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Autore: Ily Briarroot    13/11/2013    2 recensioni
Due sorelle divise da un destino che le segnerà profondamente. Due cuori profondamente uniti ma costretti a separarsi. Due cuori che battono all'unisono, ma che non sono liberi di farlo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quarto capitolo


Scelse il vestito che le aveva regalato una delle sue più care amiche soltanto qualche tempo prima e che si era sempre rifiutata d'indossare per mancanza di occasioni particolari.
Si specchiò, notando l'immagine che le restituiva lo specchio: quello di un fiore sbocciato, di una giovane donna cambiata, cresciuta, rispetto al passato.
La dolcezza, però, era un tratto irremovibile del suo intero essere. Gli occhi di Akemi non avevano perso la gentilezza e la profondità che tanto la contraddistinguevano, così come lo sguardo angelico capace di rasserenare il cuore di chiunque.
La bellezza faceva parte di lei, in tutti i sensi.
Si osservò, notando il vestito verde che le arrivava appena sopra il ginocchio, e giudicò soltanto dopo qualche istante che, in fin dei conti, non le stava male.
Il cellulare squillò nello stesso momento e la ragazza lo afferrò d'impulso, portandoselo all'orecchio.
“Sì, pronto?”.
“Akemi, ma che fine hai fatto? Ti stiamo aspettando vicino alla caffetteria in centro, non fare tardi!”.
La voce femminile dall'altra parte della cornetta era tremendamente acuta e squillante.
“Arrivo subito!”.
Attaccò immediatamente e uscì dalla stanza, per poi accorgersi di aver dimenticato qualcosa in camera da letto. Tornò indietro e prese la borsetta che aveva appoggiato sul mobile, sospirando. Rimase qualche secondo a riflettere, combattuta. Dopodiché, lo fece.
Scostò piano le tende senza mostrarsi, adocchiando al piano di sotto un'automobile nera, proprio sul ciglio della strada. Inarcò un sopracciglio e strinse i denti prima di uscire velocemente dall'appartamento.

“Allora, che ne dite di un bel film al cinema questa sera?”.
Le tre ragazze si guardarono annuendo e inizialmente non fecero caso allo sguardo perso della loro amica. La più giovane si fermò, scrutandola.
“Ehi, Akemi. Ma cos'hai? Sembri in pensiero. Non ti piace l'idea?”.
Come svegliata improvvisamente da un sogno, la ragazza dai lunghi capelli neri si riscosse, stupita.
Si voltò un secondo verso il negozio d'abbigliamento dal quale erano appena uscite e un altro presentimento le bloccò il respiro nel petto.
Tornò a guardare verso la direzione in cui le sue amiche cercavano inutilmente di attirare la sua attenzione, notando la stessa automobile nera, a pochi metri da loro.
Sospirò, fingendo la massima indifferenza. Doveva esserci abituata, ormai. Lo sapeva.
“No, ragazze. E' meglio di no. Sono un po' stanca, scusate. Sarà per la prossima volta”.
Le salutò subito dopo e si avviò verso casa, lasciandole di stucco.

Era passata un'ora quando la vide comparire davanti a se'.
I capelli rosso rame, che le incorniciavano il viso, avevano la stessa vivacità dell'infanzia. Erano ciò che più richiamavano i ricordi.
Gli occhi cerulei e allungati, i tratti così differenti rispetto a quelli giapponesi. Più dolci, più tondi.
Sorrise, notando quanto somigliasse alla madre. Come fosse cambiata dall'ultima volta in cui l'aveva vista, quasi due anni prima.
“Shiho!”.
Sollevò un braccio, agitandolo nel tentativo di catturare l'attenzione della sorella. Quando vi riuscì, la seguì con lo sguardo mentre le si avvicinava e fu quello il momento in cui riuscì a distinguere davvero i quindici anni che possedeva.
Solo fisicamente, però. Lo capì subito. L'aria malinconica ed estremamente introversa che l'avevano sempre caratterizzata non era scomparsa, facendola apparire adulta.
“Akemi” disse la più piccola, regalandole un intenso ma breve abbraccio. Si ricompose immediatamente, tesa. Rimase immobile finché gli uomini vestiti di nero che aveva alle spalle non si allontanarono, lasciandole sole.
Nascose lo sguardo sotto la frangia chiara e si avvicinò a lei, appoggiando la mano sul suo avambraccio.
“Andiamo in un posto tranquillo, va bene?”.
Akemi la scrutò stupita. Dopodiché le regalò il migliore sorriso che avesse potuto sfoggiare.
“Mi sei mancata, sorellina”.
“Anche tu. Non sai quanto”.

“Due caffè, grazie”.
Il cameriere prese in fretta le ordinazioni, fece un inchino svelto e si allontanò dal loro tavolo.
Akemi non sarebbe riuscita, neanche volendo, a cancellare dal suo volto la gioia e l'enorme sorriso che mostrava da ormai qualche ora.
Per la prima volta, di nuovo dopo tanto tempo, si sentiva ancora completa. Lì, con sua sorella accanto.
“Finalmente sei tornata! Non vedevo l'ora”.
Shiho assunse la stessa espressione, annuendo appena.
“Sì, ho qualche giorno di pausa e sono tornata in Giappone per vedere come sta la mia sorellina”.
“Il lavoro? Le ricerche stanno andando bene?”.
Non era un argomento facile, lo sapeva. Lei stessa rabbrividiva, lei stessa odiava il motivo per cui erano rinchiuse in quella prigione, il motivo per cui avevano mandato Shiho negli Stati Uniti lontana da lei, da tutto ciò che rimaneva della sua famiglia. Tuttavia, sperava che qualcosa potesse cambiare. Qualche novità, qualche scoperta su quel farmaco che tanto aveva odiato, su cui sapeva così poco, su cui non aveva più fatto domande poiché sapeva che sua sorella minore non avrebbe risposto. La voleva tenere all'oscuro di tutto, all'oscuro riguardo la sua vita in America e sugli studi che aveva compiuto.
“Niente di nuovo, lo sai. Ma cambiamo argomento. Tu come stai? Sicura che vada tutto bene?”.
Akemi annuì, per nulla stupita dalla reazione di Shiho. Era convinta che non avrebbe risposto.
“Sì, non preoccuparti per me. Ho conosciuto un professore davvero in gamba, lo sai? Mi sembra che il suo nome sia Hirota. E' molto simpatico”.
Shiho l'ascoltò con attenzione, seguendo con lo sguardo il cameriere che aveva appena lasciato i due caffè sul tavolo. Prese una tazza e ne bevve un sorso, soffiandovi sopra per raffreddarlo.
“E per il resto?”.
Il viso della sorella maggiore si fece più serio e si allungò verso l'altra, sussurrando.
“Ho intenzione di portarti via, Shiho”.
Calò un brusco silenzio tra le due, interrotto soltanto dal chiacchiericcio della gente seduta ai tavoli intorno a loro. La più piccola sgranò gli occhi, immobile per qualche istante. Non vedeva paura in quelli di Akemi. Nessun briciolo di timore, in quel momento. Soltanto tanta, tanta determinazione.
“Sarebbe impossibile. Non farlo, ti metteresti contro di loro. Sai cosa significa”.
“Io non ho paura di loro” rispose la mora, sincera “ti porterò via, Shiho. E' una promessa che ho fatto tanto tempo fa”.

L'aveva appena accompagnata all'aeroporto.
Prima di vederla salire sull'aereo, l'aveva stretta forte a se', raccomandandole di stare attenta.
Era rimasta ferma, seguendo i suoi passi con lo sguardo, uno dopo l'altro.
Immobile, davanti l'enorme vetrata, aveva aspettato finché il suo volo non fu partito verso gli Stati Uniti, verso quella terra che le separava drasticamente.
E, ancora una volta, il suo cuore era in mille pezzi.
Non lo diede a vedere, non lo mostrava agli altri. La sua forza, la corazza che cercava di mostrare ogni volta, era il sorriso. Anche quando dentro stava male, anche quando sentiva di non avere la forza per andare avanti. In molti l'avrebbero ricordata per questo. Come una ragazza che non avrebbe mai mostrato la sua debolezza, che sarebbe andata avanti fino all'ultimo respiro. Con la speranza nel cuore, ed era la stessa speranza a regalarle quel sorriso.
In macchina, ripensava soltanto a Shiho. Al poco tempo che avevano potuto trascorrere insieme, ai suoi occhi, alla sua malinconia.
Non aveva fatto caso alla strada, non in quel momento. Guidava e, per un solo istante, non si rese conto dell'uomo dai lunghi capelli neri che camminava prima a lato dell'asfalto grigio e che, soltanto all'ultimo, si era lanciato in mezzo alla carreggiata nel tentativo di attraversare.
Vide il corpo di lui ribaltarsi contro il parabrezza della macchina, per poi rotolare a terra. Frenò di colpo, il cuore in gola, si gettò sulla strada e si accasciò accanto a lui, tremando.
Sperò con tutte le sue forze che stesse bene, mentre l'ambulanza si avvicinava a sirene spiegate.

Rimase accanto allo strano tizio tutto il tempo, nella camera d'ospedale.
Seduta sulla sedia posizionata vicino al letto, le mani strette a pugno dall'agitazione, pregava con tutta se stessa che si svegliasse da un momento all'altro.
Quando lo fece il cuore perse un battito. Guardò i suoi occhi verdi, seri, quasi cupi, e sospirò di sollievo.
“Sei sveglio, finalmente!”.
Lui sbattè le palpebre, inizialmente senza capire. La osservò confuso.
“E tu... tu chi sei?”.
La sua voce era profonda e intensa.
“Davvero non te lo ricordi? Sono quella che ti ha investito con la macchina”.
Lo vide scuotere appena la testa e forzò un sorriso.
“Mi dispiace, mi ero distratta un attimo... “.
“Beh, anch'io ho attraversato senza guardare”.
Non potè credere di sentire quelle parole; era praticamente sicura che la mandasse a quel paese da un istante all'altro.
“Come stai?” si preoccupò, volgendo il proprio sguardo sulla benda che gli avvolgeva il capo “ti fa male la testa o da qualche altra parte?”.
“No, sto bene”.
L'uomo accennò un sorriso che la rincuorò del tutto.
Akemi si alzò in piedi, accertandosi un attimo delle sue condizioni.
“Che bella notizia! Vado subito a chiamare un dottore”.
Gli diede le spalle, facendo per raggiungere la soglia della camera, finché la voce di lui non la trattenne.
“Aspetta, dimmi... qual è il tuo nome?”.
Si voltò ancora verso di lui, impreparata. Dopodiché lo avvolse con un caldo sorriso.
“Sono Akemi Miyano”.
L'infortunato glielo restituì, senza distogliere lo sguardo da lei.
“Io invece mi chiamo Dai Moroboshi. Molto piacere”.
“Molto piacere”.
Ripeté la giovane con dolcezza, prima di dirigersi verso il corridoio alla ricerca di un medico.

 

  
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