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Autore: _Trixie_    18/11/2013    8 recensioni
[Spoiler terza stagione, Swan Queen]
La storia prende il via dopo L’Isola Che Non C’è, Henry è stato salvato e ora è tornato a Storybrooke, con la sua famiglia al completo. Al loro ritorno scopriranno che alcune cose sono cambiate, non solo a Storybrooke, ma anche nel loro animo, e che altre, invece, sono semplicemente destinate a rimanere tali.
“«Ora credi di poter avere la persona che desideri?» domandò Regina, appoggiandosi alla lavastoviglie con il fianco per chiuderla.
«Non lo so. Forse… forse ora c’è una speranza».
«Sei schifosamente figlia di tua madre» rise Regina, facendole segno con il capo di seguirla.
«Voleva essere un insulto?» domandò Emma, mentre percorreva i corridoi di casa Mills e si sedeva nello stesso luogo in cui Regina l’aveva accolta la prima volta in cui si erano incontrate.
«No, non esattamente» confessò il sindaco, mentre prendeva posto di fronte a Emma. «Comunque, se c’è una speranza, dovresti provarci. Scommetto che non sa nemmeno quello che provi».
Emma spalancò la bocca, stupita.
«Te lo sei dimenticata, Swan? Io so sempre tutto quello che succede a Storybrooke… o che non succede».”
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your heart, can you feel it?'
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III. La prima volta
 

Emma e Regina non si consideravano una coppia, eppure era diventato raro trovare una senza l’altra attorno.
Emma e Regina non stavano insieme, però si incontravano ogni giorno e, la mattina, facevano colazione insieme a Henry da Granny’s.
Emma e Regina non erano fidanzate, comunque di battute a riguardo ne circolavano parecchie e le migliori appartenevano al signor Gold.
Emma stava camminando lungo Main Street quando venne raggiunta da Regina, i cui tacchi erano inconfondibili sull’asfalto grigio.
«Questa sera pensavo di cambiare menù, basta lasagne» esordì Regina.
«Cosa?!» domandò contraria Emma. «Non se ne parla, Henry le adora!».
«E tu no?»
«No, affatto. Sono buone, ma nulla di speciale» minimizzò Emma.
Da settimane ormai le serate che Henry trascorreva da Regina erano aumentate. Anzi, Henry passava molto più tempo nella sua casa d’infanzia che nell’appartamento dei nonni, ma questo non sembrava infastidirlo, anzi.
Emma si fermava spesso con lui, ma sia lo sceriffo che il sindaco amavano credere che il loro trascorrere tanto tempo insieme fosse dovuto solo ed esclusivamente ad Henry.
«Allora per te non ci sono problemi se cucino qualcosa di diverso» disse Regina.
«Ad esempio?»
«Non lo so. Al castello tacchini ripieni e polli andavano per la maggiore, ma non penso di poter trovare cacciagione fresca. A meno che tua madre non abbia voglia di spolverare l’arco» considerò Regina, strappando allo sceriffo una smorfia. Il fatto che Regina si riferisse a Mary Margaret come la madre di Emma le faceva sempre uno strano effetto.
«È lunedì e lunedì è il giorno delle lasagne, non è il giorno del Ringraziamento» commentò Emma, ironica.
«Non è che cosa
«Nulla, lascia perdere, mi dimentico sempre che voi non conoscete le nostre feste».
«Una festa per ringraziare qualcuno? Non mi sembra una gran bella cosa».
Emma scosse la testa.
«Perché non fai le lasagne e basta? Così non ci devi pensare troppo».
«Perché mi sono stancata delle lasagne!» protestò Regina.
«Oh, allora, se Sua Altezza fa i capricci…»
«Rimarrai senza cena» la minacciò il sindaco, indispettita per la poca serietà con cui Emma considerava il suo problema culinario.
«Ma è uno dei pochi pasti decenti che faccio!»
«Chiederò a Henry, non fate tardi» tagliò corto Regina, ignorando le proteste della ragazza. Emma era solo la mamma biologica di suo figlio, con la quale stava provando a costruire un rapporto non meglio definito. Di certo, non doveva occuparsi anche di lei.
Camminando, comunque, avevano raggiunto l’ingresso del municipio. Emma annuì semplicemente.
Non si salutarono con un bacio, perché quel genere di cose le fanno le coppie e loro non lo erano.
 
Regina aprì la porta di casa a Henry e a Emma con il grembiule da cucina ancora legato attorno alla vita. Mentre il sindaco si chinava per ricevere il bacio dal ragazzo, Emma annusò l’aria, notando dispiaciuta che non sapeva affatto di lasagne.
«Cosa si mangia per cena?»
«Buona sera anche a te, Emma».
Henry corse a sbirciare in cucina, lasciando le scarpe in mezzo al corridoio e l’inseparabile zainetto su una sedia all’ingresso.
Lo sceriffo fece un passo avanti per entrare, ma Regina non si mosse se non dopo qualche secondo, durante il quale la giacca di Emma sfiorò il grembiule di Regina e la tensione creata da quella vicinanza divenne palpabile nell’aria.
«Ti diverti a prendermi in giro?» domandò Emma, sorridendo.
«Arrosto!» urlò Henry dalla cucina.
 
Emma e Regina stavano finendo di sparecchiare, mentre Henry già stava iniziando ad appisolarsi sul divano davanti alla televisione, appesantito dall’abbondante cena che aveva fatto, quando il campanello del numero 108 suonò improvvisamente.
«Non sapevo aspettassi qualcuno» disse Emma, che incontrò lo sguardo sorpreso di Regina.
«Infatti non aspetto nessuno».
Regina camminò spedita verso l’ingresso, seguita dallo sguardo di Emma e di Henry, ora attento.
Il sindaco aprì la porta, trovandosi davanti David Nolan.
«Buonasera» disse l’uomo. «Sto cercando Henry».
Il bambino nel frattempo si era alzato e stava mettendo le scarpe.
«Me ne ero dimenticato!» urlò, concitato. «Maledizione, no!»
«Henry!» lo rimproverò Regina per il colorito linguaggio del ragazzino. Sicuramente doveva averlo preso da lei, ma non era quello il punto.  
«Non posso fermarmi a dormire, mamma» si scusò il ragazzino, gettando a terra i cappotti appesi alla ricerca del suo. «Questa sera c’è il compleanno di Neal!»
Henry finalmente trovò la propria giacca e la infilò malamente, caricandosi lo zaino in spalla.
«Il compleanno di Neal?» chiese Emma, che li aveva raggiunti all’ingresso.
«Temo che non ti abbia invitata, Emma. Mi dispiace» disse David, visibilmente a disagio. «Ma puoi sempre provare a-»
«No, va bene così. È solo che Henry avrebbe dovuto dirmelo».
«Ciao, mamma» urlò il ragazzino, correndo fuori di casa vero l’auto di David.
«Ciao, tesoro!»
«Ciao, ragazzino!»
David guardò le due donne sorpreso, prima di seguire Henry.
«Hai visto, nonno? Mi basta salutare una volta e mi rispondono entrambe, è divertente» udirono dire Henry, prima che David partisse e Regina chiudesse la porta, allontanando la voce del bambino.
 
Emma sprofondò tra i cuscini del divano, mentre Regina spegneva la televisione che Henry aveva lasciato accesa.
«Ti manca? Neal, intendo» disse Regina, sedendosi accanto allo sceriffo e porgendole un bicchiere di sidro di mele.
«Siamo già passate agli ex?» chiese Emma ironica.
«Touché» concesse Regina, invitando lo sceriffo a fare un brindisi.
«A cosa brindiamo? A noi?»
«A noi? Cosa ti fa pensare che ci sia un noi?» domandò Regina.
«I baci che mi rubi a cena quando Henry non ci vede» disse Emma.
«Io non rubo nulla, sei tu che muori dalla voglia di darmeli. Il mio è un gesto altruista».
«Nessuno ti ha mai detto che in certe situazioni è meglio tacere?»
«Credo che l’ultimo che ci ha provato ora non possa più parlare affatto, purtroppo» ricordò Regina, appoggiando il bicchiere sul tavolino.
«Allora devo ritenermi fortunata ad essere ancora viva?» domandò lo sceriffo, posando il proprio bicchiere accanto a quello di Regina, macchiato di rossetto.
«Sì, molto» sussurrò il sindaco, stringendo gli occhi e avvicinandosi a Emma.
Lo sceriffo non rispose e lasciò che Regina le accarezzasse i capelli, come una bambina intenta a studiare il suo nuovo giocattolo, ma solo per qualche secondo. Con un movimento veloce, Emma allontanò da sé la mano di Regina, stringendola nella propria.
«Credevo non ci fosse alcun noi».
«Sono una donna molto volubile, Emma Swan».
Regina afferrò il volto di Emma e lo avvicinò al proprio.   
«Ci stai provando con me, Regina?»
«No, affatto, non mi sembra di averne bisogno».
Emma sorrise e Regina baciò quel sorriso, mentre un brivido le scorreva lungo la schiena, irradiandosi in tutto il corpo.
 
Da un paio di giorni le battute che circolavano riguardo Emma e Regina erano cambiate.
Guai in paradiso, era la più ricorrente, eppure molti si stupivano che il sindaco fosse di buon umore, nonostante gli screzi che sembravano esserci con la signorina Swan.
Mary Margaret aveva anche notato che la signorina Swan in questione in quei giorni sembrava molto più distratta del solito e a farne le spese erano stati i piatti di casa. Emma ne aveva già rotti due.
 
Le mani di Regina si muovevano frenetiche, alla ricerca dell’orlo della maglietta, mentre quelle di Emma tenevano salda a sé per i fianchi il sindaco, come se temesse che l’altra si allontanasse da un momento all’altro.
Le labbra di Emma non riuscivano a smettere di baciare la pelle di Regina, la bocca, le guance, l’incavo del collo e poi di nuovo la bocca.
 
Le dita di Regina giocherellavano con una vecchia penna a sfera, facendola roteare e girare in continuazione, senza sosta, mentre il sindaco si mordeva le labbra, chiedendosi cosa fare.
Guardò l’orologio. Era mezzogiorno.
Prese una decisione e si alzò. Indossò velocemente il cappotto e i tacchi percorsero rapidi il corridoio del municipio, fino alla sua auto.
 
Regina aveva bisogno di sentire il contatto con il corpo di Emma e si spinse verso la ragazza, che fu costretta a reclinare il busto, mentre cercava di sbottonare la camicia di Regina.
Uno ad uno, con una lentezza insopportabile, i bottoni uscirono dalle loro asole, permettendo ad Emma di accarezzare la schiena di Regina.
 
Emma era seduta, sola, in attesa che Ruby le portasse il pranzo.
«Tutto ok, Emma?» domandò la ragazza.
«Sì, perché?» sorrise lo sceriffo. Ed era davvero tutto ok.
«Nulla, è solo che tu e Regina non fate più colazione insieme. Con Henry, intendo».
«Siamo molto impegnate, tutto qui» spiegò Emma.
In realtà, si stavano cordialmente evitando, dopo quello che era successo l’ultima sera in cui avevano cenato insieme.
Non che a Emma dispiacesse, semplicemente non riusciva a superare l’imbarazzo che ne derivava. E poi, a dirla tutta, voleva che fosse il sindaco a cercarla.
 
Regina si alzò repentinamente dal corpo di Emma, affannata.
«Vieni» disse, tendendo la mano ad Emma e trascinandola fuori dal salotto, verso le scale.
Camminando, Emma accelerò il passo e raggiunse il sindaco, baciandola ancora, proprio mentre questa appoggiava il piede sul primo gradino.
Regina si tolse la camicia, ormai non più trattenuta da nessun bottone, e afferrò il volto di Emma.
 
Emma mangiò il proprio hamburger, leggendo distrattamente una rivista che sembrava essere molto vecchia. In realtà, non capiva una parola di quello che i suoi occhi tentavano di mettere a fuoco, perché la sua mente veniva distratta in continuazione, provocandole sorrisi involontari.
Quando si alzò per andarsene, lasciò una lauta mancia sul tavolo per Ruby.
 
Una delle scarpe nere di Regina cadde dalle scale, un gradino dopo l’altro, subito seguita dall’altra, con un tonfo sordo.
«Non si lasciano le scarpe sulle scale » ansimò lo sceriffo, immersa nel collo e inebriata dal profumo di Regina.
«Taci, Emma».
 
Regina arrivò nell’ufficio dello sceriffo e lo trovò vuoto.
Sospirò, immaginando che Emma fosse in pausa pranzo, e si sedette sulla sedia dello sceriffo, abbandonando la borsa sulle scartoffie che ingombravano la scrivania.
Incrociò le gambe e recuperò una vecchia rivista, in attesa di Emma Swan.
 
La porta della camera di Regina sbatté con violenza quando la donna la aprì.
Emma cadde all’indietro, su quello che doveva essere il letto di Regina e non provò nemmeno a guardarsi attorno.
 
Emma parcheggiò fuori dalla stazione di polizia, nello spazio riservato allo sceriffo, e sorrise nel riconoscere la macchina accanto.
 
La gonna di Regina cadde a terra, sopra i pantaloni dell’altra.
Le dita del sindaco percorsero il corpo di Emma, leggere, dal collo fino ai fianchi, soffermandosi dove i suoi morsi avevano lasciato segni rossi e tondi come mele.
Emma sorrise, muovendosi di scatto per ribaltare la situazione e costringere Regina a sdraiarsi.
«Una mossa avventata, Emma Swan».
 
Regina non l’aveva sentita arrivare, ma non appena si era avvicinata, il profumo di Emma aveva attirato la sua attenzione.
«Dove eri?» domandò, senza alzare lo sguardo dalla rivista.
Emma, che si era appoggiata allo stipite della porta, fece un paio di passi verso di lei.
«A mangiare. Devo esserti mancata molto, se sei venuta fino a qui per cercarmi».
«Mi stavi evitando?»
«No, affatto».
«Aspettavi che ti venissi a cercare, vero?»
«Non volevo imbarazzarti con la mia presenza».
«Molto dolce, Emma Swan» disse Regina ironica, abbandonando la rivista e alzandosi.
 
E mentre Emma scivolava in Regina, il suo cuore batteva, batteva come mai aveva fatto in vita sua, come se tutto quel turbinio di emozioni che la sola presenza di Regina le provocava si moltiplicasse, si amplificasse, fino a invadere ogni cellula del suo essere, fino a soffocarla.
E Emma Swan voleva solo annegare in tutto quello, in tutto ciò che era Regina.
 
Regina si avvicinò allo sceriffo, fino a quando le loro gambe non si sfiorarono, e poi continuò ad avvicinarsi.
 
Regina Mills si prese ogni cosa di Emma Swan. I gemiti di piacere, le carezze vellutate, lo sguardo in estasi, il calore delle gambe, i capelli profumati, il sapore di cannella.
E si prese il suo cuore, come mai aveva fatto prima, senza la forza, quel cuore puro le venne offerto con fiducia, le venne offerto perché se ne prendesse cura, perché lo proteggesse.
Così  Regina lo prese perché, quella notte, non voleva soltanto possedere Emma. Voleva amarla.
 
Regina sorrise, a pochi centimetri dal volto di Emma, che ascoltava il cuore dell’altra battere. Lentamente, lo sceriffo portò la mano sul petto di Regina.
«Battito accelerato».
 
Fu qualcosa che né Emma né Regina avevano mai provato in vita propria.
Perché né per l’una né per l’altra si trattò semplicemente di riempire un vuoto, soddisfare un bisogno, mettere a tacere l’esigenza della propria anima di sentirsi amata, anche solo per qualche minuto.
In quella stanza, mentre Regina ascoltava il respiro rotto di Emma, mentre ne assaporava la pelle e cercava di imprimere nei propri ricordi ogni centimetro di quel corpo, accadde qualcosa di diverso.
E Emma lo capì quando baciò Regina a lungo, soffocandone i gemiti, quando si rese conto che non lo stava facendo per sé stessa.
Lo sapevano entrambe, mentre i loro corpi rabbrividivano l’uno contro l’altro, che ormai le cose erano cambiate e che, per la prima volta in vita loro, ciascuna aveva pensato solo al benessere dell’altra, senza sconti verso sé stessa. 
   
 
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