Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: micRobs    12/11/2013    10 recensioni
Mini commedia romantica in sette capitoli, scritta per la Thadastian Week:
Dal primo capitolo: "«Grazie di essere così-» Stupido? Senza speranza? Privo di qualsiasi istinto di sopravvivenza? «Così e basta, lo sai.»
«Che fortuna» commenta caustico, abbozzando un sorriso che spera risulti abbastanza convincente da non compromettere la brillante messinscena in cui si sta impegnando così strenuamente.
La verità è che ha appena accettato di volare a Parigi insieme al suo ex – mandando alle ortiche non solo ogni forma di logica, ma anche il suo presunto amor proprio – e, come se non bastasse, ha acconsentito ad andarci nelle vesti di suo ragazzo. Di suo attuale ragazzo, per amor di precisione."
Fluff, romanticherie e cliché come se piovesse.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Day 2: Paris ♥
Note di Robs: Sono costretta a pubblicare relativamente presto perché oggi è una giornata davvero delirante. Di conseguenza, il presente capitolo non ha ricevuto l’approvazione di nessuno prima di essere postato – ansia? No, macchè? – né è stato passato al setaccio dalla mia efficientissima beta. Se trovate errori, mi scuso in anticipo e prometto che correggerò quanto prima ♥
  
 


01. Di attacchi di panico e omicidi premeditati.
 
 



 
Thad Harwood è lievemente claustrofobico. Quel tipo di “lievemente” che gli fa preferire le scale all’ascensore e non gli ha mai consentito di salire su una ruota panoramica. È quel tipo di “lievemente” che cerca di nascondere e non dare a vedere, sin da quando a undici anni ha rischiato una crisi respiratoria e isterica, perché un gruppetto di compagni di classe ha pensato che fosse divertente chiuderlo nello stanzino del bidello.

La claustrofobia di Thad Harwood è quel tipo di “lievemente” che non è lievemente, ma “le feste di paese evitiamole, perché c’è troppa gente”. Con queste premesse, è quasi doveroso aspettarsi problemi e attacchi di panico durante quella che forse è la fase più importare del viaggio a Parigi: il volo in aereo. Quasi sette ore chiuso in una scatola di metallo, a svariati metri da terra e con la più epica maratona di Lost alle spalle. Che poi, la parte importante di Lost si svolge sull’isola, ma è comunque partito tutto da un aereo precipitato e quindi lui non ha tutti i torti ad essere preoccupato e fin troppo titubante. Di questo è assolutamente certo.

È organizzato bene, in ogni caso. Ha due lettori mp3, per essere sicuro di non dover interrompere i suoi tentativi di distrazione a causa di una batteria scarica, e una fornitura annuale di gomme da masticare e caramelle contro il mal d’aria, il mal di mare e il mal d’auto – e questo perché non era sicuro di quali fossero le più adatte a combattere la sua fobia. Nel caso in cui tutto ciò non dovesse funzionare, poi, può sempre ricorrere al suo geniale piano B, che consiste nel continuare a farsi portare camomilla dalle hostess fino a collassare e dormire fino all’atterraggio. Ma è organizzato bene, non si può proprio dire il contrario. 

Eppure…

«Guarda, siamo quasi arrivati.»

Eppure Sebastian è seduto al suo fianco e gli sta indicando la Francia da uno dei finestrini e il mondo diventa improvvisamente un posto bellissimo e luminoso. Quando stavano insieme, Smythe era l’unico – oltre a Jeff, sia chiaro – a sapere come tranquillizzarlo durante una delle sue crisi di panico. Thad non ha mai capito come facesse a saperlo o come fosse sempre così sicuro di cosa dire per distrarlo e farlo tornare a respirare con regolarità, ma non se n’è mai fatto un problema: Sebastian lo teneva a galla quando Thad si sentiva andare a fondo e lui sapeva di poter sempre contare sul suo ragazzo e sulla profonda connessione che li legava. Era tutto così perfetto, all’inizio, Thad sente costantemente la mancanza di quel primo periodo. Prima che le cose iniziassero a complicarsi, insomma.

«Quasi» ripete Thad, come assaporando quella parola. «Suona bene.»

Sebastian sorride e poi scuote appena la testa, tornando a concentrarsi sulla rivista che stava svogliatamente sfogliando. «Sei stato bravo, da qui in poi è tutto in discesa. Nel vero senso della parola.»

Il solo pensare all’aereo che si inclina per iniziare la fase di atterraggio gli serra dolorosamente la bocca dello stomaco. Thad stringe i pugni e si costringe ad annuire con decisione, ben sapendo che non è ancora tempo di farsi prendere dall’ansia e dall’agitazione. Il ragazzo al suo fianco, però, non fa alcuna fatica ad accorgersi del cambiamento della sua espressione, tant’è che allunga una mano e la posa con sicurezza su una delle sue, facendolo inevitabilmente sobbalzare e rabbrividire insieme.

«Respira e non guardare fuori, altrimenti saremo costretti a scoprire se quei sacchetti funzionano davvero e ci sono stati troppi tagli alle compagnie aeree per poterne essere fiduciosi.»

Thad si volta a guardarlo e sorride, un piccolo sorriso spontaneo che gli piega le labbra per un attimo ma che poi si accentua di più quando Sebastian continua.

«Tagli su bicchieri di plastica e cibi che non sembrino cartone, sia chiaro, non sui materiali di produzione e manodopera. Stai tranquillo.»

E lui lo fa, si rilassa grazie alle sue parole e ai delicati cerchi che il suo pollice sta tracciando sul dorso della sua mano. Non ha idea di come faccia, ma Sebastian sa sempre cosa dire e quando dirlo per fargli passare la paura. E a Thad va bene, anche se non stanno più insieme e lui non è certo delle ragioni per cui il ragazzo si stia comportando così con lui.

Inevitabilmente, inclina leggermente la testa in avanti per gettare uno sguardo alla fila di sedili centrali, dove i signori Smythe stanno conversando concitatamente, sorseggiando le loro bevande. Thad non aveva capito che avrebbero viaggiato con loro e, dapprincipio, quella scoperta lo ha un po’ allarmato, perché ha avuto a che fare con loro solo una volta e non è stato esattamente un incontro memorabile – si era inaccuratamente lasciato scappare di essere il ragazzo di Sebastian, cosa che in effetti era, anche se non in maniera così definita, e la reazione di Thomas Smythe non era stata delle più entusiaste.

«Perché non hai detto a nessuno che ci siamo lasciati?» Mormora, senza averlo premeditato, ma rendendosi conto solo in quel momento di avere quella domanda impigliata sulle labbra da troppo tempo ormai.

L’espressione sul viso di Sebastian cambia in una frazione di secondo, la sua fronte si aggrotta e le sue spalle si irrigidiscono appena. Thad è certo di aver fatto un casino, se non fosse che poi il ragazzo solleva lo sguardo su di lui – continuando a stringergli delicatamente la mano con la sua – e i suoi occhi sono di nuovo limpidi e trasparenti.

«Perché nessuno me l’ha chiesto» scrolla leggermente le spalle e rivolge lo sguardo oltre Thad, al paesaggio aereo fuori dal finestrino. «Non mi piace granché raccontare i fatti miei, quindi me lo sono semplicemente tenuto per me. Tutto qui.»

Il suo ragionamento non fa una piega. Thad annuisce, anche se Sebastian non lo sta guardando, fermandosi un attimo a riflettere sull’eventualità di porgli anche quell’altra domanda a cui Sebastian non ha mai dato una risposta concreta e soddisfacente.

«Perché mi hai chiesto di fingere, allora? Se non ti importa-»

«Non ho mai detto che non mi importa» la voce di Sebastian è ferma e irremovibile, quando lo interrompe, spostando di nuovo gli occhi nei suoi. «Mia madre ti adora e mio padre sono mesi che non vede l’ora di sbattermi in faccia che “lui lo sapeva che non sono in grado di avere un progetto a lungo termine”. Per questo ti ho chiesto di fingere.»

L’unico suono che lascia le labbra di Thad è un “oh” appena udibile, accompagnato da un cenno affermativo del capo. Non sapeva cosa si aspettasse, ma non può comunque impedire a una punta di delusione di colpirlo a tradimento. Dovrebbe seriamente iniziare ad abituarsi all’idea che Sebastian sia andato avanti e che non tornerà più sui suoi passi, ma è sempre più difficile trovare la forza e la volontà di farlo. Specialmente se ha ancora una mano stretta nella sua.

Non aggiunge altro e né si preoccupa di farlo Sebastian: rimangono prevalentemente in silenzio fino alla fine del volo, uno perso nei suoi pensieri e l’altro nella sua rivista, ma la mano di Sebastian non accenna a lasciare la sua neanche per un attimo e, che sia per portare avanti la messinscena o perché la fase di atterraggio gli fa accelerare il respiro e i battiti, a Thad va benissimo così.
 

 

 
La casa a Parigi di Sebastian è un edificio che la mente di Thad non fa alcuna fatica a catalogare nella sezione “regge e ville borghesi”. La prima cosa che gli passa per la testa, quando varcano la soglia del cancello e lui è costretto a trattenere esclamazioni di meraviglia e stupore, è: “Avevamo ragione a chiamarti principino”. La seconda, come diretta conseguenza della prima, è: “Quanti modi troverò per sentirmi inadeguato in questo posto?”. La risposta a questa domanda retorica è solo una e Thad la conosce benissimo: “fin troppi”.

«Ti piace?»

La voce di Sebastian lo raggiunge non appena scesi dall’auto che li è andati a prendere all’aeroporto, Thad si volta a guardarlo e intanto si stringe nelle spalle, inarcando un sopracciglio. «C’è qualcuno a cui non piace?»

L’altro ragazzo fa una smorfia divertita e poi gli strizza l’occhio, con talmente tanta confidenza e complicità che lui si sente vacillare per un attimo. «Non più in vita» ghigna.

Thad gli rivolge un’occhiata scettica e ostenta una risata finta e sarcastica. «Molto divertente, Smythe» commenta, mentre Sebastian prende la sua valigia e gli fa un cenno per invitarlo a seguirlo dentro casa. «Avete anche le segrete in cui torturate i domestici negligenti?»

Sebastian si volta quel tanto che basta per rivolgergli uno sguardo veloce da sopra la spalla. «Dopo te le mostro» propone, con un sorriso che – Thad lo conosce fin troppo bene – è tutto tranne che innocente.

Non ci siamo, non ci siamo per nulla.


 
Due ore e un numero incalcolabile di scalini dopo, Thad è di nuovo all’ingresso di Villa Smythe. Sono giunti a Parigi nel primo pomeriggio, dopo aver sistemato i bagagli nella camera degli ospiti e fatto un veloce giro della casa, Anne Smythe ha proposto a Sebastian di portare Thad in città. Sebastian ha inutilmente provato a farle notare che il viaggio è stato stancante e che forse Thad avrebbe voluto riposare ma, non solo la donna era talmente fresca e rilassata da smentire la prima affermazione, ma Thad stesso si è detto d’accordo ed entusiasta dell’idea di sgranchirsi un po’ le ossa, smentendo anche la seconda affermazione.

È stanco e spossato e tutto ciò che vorrebbe è farsi una doccia fresca e dormire per dodici ore di fila, ma deve recitare la parte del fidanzatino perfetto? Ottimo, è una cosa su cui può iniziare a lavorare fin da subito: appoggiare le decisioni della padrona di casa è un buon punto di partenza per assicurarsi il suo beneplacito e permettere a Sebastian di avere quello che vuole. Cosa sia, Thad non è sicuro di averlo compreso appieno.

«Andiamo con Pierre, ti va?» Lo informa Sebastian, uscendo con lui in giardino, le mani infilate nelle tasche posteriori dei pantaloni e gli occhiali da sole a schermargli le iridi verdi. «Sta venendo a salutare e- il ricevimento lo facciamo qui, te l’ho detto?» Domanda, indicando la casa con un cenno del capo.

Thad scuote la testa, ma non può non ammettere che quella scelta sia molto sensata: chiunque ne approfitterebbe, su quello non si discute. «No, non lo hai- mi hai detto ben poco» sospira, rendendosi conto solo adesso di non avere la più pallida idea di cosa dovrà fare per i successivi giorni.

«Rimedierò. Quando torniamo, ti spiego i dettagli, così- Oh, eccoli.»

Il cugino Pierre è una sorta di Sebastian Smythe più grande e più francese. Ha un sorriso accattivante di cui è assolutamente consapevole e una corona di capelli biondi e ondulati in cui passa le dita più volte di quanto sia umanamente concepibile. Thad lo osserva con espressione guardinga e attenta, come a voler accumulare più particolari possibili della sua persona per cercare di capire con chi dovrà avere a che fare nel corso della settimana, ma è troppo distratto dalla mano di Sebastian che è corsa a prendere la sua, per riuscire pienamente nell’impresa.

Che lo spettacolo abbia inizio, si dice mentalmente, mentre Sebastian fa eco ai suoi pensieri con un caloroso: «Posso presentarti Thad? Il mio ragazzo.»

E il cuore gli fa appena un po’ più male, mentre stringe la mano di Pierre – accompagnato da un «Finalmente ti conosco» in un inglese sporcato fortemente dall’accento francese – e della sua futura moglie, Margot, che invece non si prende neanche il disturbo di aprire la bocca e mostrarsi educata. Thad decide che lei non gli piace, mentre lui è in prova – e solo perché ha fatto abbastanza esperienza con Sebastian da sapere come comportarsi con il suo doppione parigino.

 

«Visto? Ti avevo detto che, prima o poi, ti avrei portato a Parigi.»

Sì, grandioso! Solo che speravo di venirci in quanto tuo ragazzo e non in veste di garanzia ambulante di maturità raggiunta.

Si sente improvvisamente cinico e sfruttato, la verità è questa. Sta camminando mano nella mano con il ragazzo dei suoi sogni, nella città dei suoi sogni e mangiando il cono gelato dei suoi sogni, e la consapevolezza che sia tutta una fottuta finzione inizia ad annebbiargli la vista e farlo sentire in gabbia anche se di fatto stanno passeggiando lungo gli Champs Elysées.

«Uno Smythe mantiene sempre le sue promesse» articola un po’ a fatica, mentre Pierre e Margot camminano al loro fianco, conversando in un francese talmente fitto che Thad non riuscirebbe a capirlo neanche dopo un anno intero di lezioni con Sebastian, visto che sarebbe costantemente distratto da altro.

«Quelle poche che riescono ad estorcergli.»

Thad aggrotta la fronte e solleva nuovamente lo sguardo su di lui. «Non ti ho mai costretto a promettermi di portarmi a Parigi» gli ricorda, con assoluta sincerità. Ha sempre saputo che con Sebastian le promesse non funzionano.

Il ragazzo scrolla le spalle, leccando un po’ di crema dal suo cono gelato e costringendo Thad a fingere di trovare improvvisamente interessante l’asfalto parigino, ma non risponde subito. Quando lo fa, la sua voce suona tranquilla, ma è sporcata da una vena di qualcosa che, se Thad non lo conoscesse così bene, potrebbe sembrare rimpianto.

«Vero. Ma con te era diverso. Tu- tu avevi un modo tutto tuo per incastrarmi.»

Abbassa gli occhi su di lui, nello stesso momento in cui Thad sente il bisogno di alzare nuovamente i suoi: sebbene coperto dai vetri scuri, si sente dolosamente attraversato dal suo sguardo intenso e serio. Dillo che lo stai facendo apposta. Non è sicuro di cosa rispondere, né di dover effettivamente rispondere qualcosa a quella che non è una domanda, così si limita a ingoiare a vuoto e ad aprire la bocca per provare ad approfittare del piccolo spiraglio offertogli da Sebastian.

«E qual era?» Si ritrova a mormorare, senza una ragione precisa.

L’eventuale risposta – qualunque essa fosse, a Thad sarebbe andato bene anche un “ne riparliamo dopo”, a questo punto – viene stroncata sul nascere dalla fastidiosa intrusione di Pierre che si intrattiene in una veloce conversazione con il suo ragazzo. In francese.

Sebastian, un cono gelato che cola panna sciolta, l’accento francese e la prematura dipartita di quella conversazione che lui muore dalla voglia di sapere come sarebbe continuata: Thad sente l’improvviso impulso di strozzare il cugino Pierre. A mani nude.

«Ti va di continuare il giro?» La voce di Sebastian lo interrompe morbidamente, quando lui ha già trovato almeno sette modi diversi per liberarsi di Pierre e farlo passare per un incidente. Il ragazzo si solleva gli occhiali da sole sulla testa, osservandolo con sguardo apprensivo e premuroso. «Se non sei stanco. Altrimenti possiamo tornare a casa, così ti riposi un po’, mh?»

E poi lo fa. Gli rivolge quel sorriso sghembo e dolcissimo che Thad sa aver contribuito fortemente alla perdita della propria ragione per quel ragazzo. Il cuore gli trema appena e lui avverte lo sguardo di Pierre e Margot addosso, ma è troppo concentrato sulla tacita attesa nell’espressione di Sebastian, per badarci realmente.

Sai cosa? – si ritrova a pensare. – Finzione o no, fanculo a tutti: mi sono meritato questo sguardo e adesso me ne approfitto.

«In realtà sono a pezzi» confessa quindi, con un sorriso storto e vagamente colpevole. «Deve essere il jet lag o come diavolo si chiama. Ti dispiace se rientriamo?»

Sebastian scuote la testa, ma non smette di studiare il suo viso – come a volersi accertare che sia tutto in ordine e che lui stia davvero bene – e stringere la sua mano con delicatezza. Traduce la loro decisione a suo cugino e alla ragazza – che rispondono rispettivamente con una veloce alzata di occhi e uno sbuffo – e poi getta il suo gelato in un cestino lì accanto, provvedendo poi a fare lo stesso con quello di Thad.

«Devo portarti più spesso con me, Harwood» gli comunica, con un mezzo sorriso complice, iniziando a camminare. «Questi due sarebbero capaci di arrivare a Montmartre a piedi, ci hai appena salvato la vita.»

Che è praticamente l’equivalente di una proposta di matrimonio, vero? Salvare la vita a qualcuno non comporta la sua totale devozione fino alla fine dei giorni? Thad non lo sa e, a ben pensarci, non è neanche sicuro di volerlo sapere. Certo, forse dopo ci vorrà un po’ tanto in più per leccarsi le ferite e riportare la situazione ad uno stato di equilibrio che sa gestire e con cui può convivere, ma per adesso… per adesso ha la possibilità di avere Sebastian per una settimana intera, come ha sempre voluto e desiderato. Che male c’è ad approfittarsene, anche se le condizioni sono sbagliate e immorali?

Nessuno, conviene con se stesso. Deve semplicemente comportarsi come se fosse ancora innamorato di lui: niente che lui non sappia già fare alla perfezione, insomma. E senza neanche fingere.
 
 


 

Ed ecco anche il giorno 2 ♥

Ho un po’ tanta ansia da prestazione, ma spero che il capitolo sia stato comunque di vostro gradimento e che vi abbia strappato un sorriso e qualche “awwww” random: se così è stato, vuol dire che sono riuscita nel mio intento.

Un grazie infinito a tutti coloro che si sono fermati a leggere e recensire ieri e a chi ha inserito questa storiella nelle varie categorie di Efp: non mi aspettavo foste così tanti, è stata una bellissima sorpresa ♥

In tutto ciò, vi comunico che ho anche quasi finito il capitolo 4 e che è un pelino pelino più lungo dei precedenti (nulla di eccessivo comunque), but it’s Robs, davvero non potevate aspettarvi che reggessi molto prima di straripare xD

Un bacio grande a chiunque sia arrivato fino a qui e a chi deciderà di lasciarmi un parere ♥

Sentitevi pure liberi di venirmi a trovare in pagina,

 
Robs.
 
   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: micRobs