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Autore: afterhour    11/11/2013    6 recensioni
Sakura Haruno aveva una meta precisa nella vita, diventare ricca, e per questo non intendeva perdere tempo frequentando poveracci e perdenti.
Non che avesse niente di personale contro di loro, o contro Sasuke Uchiha (a parte il fatto che assieme a tutti i ragazzi del quartiere era sospettato di avere messo incinta sua sorella, un crimine orrendo che non avrebbe perdonato mai), era solo che aveva tutto pianificato.
Ma il destino ha uno strano modo di prendersi gioco di noi, dei nostri piani e delle nostre certezze.
AU OOC, triangolo: SasuSakuSaso
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akasuna no Sasori, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Eccomi qua con il secondo capitolo, spero solo non ci siano errori perché non l’ho riguardato benissimo.




2.


Da poco avevo iniziato a lavorare due volte la settimana in un negozio di fiori del centro, grazie ad Ino, la cui famiglia gestiva una ditta che importava fiori ed aveva diverse fiorerie in città.
Con lei non intendevo ancora scoprirmi, non mi fidavo abbastanza e forse non mi sarei fidata mai, per cui le avevo solo raccontato che cercavo un lavoretto senza specificare che ne avevo un bisogno estremo, e poche ore dopo avevo già il posto: amavo frequentare gente ricca.
Davvero.

Purtroppo, dal momento che i soldi non erano mai abbastanza, avevo mantenuto il vecchio lavoro del venerdì pomeriggio, un lavoro di cui non andavo molto fiera e di cui Sasuke Uchiha era testimone, il che me lo rendeva ancora più inviso.
Non era tanto il fatto che il gestore dell’Estetica Haku fosse un travestito, o che il mobilio e il personale fossero non solo vecchi e messi male, ma anche imbarazzanti nella loro pacchianeria, era più che altro il fatto che il posto si trovava nel quartiere sbagliato, e di conseguenza era frequentato dalle persone sbagliate: signore obese che si truccavano come drag queen e portavano unghie così lunghe da risultare antiigieniche, per fare un esempio estremo.
Ed io ero la fortunata che veniva pagata per truccarle e mettere loro lo smalto.

  Il lato positivo era che il quartiere non distava molte fermate da casa mia ed era lontanissimo dalla zona universitaria.

Sollevai la testa e guardai dall’altra parte della strada.
Tenevo sempre le tende aperte, per la luce, alle mie clienti non importava affatto di essere viste dai passanti, e da lì potevo dare un’occhiata alla vetrina del bar di fronte, un posto che aveva visto tempi migliori ed era frequentato perlopiù da vecchi e perditempo (e da coloro che lavoravano nei dintorni, ovviamente, a parte la sottoscritta che preferiva evitare di entrarci, se non in casi estremi).

Sasuke Uchiha lavorava proprio lì, dalla mia postazione avevo una buona visuale dei suoi movimenti e del suo bel faccino, e devo ammettere che da sempre ogni tanto lo sguardo scivolava su di lui, come per caso ( la carne è debole) ma dal momento che continuavo a sospettare di lui, ultimamente lo scrutavo più di frequente ed ogni tanto mi beccava pure.

Il fatto era che non l’avevo ancora digerita quella storia di mia sorella, non dormivo così beatamente la notte, non come avrei dovuto, e forse se avessi potuto sfogarmi con quel disgraziato che ci aveva ficcate in quella situazione mi sarei sentita meglio.

Moegi a dire la verità si stava riprendendo davvero in fretta ed aveva ricominciato a chiacchierare di vestiti e ragazzi, ma proprio a proposito di questi ultimi, non mi era piaciuta affatto la luce che le avevo visto negli occhi una volta in cui le avevo chiesto di Sasuke, era uno sguardo sognante decisamente sospetto, molto sospetto, e, ecco, dal momento che non potevo indagare con lei avevo mezza idea di buttare lì qualche accenno con lui e vedere se abboccava all’amo.
Naturalmente il venerdì pomeriggio era l’occasione giusta, e mi stavo chiedendo se questo fosse un caso abbastanza estremo da farmi entrare in quel bar con la scusa del caffè, o se era meglio raggiungerlo al metrò e sedermi casualmente al suo fianco (il fatto che io sia riservava non significa che sia anche diplomatica).

Mentre ero lì che lo squadravo si voltò e se ne accorse, e subito mi affrettai a distogliere lo sguardo, seccata, ma poco dopo lo sbirciai ancora: questa volta mi stava guardando lui, e rimanemmo a fissarci per alcuni secondi, fino a quando non entrò la mia nuova cliente e non fui costretta ad occuparmi di lei.
Dato che mi aveva colta nell’atto di guardarlo dovetti anche subirmi i suoi commentini sulle mie intenzioni e sulle doti fisiche del soggetto in questione, che evidentemente interessava anche a lei, non che avesse qualche speranza per quanto lui potesse avere standard bassi, ma le diedi corda, perché era parte del mio lavoro ruffianarmi le clienti, un altro particolare che odiavo.

Il resto del pomeriggio lo passai a lavorare e sbirciarlo di soppiatto.

Alla fine avevo deciso di non andare al bar, non ne avevo voglia, e dopo aver salutato tutti uscii con l’intenzione di seguirlo: di proposito lo avevo osservato parlare con un tizio sulla soglia del bar e poi dirigersi verso la fermata del metrò, e mi sentivo investita di una specie di missione.  

Proseguii lungo la strada fino a quando non incontrai il vecchio un po’ suonato che chiedeva l’elemosina lungo la strada strimpellando una vecchia chitarra scassata.
Sasuke era piegato sulle ginocchia accanto a lui e sembrava intento ad accordargli la chitarra, mentre il vecchio parlava e sputacchiava contemporaneamente.
Una coppia ben assortita, niente da dire.

Passai davanti a loro senza nemmeno guardarli.

 - Bella ragazza, di classe, eh? – sentii biascicare il vecchio.

Avrei fatto volentieri a meno di quella categoria di ammiratori.  

Sasuke mi dava le spalle, per cui non riuscii a cogliere la risposta, ma vidi con la coda dell’occhio che il vecchio si metteva a ridere, e non era un gran bello spettacolo dal momento che gli mancava un incisivo.

Giunta alla mia fermata avevo deciso di lasciar perdere per quel giorno, non intendevo rimanere ad aspettarlo e mettergli così in testa chissà quali idee, ma proprio quando il treno era arrivato e stavo per salire lo vidi spuntare, per cui mi affrettai a seguirlo nella sua stessa carrozza.
Mi sedetti sfacciatamente di fronte a lui, e se non avevo le traveggole (mi sembrava poco consono alla sua immagine da duro), mi sbirciò le gambe accavallate prima di chiudere gli occhi.
Ero indignata.
Davvero.
Evidentemente ero stata ottimista nel pensare che la mia opinione su di lui non potesse scendere più in basso.

 - Sei Sasuke, vero? –

Meglio non perdere tempo.

Lui sollevò le palpebre e mi guardò con quei suoi maledetti occhi neri.
Bastardo.
Non era facile reggere il suo sguardo ed ero sicura che lo sapesse.

Aveva nascosto bene la sorpresa e continuava a studiarmi in silenzio, ma non mi feci intimidire.
 
 - Volevo avvisarti di stare lontano da mia sorella, tu e i tuoi amici – buttai lì, bando alla diplomazia.

- Hai sbagliato persona – rispose non molto colpito.

Stronzo.

 - Li conosco quelli come voi –

 - Pffh –

 - Scommetto che ti fai un sacco di ragazze… -

Mi fissava infastidito ora, e mio malgrado mi mossi a disagio sulla sedia, sforzandomi di reggere il suo sguardo acceso.
Credo volesse incutermi paura il bastardo, e quasi ci riusciva.

- Non ti facevo così stupida – mi chiuse definitivamente la bocca, e rimase a guardarmi con una luce aggressiva negli occhi mentre mi irrigidivo mio malgrado, leggermente imbarazzata, lo ammetto.

Non è facile lasciarmi senza parole, ma al momento non mi veniva una sola risposta adeguata, così dopo aver borbottato l’espressione ‘stronzo’ avendo cura di farmi sentire da lui, decisi che la tattica migliore era quella di ignorarlo, per più o meno il resto della vita.
Quello invece aveva chiuso gli occhi come se proprio non esistessi, lo notai perché lo sbirciavo di sottecchi, e quasi pensavo che si fosse addormentato davvero, invece si alzò di lì a poco e dopo avermi dato una lunga occhiata scese alcune fermate prima della nostra, diretto chissà dove.

Credo pensasse che fossi impazzita di colpo.

Il giorno successivo l’avevo rivisto per strada, in giro per il quartiere, e non lo avevo degnato di uno sguardo, e il venerdì della settimana successiva, quando mi accorsi che mi fissava spesso dall’altra parte della strada, tirai la tenda e mi accontentai della brutta luce artificiale; infine, quando più tardi lo notai alla fermata del metrò, mi piazzai di proposito il più possibile lontano da lui, sbirciandolo irrequieta.
Ad un certo punto si voltò verso di me e mi affrettai a girare la testa dall’altra parte, ma potevo ancora sentire il suo sguardo puntato su di me, come un pizzicore sulla nuca che mi metteva a disagio.
Non distolse gli occhi quando mi girai decisa dalla sua parte per affrontarlo, e per un secondo ci fissammo: il suo sguardo intenso pareva avere una forza sua, e mi ritrovai stupidamente senza fiato.
Bastardo.

Finalmente arrivò il treno e salii un paio di carrozze più in là, ed una volta scesa rimasi indietro fingendo di frugare in borsa, intanto lo seguivo di sottecchi mentre si incamminava lungo la strada senza voltarsi mai.

‘Non ti credevo così stupida’.
Stronzo.
Lo avevo sottovalutato, per quello non ero riuscita a replicare, non me l’aspettavo, ma ormai la figuraccia era fatta, non era il caso di farsi condizionare e dovevo dimenticarmene al più presto, è inutile piangere sul latte versato.
 
Nel frattempo c’erano cose più importanti di cui occuparsi, come il fatto che non dormivo bene da giorni: mi svegliavo spaventata nel cuore della notte e non ricordavo mai cos’avevo sognato: rimanevano solo sensazioni confuse, angoscianti, che mi lasciavano un’eco sgradevole, e spesso dopo non riuscivo più a riaddormentarmi e mi rigiravo nel letto sempre più irrequieta.

Ero stanca, e nervosa.

Quel mercoledì pomeriggio non dovevo lavorare e tornai a casa presto per sbrigare alcune commissioni prima di cominciare a studiare, preferivo fare la spesa di persona dal momento che Moegi non aveva alcun senso del denaro.

Mia sorella stava meglio, davvero meglio, sorprendentemente meglio, anzi, chiacchierava delle sue amiche come se fosse l’unico suo problema.
Ero solo io quella che non dormiva di notte?

 - Allora…tutto bene a scuola? – le chiesi tranquillamente mentre contavo i soldi per la spesa.

 - Sì, sì…mi presti le scarpe rosse domani? –

 - No – non erano certo scarpe da indossare a scuola.

Mia madre neppure si era alzata dal letto e brontolava dalla sua stanza.

Ignorai eroicamente il muso di una e le lamentele dell’altra, ed uscii, diretta al supermarket lì vicino.

 Quando passai di fianco alla strada che portava a casa di Sasuke (me l’aveva indicata Moegi una volta), mi girai dall’altra parte corrucciata: avevo ancora i miei sospetti su di lui, ma al momento mi toccava tenermeli.
Di riflesso ricordai per l’ennesima volta la figuraccia che mi ero fatta quella volta, non che importasse veramente, lui non era una delle persone di cui mi importasse l’opinione, però ancora mi imbarazzavo al ricordo (come se non fosse abbastanza imbarazzante che mi vedesse lavorare in quell’orribile posto ogni venerdì), e sotto sotto speravo che si trasferisse in qualche altro quartiere, o meglio città, o continente, o magari che finisse sotto una macchina: lo so, non è una bella cosa da pensare, ma non mi sentivo in colpa, mica i pensieri ammazzano le persone.

Cacciai queste fantasie importune ed entrai nel supermarket, ma quando parli del diavolo ne spunta subito la coda, è matematico, ed evidentemente la cosa funziona anche con il pensiero, perché mentre ero intenta a scegliere tra i barattoli di polpa di pomodoro in offerta mi vidi passare in fondo alla corsia proprio Sasuke Uchiha.
Non era la prima volta che ci incontravamo in giro, in fondo abitavamo nello stesso quartiere, ed avevo già deciso di limitarmi ad ignorare la sua esistenza come facevo prima, ma quel giorno non avevo proprio voglia di trovarmelo di fronte e far finta di ignorarlo, non ero in vena, ero stanca e irritabile, per cui tentai di rendermi invisibile, mi affrettai a buttare nel cestino le ultime cose nella lista e mi diressi alla cassa guardandomi intorno con aria circospetta.

Svuotai il cestino nel nastro in tutta fretta e dopo aver tirato fuori i soldi mi concentrai esclusivamente sul sacchetto che avevo portato da casa e faticavo ad aprire.

 - Mancano soldi –

Smisi di riempire il sacchetto che ero riuscita finalmente ad aprire e guardai la cassiera senza ben capire.
Non era la solita che conoscevo, quella che mi faceva anche credito a volte, era una tizia brutta e sconosciuta.
E antipatica.

 - Mancano soldi – mi ripeté facendomi sentire una povera idiota.

 Controllai il display e mi misi a frugare in borsa alla ricerca di qualche spicciolo sperduto, di solito stavo molto attenta e calcolavo tutto, ma ero stanca e avevo fatto in fretta per sfuggire a…quello che stava appoggiando le cose sul nastro dietro di me.
Ma faceva apposta?
Mi seguiva?
Era una specie di Nemesi che mi ero meritata per tutti i miei peccati di presunzione?
Ripresi a rovistare in borsa con più frenesia, invano dal momento che in mezzo a quel casino avrei faticato a trovare qualcosa anche se non fossi stata così nervosa.

 - Allora? Devo togliere qualcosa? – continuava la cassiera, che non mi aiutava per niente con i suoi modi bruschi.

 - Metto io quello che manca–

Sorpresa mi voltai a guardare Sasuke che appoggiava qualche moneta sul carrello.

Ci mancava solo questo.

 - Non occorre – mormorai seccata e ancora più a disagio, e mentre allungavo la mano per prendere i soldi e restituirglieli lui aveva fatto lo stesso, e le nostre dita si erano toccate.
Era stupido, e non lo avrei mai raccontato a nessuno, ma mi era venuta la pelle d’oca, proprio come si legge nei romanzetti di quart’ordine, e mi affrettai a togliere la mano come scottata. Lui ne aveva approfittato per prendere gli spiccioli e consegnarli alla cassiera, che improvvisamente era tutta un sorriso, la stronza.

 - Te li restituisco – bofonchiai mentre finivo di imbustare.

Odiavo essere in debito, non volevo essere in debito con lui, tra tutti.

Me la filai senza guardarlo, ma con la coda dell’occhio notai che aveva preso solo latte e birra, chissà di che robaccia si nutrivano quei trogloditi.

Mi precipitai a casa inspiegabilmente turbata.

 - Ho incontrato Sasuke al supermercato – buttai lì a Moegi mente sistemavo la spesa in credenza, non perché la cosa fosse importante ma perché ogni tanto tentavo ancora di buttare lì il discorso sperando di carpirle chissà quale rivelazione – Vive da solo? –

 - Sì –

Ecco, aveva anche la casa libera per farsi i suoi porci comodi con povere ragazzine indifese.

  - Ma c’è qualcuno con una famiglia normale tra quelli? Sono tutti orfani e disadattati? – replicai irritata, con me stessa probabilmente.

 - Cosa c’entra! – protestò subito lei – e poi non è mica orfano! Sua madre si è risposata e suo padre è via, Ami dice che è in prigione ma quella è stupida…e forse ha anche un fratello –

Che bella famigliola, davvero, mi dissi ipocritamente dal momento che anche noi non eravamo esattamente un bell’esempio.

 - …sei invidiosa perché è più indipendente di te! –

Già, ma bisognava vedere alla lunga che fine faceva, io avevo progetti ambiziosi, non intendevo vivere in un buco e sudare per arrivare a fine mese per il resto dei miei giorni.

 - E te l’ho detto cento volte come si chiama la loro band, sono bravi sai! –

 - A me basta che ti stiano lontano – mi feci scappare nervosa.

 - Sei odiosa! Ti odio! – urlò lei mortalmente offesa, chissà perché.

Subito dopo si era rinchiusa in camera sbattendo la porta, cosa che non mi impressionò particolarmente, capitava spesso, e di rimando, ovviamente, mia madre mi aveva chiamata per lamentarsi.

Che se ne andassero a quel paese tutte e due.
Andai in camera, tirai fuori i libri e mi misi a studiare, sperando nessuno mi disturbasse: grazie al cielo quel vecchio appartamento delle case popolari aveva tre camere, bisogna guardare ai lati positivi della vita.
___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________-



Ho fatto un giro di parole per prendere tempo e pensare ancora un po’ al nome del gruppo…cosa mi tocca fare!  


   
 
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