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Autore: micRobs    13/11/2013    5 recensioni
Mini commedia romantica in sette capitoli, scritta per la Thadastian Week:
Dal primo capitolo: "«Grazie di essere così-» Stupido? Senza speranza? Privo di qualsiasi istinto di sopravvivenza? «Così e basta, lo sai.»
«Che fortuna» commenta caustico, abbozzando un sorriso che spera risulti abbastanza convincente da non compromettere la brillante messinscena in cui si sta impegnando così strenuamente.
La verità è che ha appena accettato di volare a Parigi insieme al suo ex – mandando alle ortiche non solo ogni forma di logica, ma anche il suo presunto amor proprio – e, come se non bastasse, ha acconsentito ad andarci nelle vesti di suo ragazzo. Di suo attuale ragazzo, per amor di precisione."
Fluff, romanticherie e cliché come se piovesse.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Day 3: Alternative Universe ♥
Note di Robs: Altro aggiornamento mattutino, altro capitolo non betato – che, probabilmente, mi beterà di nuovo SereILU in diretta mentre lo legge, *rotfl* ♥ È leggermente più lungo dei precedenti, ma nulla di troppo esagerato come mio solito. Spero davvero vi piaccia ♥  
 
 


02. Di eventi memorabili e memorabili incontri.
 
 
 
 

Ci vuole meno di un’ora, perché Thad si renda conto che forse la sua idea di fare tesoro di quella settimana con Sebastian non è così geniale e gloriosa come lui pensava. La prima ora che trascorre nel mondo cosciente, per inciso – visto che, dopo essere tornato dalla passeggiata con Pierre e Margot, ha resistito il tempo di una cena veloce e qualche chiacchiera, prima di stendersi sul letto e perdere i sensi per le successive undici ore e mezza.  La villa di Sebastian è fresca e silenziosa e lui è sicuro che, se il Paradiso avesse dei letti, sarebbero come quello su cui ha dormito lui. Non si era reso conto di essere così stanco, fino a che non ha aperto gli occhi e ha realizzato di sentirsi riposato e in forma come non gli capitava da troppo tempo.

L’orologio sul comodino segna che mancano pochi minuti alle dieci del mattino e, a questo punto, Thad può provare due cose: la prima è l’improvvisa sensazione di asfissia che lo assale, non appena torna lucido abbastanza da ricordarsi dove sia e cosa ci faccia lì; la seconda è il panico, ma nulla a che vedere con la claustrofobia o le crisi respiratorie. Quello che lui avverte è panico da inadeguatezza, ansia da prestazione, un laccio alla bocca dello stomaco che gli ricorda che le dieci del mattino sono un orario molto poco dignitoso a cui alzarsi, se sei ospite nella casa a Parigi del tuo ex ragazzo e stai fingendo di stare ancora insieme a lui. Merda.

È esattamente questo il momento in cui si rende conto che sarà un disastro, da qualunque prospettiva o attraverso qualsiasi chiave di lettura, sarà un disastro senza precedenti, una bomba ad orologeria che lui non riuscirà a disinnescare in tempo per evitare la più grande umiliazione della sua vita. Scosta le lenzuola e si alza in fretta, si sente patetico e sull’orlo di una crisi di nervi e non è neanche sicuro di ricordare la strada per arrivare in cucina – dove presume troverà gli altri a fare colazione, sempre che non sia troppo tardi – ma sa di doversi dare una mossa.

Indugia un attimo davanti alla propria figura nello specchio e realizza che non si trova a casa sua e che quindi non sarebbe carino piombare di sotto in pantaloncini e T-shirt. Una bassa imprecazione gli lascia le labbra, ma lui non se ne preoccupa: afferra qualche vestito a caso dalla sua valigia e poi si chiude nel bagno comunicante con la propria stanza, maledicendo i francesi, Sebastian, se stesso e l’universo in ordine sparso.

Quando arriva di sotto, dopo aver trovato la strada un po’ a fatica, la famiglia Smythe è riunita intorno al tavolo da pranzo, il che lo fa sospirare internamente di sollievo per la consapevolezza di non essere eccessivamente in ritardo.

«Bonjour» lo saluta Anne, la prima ad accorgersi della sua presenza sulle scale. A lei fanno eco anche suo marito e suo figlio ed è al fianco di quest’ultimo che Thad prende posto. «Dormito bene?» Continua lei, avvicinandogli un piatto di pancakes da cui lo invita a servirsi.

Lui annuisce e la ringrazia con un sorriso un po’ incerto. «Se avessi dormito male vi avrei raggiunto già da tempo» le fa notare, usando tutta l’educazione di cui dispone.

«Harw- Thad continuerebbe a dormire con invidiabile rilassatezza anche se la casa andasse a fuoco, te l’avevo detto» Sebastian sogghigna al suo fianco, prendendo poi un sorso di succo d’arancia.

Thad apre la bocca per ribattere a quell’affermazione, ma viene subito messo a tacere dalla donna. «Meglio così» cinguetta lei e lui si domanda dove lo prenda tutto quell’entusiasmo spropositato a quell’ora del mattino. «In questo modo è riposato abbastanza da poterci dare una mano oggi.»

Come, prego? Thad non è sicuro di sapere a cosa lei si riferisca, così aggrotta appena la fronte e si volta a guardare Sebastian, come invitandolo implicitamente a spiegare quel punto di ostica comprensione. Il ragazzo ingoia il suo boccone di croissant e poi scrolla lievemente le spalle. «Sì, ti ho detto che il ricevimento lo facciamo qui, no?» Si volta a guardarlo ed è talmente bello con i capelli spettinati e le guance arrossate che Thad si sente morire e rischia quasi di perdersi la restante parte dei chiarimenti. «Mamma ha chiesto la nostra collaborazione per-»

«-coordinare il via vai di gente che ci sarà per casa in questi giorni. Posso contare su di voi, naturalmente?»

E non solo suona come una domanda a cui non sono accette risposte negative, ma il tono con cui viene pronunciato è anche vagamente minaccioso e inquietante. Thad annuisce più volte e stabilisce in questo momento che Anne Smythe è molto più da temere di suo marito Thomas che, di fatto, è rimasto in silenzio a leggere il suo giornale – salvo lanciare occhiate irreprensibili e veloci a moglie, figlio e… genero?
 


 
Thad non ha mai creduto che quella settimana sarebbe stata rilassante e facile da gestire, ma è costretto a ricalibrare la sua scala di misura, quando il cugino Pierre fa irruzione a Villa Smythe. All’alba delle undici di mattina e accompagnato da futura moglie e wedding planner. Una pretenziosa e francesissima wedding planner, tra parentesi.

Deve essere una punizione divina, Thad giunge a questa conclusione quando la donna – con un nome talmente francese e pieno di consonanti che lui non sa neanche pronunciare – si rivolge a lui, con la delicatezza di un generale delle SS stitico, ordinandogli di alzarsi dal divano che deve dare una mano a spostare. Naturalmente, lui non capisce una parola di quello che lei gli ha sputacchiato in faccia, ma la sua espressione rimane comunque perplessa, anche quando Sebastian interviene per spiegare a lei che Thad non parla francese e a lui ciò che lei ha detto.

«Dobbiamo spostare il divano?» Domanda, un sopracciglio inarcato a sottolineare il suo scetticismo.

Sebastian annuisce e fa un cenno della testa verso suo cugino e le due donne che, visto il modo in cui stanno osservando e indicando ogni angolo del grande salone di quella casa, sembra più che stiano facendo un preventivo per un’agenzia immobiliare.

«Tra un’ora sarà qui il fotografo» lo informa passandosi elegantemente una mano tra i capelli. «Margot vuole dei segnaposto personalizzati con le foto di lei e Pierre, quindi ne scatteranno un po’ qui e un po’ in giardino.»

Se prima Thad era semplicemente scettico e perplesso, la sua espressione si fa via via più allibita ad ogni parola di Sebastian. «Che cosa assolutamente pacchiana e di… pessimo gusto» commenta, ricevendo l’approvazione dell’altro ragazzo che annuisce concorde.

«Lo so. Ma a questo matrimonio ci sarà talmente tanta gente che inizio a pensare abbiano raccattato persone all’angolo dei marciapiedi per fare numero. Magari vogliono essere sicuri che tutti sappiano chi sono gli sposi.»  

«A occhio e croce – non lo so, la butto lì – direi che saranno quello con il frac e quella vestita da transatlantico.»

E neanche ha idea di come saranno effettivamente vestiti Pierre e Margot, ma ciò che fino ad ora sa di questo matrimonio non può che fargli supporre che sarà l’evento più esagerato a cui avrà l’onore di assistere nel corso della vita.

Sebastian scrolla le spalle con naturalezza, rimane qualche attimo in silenzio e poi gli rivolge un sorriso dolcissimo che Thad trova assolutamente fuori luogo ma non per questo meno bello. «Non ti piacciono proprio, eh?»

Non può fare a meno di pensare che deve essere davvero evidente, se se n’è accorto anche Sebastian. «No, cioè» distoglie lo sguardo dal suo viso e aggrotta lievemente la fronte, come se stesse cercando il modo più carino per esporre quel concetto. Non è che non gli piacciono, il problema principale è che lui continua a sentirsi fuori luogo. «Mi odiano» sospira infine, convenendo che quella risposta non sia totalmente errata e fasulla.

Contro ogni aspettativa, la risposta di Sebastian è una leggera risata divertita; Thad riporta la sua attenzione su di lui, ma il ragazzo lo sorprende ancora e, in un gesto che di forzato non ha nulla, gli prende la mano e lo attira con delicatezza a sé.

È una finzione, pensa immediatamente, c’è gente nella stanza e si sta calando nella parte. È tutta una maledetta finzione.

«Come fanno a odiarti» gli fa notare, mentre gli sposta entrambe le mani sui fianchi. «Se hai detto due parole in croce da quando siamo arrivati?»

Ed è troppo vicino. È vicino come non lo era da tempo e come Thad desiderava ardentemente che fosse. È talmente vicino che sente il calore del suo corpo e il profumo della sua colonia dargli alla testa. Lo guarda con quell’espressione rilassata, le labbra piegate in quel ghigno storto che lui ama, amava, baciargli via.

«Non ho detto nulla» risponde, la voce ferma per puro miracolo. «Perché non conosco una parola in francese.»

Sebastian sogghigna e gli fa scivolare le mani alla base della schiena e, davvero, Thad non ha idea del perché debba comportarsi così e del perché, soprattutto, lui debba reagire come se fosse tutto vero. Perché ha il cuore in gola e lo stomaco annodato e sa che Pierre li sta guardando, sa che avrebbe dovuto prevedere un tale comportamento e sa che si è portati ad aspettarsi effusioni del genere da parte di una coppia. Solo che loro due non sono una coppia e, oltretutto, loro non sono mai stati quel tipo di coppia. Quindi, perché?

«Lo sapevo che le nostre lezioni non erano servite a nulla» puntualizza, inutilmente. «So ancora leggerti piuttosto bene, io.»

E forse è il retrogusto allusivo con cui ha colorato il suo tono di voce, o quelle precise parole che erano mesi che lui voleva sentirsi dire, o la vicinanza che lo sta mandando fuori testa, ma Thad si ritrova a schiudere le labbra e a perdersi nel suo sguardo così trasparente e intenso, gettando ulteriore benzina sul fuoco.

«Perché lo hai fatto, allora? Se sapevi che-»

Sebastian scuote lievemente la testa e piega le labbra in una smorfia a metà tra il colpevole e il palesemente ovvio. «Per passare un po’ di tempo con te» mormora e sembra talmente sincero che il precario castello di carte, su cui Thad aveva costruito la sua convinzione che tra loro non potesse più esserci nulla, crolla miseramente. Una folata di vento calda come le braccia che lo stringono e leggera come le labbra che Sebastian gli posa sulla guancia.

«Ricordati di respirare, Harwood» mormora sulla sua pelle e Thad chiude gli occhi, tornando indietro con la mente di mesi. A quando loro stavano ancora insieme e Sebastian lo baciava con talmente tanta foga e passione che alla fine temeva puntualmente che Thad avesse uno dei suoi attacchi d’asma. “Ricordati di respirare” ridacchiava alla fine, al che Thad sorrideva e “Sei tu che mi rendi incapace di farlo” rispondeva, prima di baciarlo ancora e ancora e ancora. Sembra passata una vita intera da allora.

Deve mordersi la lingua per impedirsi di pronunciare di nuovo quelle parole esatte, ma la sua espressione deve comunque tradire i suoi pensieri, perché Sebastian si allontana quel tanto che basta per rivolgergli uno sguardo consapevole e sicuro, colorato da quella vena di affetto e premura che era solito rivolgergli in quei casi.

Poi scioglie l’abbraccio e Thad avverte quel distacco come una separazione talmente brusca e definitiva da doversi ricordare davvero di respirare.

Come farò a rimettere insieme i cocci, stavolta? Si domanda, mentre Pierre si avvicina a loro e batte una mano sulla spalla di Sebastian per comunicargli come hanno deciso di procedere.
 


 
Quattro ore e duecentouno scatti dopo – no, non li ha contati, ma il fotografo ne era talmente fiero che non ha fatto altro che ripetere quel numero con sempre maggiore enfasi – Thad è seduto sul divano del salone di Sebastian ed è assolutamente certo che non riuscirà mai più a muoversi. Ha perso il conto di quante volte ha fatto avanti e indietro tra il giardino, le scale, il terrazzo, il cortile, la camera da letto e la cucina. Apparentemente, qualsiasi location era incredibilmente appropriata per le foto dei segnaposti, quindi il fotografo è stato coì attento da non farsene scappare neanche una.

«Questa casa è enorme» comunica a Sebastian, non appena questo crolla sul divano al suo fianco. Sembra spossato e sfinito quanto lui, ma Thad è sicuro di non apparire ugualmente bello ed elegante.

«Dopo un po’ ci si abitua» gli risponde, come se fosse solito rifilare quel commento a chiunque gli faccia quella constatazione. «Non è così male, specialmente perché non ho mai dovuto pulire io.»

E quello sembra anche piuttosto logico: Thad è lì da scarse ventiquattro ore e ha già avuto modo di avere a che fare con metà della servitù che lavora in quel posto. Si limita ad annuire però, lasciando ai suoi muscoli la possibilità di riposarsi e riprendere le forze necessarie ad affrontare la restante parte del pomeriggio. Sebastian, d’altro canto, non si preoccupa di aggiungere alcunché, così per un po’ gli unici rumori che riempiono l’ambiente sono quelli dei loro respiri regolari e dell’incessante ticchettio dell’orologio a pendolo che decora la stanza.

«Quindi è qui che hai vissuto fino a un paio di anni fa?» Le parole gli lasciano le labbra senza una ragione precisa e senza che lui lo avesse premeditato. Sa solo che, dopo quel breve momento di intimità, lui e Sebastian hanno avuto ben poco tempo per fermarsi a riprendere fiato e scambiare più di due frasi, quindi adesso si sente quasi in dovere di recuperare il tempo perduto.

Il ragazzo al suo fianco scivola un po’ più nel divano e posa la nuca allo schienale, soffermandosi ad osservare il soffitto. «Mh. Ho vissuto qui praticamente tutta la vita.»

Thad annuisce. «E non ti manca mai? Insomma, qui è molto più- più nel tuo stile, ecco.»

La lieve risata di Sebastian gli solletica le orecchie inaspettatamente. «Per la servitù e il numero spropositato di metri quadri? Frequenti la Dalton, Harwood, non fare la parte del villico con me.»

«Non intendevo quello» chiarisce, scuotendo la testa. «Mi riferivo a- a Parigi, sì. Non senti mai la mancanza di Parigi?» Affonda un po’ più nel divano e si mette nella sua stessa posizione, poi volta il viso verso di lui. Nello stesso momento in cui Sebastian fa lo stesso.

«Ogni giorno» risponde, con voce sicura e diretta. Quello è il suo posto, Sebastian appartiene alla borghesia parigina e basta guardare il modo in cui cammina, parla, gesticola, si veste, per rendersene conto. «Ma a Westernville ho compensato bene la mancanza.»

La consapevolezza che Sebastian stia parlando di lui gli attraversa lo stomaco come un fulmine a ciel sereno. Non è una supposizione, non è una speranza, non è un sospetto destinato a infrangersi sulla scogliera della dura realtà. No. Thad è assolutamente certo che Sebastian si riferisca a lui e alla loro storia e quelle parole, unite al suo sguardo così profondo e serio, non sono per nulla d’aiuto alla strenua lotta interiore che lui sta conducendo per evitare di farsi troppe illusioni.

«Se tu non ti fossi mai trasferito-» si schiarisce la voce che gli è uscita bassa e arrochita, ma Sebastian deduce senza difficoltà ciò che lui sta per dire, tant’è che scuote la testa con decisione e lo interrompe.

«Ci saremmo conosciuti lo stesso» asserisce con una tale sicurezza che Thad avverte il proprio cuore tremare all’intensità di quell’ennesimo momento che stanno condividendo: erano mesi che non si sentiva così emotivamente vicino a lui. «Prima o poi» continua il ragazzo, gli occhi nei suoi e un sorriso scanzonato a piegargli le labbra. «Saresti venuto in vacanza a Parigi e io ti avrei visto passeggiare per Montmartre o guardare le vetrine in centro, avrei pensato che avevi un bel culo e avrei trovato una scusa per avvicinarmi a te.»

Thad trattiene il respiro, ma non può impedire alle proprie labbra di curvarsi in un sorriso adorante e perso, sporcato dalla malinconia che le parole di Sebastian gli trasmettono. «Sarebbe stata una cosa decisamente da te» commenta, la voce più bassa e accorta, come se gli stesse confessando un segreto che gli pesa sul cuore e i pensieri. Sebastian annuisce e sposta il peso su una spalla, sollevandosi quel po’ che basta per guardando più comodamente.

«E tu avresti finto che le mie attenzioni ti infastidivano e mi avresti mandato al diavolo, ma in realtà morivi già dalla voglia di mettermi le mani addosso e godere del mio calore» prosegue, implacabile, calando progressivamente il tono di voce e spostandogli nel contempo una mano sulla gamba.

«Sei sleale» è tutto ciò che riesce a mormorare Thad, sopraffatto dalle emozioni che sta provando e dall’aria che si è fatta improvvisamente tesa e pregna di parole non dette. Non è giusto il modo in cui Sebastian si sta comportando con lui, non è giusto che si sta approfittando della sua vulnerabilità e della sua ingenuità ad aver accettato quella proposta senza sapere a cosa andava incontro.

Ma il ragazzo sembra non prestare il benché minimo ascolto alle sue parole, poiché che non si fa problemi a continuare. «Ed io mi sarei offerto di farti da cicerone per mostrarti le bellezze di Parigi e magari entrare nei tuoi jeans… e ti avrei sfiorato casualmente più volte di quanto sarebbe stato consono e- e avrei arricchito il discorso con un’allusione dietro l’altra e sarei stato assolutamente detestabile, lo so.»

Tace un attimo, ma Thad non ha la forza di aggiungere altro. Perché è tutto sbagliato e, allo stesso tempo, maledettamente giusto e voluto, solo che lui avverte la testa vorticare con violenza e il peso di quelle parole gravargli sulle spalle e tutto ciò a cui riesce a pensare è: “sei uno stronzo” ma anche “come faccio ad amarti ancora così tanto?”

E non sa quale sia la risposta a questa domanda, se l’è posta talmente tante volte che ormai ha smesso di cercarla, ma Sebastian gli fa scivolare lentamente la mano sotto la guancia ed è di nuovo tutto lì. In quello sguardo che gli rivolge e nel modo in cui lo alterna tra i suoi occhi e le sue labbra.

«E poi io avrei detto qualcosa di stupido e- e tu avresti sorriso in quel modo che- e allora io mi sarei innamorato di te all’istante. Esattamente come poi ho fatto in America.»

Thad avverte distintamente il proprio cuore mancare un battito a quella confessione così intensa e sussurrata; ogni muscolo freme per colmare quella distanza e i suoi occhi sembrano non avere la forza di abbandonare quelli di Sebastian. La diga che aveva così disperatamente e faticosamente costruito sta venendo giù con una facilità talmente disarmante che lui non riesce a non pensare a quanto sia giusto che quei pensieri siano liberi di fluire, che lui e Sebastian siano in realtà destinati a stare insieme.

«Non- non c’è nessuno che ci guarda» mormora comunque, con voce un po’ spezzata, provando a difendersi da quell’attacco come meglio può. «Non sei obbligato a fingere.»

La risposta di Sebastian è un sorriso storto e fintamente esasperato, come se si aspettasse da lui quelle precise parole. Non parla, ma scivola più vicino al suo corpo, colmando quella distanza irrisoria che ancora li separava. «Chi ti dice che io stia fingendo» sibila, dopo qualche attimo.

E non è una domanda, ma una sentenza definitiva che Thad percepisce con la stessa violenza di un attacco di asma improvviso. Neanche sa se Sebastian sia sincero o se si stia prendendo gioco di lui, se si riferisca solo a quel preciso momento o a tutta quella farsa che stanno portando avanti. Sa solo ciò che lui gli dice subito dopo. E cioè nulla. Sebastian non può aggiungere altro, perché le sue labbra sono troppo impegnate a posarsi su quelle di Thad.

Per un momento che sembra infinito ma che, di fatto, dura solo pochi istanti. Interrotto bruscamente da un eloquente colpo di tosse che li fa sobbalzare e allontanare di malavoglia. Thad non ha bisogno di voltarsi, per sapere che Anne Smythe li sta osservando dall’uscio della porta.

“Da quanto tempo è lì?” È il primo pensiero che gli attraversa la mente. Il secondo, di pari intensità e vividezza è: “Lui lo sapeva.”

Chi ti dice che io stia fingendo?

Esattamente questo.

                                                          
 


 

  
Aspettate.

Lo so che adesso starete pensando: “Ma non avevi detto che non sarebbe stato angst e bla bla bla?”. Sì, lo avevo detto, ma tenete conto che a) questi sono solo i pensieri di Thad, campione olimpionico di paranoie e turbe mentali e b) No, davvero, non potete concentrarvi solo sulla fine, dopo il momento così d’ammmmore che hanno condiviso ♥

Non so se vi convince il modo in cui ho utilizzato il prompt del giorno, ma io sono davvero convinta che loro due si sarebbero trovati in ogni universo e… beh, mettere queste parole in bocca a Sebastian mi è sembrata una scelta abbastanza efficace e romantica :3

Adesso volo a studiare e poi a finire il capitolo per domani, non prima però di avervi ringraziato per tutto l’affetto e l’entusiasmo che mi state riservando. Non me lo aspettavo, non me lo aspettavo per nulla e sono felicissima che questo mio piccolo esperimento vi stia piacendo ♥

Grazie infinite, quindi, a tutti coloro che hanno recensito, preferito, seguito e ricordato: vi prometto tutta la puntualità di cui sono capace ♥

A domani,

 
Robs.
   
 
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