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Autore: Wave__    20/11/2013    1 recensioni
Eternal Love è la storia d'amore di un angelo e un demone. Di Elena e Paul. S'incontrano, si amano e si vogliono. Si cercano e si trovano, sempre. Ma c'è Dio, che farà di tutto per ostacolare il suo miglior angelo..
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Don't leave me.


Stare con lei era qualcosa per lui indescrivibile. Stare lì, abbracciati in quel letto, sotto quelle lenzuola che sapevano di loro, del loro amore, intrise del profumo mischiato di quella notte ch’era stata loro.
In quella notte che, anche se non lo sapevano, avrebbe cambiato totalmente il corso delle loro esistenze.

Immersi in quell’oscurità, rotta soltanto dal chiarore della luce lunare, i cui raggi entravano dalla finestra aperta, rendendo quell’attimo, quel momento, ancora più magico e perfetto.
Erano loro due, abbracciati non solamente con le braccia, ma con l’anima.
Un momento a dir poco perfetto, che sarebbe sempre rimasto lì, nei meandri dei ricordi, come il momento magnifico che avevano vissuto assieme.
I loro cuori battevano con lo stesso ritmo, le anime s’intrecciarono, così come le loro mani. Insieme nella buona e nella cattiva sorte.
Il lenzuolo bianco copriva i loro corpi nudi, la testa di Elena poggiava sul petto di Paul, ascoltando in silenzio il suono del suo respiro.

Il demone si voltò un attimo, andando a baciare il collo della sua amata ma, proprio in quel momento, la situazione precipitò.
Il suo corpo s’irrigidì di colpo, una sensazione che conosceva bene si stava impossessando di lui, contorcendogli lo stomaco e portando il suo viso a mutare.
Era tempo che non si nutriva e, sentire il calore del corpo vivo ed accaldato di Elena tra le braccia, non lo aiutava di certo. Rapidamente si era allontanato, afferrando i suoi boxer ed infilandoseli rapidamente, fiondandosi dall’altra parte della stanza, dandole le spalle. La sua mano a palmo aperto fissa sul muro, i suoi respiri profondi cercando di calmarsi.
«Per stasera basta così…», proruppe con un tono di voce pieno di rabbia. Una rabbia inconscia che aveva iniziato ad impadronirsi di lui, in quanto nella sua mente scorreva un unico pensiero. Avrebbe potuto mettere in pericolo la vita del suo unico amore, in quanto, in quel momento, si riteneva superficiale e disattento.
Ma non poteva di certo prevedere una cosa del genere.
Elena, dal canto suo, si era tirata rapidamente a sedere al centro del grande letto, tenendo il lenzuolo davanti al petto, respirando in maniera sconnessa, a causa di ciò che stava succedendo.
Non era stupida, aveva perfettamente capito che cosa stesse succedendo.
La fame, la sete. Paul stava male. Era per quello che s’era allontano da lei. Per non farle del male, per non sfamarsi di lei. Per evitare d’ucciderla.
Nonostante Elena fosse un angelo caduto, possedeva ancora parte dei suoi poteri, tra cui l’empatia. Sentiva ch’era spaventato, sentiva la sua paura. Paura di farle del male. Strattonò il lenzuolo, legandoselo attorno al corpo come meglio potè, alzandosi dal letto ed avvicinandosi a lui, lentamente.
Sapeva che cosa sarebbe potuto succedere, ma non le importava.
Lei non avrebbe mai lasciato nulla al caso. Non avrebbe lasciato Pj in quello stato, non lo avrebbe lasciato con quel senso di colpa che lo stava divorando dall’interno.
«Non mi farai del male. Io lo so..», sussurrò lentamente, andando a stringergli una spalla con la mano. «Ci sono qui io, con te. Andrà tutto bene. Ti amo per quello che sei. Amo tutto di te. Anche la tua parte oscura. Ti amo più della mia vita, perché tu sei la mia vita. Sei la mia persona, la persona che mi completa.», continuò, prima di far passare le sue braccia attorno al suo torace nudo, stringendosi a lui e andando a posare la fronte contro la sua schiena.
Pj, però, chiuse la mano a pugno, picchiandolo leggermente contro al muro, andando a portarsi una mano alla bocca, reprimendo l’impulso di sfoderare i denti, trattenendo la fame, la sete.. I suoi sforzi erano resi vani dalla troppa vicinanza della sua ragazza.
La rabbia dilagava nel suo animo, dentro di lui, così come la fame. Non si sarebbe mai perdonato se le avesse fatto anche soltanto un graffio.
«Elena.. Allontanati.», sputò fuori con un tono di voce soffocato, mentre si sforzava di non respirare. La gola bruciava per via della sete di sangue. Chiuse gli occhi, mentre lei si allontanava da lui, ripetendogli che non le avrebbe torto neanche un capello. Le piangeva l’anima, le faceva male il cuore. Ogni respiro era una stilettata di dolore che la perforava da parte a parte. Non poteva vederlo in quelle condizioni. Le lacrime le pungevano gli occhi, ma le tratteneva; non voleva e non poteva permettersi di piangere in quel momento. Non davanti a lui. Non quando aveva bisogno di lei. Lui era quello che era e lei lo aveva accettato. Lo avrebbe sempre accettato.
Si allontanò ancora, arrivando quasi fino al bordo del letto, aspettando.
Paul deglutì a vuoto, girandosi lentamente e, in un lampo, afferrò la lampada da terra ch’era affianco a lui e la scagliò contro al muro opposto, facendola andare in mille pezzi. Elena aveva abbassato istintivamente la testa, sentendo il cuore scoppiarsi.
Si era girato verso di lei nonostante avesse ancora gli occhi rossi pieni di piccoli filamenti di sangue, residui di quella che era stata la sua “trasformazione”.
I suoi occhi svisceravano sempre quelli dell’angelo, che cercava un contatto visivo. Niente, nulla da fare. Si era fiondato ad afferrare la sua maglietta e i suoi jeans, che si rinfilò in una frazione di secondo, prima di avvicinarsi alla finestra aperta, respirando l’aria fredda della notte.
Evitava il suo sguardo, non osava immaginarlo, doveva ritenerlo un mostro.. Ma per Elena lui era semplicemente l’uomo che lei amava e per cui avrebbe dato tutto, se glielo avesse chiesto.
«Devo andare, Elena..», proruppe con voce più fredda e roca di quanto volesse farla in realtà apparire.
«Paul, aspetta!», urlò Ever. Troppo tardi.
Si accovacciò sul bordo della finestra e saltò giù, buttandosi di sotto e, poco prima che atterrasse, le sue ali spigolate e nere più della pece si aprirono, facendogli toccare il suolo delicatamente. Immediatamente le fece sparire, guardando il bosco e correndo chissà dove, in cerca di una preda.
Elena era rimasta con le mani serrate attorno al davanzale, ad osservarlo andarsene, senza voltarsi. Sparì tra gli alberi, lasciandola sola.
Con una mano si teneva ancora addosso al lenzuolo, mentre si allontanava e si fiondava al comodino, afferrando il suo cellulare.
Scrisse un rapido messaggio, mentre le lacrime andavano ad offuscarle la vista.
“Ho bisogno di te, Susan. Sono a casa mia, riesci a trovarmi. Ti aspetto.”
Inviò e richiuse l’apparecchio, prima di alzare il braccio e scagliandolo contro al muro, violentemente, facendolo andare in una marea di pezzetti.
Appoggiò la schiena contro i piedi del letto di legno, tenendosi il telo bianco e candido –che ancora era impregnato del profumo di Pj- al petto.
Si tirò le gambe al petto, posando la fronte sulle ginocchia e scoppiando in un pianto irrefrenabile, lasciando quelle piccole goccioline salate piene d’amore e dolore per ciò che Pj provava, scorrere sul proprio viso, senza preoccuparsi di fermarle.
Un pianto così forte e devastante da non farle riuscire neanche a respirare in mezzo ai singhiozzi che le scuotevano il petto.
  
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