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Autore: Wet Sand    18/11/2013    1 recensioni
Questa è una storia semplice, ma allo stesso tempo complicata. Proprio come il suo protagonista, Giulio, un uomo sopra la quarantina che dalla vita non ha mai chiesto molto, ma la malattia del figlio farà emergere un lato del suo carattere del quale egli stesso ignorava l'esistenza.
"Il mondo in un abbraccio" è una One Shot che cerca di mettere in mostra le debolezze di un uomo, di una famiglia, in una fase critica della vita.
Genere: Drammatico, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo in un abbraccio

Giulio sospirò, poi inserì le chiavi nella toppa e, dopo qualche momento di esitazione, pulì le suole delle scarpe su ciò che da quasi due anni occupava il posto fisso di zerbino ufficiale di casa Tortora. Poi nuovamente esitò, sentendo le voci dei suoi familiari da dietro la porta.
"Forse non mi hanno sentito... Forse posso andare via senza che lo scoprano." - pensò l'uomo di ritorno da un viaggio di lavoro, l'ennesimo nel corso di quegli ultimi sei mesi.

Giulio, un uomo sui quaranta anni con i capelli brizzolato e i primi sintomi di ciò che alcuni definiscono crisi di mezza età, da qualche settimana si sentiva spento, vuoto, privo di uno scopo e tutto gli sembrava estremamente fastidioso e stancante. Cose normali come alzarsi presto la mattina, svegliare Alessia e Giovanni per far sì che non ritardassero a scuola, trangugiare in fretta e furia la colazione preparatagli da sua moglie Sara (che consiste in un caffè Moca privo di qualsivoglia sapore, se si esclude quello di bruciato) o andare a lavorare presso la grande compagnia che 20 anni prima lo aveva assunto, non erano quasi più dei gesti che facevano parte del suo vivere quotidiano e  aveva iniziato a reputare la vita che aveva condotto fino ad allora alquanto vacua e monotona. Certo, i viaggi che intraprendeva erano lunghi e faticosi, e i clienti da soddisfare insopportabilmente indecisi, e ovviamente se Giulio avesse avuto la certezza di poter strappare a Giorgio Contini - la più viscida serpe che avesse mai incontrato nel corso della sua vita - la tanto sudata promozione che da due mesi si contendevano anche restando comodamente nella sua città, di certo non avrebbe accettato di lasciarla neanche per un giorno. Quando per la prima volta salì su un aereo, doveva ammettere, si era quasi sentito venir meno dalla paura, ma alla fine la situazione si era volta a suo favore: scoprire nuove cose, conoscere persone e usanze straniere gli era piaciuto tutto sommato, e se non avesse accettato l'offerta del suo superiore non lo avrebbe mai immaginato. Egli per primo era rimasto sorpreso, perché più che come un viaggiatore, un avventuriero, si sarebbe descritto come una persona semplice, che alla vita non chiede cose come la libertà, la ricchezza o chissà che cosa, ma una domenica pomeriggio sulla propria poltrona, con la Gazzetta in una mano, una birra nell'altra e la televisione sintonizzata su Rai Sport, pronta per trasmettere il derby.
Alla luce di questi fatti Giulio aveva pensato più di una volta, su quel maledetto pianerottolo, di voltare i tacchi e andare via, lontano; magari in una qualche regione sperduta della Cina, o di un qualsiasi altro Stato, dove i problemi di casa sarebbero stati così lontani da sembrar risolti. Se, infatti, girare il mondo, avere a che fare con i clienti, vendere il prodotto che commerciava o anche solo battere la concorrenza era complicato, Giulio reputava decisamente più devastante avere a che fare con sua moglie Sara e al contempo prendersi cura dei loro figli: Alessia, Giovanni e Francesco, l'ultimo arrivato nonché più sfortunato dei tre figli. Questi era nato con precisione svizzera nel giorno ipotizzato dai dottori e con un peso e delle misure non degne né di preoccupazioni né di grandi gioie. Un bambino perfettamente in salute e nella media, "uno dei tanti" si potrebbe dire. E tale era rimasto fino a poco più del primo anno di vita, quando per Giulio e Sara era iniziato uno dei periodi più bui della loro esistenza. L'incubo di ogni genitore, quello di constatare che la salute del proprio bambino non è così ferrea come si era immaginato, di riconoscere che abbia qualche problema e che necessiti di cure, magari anche costose e lunghe, aveva iniziato a tormentare i due coniugi, che per fuggire alla realtà che si prospettava loro avevano ignorato il più possibile dei piccoli campanellini d'allarme, come il ritardo del bambino nel pronunciare le prime parole o  la sua incapacità di relazionarsi con i fratelli maggiori.
Cielo, è solo un bambino! Quando si sentirà pronto parlerà, giocherà e farà tutto ciò che più desidera. - rispondevano quando qualcuno faceva eccessive pressioni ai due per far sì che gli facessero fare dei controlli. I due non avevano mai amato che qualcuno si impicciasse degli affari loro. Le condizioni del piccolo tuttavia erano sempre più peggiorate, e se per Giulio non c'era nulla di cui preoccuparsi, Sara conosceva suo marito da abbastanza tempo per sapere che ogni sua supposizione alla fine risulta inevitabilmente errata. Fu quindi grazie ad ella che il marito promise di portare il piccolo da uno specialista, per appurare che tutto fosse realmente a posto come sosteneva. Quella che doveva rivelarsi essere il trionfo di Giulio si rivelò però una tragedia: il loro Francesco, di soli diciotto mesi, mostrava di possedere i tratti tipici dell'autismo. Certo, vi era una possibilità, anche se non grande, di guarigione, ma quale genitore in una condizione simile non  si sarebbe aggrappato alla più misera di esse, pur di non affondare in quel tempestoso mare di rassegnazione in cui la malattia del figlio li avrebbe di lì a poco scagliati ?
Da allora erano passati dieci mesi, e Francesco non aveva dato segno di alcun miglioramento. In compenso il rapporto di Giulio e Sara si era sempre più deteriorato; un po' come il bel viso di lei che se un tempo era stato abbellito da un colorito pescato e da simpatiche lentiggini  ora appariva stanco e avvizzito, come se i suoi trentasei anni fossero divenuti da un giorno all'altro quaranta, poi quarantacinque e infine di un numero superiore ai cinquanta. Anche il suo fisico era molto cambiato, come il suo carattere d'altro canto, e Giulio si vergognava un po' ad ammettere che per quella donna non provava più quella attrazione fisica di un tempo e che probabilmente anche quella affettiva iniziava ad avviarsi sempre più verso una vergognosa dipartita. La donna, infatti, da brava madre quale tutti la reputavano, dedicava tutto il proprio tempo al povero figlioletto e non tralasciava neanche i propri impegni di mamma con i figli maggiori e di casalinga; in compenso però sembrava aver deciso di mettere da parte i propri doveri di moglie senza troppi rimpianti e da diversi mesi non faceva altro che apostrofare il marito come uomo inetto e padre degenero ogni qual volta ne avesse l'opportunità. Giulio d'altro canto non si impegnava minimamente per la manutenzione del proprio matrimonio e da qualche mese a quella parte la sua unica attività casalinga era quella di cercare di costringere Francesco a diventare un bambino come tutti gli altri; uno che sorridesse, corresse, parlasse, e che non avesse alcun timore nel guardare qualcuno dritto negli occhi, faccia a faccia. Ma la sua iniziativa era tutt'altro che apprezzata dai cari: egli non era mai stato un uomo conosciuto e apprezzato per la propria pazienza, anzi, con lui bastava un nonnulla per trasformare un piccolo imprevisto in una vera e propria tragedia. Sara aveva sempre accettato quel particolare aspetto del carattere del marito, soprattutto perché questi, più che un uomo manesco e violento, era uno di quelli bravi a dar fiato alla bocca e a scappar via nel momento della rissa. Non un cuor di leone, insomma, ma mai ella avrebbe pensato che quella caratteristica sarebbe stata, alla fine, la causa del suo allontanamento da Giulio.
Era una domenica pomeriggio come le tante: Sara stava tutta indaffarata in cucina a preparare un dolce che i suoi figli le chiedevano già da diverse settimane; Alessia, la piccola ballerina di casa,  si divertiva a saltellare per tutto il salone facendo oscillare quelle belle trecce fatte dalla sua mamma, motivo per lei di orgoglio e gioia; Giovanni, invece, taciturno come sempre, giocava con le sue amate costruzioni. Giulio, intanto, cercava di mettere in pratica  alcuni degli esercizi consigliati dal dottore del piccolo per far si che questi mutasse la sua condizione. In quel campo, però, l'uomo si sentiva uno sprovveduto: era Sara che di solito si occupava della riabilitazione e lui, che mai aveva voluto provare se non ad eccezione di una singola volta sette mesi prima e di quelle che erano avvenute negli ultimi mesi, si sentiva avvilito dalla lentezza del figlio nel rispondere alle domande più banali; e ciò quando Francesco si degnava di rispondere, perché vi erano anche delle volte in cui questi si chiudeva in un mutismo assoluto e tentava, nonostante le insistenze del genitore, di sfuggire ad ogni esercizio, costringendo il padre, già esausto, a ripetere più e più volte le stesse cose e a farlo rimettere seduto mentre questi, urlando e dimenandosi come se lo stessero conducendo sul patibolo, lo riempiva di calci e pugni senza il minimo ritegno. E intanto, mentre la domenica correva tortuosa verso la fine, Giulio pensava e ripensava a quel viaggio in Slovenia che la moglie non gli aveva permesso di compiere, alla faccia che il suo superiore aveva fatto quando egli gli aveva comunicato la sua risposta al riguardo, al viso grassoccio e unticcio di Contini, che aveva colto la palla al balzo e ora probabilmente assaporava l'aria fredda e pungente del dicembre sloveno. Rifiutare un'offerta del capo a quel punto era stato un vero e proprio suicidio lavorativo, ma Sara non era riuscita a capirlo, anzi, non aveva voluto capirlo, dato che le lunghe discussioni fra marito e moglie erano sempre state molto esplicite. Per la prima volta Giulio si sentiva, oltre che stanco e stressato, anche oppresso, in gabbia: ora non aveva più i suoi amato viaggi, quindi addio monti innevati, addio spiagge assolate, fiumi e laghi, città e paesi, addio a tutti. Giulio era morto, e non vi era derby calcistico, o balletto di Alessia, o canzone di Giovanni che potesse riportarlo alla vita.
Fu con la mente accecata dai dispiaceri, dalla rabbia verso quel maiale di Contini, verso quella donna ottusa che lo insultava da mattina a sera che un tempo era stata il suo grande amore, verso la sua vita, la sua famiglia e, soprattutto, quel maledetto lavoro che nonostante tutti i suoi sforzi non portava alcuna soddisfazione, e verso quel bambino così piccolo che gli aveva portato via Sara e con lei ogni altra cosa che Giulio schioccò sul viso del bambino dei gran ceffoni che fecero cessare istantaneamente ogni attività: Giovanni e Alessia si zittirono simultaneamente e puntarono gli enormi occhi castani sul padre per cercare di capire se vi fosse anche per loro la possibilità di prenderle, mentre Sara, dalla cucina, corse a controllare cosa fosse successo.
 Di sera le discussioni dei due coniugi furono lunghe ed estenuanti e a niente valsero le scuse che Giulio aveva posto alla sua consorte quando questa nel pomeriggio gli aveva strappato il figlioletto in lacrime di mano e gli aveva lanciato lo sguardo più gelido che l'uomo avesse mai visto in vita sua. Giulio le urlò contro tutte le sue preoccupazioni, le sue rabbie, i suoi tormenti, e per la prima volta, dopo tanti mesi, fu costretto ad ascoltare quelle di sua moglie, che tutto erano meno che poche. Anche lei odiava quella situazione, ma odiava ancor di più vedere il totale disinteresse di suo marito, dover condurre quella battaglia da sola, non avere il sostegno dell'uomo che aveva sposato quindici anni prima. Dall'amore per i suoi figli ella aveva però trovato la forza di andare avanti e Giulio invece ne era rimasto privo. La discussione si concluse con una valigia, quella di Giulio, condotta giù per le scale e con le lacrime di Sara, che nonostante tutto non riusciva a non amare quell'uomo in tutta la sua imperfezione. I suoi bambini, dalla cima delle scale lo osservavano con curiosità. I loro sguardi si incrociarono. Il dubbio li invase: papà partiva per un altro viaggio? No, non stavolta compresero quando Giulio per la prima volta, li guardò negli occhi per un lungo lasso e di tempo e, esitando si inginocchiò per abbracciarli. Alessia e Giovanni lo abbracciarono forte, intensamente, come se quello fosse il loro ultimo abbraccio. Per Giulio però, fu di gran lunga più significativo l'abbraccio leggero e fulmineo che di spontanea volontà gli diede Francesco. Fu come se avesse visto tutte le bellezze del mondo intero in un solo istante.
Giulio uscì di casa e, chiusa dietro di sè la porta d'ingresso, fece qualcosa che non faceva da decisamente troppo tempo: pianse, perchè anche se troppo tardi, aveva capito da dove Sara traesse la sua energia, e pensò che in tutto il mondo, non importava quanto avrebbe girato e visto, non avrebbe trovato fonte più ricca di quella che aveva proprio lì, a casa sua.


L'aria slovena era davvero fredda in quel periodo dell'anno, come aveva immaginato Giulio, e lo percepì chiaramente appena varcò l'uscita dell' aeroporto. Respirò profondamente e sorrise: dopo un anno sarebbe riuscito a vedere il luogo del quale Contini aveva parlato così bene al suo ritorno. Con la coda dell'occhio guardò Alessia e Giovanni con i loro piccoli trolley atteggiarsi a grandi uomini d'affari e guardando un po' più in là vide in lontananza Sara, più bella e sorridente che mai, venirgli incontro con una valigia alla mano e Francesco all'altra. Appena si furono riuniti Giulio aggiustò la sciarpetta del piccolo, sorrise, lo abbracciò e, fatto il pieno di energia, andò avanti.

L'angolo dell'autrice

Ciao, sono Wet Sand, e ti ringrazio infinitamente per aver letto la mia storia.
Spero che essa ti sia piaciuta e che abbia lasciato qualcosa, mangari un piccolo segno nel tuo animo, un'emozione, anche solo un pensiero; non mi importa che esso sia positivo o negativo, perché credo nel valore di entrambi: se penserai bene di questo mio lavoro, magari apprezzerai di più ciò che hai, i tuoi affetti, il tuo mondo; se penserai male allora avrai modo di insegnarmi attraverso le recensioni, e dal confronto delle nostre idee non potremo che uscirne arricchiti. Spero tuttavia che essa non ti abbia offeso, nel caso tu stessi vivendo, o abbia vissuto, un momento brutto quale quello che vive il povero Giulio del mio racconto, e voglio che tu sappia che, in questo caso, avresti tutta la mia solidarietà.
Volevo specificare che per mia fortuna, in questo campo, parlo da ignorante, ma in questa storia ho messo tutto il mio cuore. Essa è nata da una sfida, inviatami da una mia cara amica un anno fa; doveva restare qualcosa di nostro, ma dei professori del mio liceo ne sono entrati a conoscenza e hanno insistito per leggerla, aggiustarla e infine mi hanno spinta a finirla in tutta fretta e, spacciandola per un prodotto del loro corso, l'hanno pubblicata su un quaderno. Il mio ego non ha sopportato ciò, e a distanza di un anno rendo pubblica la revisione.
Concludo ringraziandovi nuovamente per aver letto, oltre che la storia, questo mio non troppo breve intervento, e vi auguro un buon proseguimento.
Wet Sand
  
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