieme, come sempre, fin quando uno dei due non dovrà uccidere l'altro.
Mi vengono i brividi solo perché ho pensato a questa stupidata. Io non potrei uccidere Livius e nemmeno lui potrebbe uccidere me.
«L'ultimo numero è...»
Sembra passare un'eternità, sembra che Victor non sappia aprire in modo veloce un maledetto stupido bigliettino.
«Il numero...»
Ci guarda, guarda me e Livius. Ci squadra da capo a piedi.
«427!»
Livius è il tributo del distretto 2 e io mi sento morire.
  
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