Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |       
Autore: afterhour    03/11/2013    9 recensioni
Sakura Haruno aveva una meta precisa nella vita, diventare ricca, e per questo non intendeva perdere tempo frequentando poveracci e perdenti.
Non che avesse niente di personale contro di loro, o contro Sasuke Uchiha (a parte il fatto che assieme a tutti i ragazzi del quartiere era sospettato di avere messo incinta sua sorella, un crimine orrendo che non avrebbe perdonato mai), era solo che aveva tutto pianificato.
Ma il destino ha uno strano modo di prendersi gioco di noi, dei nostri piani e delle nostre certezze.
AU OOC, triangolo: SasuSakuSaso
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akasuna no Sasori, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Eccomi qua!
Ho battuto la fiacca in questo periodo, ho iniziato tre storie e le ho mollate tutte per strada, ma alla fine qualcosa ho partorito.
Confesso che è stata dura anche finire questa storia, ma mi sono fatta violenza e l’ho conclusa, più che altro perché volevo vedere anch’io come sarebbe finita, e sapevo che se non provvedevo io non lo avrebbe fatto nessun altro!:DD

Si tratta di un esperimento con un triangolo ed una Sakura un po’ stronzetta, che mi mancava per completare tutte le gamme dello spettro e in futuro passare ad altro, magari con qualcosa di meno ooc.
Poi ovviamente non mancano il romanticismo e i miei soliti sbrodolamenti emotivi.
Ultimo, non ho messo la parte dal punto di vista di Sasuke, per vari motivi che vanno da questioni pratiche ad altre più che altro narrative, e credo che a volte se ne senta la mancanza (o almeno l’ho sentita io), ma spero che attraverso gli occhi di Sakura si capisca ugualmente chi è lui.

Ed ora bando alle ciance, mi vergogno un po' a propinarvi sempre esperimenti più o meno imbarazzanti, e perdonatomi per il solito titolo orrendo, per non parlare del riassunto!
 




Tra la ragione e il cuore




1.

Rimboccai le lenzuola a mia sorella e le accarezzai lievemente la fronte: dormiva, e nel sonno sembrava serena, in pace.

Mi sollevai, e una volta giunta alla soglia della stanza guardai ancora la sagoma rannicchiata sul letto in posizione fetale, poi chiusi la porta il più silenziosamente possibile.

  - Sakura! –

Controllai l’ora e raggiunsi la camera di mia madre imprecando tra i denti.
Mia madre era a letto, tanto per cambiare, e si portava il dorso della mano sulla fronte in un atteggiamento petulante che conoscevo fin troppo bene.

 - Parla piano – spiegai frettolosamente.

 - Sta ancora male? A me pareva che fosse guarita! – minimizzò lei – Hai preso la mia ricetta?  –

 - Sì, oggi compro la medicina, c’è l’ultima pastiglia in cucina –

 - Portala qui con una brocca d’acqua…non so se riuscirò ad alzarmi…oggi sto così male…fortuna che tua sorella è a casa, sta meglio oggi, no?! –

Non sopportavo quel tono melodrammatico e piagnucoloso.
Non sopportavo mia madre.

Era un’egoista, e un’egocentrica.
Era anche un’ipocondriaca, e come tutti quelli convinti di essere ammalati si ammalava davvero, era piena di tagli di operazioni, cambiava il medico se solo esprimeva qualche dubbio, e probabilmente a quel punto era davvero invalida, dovevano essere gli effetti collaterali di tutte quelle medicine, per cui la pensione d’invalidità se la meritava tutta.
Col senno di poi potevo capire perché mio padre fosse sparito, una notte di tanti anni prima.

Andai in cucina e ritornai da lei con la medicina e la caraffa piena d’acqua, le appoggiai sul comodino, vicino al bicchiere vuoto.

 - Ora devo andare, non svegliare Moegi, ha ancora bisogno di riposare –

 - Devi proprio andare a scuola oggi, non puoi saltare? –

 - Non posso saltare le lezioni, lo sai –

 - Per una volta potresti, non succede niente…è nuova? – cambiò argomento improvvisamente attenta, sollevandosi sul gomito, e sapevo che si riferiva alla leggera camiciola in seta grigia che indossavo - Dove hai trovato i soldi? –

 - E’ un regalo – tagliai corto.

 - Vorrei sapere cosa fai per avere tutti questi regali – mi replicò scettica, prima di riprendere quell’espressione afflitta che non sopportavo.

In realtà non era un regalo, l’avevo acquistata con i soldi che racimolavo lavorando in un paio di posti, soldi che nascondevo in camera per comprarmi i libri che la borsa di studio non copriva e per le emergenze, ma non si sentivo in colpa, la camicia era costata pochissimo, ormai ero diventata un’esperta nello scovare cosucce al mercato dell’usato e avevo abbastanza buon gusto da riuscire a combinarle in maniera perfetta.
Vintage, mi dissi, non usato, in fondo quella era una camicia di marca, e in quel modo riuscivo ad avere sempre qualcosa di nuovo, ed esclusivo, che non aveva nessun altro, e non si trattava di un capriccio, ne avevo bisogno, perché avevo giurato a me stessa di tirare fuori me e magari mia sorella da quel buco e non tornarci mai più: avevo intenzione di diventare ricca, molto ricca, a qualunque costo.

Per questo frequentavo la scuola più prestigiosa di Konoha, per questo dovevo essere sempre abbastanza brava da guadagnarmi la borsa di studio necessaria, e per questo dovevo stare attenta a frequentare le persone giuste e l’ambiente giusto.

Non che potessi raccontarlo in giro, infatti nessuno sapeva niente di me in facoltà, e sicuramente non sapevano che vivevo in una casa popolare, che avevo problemi di denaro, o che i vestiti non arrivavano da qualche boutique esclusiva, e andava bene così.

__

La prima ora avevo lezione assieme a Ino, che era perfetta: alta, bionda, ricca e popolare.
Era anche intelligente ed aveva un notevole senso dello humor, a volte la trovavo inconsapevolmente crudele, spesso superficiale, ma chi non lo è, e poi era sincera e non aveva paura di niente, due qualità che apprezzavo molto ed erano difficili da trovare in giro per il mondo, qualsiasi posto si frequentasse.
Ero affezionata a lei, almeno per quanto mi era permesso dal momento che non potevo lasciarmi andare completamente, avevo troppe cose da nascondere.

 - Ma come si veste! – mi bisbigliò all’orecchio.

Eravamo sedute al solito posto nella classe di chimica, che era incredibilmente noiosa, e la ragazza seduta proprio di fronte a noi era una di quelle che Ino odiava senza un perché, dal momento che non le aveva fatto niente.
Non era che approvassi sempre la sua sottile cattiveria e la sua abilità nell’isolare le persone più deboli, ma onestamente preferivo essere dalla sua parte, per esperienza personale so quanto le donne possono diventare perfide tra di loro, e la solidarietà femminile è una bella parola, ma priva di agganci con la realtà.

 - Eccolo! – esclamò poi Ino, e mi diede una gomitata.

Stava entrando Kiba Inuzuka, e mentre andava a sedere mi guardò e sorrise.  

 - Non capisco perché non siete ancora insieme voi due –

 Mi vennero in mente diversi motivi, tutti piuttosto validi, ma non dissi niente, non potevo spiegarle che al momento non mi sentivo pronta a lasciare avvicinare una persona così tanto.
Però era un po’ che ci pensavo, prima o poi avrei dovuto intrecciare rapporti un po’ più stretti, era anche nel mio interesse, e forse Ino aveva ragione, forse era ora di lasciarsi un po’ andare, e Kiba non era male per cominciare: era carino, simpatico, aperto, proveniva da un buon ambiente, e soprattutto era un tizio tranquillo, nel senso che non pensava troppo a quello che gli si diceva, accettava le cose così come gli venivano dette senza metterle in discussione, che può sembrare un modo carino per dire che uno è stupido, ma non lo è, non completamente almeno.
Forse potevo almeno provare ad uscire con lui e vedere come andava, ed era da un po’che Ino mi chiedeva di uscire con loro.

Più tardi chiamai mia sorella a casa.

 - Sakura… – iniziò lei, e già non mi piaceva quel tono piagnucoloso che mi ricordava un po’ troppo mia madre.

Ascoltai comunque pazientemente e tentai di rassicurarla.

 - Devi cercare di non pensarci più, è andata, fatta…finita…ed è meglio che domani torni a scuola – l’avvisai prima di riagganciare, perché rimanersene chiusa in casa con la loro madre non era certo salutare per nessuno e probabilmente era l’ultima cosa di cui sua sorella aveva bisogno.

La prima invece era andarsene da lì, cambiare ambiente, perché evidentemente frequentava delle pessime compagnie, come si deduceva dal fatto che era rimasta incinta a quindici anni.
E a pensarci bene, per trovare un lato positivo, avrebbe potuto andarle molto peggio: avrebbe potuto prendersi una malattia grave, o mettersi nei guai con la legge, o con la droga, o anche innamorarsi perdutamente di un pazzo criminale e scappare di casa, mentre almeno a quel problema avevamo potuto rimediare prima che fosse troppo tardi.

Ero stata io che mi ero informata, che avevo preso l’appuntamento ed avevo accompagnato mia sorella all’ospedale, io che l’avevo spinta ad andare avanti quando aveva manifestato dei dubbi, perché la conoscevo e sapevo che non era in grado di prendersi nessuna responsabilità al momento, neppure quella di decidere cosa fare.

Avevo minimizzato spiegandole che si trattava solo di un embrione, che non era niente, che studiavo medicina anche se ero solo al primo anno, e lo sapevo, ma erano solo parole in fondo, e alla fine, in nuce, era una vita quella che avevamo cancellato, e capivo perfettamente il dolore di Moegi, ed anche i suoi sensi di colpa.
Per quello avevo cercato di caricarmi io di quel peso, in modo che mia sorella potesse incolpare me, non se stessa, perché io ero forte e potevo portarne il peso.

Così le avevo tenuto la mano e le avevo sorriso rassicurante mentre lei mi fissava con quello sguardo smarrito, incredulo, e colmo di tristezza.
Uno sguardo che non avrei mai dimenticato.

E intanto quel bastardo che l’aveva messa incinta non si era posto neppure il problema, lo stronzo.
Non ero ancora riuscita a farmi dire chi era il bastardo e nel dubbio squadravo con sospetto tutti i ragazzi del quartiere tentando di scorgervi un segno, un indizio, non che contassi di vederne uno, a quelli non fregava niente di niente.
Feccia.

E pensare che avevo riempito mia sorella di miliardi di raccomandazioni, e che personalmente ero sempre stata paranoica proprio per evitare di trovarmi di fronte a quella scelta, tanto che con il mio ragazzo, l’ultimo anno del liceo, avevo usato ogni volta il preservativo, anche quando avevo iniziato a prendere la pillola.
Meglio esagerare che correre rischi, mi ero detta, ma alla fine nella vita c’è sempre qualche imprevisto che ti frega, e quella scelta che non avrei mai voluto fare l’avevo dovuta fare lo stesso, e neppure su me stessa, ed al momento mi pareva un peso doppio da portare.

Passai il resto della mattina a prendere appunti, e a chiacchierare e scherzare con i pochi amici che mi ero fatta, e con Kiba, cui forse, forse, potevo dare una chance, chissà.

Presi la metropolitana alla solita ora e tirai fuori un libro per evitare che qualcuno attaccasse discorso.
Neppure guardavo chi saliva e si sedeva accanto a me.

Mi interruppi solo per rispondere ad alcuni messaggi al cellulare, e feci per riprendere a leggere.

 - Ciao! –

Ignorai il saluto, di sicuro non si rivolgevano a me, e cercai il punto della pagina in cui ero arrivata.

 - Dico a te! Sei Sakura vero? –

Sollevai appena lo sguardo, seccata, e mi trovai seduti di fronte Naruto Uzumaki e Sasuke Uchiha, due perdenti che vivevano dalle mie parti.

Quando ci eravamo trasferite in quel quartiere avevo solo dodici anni, ma già avevo deciso che quell’ambiente non mi apparteneva, che meritavo di meglio (si trattava di buon senso, non presunzione), per cui avevo costretto mia madre ad iscrivermi in una scuola lontano da lì ed avevo evitato i ragazzi della zona, ma questo non mi aveva impedito di farmi un’idea (per lo più negativa) su tutti loro: in fondo, volente o nolente, li vedevo spesso.

Naruto era un pagliaccio senza futuro e senza cervello, Sasuke era uno stronzetto arrogante che probabilmente, grazie a tutta quella boria, un giorno avrebbe fatto una gran brutta fine.
Gentaglia.

Inoltre, come tutti i maschi che abitavano nel quartiere ed erano sotto i venticinque (mi rifiutavo di prendere in considerazione gente più grande), erano sospettati di avere messo incinta mia sorella: Moegi aveva avuto una cotta durata anni per Sasuke, compresa di pedinamenti e ridicole letterine, e mi parlava sempre con ammirazione di Naruto, in più facevano parte ambedue di uno stupido gruppuscolo di rock inascoltabile, e quelle cose attiravano sempre ragazzine senza cervello qual era mia sorella al momento (si sperava che crescesse e maturasse).

Li squadrai dall’alto in basso.

Erano vestiti malissimo, il biondo, Naruto, con un’oscena camicia arancione e blu aperta su una t-shirt bianca, l’altro, con i capelli nerissimi ancor più arruffati del suo amico, indossava una maglietta nera senza marca e scolorita.
Ambedue avevano jeans sdruciti e anfibi allacciati male ai piedi.
E almeno non si vedevano i tatuaggi di cui sapevo erano provvisti.

Mio malgrado soffermai un po’ più lo sguardo su Sasuke Uchiha, che vedevo ogni venerdì pomeriggio, purtroppo, dal momento che tra tutti i posti in cui poteva lavorare, era proprio nello squallido bar di fronte allo studio dell’estetista in cui lavoravo io. Era piuttosto belloccio, dovevo concederglielo, glielo avevo sempre concesso, ma quando incrociai i suoi occhi neri mi affrettai ad abbassare lo sguardo: quegli occhi erano come due pallottole di pece che trapassavano ogni barriera, e parevano scavarmi dentro.

 - Ma cosa studi? – esclamò l’idiota, Naruto, che allungava la testa per sbirciare – sembra difficile! Anche Sas’ke studia sai...solo perché non ha fede in noi – si era interrotto per dare una gomitata all’amico – perché io so che diventeremo ricchi e famosi…e anche presto! – aggiunse ghignante.

Come no.

 - E’ perché studi quella roba difficile che non esci mai? – insisteva quello – secondo me ti fa male, dovresti divertirti qualche volta…perché non esci con noi? Una di queste sere passo a prenderti se vuoi, so dove abiti, è vicino a casa mia… –

 - Mi dispiace ma non posso, sono impegnata – risposi, anche se lui non aveva specificato il giorno  –…ora devo finire di leggere la pagina, scusate – chiusi il discorso.

Feci in tempo ad incrociare lo sguardo intenso del suo amico e feci finta di non notare il suo odioso sorriso beffardo prima di riprendere a leggere ed ignorarli apertamente.

 - Secondo me studia troppo – sentii parlare Naruto, che era il tipico discorso da perdente che non avrebbe combinato mai niente nella vita.

Per un po’ ascoltai ancora vagamente i loro discorsi, parlavano di qualcuno che doveva vederli, o aiutarli, ma smisi interamente quando iniziarono a discutere di musica che non seguivo e non capivo.

Tuttavia dovevo ammettere che la voce di Sasuke Uchiha era piacevole all’orecchio.
_____________________________________________________________________________________________________________________



Devo ancora trovare un nome per la band, ho il vuoto...non è che qualcuno ha un'idea?

   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: afterhour