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Autore: micRobs    16/11/2013    2 recensioni
Mini commedia romantica in sette capitoli, scritta per la Thadastian Week:
Dal primo capitolo: "«Grazie di essere così-» Stupido? Senza speranza? Privo di qualsiasi istinto di sopravvivenza? «Così e basta, lo sai.»
«Che fortuna» commenta caustico, abbozzando un sorriso che spera risulti abbastanza convincente da non compromettere la brillante messinscena in cui si sta impegnando così strenuamente.
La verità è che ha appena accettato di volare a Parigi insieme al suo ex – mandando alle ortiche non solo ogni forma di logica, ma anche il suo presunto amor proprio – e, come se non bastasse, ha acconsentito ad andarci nelle vesti di suo ragazzo. Di suo attuale ragazzo, per amor di precisione."
Fluff, romanticherie e cliché come se piovesse.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Day 6: Regalo di compleanno ♥
Note di Robs: Vi capita mai di essere pienamente soddisfatti di un vostro scritto? A me è molto raro, ma questo capitolo… boh, io lo lascio a voi ♥
 
 


05. Di tutto, di niente, e poi di nuovo di tutto.
 
 


 

Un vaso di Pandora.

Un mistico contenitore in cui sono racchiusi tutti i mali del mondo e che, spesso e volentieri, è utilizzato come comoda spiegazione della stupidità umana. Un tappeto sotto cui nascondere la polvere che non si ha voglia di spazzare via, un ripostiglio stipato di cianfrusaglie e rifiuti. La verità è che di modi per definirlo ce ne sarebbero a decine, ma tutti non fanno altro che ricondurre alla figura di un ideologico buco nero in cui finisce la roba vecchia, ciò di cui non ci va più di occuparci, un dimenticatoio in cui nascondere ciò che ci turba e ci dà da pensare. Un cassetto talmente pieno di ricordi e frasi a metà che ormai non si apre più. Una diga che argina la coscienza.

Ciò che tutte queste definizioni hanno in comune, però, è l’ineluttabilità. L’impossibilità di tornare indietro una volta sbloccato il cassetto, crepata la diga, aperto il ripostiglio, scoperchiato il vaso. L’impossibilità di rimettere tutto in ordine e fingere che non sia accaduto, ritornare ad una condizione di equilibrio.

Thad lo sa bene. Lo sa perché la sua rottura con Sebastian è sempre stato un vaso di Pandora di dimensioni non indifferenti. Per mesi, hanno continuato a gettarvi tutto dentro, discussioni lasciate a metà, parole non dette, desideri inespressi. Hanno accumulato ogni insoddisfazione e ogni recriminazione nei confronti dell’altro, fino a che il contenitore è risultato talmente pieno – e loro talmente vuoti – da non poter accogliere più nulla. E allora lo hanno lasciato lì, in un angolo della stanza, ad accumulare polvere e rimpianti, senza fare nulla di concreto per sistemare ciò che vi era incastrato dentro.

Fino a che la chiusura non ha ceduto e, senza che loro potessero fare qualcosa per impedirlo o prevederlo, si è aperto di nuovo. E forse così è stato anche peggio, perché non vi è stato il tempo necessario per pensare, trovare soluzioni, riflettere e prepararsi psicologicamente all’ondata di risentimento che poi li ha investiti in pieno. Con la potenza di mesi interi di silenzi tesi e parole taciute.

«Pensavo avessi cambiato idea.»

«Perché dovevo essere io a cambiare idea?»

«Perché lo sai perfettamente che io non posso, Thad.»

«Non ti sei mai fatto problemi ad agire di testa tua. Guarda caso, proprio adesso dovevi iniziare a comportarti da figlio ubbidiente.»

«Continui a comportarti come se la decisione pesasse solo a te.»

«Perché a quanto pare è così. Le cose non sono facili per nessuno, Sebastian, perché devo essere io a mettermi da parte?»

E forse è proprio questo il problema, il nocciolo della questione che è sempre stato difficile da mandare giù e digerire: nessuno dei due vuole o ha mai voluto cedere o scendere a compromessi. Sin da quando si è presentata la necessità di dover riflettere seriamente sul loro futuro come coppia, né Thad e né Sebastian hanno mai palesato l’intenzione di lasciar cadere le armi e arrendersi. Ognuno dei due voleva avere l’ultima parola, decidere per entrambi e aspettare che fosse l’altro a farsi da parte e arrendersi. Chi l’ha detto che dobbiamo fare come dici tu? – era all’ordine del giorno.

Quando Thomas Smythe ha riportato in auge la questione, ha inconsapevolmente scoperchiato un vaso rimasto sigillato per quasi sei mesi, sommergendo i due ragazzi con la più antica delle forze del mondo: quella dell’orgoglio. Proprio quando la situazione sembrava essersi ristabilita, proprio quando Thad si era convinto a provarci davvero e di nuovo, proprio quando Sebastian si era scoperto quel tanto che bastava per permettere a Thad di accorgersi che i suoi comportamenti erano sinceri, quella domanda ha minato il precario equilibrio su cui si reggeva il loro sistema.

“Ti amo, ma non puoi chiedermi di scegliere tra te e il mio futuro.”

“Dovrei essere io il tuo futuro, Thad. Si suppone che tu mi ci veda con te, sai?”

“Potrei farti la stessa obiezione.”

Non hanno parlato, non hanno messo in chiaro la loro posizione o si sono preoccupati di dare un nome a ciò che hanno scoperto li lega ancora: sono semplicemente esplosi, come se quei sei mesi passati a fingere di non tenerci più all’altro non fossero mai trascorsi, come se fossero ancora nel dormitorio dell’Accademia Dalton a discutere sull’eventualità di doversi dividere per sempre. Come se non si fossero mai lasciati. Stanno ancora insieme e stanno ancora discutendo e rinvangano un passato che non sarà mai troppo remoto per smettere di fare male.

Anche adesso, anche dopo quasi ventiquattro ore da quella fatidica domanda. Thad si sente come un fiume in piena e sa di avere ragione a portare avanti le sue convinzioni e il suo punto di vista, specialmente perché Sebastian continua a comportarsi come se avesse dato per scontato che alla fine lui avrebbe cambiato idea e avrebbe fatto domanda ad Harward per averlo vicino. Ed è proprio questo che Thad non riesce a farsi andare bene: Sebastian non ha mai avuto la minima intenzione di scendere a compromessi per loro, ma ha sempre agito nella piena convinzione che Thad sarebbe tornato da lui con la coda tra le gambe e una borsa di studio per l’università a cui si sarebbero iscritti insieme.

«Lo hai visto, Harwood. Mio padre non si metterà l’anima in pace solo perché io ho un progetto a lungo termine da portare avanti.»

«E il progetto a lungo termine sarei io, ovviamente. Tu hai dimenticato che non stiamo più insieme?»

«Io, ho-? Ho organizzato tutto questo benedetto casino per farti capire-»

«E non potevi parlare come fanno i comuni mortali, Sebastian?»

«No!» Sebastian è furibondo, sbatte la porta della piccola rimessa in giardino, a cui lui e Thad si sono recati per recuperare gli attrezzi con cui allestire il patio per la celebrazione dell’indomani; i suoi occhi sono fiammeggianti e adirati. «Perché avevo capito che per te contassero i fatti e non delle stupide parole campate in aria.»

«E avevi capito bene, se solo i suddetti fatti fossero alla portata della comune comprensione umana.»

«Scusami tanto» si infervora l’altro, la sua voce che rimbomba attraverso le pareti della piccola casupola in penombra. «Se non mi sono limitato a spedirti un mazzo di fiori con “Vaffanculo, voglio tornare con te” scritto vicino.»

«Sarebbe stato di certo più chiaro!» Ribatte Thad, fuori di sé al punto da non rendersi pienamente conto della confessione appena sputata da Sebastian. «La prossima volta vedi di-»

«Quante cazzo di volte ancora vuoi lasciarmi?» Lo interrompe però Sebastian, le braccia leggermente allargate e l’espressione di chi ha appena ricevuto una secchiata d’acqua gelida in pieno viso.

Thad assottiglia gli occhi, ma non osa muovere un muscolo. «Sei stato tu a lasciare me.»

«Io avevo detto che “forse” avremmo dovuto lasciarci» gli fa notare, con stoicismo e sicurezza.

«Ma lo hai detto comunque.»

«E tu ti sei detto d’accordo, smettila di dare la colpa a me» sbotta, il tono di voce che non ammette repliche; afferra la cassetta degli attrezzi posata su un ripiano in basso e poi si volta di nuovo a guardarlo. «È troppo facile scaricare tutto su di me, mh? Tanto sono io quello stronzo e menefreghista che avrebbe mandato tutto a puttane comunque. Tu pensi che io non lo sappia quello che sei andato a dire in giro? Ovviamente, è la tua di versione quella che circola sulla bocca di tutti. Io sono passato per il cattivo approfittatore e tu ne sei uscito come la povera vittima con il cuore spezzato.»

Thad è allucinato; sgrana gli occhi ad ogni parola che Sebastian gli vomita addosso, non potendo credere alla quantità nociva di veleno che vi ha riversato dentro. Non è vero, è ciò che pensa ed è anche ciò che dice un attimo dopo. «Non mi sarei mai permesso di screditarti o spalarti merda addosso solo perché sì, vaffanculo, mi sentivo spaccato a metà. Se tu mi conoscessi almeno un minimo, lo sapresti.»

E detto ciò, non aspetta che Sebastian aggiunga altro: avverte gli occhi pizzicare e il nodo alla gola premere per essere liberato, non vuole che Sebastian lo veda piangere e non vuole davvero passare per la povera vittima di cui avere pietà, così si volta e abbassa la maniglia della porta, del tutto intenzionato a correre via e non farsi vedere fino al matrimonio.

Solo che la porta non si apre. Thad la abbassa di nuovo e la scuote un po’, ma quella rimane inequivocabilmente chiusa.  

«Non è divertente» prova a mostrarsi calmo, anche se avverte il panico iniziare ad avvolgerlo e dare la colpa a Sebastian è davvero troppo semplice. «Se è uno scherzo, non è affatto divertente.»

Quando però si volta di nuovo a guardarlo, il ragazzo ha la fronte aggrottata e l’espressione confusa di chi è genuinamente con la coscienza pulita. «Di che diavolo-» inizia, ma poi deve accorgersi dell’improvviso pallore sul viso di Thad, tant’è che gli strascichi di quella violenta discussione abbandonano immediatamente il suo viso. «È chiusa?» Domanda stupidamente, ma avvicinandosi a lui e sostituendo la sua mano a quella di Thad. «Deve essersi incastrata quando-» stringe la maniglia e la tira con forza, provando a sbloccarla. «Quando l’ho sbattuta prima.»

Thad ingoia a vuoto e si guarda intorno velocemente, alla ricerca di qualcosa con cui forzare la porta e- no, e se poi dovesse deformarsi e rimanere bloccata definitivamente? Quanto sarà grande quel capanno? Due o tre metri quadri? La finestra è troppo piccola per uscirvi, ma possiamo aprirla e fare entrare un po’ d’aria, così- quanta aria ci sarà qua dentro? Se dovesse finire- Sebastian può scardinare la porta e- o possiamo urlare e magari qualcuno- cazzo, se solo avessi preso il telefono…

«Thad» la voce sicura e dolce di Sebastian lo richiama dal vortice autodistruttivo dei suoi pensieri e lui si rende conto solo adesso di essere indietreggiato fino a sbattere la schiena contro uno scaffale. «Ascoltami, ehi» il ragazzo gli posa le mani sulle guance e lo induce a sollevare il viso, ma Thad sa che ciò che Sebastian sta osservando nei occhi altro non è che il panico più asfissiante. «Questa rimessa è un po’ malconcia, non è strano che la porta si sia bloccata, ma-»

«Facci uscire da qua dentro, fammi» ingoia a vuoto mentre il respiro gli accelera appena. «Uscire da qua dentro.»          

E Sebastian annuisce, le sue dita che prendono ad accarezzargli le guance con delicatezza, continuando ad osservarlo con sguardo premuroso e accorto. «Non posso mettermi a smanettare là vicino, se non so che tu stai tranquillo.»

Stare tranquilli, è una parola. L’aria è sempre di meno, perché- respira più lentamente, Thad, respira-

«Thad» di nuovo, Sebastian lo richiama a sé con decisione e tanta di quella dolcezza che a Thad viene solo da piangere. Per tutto, per ogni fottuta cosa. «Ehi, guarda me, dai. Sono qui.»

E lui lo fa, punta i suoi occhi lucidi in quelli di Sebastian e prova ad attingere da essi la calma e la tranquillità necessarie a ricominciare a respirare con regolarità, ma avverte la testa iniziare a girare e la stanza rimpicciolirsi a ogni respiro che prende e sottrae da quelle quattro mura.

«Se finisce l’aria…»

Sebastian scuote la testa con un piccolo sorriso morbido a piegargli le labbra. «Ti presto la mia» risponde lo stesso, prima di avvicinarsi e posargli le labbra sulla fronte. «Te lo ricordi il nostro primo bacio?» Domanda, muovendo la bocca contro la sua pelle appena increspata dalla preoccupazione.

L’altro ingoia a vuoto e annuisce. «Certo che- me lo ricordo.»

«Ti va di raccontarmelo?»

E Thad non pensa che quella sia una richiesta insolita o stupida, neanche mette in dubbio il fatto che Sebastian possa ricordarlo o meno. Semplicemente, prende un respiro profondo e poi chiude gli occhi, incoraggiato dalle dita di Sebastian che gli tracciano delicatamente le gote e dal suo profumo che lo inebria. «Era il mio compleanno» comincia, faticando a tenere la voce ferma. «E avevamo fatto tardi a lezione.»

L’altro strofina le labbra contro la sua fronte, annuendo lentamente. «Pioveva e avevamo fatto una corsa dai dormitori all’edificio scolastico» aggiunge, sottovoce. «Eravamo tutti bagnati, perché avevamo dimenticato l’ombrello.»

«E- e stavamo litigando. Io stavo dando la colpa a te.»

Sebastian emette una piccola e bassa risata a quella precisazione. «Come al solito. Dicevi che era colpa mia che ti avevo distratto.»

«Ed era vero ma-» Thad ingoia a vuoto, sempre tenendo gli occhi chiusi, provando a figurarsi mentalmente quella scena come meglio può. «Mi convincesti a prendere l’ascensore per fare prima. Io non volevo-»

«-ma io ti risposi che per una volta non sarebbe accaduto nulla. Che ci avrebbe risparmiato una ramanzina inutile e quattro rampe di scale.»

«Solo che- l’ascensore si bloccò a metà strada.»

Sebastian annuisce e gli fa scivolare entrambe le braccia dietro al collo, senza però allontanare le labbra dalla sua fronte. «Per nove minuti. Li contai, lo sai?»

No, Thad non ne ha e non ne aveva idea, perché di quei nove minuti lui ricorda solo l’ansia e l’agitazione e il panico che lo assaliva. «Ti dissi che era tutta colpa tua.»

«Come al solito» sorride di nuovo Sebastian e lui non riesce a impedire a un angolo delle sue labbra di piegarsi a tradimento. «Io ti dissi di respirare e- non lo sapevo che eri così tanto claustrofobico. Mi spaventai a morte, mi spaventasti a morte.»

«Mi mancava l’aria» ricorda Thad e sposta le mani sui fianchi di Sebastian, quasi a volersi aggrappare alla sua presenza nel presente, per non farsi trascinare ulteriormente dalla paura che gli spazi chiusi gli causano. «E ti chiesi di distrarmi e farmi pensare ad altro.»

«E io avevo la testa completamente vuota e non riuscivo a concentrarmi su nulla di concreto e utile.»

«Iniziasti a raccontarmi una barzelletta, ma non ti ricordavi come finiva e-» si morde un labbro, prendendo l’ennesimo respiro profondo, beandosi della sensazione dei suoi polmoni pieni d’aria. «E comunque non faceva ridere per niente.»

La bassa risata di Sebastian gli solletica la pelle e lo fa rabbrividire appena, mentre il ragazzo aumenta di poco la stretta su di lui e lo avvicina ulteriormente a sé. Thad si sente al sicuro nel suo abbraccio, si sente protetto dal mondo e dalle sue paure così limitanti. «E allora ti baciai» prosegue Sebastian e per un attimo tutto tace, perché il ricordo di quel momento, di quelle sensazioni, di quell’attimo apparentemente infinito, ancora gli fa battere il cuore e lo emoziona come null’altro. Erano mesi che moriva dietro Sebastian, quel bacio fu il coronamento di un sogno. «E tu mi dicesti-»

«-che così il respiro me lo toglievi del tutto.»

L’altro annuisce e si allontana da lui quel tanto che basta per osservarlo negli occhi, con sguardo vivo e adorante, carico di talmente tanto amore che Thad si sente vacillare per un attimo. «E io ti risposi che potevi prendere in prestito il mio quando volevi.»

«Fu bellissimo» mormora Thad, che intanto ha fatto passare le proprie braccia intorno alla schiena di Sebastian e adesso si trova premuto contro il suo petto, incastrato tra lui e la scaffalatura alle sue spalle. E non si è mai sentito meglio. «Era da tanto che lo volevo. Baciarti- non restare bloccato nell’ascensore.»

«Anche io» è la risposta di Sebastian, sussurrata a bassa voce, direttamente sulle labbra di Thad. «E ti dissi che quello era il tuo regalo di compleanno.»

Thad ingoia a vuoto, stordito da quella vicinanza che lo confonde e fa rabbrividire. «E poi l’ascensore è ripartita.»

«E poi l’ascensore è ripartita» ripete Sebastian e gli sfiora le labbra con le sue, in un contatto talmente delicato che Thad crede di averlo solo immaginato. «E io ho desiderato baciarti di nuovo per tutto il resto della giornata» gliele sfiora di nuovo, un po’ più a lungo, ma con la stessa dolcezza e semplicità di poco prima.

«Ci hai messo un po’, prima di farlo di nuovo» gli fa notare, le palpebre calate a metà e il cuore che corre furioso sotto la cassa toracica. «Pensavo non lo avresti più fatto.»

«Sono sempre stato un po’ idiota, quando si trattava di te.»

«Sei ancora un po’ idiota» mormora Thad, la voce talmente bassa che non si stupirebbe se Sebastian non lo avesse sentito.

Ma Sebastian lo ha sentito alla perfezione, tant’è che stringe un po’ la presa su di lui e se lo preme addosso, in maniera talmente disperata che Thad crede voglia farlo diventare parte di sé. «Perché si tratta ancora di te» sussurra. «Si è sempre trattato solo di te.»

E poi lo fa. Chiude definitivamente la distanza tra loro e lo bacia, lo bacia come non faceva da mesi interi. Con dedizione e venerazione, accarezzando le sue labbra e dando a Thad il tempo di adattarsi ai suoi movimenti, modellando la propria bocca sulla sua e lasciando che sia lui a decidere se e quando interrompere quel contatto. Ma Thad non lo fa. Chiude le mani intorno alla sua schiena e si solleva appena sulle punte per premersi maggiormente su di lui, ricevendo in risposta un sorriso innamorato che altro non è che un riflesso del suo.

Quando la porta del capanno si apre e la voce di Thomas Smythe li sorprende in quella posizione, Thad sospira internamente di sollievo per la libertà riacquistata, ma non interrompe quel contatto. E neanche Sebastian lo fa. Continua a baciarlo con intensità e dolcezza, mentre suo padre sbuffa e impreca a mezza voce.

Questa consapevolezza per lui vale più di mille parole.   




 
   
 
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