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Autore: Alchbel    12/11/2013    5 recensioni
Happy Thadastian Week!
Day 1: Cliché. Sebastian odiava i cliché. Per lui erano la cosa più stupida che si potesse fare, quella scontata per antonomasia.
Day 2: Parigi. In realtà, vedeva appena quello che lo circondava: le persone che lo affiancavano, le voci che disturbavano il silenzio contemplativo, il movimento, tutto era filtrato ai suoi occhi dal ricordo dell'ultima volta che era stato lì, mesi prima.
Day 3: In un'altra vita. La foresta era sbattuta da soffi gelidi, le piante arrancavano sotto il peso delle grosse gocce di pioggia, ma ciò che atterrì l’animo di Sebastian fu la vista di una grande quercia spaccata a metà e con la chioma in fiamme.
Day 4: Lezioni noiose. Nulla aveva mai fatto nascere tanta noia in Thad Harwood come le lezioni di Geografia il mercoledì mattina.
Day 5: cucina. «Non ci credo».«È uno stereotipo vecchio e superato, Thad».«Non è uno stereotipo, è più… una tradizione».«No, è un cliché che andrebbe eliminato. Non tutti i francesi sanno cucinare»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Day 2: Parigi.

 

Only miss the sun when it stars to snow.

 

Sebastian se ne stava appoggiato con le braccia sulla ringhiera di quel balconcino, lo sguardo perso nella miriade di puntini luminosi che era Parigi sotto suo sguardo, dall’alto della Tour Eiffel e respirava lento, dando l'impressione di godersi quel paesaggio notturno.

In realtà, vedeva appena quello che lo circondava: le persone che lo affiancavano, le voci che disturbavano il silenzio contemplativo, il movimento, tutto era filtrato ai suoi occhi dal ricordo dell'ultima volta che era stato lì, mesi prima.

Allora faceva caldo, era pieno Agosto: aveva addosso una maglietta sottile a metà maniche ed i pantaloncini si fermavano poco sopra il ginocchio. Adesso invece, infilava il naso nello sciarpone grigio per cercare un po' di calore, a pochi giorni dalla fine dell'anno. A Sebastian mancava quel caldo, quel tepore che sembrava poter curare ogni cosa e che, no, non era dovuto soltanto al sole... Ora piccoli fiocchi bianchi danzavano davanti ai suoi occhi, quasi a voler rimarcare la differenza totale di quella situazione.

La vibrazione del suo cellulare lo fece sussultare, troppo perso nel passato per avere capire subito che cosa fosse. Ci mise qualche istante in più del necessario a rispondere perché il nome sul display lo sorprese, lasciandogli una strana sensazione all'altezza dello stomaco.

«Thad».

«Hey, Sebastian! Buon Natale!».

Il ragazzo represse una risata – sarebbe stato inappropriato, ma ecco il punto: Thad era il solo in grado di farlo ridere sempre e comunque. C'era riuscito ancora.

«Harwood, Natale è passato da due giorni», gli fece notare, fingendosi offeso.

«Immagino tu abbia ragione, uh? Scusa il ritardo», cercò di rimediare quello, la voce leggermente titubante. «Come stai?».

Sebastian dovette pensarci su qualche secondo, prima di rispondere la cosa più facile – e comunque non del tutto falsa.

«Tutto bene. Tu?».

«Me la cavo... sai, soliti problemi da matricole del College, ma ci sto prendendo la mano».

Smythe annuiva, consapevole del fatto che l'altro non avrebbe potuto vederlo: gli faceva piacere sapere che ad almeno uno di loro due le cose andassero bene sul serio. Lui faticava ancora ad abituarsi ad un contesto così diverso dalla Dalton, che aveva lasciato mesi prima, alla solitudine che era arrivata, inaspettata, nonostante avesse due compagni di camera davvero niente male.

Il silenzio, fra loro, durò un po' troppo per non tingersi di imbarazzo – non si erano più sentiti da dopo il liceo, erano passati mesi. Una parte di Sebastian non riusciva a spiegarsi perché stesse parlando con Thad proprio in quel momento; l'altra semplicemente si rattristava del fatto che parlare con lui non era più una sua abitudine – gli era diventato così estraneo da sorprendersi persino di una chiamata?

«Dove sei?». La domanda lo colse un po' di sorpresa.

«A Parigi. Sai per le vacanze di Natale e cose così».

«Parigi!», Thad sembrò improvvisamente entusiasmarsi «É la stessa dell'ultima volta in cui ci siamo stati?».

«Perché dovrebbe essere cambiata, Harwood?».

Erano stati a Parigi subito dopo il diploma – lui, Thad, Nilson, Wilson e Duvall e Sterling, ovviamente. In realtà avevano organizzato il viaggio in modo tale da fermarsi in varie capitali europee, soggiornando almeno tre giorni in ognuna e concludendo con quella francese. L'ultima sera, prima della partenza, erano stati proprio sulla Tour Eiffel, nello stesso ristorante a cui ora Sebastian stava voltando le spalle – aveva, allora, i tavolini all'aperto ed una zona centrale era stata momentaneamente adibita a piccola pista da ballo.

«Ricordi il giro sulla Senna?», continuò intanto Thad.

«Ricordo che Nilson per poco non ci cascava dentro per guardare meglio chissà cosa».

Sentì l'altro ridere e si rese conto di quanto quel suono gli fosse mancato in tutti quei giorni. La visita alla Senna era un ricordo così trascurabile a confronto di quello che sentiva per la loro ultima sera a Parigi che avrebbe riso per l'ironia della situazione. Ancora una volta, aveva avuto la conferma che per Thad non era stato niente di particolare, che per colpa sua non aveva capito nulla.

«Sei più stato sulla Tour Eiffel?».

«Ci sono proprio adesso», rise, sperando che gli occhi non si facessero troppo lucidi e ringraziando il fatto che comunque non avrebbe potuto vederlo.

«Oh! E quel ristorante che scegliemmo? Aveva una vista della città spettacolare».

«La sto guardando adesso».

«É stato davvero un bellissimo viaggio».

«Indimenticabile». In quel momento Sebastian avrebbe voluto mettere giù e lasciar perdere tutto – in fondo non era più così felice di sentire Thad.

«Ricordi la cena, quando per poco Jeff non si è strozzato con un escargot?»

«Ricordo che Nick nella fretta di farlo respirare ha quasi fatto cadere un cameriere che si trovava a passare accanto al nostro tavolo con almeno quattro portate in mano».

«E poi, quando la band ha cominciato a suonare, Flint e Trent si sono gettati nella mischia».

«É stata la cosa più imbarazzante della mia vita», Sebastian si coprì gli occhi con una mano a quel ricordo.

«Sì», rise Thad «La gente li guardava sconvolta».

Di nuovo una pausa.

«Poi però è partito un lento, ricordi?»

Non venne suono dall'altra parte, ma Sebastian sapeva che Harwood c'era ancora, poteva sentirlo respirare.

«E allora ti ho chiesto-»

«Vuoi ballare?».

Smythe sussultò, spalancando gli occhi. La voce non era arrivata dal telefono, ma dall'altro orecchio, improvvisamente riscaldato dal fiato di qualcuno. Si voltò di scatto e lo vide, a così poca distanza da sé da far male: sorrideva, Thad, avvolto in un lungo cappotto scuro e con una sciarpa azzurra che lo copriva appena sopra il mento; i capelli forse erano un po’ più lunghi dell’ultima volta che lo aveva visto, ma avevano lo stesso taglio di sempre e i grossi occhi scuri brillavano come del riflesso delle illuminazioni intorno.

«Che… che cosa ci fai qui?». Era raro che rimanesse spiazzato da qualcosa, lui che adorava sorprendere gli altri, prenderli in contropiede e bearsi delle facce sorprese – o più spesso sconcertate.

«Non hai risposto alla mia domanda. Vuoi ballare?».

Sebastian lo guardava come si guarda qualcuno che è appena uscito di testa. Restava immobile, senza avere la minima idea di cosa fare.

«Non c’è la musica», esalò, rendendosi immediatamente conto di quanto idiota fosse quell’affermazione, probabilmente la più idiota che avesse mai detto.

«Non ne abbiamo bisogno», disse semplicemente l’altro, allungando una mano verso di lui «Immagina che sia quel lento».

Smythe non provò neanche a dirgli che non lo ricordava, quel lento – sarebbe stata una bugia troppo grossa, una a cui neanche tutto il buon cuore di Thad avrebbe creduto. Prese semplicemente la sua mano e si lasciò guidare dove un po’ di spazio, tra le persone, avrebbe permesso ad entrambi di ballare. Harwood posizionò le sue mani all’altezza della propria vita e lasciò le proprie sul suo collo, sorridendogli appena: era molto più sicuro di sé dell’ultima – unica volta in cui avevano ballato, quando invece era stato Sebastian a condurlo, in qualche modo.

«Perché sei venuto qui, Thad?», ormai bastava un sussurro per parlarsi.

«Perché l’ultima volta che siamo stati qui, aspettavo qualcosa… ho creduto che fossi sul punto di fare qualcosa, invece non è successo niente. Voglio sapere perché».

«E sei dovuto venire a Parigi per chiedermelo?».

«A casa non c’eri…». Lo aveva cercato. La sera della vigilia si era defilato quasi subito dalla cena con la famiglia e lo aveva cercato, ma i suoi genitori gli avevano detto che era partito già da qualche giorni per Parigi.

«Quella sera… era perfetta, Thad. Tutto era perfetto, tu eri perfetto…».

«E poi?».

«Poi il lento è finito, le coppie sono tornate ai loro tavoli ed io semplicemente non avevo detto nulla. Non c’è stato giorno, da quando è finito quel viaggio, che non mi sia dato dello stupido per non aver detto niente, per averti lasciato andare così».

«Cosa mi avresti detto?».

Ondeggiavano, senza nessun ritmo preciso, in qualcosa di lento e dolce che entrambi parevano conoscere senza aver mai provato, come se i passi calzassero perfettamente ai loro corpi e non ci fosse bisogno di pensare prima di muoversi. Sebastian sospirò lento, le luci di Parigi che vorticavano intorno a lui e il respiro di Thad sulla sua spalla. Proprio come l’ultima volta.

«Ti avrei detto che hai completamente sconvolto la mia vita, in questi anni. Ti avrei detto che sei riuscito a mostrarmi un modo nuovo di osservare quello che ho intorno, che gli ultimi giorni passati alla Dalton non ho fatto altro che pensare a come sarebbe stato stare lontano da te e che sono stato male, per tutto questo tempo, perché mi sono reso conto che sei una delle pochissime cose di cui non mi stancherei mai, la sola che porterei con me per sempre».

«Ho aspettato. Quella sera, tutta la sera ho aspettato di sentire queste parole… i tuoi occhi, i tuoi occhi erano diversi mentre siamo stati in Europa ed ogni sera aspettavo che succedesse qualcosa. Ma siamo tornati a casa e non è cambiato niente. E poi ci siamo persi…».

«L’abbiamo fatto davvero?».

Per la prima volta, in tutta quella situazione, era Thad ad essere sorpreso dalla domanda.

«Intendo, ci siamo persi davvero? Siamo qui, sulla Tour Eiffel, a ballare un lento. Non direi che ci siamo persi».

«Ma se non l’avessi fatto… se non avessi preso il primo volo per Parigi, tu saresti tornato?».

«Sarebbe stata solo una questione di tempo, Thad. Credo che per noi sarà sempre solo una questione di tempo».

A Thad non servì altro per baciarlo.

 

 

 

 

 

 

________________________________

Buon Day 2!

Vi dirò… questa robina non mi convince particolarmente, è troppo… cioè poco… ah, non so cosa, ma non mi piace affatto. Eppure, l’idea di loro due che ballano un lento sulla Tour Eiffel non sono riuscita a togliermela dalla testa, quindi alla fine l’ho scritta comunque ^^’

Boh, diciamo che l’idea di fondo è che, prima o dopo, Thad e Sebastian siano destinati ad incontrarsi, ad amarsi…

Solito titolo musicale, stavolta tratto da “Let her go” dei Passenger.

 

Okay, sì, la smetto.

A domani (vado ad ultimare la shot del Day 3: In un’altra vita!)

 

Alch

   
 
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