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Autore: Amy Tennant    21/11/2013    6 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rose aprì gli occhi e accigliò la fronte, ancora stordita. Sussurrò qualcosa che le rimase sulle labbra, come appena svegliata da un profondissimo sonno e poi riconobbe il viso di chi era con lei. Gli occhi celesti di suo padre, umidi d’apprensione.
  • Papà…  - sussurrò e lo vide sorridere come mai a lei, se non per brevi indecisi istanti. E continuava a sorriderle apertamente e allora sorrise anche Rose, stringendo con la mano quella di Pete, il cui braccio la sosteneva mentre la teneva poggiata sé.
  • Rose… stai bene?
  • Sì, sto bene… - fece per alzarsi, la sua testa era pesante e tutto girava, come tutto si fosse improvvisamente rimesso dritto ma da un’altra prospettiva. Si guardò attorno smarrita ma ad un tratto ricordò che cosa fosse successo e si irrigidì di colpo, quasi scostandolo  - oddio, non è possibile! – gemette.
  • Cosa … ?
  • Dov’è la dottoressa Lane? Era con me, era qui con me… !
  • Non c’è, Rose.
  • Non so dove sia e… francamente ho pensato a te, solo a te. Ma ora stai bene…
  • Sì…
  • È stato orribile! Non potevamo neanche chiamare aiuto, Rose! – Rose si voltò verso sua madre che la fissava con il volto contratto dalla tensione ancora presente.
  • Non capisco…
  • È successo qualcosa di strano. Non funziona niente! I cellulari, i telefoni, la televisione… Fuori c’è il caos!  - Rose emise un gemito.
  • Non sappiamo dove possa essere John – disse Pete accarezzandola – ma sono certo che se c’è qualcuno in grado di far fronte ad una situazione strana, quello è il Dottore.
  • Ha visto di peggio – mormorò Rose.
  • Ma stava così male, Pete…! - osservò Jackie con voce apprensiva ed era quello che anche Rose stava pensando. Si scambiarono un’occhiata sfuggente. Sapevano dove fosse.
Rose ripensò all’ultima cosa che aveva visto prima che quel qualcosa la travolgesse, stretta alla dottoressa Lane: un’immagine strana, impressa nella sua mente.
Un lupo dal pelo come di scintille e gli occhi grandi, profondi, fermissimi. Terribili ma non su di lei: su di lei erano stati dolci. Rose pensò che conosceva quegli occhi.
Erano gli occhi di John, gli occhi del Dottore.
Voleva andare da lui, doveva andare da lui. Non poteva aspettare ancora: lei non si faceva chiudere dall’altra parte dell’universo, figuriamoci in una casa.
  • Basta, vado a prenderlo – disse risoluta e si mise in piedi tradendo appena un giramento di testa. Jackie la sorresse prontamente fissandola con apprensione. Pete, ancora seduto sul divano la guardò perplesso un istante.
  • Rose, non ti muoverai di qui e posso assicurartelo - lei gli rivolse uno sguardo indeciso – ma se ti riferisci a John sono preoccupato anche io per lui e credo che tu prima mi abbia mentito: dove è andato? - gli occhi di suo padre sembravano tradire sincero sollievo per lei e preoccupazione per John. Ma le parole del Dottore erano ben chiare nella sua memoria: non doveva dire dove fosse.
Una ragazza della servitù entrò con urgenza nella stanza e rivolse a Rose uno sguardo sollevato, evidentemente il suo malore aveva preoccupato tutti.
  • Signorina sta bene? – le chiese spontaneamente.
  • Sì… sono solo un po’… stordita  - la ragazza sorrise appena e poi si rivolse a Pete - signor Tyler, i telefoni hanno ripreso a funzionare regolarmente e così la televisione e…
  • Qualunque cosa sia accaduta è andata oltre… - Jackie e Rose si scambiarono un’occhiata preoccupata. Pete si alzò in piedi davanti a loro e congedò la ragazza con un cenno d’assenso e ringraziandola poi i suoi occhi diventarono severi ma in modo diverso da ogni altra volta – siamo una famiglia, se non ci fidiamo tra noi non ha senso neanche farlo con altri.
  • Va bene…  - disse Rose lasciando Jackie – provami che posso farlo allora e rispondimi sinceramente: cosa hai fatto al Dottore? – Pete si irrigidì e la guardò, gli occhi sgranati dalla sorpresa. Lei sapeva, il Dottore glielo aveva detto alla fine.
  • Alla fine… non è come credi, Rose – mormorò indeciso.
  • Allora spiegaci ogni cosa, Pete. Perché è insopportabile che tu continui a nasconderci tutto! – Jackie l’aveva detto dolorosamente – dimmi se devo proteggere Rose e John da te. Dimmi se devo proteggerli entrambi da qualcosa che stai facendo!
  • Jackie… - gemette Pete confuso.
  • Il Dottore ama mia figlia, la protegge… anche a costo della vita e tu invece? Tu ci ami così? Parla, Pete! Non farmi pensare, per l’ennesima volta in questi giorni, che alla fine ho deciso di vivere con un estraneo sperando fosse un altro! – Pete abbassò lo sguardo dagli occhi lucidi di Jackie. Fu un lungo momento. Parve infinito e infinitamente terribile.
 
**
 
Aveva visto la luce irreale spalancarsi nel buio che lo stava avvolgendo, il cilindro creparsi e poi esplodere in mille taglientissimi pezzi. Uno lo aveva attraversato, da parte a parte, ma non aveva fatto più male di altro. La pioggia di vetri lo aveva investito ma non lo aveva tagliato del tutto, qualcosa lo aveva avvolto e difeso dalle scintille. Aveva sorriso perché aveva capito: era Lei.
Lei che si restringeva attorno a lui, che cercava di proteggerlo da altre offese, per l’istinto che Lei aveva verso di lui e che era amore, lo sentiva. Avrebbe voluto accarezzarla, lo fece con la mente.
La sentiva sussurrare qualcosa ma non riusciva a capire. Non più.
… non ancora…
Forse erano quelle le parole che con voce dolce e familiare gli ripeteva come per fargli coraggio.
Ma non bastava. Non c’era tempo.
Nella sua mente l’immagine del suo riflesso in quello specchio del sogno: aveva combattuto fino alla fine ma era sconfitto. Doveva cadere, come cadevano le schegge trasparenti dal cielo scuro che sembrava essere in quella stanza. Lei lo stringeva, lo sentiva. E tutto il tempo sembrava lentissimo.
… non adesso… 
La voce. Quella di Rose. Sorrise, mentre crollava avvolto dalla pioggia di vetri sottilissimi, che lo sfioravano senza toccarlo e nonostante tutto gli era parso di poterli respirare per il dolore acuto che continuava a sentire ma erano come altrove, lontani; lui stesso lontano da quel corpo che stava abbandonando.
Tutto si spezzò, la lunga crepa che aveva dentro si aprì ancora.
L’aria era appannata e fredda.
Riverso a terra, supino, stringeva ancora il cacciavite sonico. Il suo braccio, ripiegato sul torace, scivolò ai lati del suo corpo e la sua mano si aprì. Rotolò via, giù dalla passerella sulla quale giaceva disteso, le dita aperte che ancora debolmente cercavano di stringere lo strumento appena perduto. Aprì gli occhi perché li aveva tenuti chiusi, sebbene avesse visto tutto e guardato oltre.
Il cacciavite cadde a terra come dopo un tempo irrealmente lungo e fece un suono metallicamente forte, in quel silenzio. Lui fissava Lei, che china su di lui lo guardava.
Una ragazza bionda che le somigliava tanto, che somigliava tanto a Rose. Su di Lei sembrava vi fosse non un soffitto ma un cielo notturno che non c’era; forse rimasto fuori quell’edificio.
Non adesso, non ancora…
  • Io ti amo…  - gli disse Lei in un sussurro tiepido.
  • E’ finita… - le rispose tremando.
… no…
… non ancora.
 
**
Donna ebbe un lunghissimo brivido. La sua pelle si increspò come fosse stata gettata nell’acqua fredda di colpo. Dafne se ne accorse, ancora con le mani sulla cerniera del vestito. Le mise una mano su un braccio, stringendola.
  • Ehi, tutto bene? – le chiese impensierita. Donna annuì, anche se non del tutto convinta.
Non erano certo brividi normali. Febbre? L’avevano avuta in molti, possibilissimo. Pessimo affare, proprio in quel momento e negli ultimi giorni di lavoro al negozio. Poi ripensò a LUI, addirittura così stupito di essersi ammalato. Pallido, strano. Un ragazzo carino, anche più che carino; con quell’aria stranamente assorta in lei e quegli occhi così poco da ragazzo, invece. Si chiese dove fosse. E poi ripensò alla sua brutta cera e l’influenza.
Contagio istantaneo? Forse troppo, anche per la sua sfortuna ma…
  • Certo me la sarei voluta, l’ho pure baciato…! - completò a voce alta il suo pensiero, dimentica dell’amica.
  • Tu cosa? – Dafne le si piazzò davanti con le mani sui fianchi e l’espressione curiosa di chi non avrebbe mollato l’osso facilmente. Donna alzò lo sguardo e scosse il capo – ti riferisci a lui, vero? Al tuo misterioso cavaliere per la festa di domani!
  • Uhm, sì…
  • Oh che bello! – Dafne batté le mani saltellando come una bambina eccitata – siete usciti una volta e già un bacio!
  • Non è la cosa più strana che è successa…
  • Non mi dirai che tu e lui avete fatto… - Donna aggrottò la fronte fissandola con aria quasi offesa.
  • Ehi! Io non sono certo quel tipo di donna!
  • Non ci sarebbe mica niente di male…  - fece spallucce l’amica strizzandole poi l’occhio.
  • Ma non è successo! – ringhiò quasi Donna e Dafne rise del tono e dell’espressione che però subito si stemperò in qualcosa di più quieto, proprio al pensiero di quell’uomo di cui le aveva parlato.
  • Ti ha conquistata però.
  • Lui è meraviglioso… - mormorò Donna – anche se… beh, è…  - neanche sapeva come definirlo e fu disturbata dal suo disagio per la cosa. Ebbe un gesto di stizza – oh, insomma! Aveva anche l’influenza…
  • Stammi lontana allora! – Donna fece una smorfia.
  • Non ho intenzione di baciare anche te!
  • Lo spero…!
  • E in ogni caso… ho capito che non lo farò più – e le sue parole ebbero un accento non propriamente triste ma quasi perplesso. Ancora non aveva compreso quella strana sensazione provata con quell’uomo che sentiva di conoscere e che la conosceva. Ma come? Le aveva detto che si sarebbe spiegato e chissà per quale motivo gli aveva subito creduto. Lei, la diffidente per definizione.
Aveva trovato un uomo a cui credere del tutto e fino in fondo. Come credeva a suo nonno.
Fece un sospiro. Perché continuava ad associarli? Era addirittura innaturale, a ben pesarci. Eppure era la cosa più giusta nei suoi confronti. Come faceva ad ammettere di tenere tanto a lui senza neanche sapere chi fosse?
  • No… non credo lo bacerò mai più – concluse.
  • Accidenti! – disse Dafne con aria stupita – dev’essere stato atroce! – rise scuotendo il capo. Donna la guardò un attimo, con aria quasi seccata.
  • Se lo vedessi…
  • Così brutto davvero?
  • Lui? – sbarrò gli occhi - no, decisamente no. Anzi! Lui è… un bel tipo – aggiunse più piano e poi si avvicinò allo specchio spiando il suo riflesso – ed è… il Dottore
  • Il Dottore? Il Dottore… chi? – Donna la guardò schiudendo le labbra, l’espressione sorpresa che però rapidamente ricompose dandosi un certo contegno. Strano. La stessa domanda che le aveva fatto la madre. Sapeva il suo nome ma le parve stranamente appropriata. In fondo non sapeva chi fosse.
Non del tutto. Non davvero…
  • Oh, Volevo dire che lui è un dottore. In ogni caso si chiama John Smith – disse con tono vago e Dafne fece un sorrisetto.
  • E quindi l’uomo misterioso è un medico. Quindi è carino, gentile, educato… Magari anche benestante!
  • Pare di sì…
  • E nonostante tutte queste bellissime cose tu non lo bacerai mai più?
  • Già… - mormorò Donna fissandosi.
  • Ma perché!!! – protestò quasi Dafne.
  • Anche solo perché… - Donna sorrise appena – ecco, non ho mai visto un uomo così innamorato della compagna.
  • Non è libero quindi.
  • No. Ma non mi importa! – disse decisamente – lui è così interessato a me! E non per… quello, insomma… - Dafne comprese che la cosa non dispiaceva per nulla alla sua amica, che non ne era ferita nell’amor proprio. Per una volta sembrava averla presa diversamente. Le sorrise e Donna a lei – sai, Dafne, è incredibile ma io ho avuto la certezza, ho la certezza, di essere… molto importante per lui. E so che mi crederai pazza ma lui è … importante per me – la guardò un po’ indecisa per un momento – sono pazza, non è vero?
  • Non più de solito – la canzonò Dafne e Donna la guardò fisso negli occhi azzurri.
  • Bell’amica!  Avresti dovuto dire di no! – disse con tono finto offeso. Dafne scoppiò a ridere.
  • In ogni caso, chiunque lui sia… dev’essere speciale – disse con tono più caldo e Donna le rivolse un breve sorriso indeciso inclinando il capo.
  • Sì…  – Donna si guardò ancora allo specchio dell’armadio.
L’abito blu profondo che indossava le stava benissimo, oggettivamente. Dafne portava la sua stessa taglia, per fortuna. Tornando a casa e non trovando quel che cercava, le era venuto in mente che la sua amica aveva di recente partecipato ad un matrimonio. Aveva quindi un abito da damigella nell’armadio, inutilizzato. Non le sarebbe costato davvero nulla, prestarglielo per l’evento.
Un altro brivido la scosse, più forte. Iniziò nervosamente a scuotere le braccia e sfregarle con le dita, come per cacciare via qualcosa.
  • Donna, cosa c’è? – chiese Dafne inquietata.
  • Non so… ! Mi sembra di avere qualcosa di tagliente addosso. E fa male… ! – protestò mettendosi di profilo, guardando il vestito dietro. Fece una smorfia di dolore portandosi la mano al fianco. Dafne fece per sorreggerla e Donna la guardò stravolta.
  • Mi sento strana … - sussurrò Donna mentre Dafne la aiutava a sedersi sul letto.
La luce andò via per un istante.
Quando tornò, la radio accesa sul fondo emetteva un sinistro fruscio e così la televisione. Donna poggiò la mano sulla trapunta stringendola. Un dolore acutissimo, mai provato fino a quel momento.
Si era spaventata ma non quanto Dafne che la guardava preoccupata.
  • Donna, che succede?
  • Non lo so…
  • Vuoi che ti porti in ospedale?
  • No… è stato un attimo, ora va meglio…  - sussurrò perplessa. Non sentiva niente di strano, non più dopo quell’istante tutto era andato scemando nella normalità. Ma sempre perplessa si guardò le mani. I palmi le bruciavano. Come fossero feriti, come fosse ricoperta da qualcosa di tagliente. Dentro.
Dafne intanto si era avvicinata al televisore cercando di capire quale fosse il problema. Non si vedeva nessun canale e la radio, fino a quel momento in sottofondo, era muta. Armeggiò qualche minuto con entrambe, perplessa, e prese in mano il telefono quindi la guardò e le si avvicinò agitando il cordless in mano.
  • Lo sbalzo di corrente deve essere stata una cosa grave…
  • Ah sì?
  • Non c’è neanche linea del telefono… - mormorò.
  • Ma cosa sta succedendo? – si chiese Donna.
  • Non ne ho idea – Donna si alzò in piedi spazientita quasi e attraversò il salottino della casa dell’amica con passo rapido. Aprì la porta sul cortiletto a ridosso della strada. Più di qualcuno passandole accanto la guardò perplesso, uscire con indosso un abito elegante e le scarpe da ginnastica ai piedi, tenendo sollevata la gonna con aria indispettita perché non si sporcasse di neve grigiastra.
  • Mi scusi… - una signora anziana fece capolino dalla porta – a lei funziona la tv?
  • No, non funziona…  - la donna si ritirò velocemente dentro lamentandosi per un poliziesco che stava guardando, interrotto sul più bello.
Donna si guardò attorno, brevemente. La strana sensazione restava sospesa in lei. Non soffriva ma sentiva qualcosa di terribilmente strano e una brutta sensazione.
Tutto sembrava normale a parte il cielo. A parte il cielo…
Sembrava esserci stata una schiarita.
  • Donna…! – si sentì chiamare da Dafne, subito uscita con un cappotto da metterle addosso. C’era freddo. Ma lei in quel momento lo sentiva.
  • Ma dove sono finite le stelle? – si chiese inclinando lo sguardo con gli occhi aperti rivolti in alto. Dafne guardò il cielo con lei, perplessa.
Donna si rispose che erano sparite e poi che la cosa era impossibile.
Ma erano sparite davvero, pensò.
  • Vieni, torniamo dentro. Questa situazione mi rende nervosa – disse Dafne. Quasi la trascinò per mano, spingendola in casa. In effetti poteva essere accaduto di tutto, poteva trattarsi di una di quelle stranezze che in passato erano già accadute. Proprio di quei tempi, pensò Donna; ma come saperlo?
Entrambe si scambiarono uno sguardo inquieto.
Dafne girò la chiave della porta dietro le loro spalle, Donna la prese per mano con decisione, per confortarla. Le parve il gesto migliore da fare, spontaneamente.
 
 
**
 
Avevano sentito l’esplosione e si erano preparati al peggio, tutti insieme e confusi come mai avrebbero pensato di essere. Il laboratorio più vicino aveva le pareti spesse e sembrava studiato per far sì che un eventuale incidente all’interno non procurasse danni alla struttura. Doveva essere anche il contrario. Martha Jones tremava di rabbia e non riusciva a togliersi dalla testa lui, il Dottore.
I suoi occhi e quelle ultime parole:
Correte.
Steward inquieto stava discutendo con altri della squadra governativa e valutando l’eventualità di uscire. Tutto sembrava confuso poi una voce sopra le altre, urlare di rabbia.
  • Devo uscire, lasciatemi andare! – era Lakil, rinvenuto da qualche istante. Il ragazzo robusto e Lena gli erano vicini, così anche gli altri due che avevano fatto parte di quella piccola squadra di soccorso che inviata per uno scopo aveva finito col portare con sé il Dottore, colui che aveva rivoltato la situazione con la sua presenza – devo andare, non posso restare qui, non ho molto tempo! – ripeteva ossessivamente. Martha si avvicinò, scostando altri che pure lo fissavano inquieti, chiedendosi a cosa si riferisse.
  • Lakil, calmati… - accennò chinandosi su di lui che però le rivolse uno sguardo inquietante.
  • Devo uscire! – le disse in un singhiozzo – devo farlo ora, farlo prima che sia troppo tardi…!
  • Tra poco usciremo tutti, dobbiamo essere certi che non vi siano…
  • Ha più di novecento anni! Ha più di novecento anni! – urlò e Martha smarrita guardò i suoi compagni che comprese sapevano.
  • Cosa sta dicendo?
  • Il Dottore… - accennò Lena – il Dottore aveva…
  • Lui ha ! – disse Lakil e si alzò in piedi del tutto. Martha guardò il dottor Steward. Gli aveva detto che era vecchio ma sentire esattamente quanto la disorientò. Ripensò a lui, come era. A quell’uomo così sofferente. Credeva fosse morto, doveva esserlo.
  • Lui è vivo? – chiese a Lakil.
  • Sì! – gridò il ragazzo.
  • Allora andiamo a prenderlo, usciamo di qui… ! – Martha fu bloccata da uno dei suoi uomini e poi dal comandante della squadra inviata come rinforzo al Torchwood. Fissò ostilmente la divisa, lo fece istintivamente, e poi il viso di coloro che aveva davanti.
  • È stato detto che stava morendo, non può essere sopravvissuto e in ogni caso potrebbero esserci delle conseguenze, radiazioni, residui di…
  •  Io ho intenzione di tornare là dentro, voglio vedere cosa è successo e se lui, come dice Lakil, è ancora vivo allora voglio…
  • Stava morendo! – protestò stizzita Sophia – vi stava agonizzando davanti da quanto? Un pezzo! – disse freddamente e Martha fu impressionata dal tono – io non intendo uscire di qui e rischiare la vita…
  • In realtà credo che non vi siano pericoli di questo tipo – intervenne Steward rivolgendosi anche ai comandi della squadra governativa – avete della strumentazione per controllare le radiazioni ma sono sicuro che in tal senso, fuori sia sicuro.
  • Questo posto in effetti non ci avrebbe protetto da molto…
  • I laboratori sono molto ben isolati, in realtà – intervenne un altro guardandosi attorno.
  • Io non intendo muovermi da qui! – disse Sophia – e sono sicura di non essere l’unica ad aver paura.
  • È questa la pietà umana che il Dottore ha cercato di suscitare? – Lakil la fissò inorridito. Lei lo guardò freddamente – è questo che vi ha portato a tanto odio! E soprattutto a quel che si è rivelato essere il Torchwood! – mormorò rabbioso scuotendo il capo.
  • Lakil, stava morendo! – insistette – e capisco pure che vi siate capiti, tra di… voi…
  • Più di quanto tu possa anche solo concepire – disse rabbiosamente Lakil.
  • In ogni caso, sarà morto – Martha l’aveva guardata fisso per tutto il tempo. Stupita della crudeltà che quella ragazza riusciva a dimostrare nei confronti di chi li aveva salvati. Loro lottavano per i diritti degli alieni e contro le crudeltà preventive del Torchwood. Ma tristemente non erano diversi come credevano. Non tutti.
  • Certo, Sophia. Forse hai ragione – disse Martha con un sorriso addolorato – ma… se il Dottore è vivo, ancora vivo… Deve almeno sapere che ce l’ha fatta e ci ha salvati. TUTTI – concluse e con un rapido cenno radunò parte della sua squadra. Gli altri, che pure avrebbero dovuto tenere sotto controllo il gruppo della Unit erano ormai più istintivamente inclini ad assecondarli. Più di qualcuno infatti pensava pur essendo male in arnese e pochi, avessero capito del Torchwood più di chiunque altro, trovandosi dalla parte giusta. Ammettere che il Torchwood era più simile all’inferno che ad un istituto per la protezione globale era molto duro. Ma in quel momento l’importante era capire che stava succedendo e se il Dottore, prima di morire, fosse riuscito per lo meno nel suo intento.
Tutti speravano di sì, ma in silenzio.
 
Quando tornarono nella stanza dalla quale erano usciti pochi minuti prima, stentarono a riconoscerla. Al posto del pozzo un enorme vano vuoto,  buio e profondo. La trivella, come l’aveva chiamata il Dottore, era del tutto sparita. Molte delle passerelle metalliche erano state colpite da residui dell’esplosione, almeno così sembrava. Vi era una fuga di qualcosa che rendeva l’aria come nebbiosa ma i rilevatori dissero loro che si trattava di una fuga d’aria fredda da qualche condotto di refrigerazione danneggiato. Cercarono con gli occhi, in giro. Vi erano frammenti sparsi ovunque e fra questi, alcuni di vetro.
Martha trovava terribile quel suono rotto di passi, sapeva di disastro e di morte.
Lakil intanto entrato nella nebbia, disorientato dai fumi, cercava di riprendere l’orientamento in quel luogo. Poi quasi contemporaneamente tutti alzarono lo sguardo sul grande cilindro metallico praticamente in pezzi e poi, sulla passerella metallica sotto di esso. Il ragazzo robusto urtò qualcosa con il piede e si chinò a prenderlo. Vide che si trattava dello strumento del Dottore, lampeggiava come segnalando qualcosa. Chiamò a gran voce gli altri e Lakil quindi sollevò lo sguardo sulla scala, miracolosamente intatta, che portava su. Dalle grate, gocciolava del liquido, sui frammenti di vetro sottostante. Era sangue. Lakil scuotendo il capo salì la scala e Lena con lui. La seguirono Martha, il ragazzo robusto e il dottor Steward.
Il cadavere di Catherine Lane, era riverso quasi contro il corrimano. Era in condizioni terribili e sebbene fosse ormai abituata a vedere di tutto, Martha distolse lo sguardo da lei per pietà. Lena invece ebbe un fremito d’orrore ma fermò lo sguardo sul cumulo di vetri sparso in modo irrealmente ordinato che era proprio davanti a loro. Un uomo, riverso sui cocci ma come vi fosse stato deposto sopra.
Il Dottore.
Lena portò la mano alla bocca istintivamente e Martha gemette piano guardandolo. In quel disastro, dopo ogni cosa e circondato da quei frammenti taglienti, sembrava risplendere in modo sinistro e irreale. I suoi occhi erano aperti, fissi in qualcosa che non era in quel luogo. Appariva però calmo, il suo viso più dolce nonostante la sofferenza e Martha pensò che il Dottore, così vecchio, appariva un uomo giovane in quel momento.
I suoi occhi si riempirono di lacrime. Per lui. Lo conosceva appena ma era qualcosa di diverso dalla pena per un estraneo e questo la riempiva di angoscia. Avrebbe voluto fare qualcosa.
… avrei dovuto difenderlo…
Perché pensava a questo? Per altro non sarebbe stato possibile fare niente.
Non pareva fosse stato toccato da nulla apparentemente ed era incredibile. Eppure doveva essere stato travolto dall’esplosione. I frammenti taglienti ricoprivano i suoi vestiti ma vide che le sue mani erano ferite e che una scheggia lunga come una lama, era profondamente conficcata nel suo corpo. Lakil era chino su di lui che guardava il frammento che lo aveva ferito. Steward rivolse lo sguardo a Martha.
E diceva tutto, senza parole. Ma Lena, avvicinandosi mormorò qualcosa sul vetro che lo aveva trafitto.
  • Non ha colpito organi vitali, l’emorragia è bloccata dalla scheggia – disse Steward con un velo di voce – ma… lui ha… - leggeva i dati dal dispositivo medico che aveva in mano. Completamente alterati per un uomo. Ciò nonostante i danni erano evidenti e fatali. In parte umano, lo aveva detto; ma molto più forte ed ostinato di un uomo comune: era ancora vivo. E cosciente. Purtroppo.
Steward fece una smorfia addolorata e poi scosse il capo chiedendosi quanto quell’alieno dovesse soffrire per riuscire a morire.
Lakil prese delicatamente il Dottore per le spalle e lo sollevò un po’ dai vetri, sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Martha lo guardò.
  • Mi sente? – chiese e Lakil annuì. Martha allora si chinò su di lui e lo vide rivolgerle uno sguardo molto umanamente sofferente. Respingendo le lacrime che sentiva bagnare le sue ciglia fece un sorriso a quell’uomo – siamo… vivi, Dottore – gli sussurrò e prese la sua mano tagliata come non era il suo viso, come nient’altro – grazie… - lo sentì stringerla appena, Lakil intanto scostava il suo cappotto e la sua giacca in modo strano, come dovesse toglierli e a quel punto Martha vide che il Dottore si sforzava di dire qualcosa.
  • Ho fatto la mia scelta… - disse Lakil severamente mentre poggiava la mano alla base della schiena di John – Dottore…  - il ragazzo fece un lungo respiro e lo guardò con sguardo fermissimo - ora muori…
  • Lakil! – gemette Lena, tremante – come puoi…?
  • Tu non puoi capire, Lena…  - sussurrò Lakil senza guardarla, gli occhi fissi in quelli di John Smith – avanti, muori… ! – disse con tono più duro. John socchiuse gli occhi appena, un istante.
Il ragazzo robusto era appena più lontano da loro. Si era voluto avvicinare al corpo di Catherine Lane e quindi constatato la situazione con una certa freddezza che però aveva perso davanti al Dottore che agonizzava circondato da vetri rotti. John Smith sembrava molto umano, completamente umano in quel momento. Ma non lo era che fosse ancora vivo dopo tutto.
  • Addormentati, vecchio testardo… - disse quasi tra sé, fissandolo con gli occhi lucidi. Perché resisteva ancora? Poi rivolse lo sguardo a Lakil, a quelle parole.
… muori…
La sua voce parve svegliarlo da quello strano senso di torpore causato dalla caduta di tensione. Si chiese cosa stava per succedere perché gli fu evidente, dallo sguardo del suo giovane compagno, che l’alieno bambino stava per fare qualcosa. Lakil sentiva il Dottore e lui aveva chiaramente percepito quanto fossero legati in quel momento. Il Dottore poi, gli aveva chiesto di allontanarlo da lui come temesse qualche sua intenzione.
  • Lakil… allontanati da lui.
  • Mai…  – mormorò il ragazzo. Il compagno ebbe un brivido. Sembrava che tutto fosse sospeso, loro a parte. Le voci degli uomini che si aggiravano per la stanza, sotto di loro, erano lontanissime.
  • Lakil… - lo chiamò Martha ma il ragazzo non rispondeva. Lena intanto lo fissava stravolta, così Martha. Il dottor Steward invece guardava solo il Dottore gemere piano e non arrendersi.
Con pena vide l’uomo tra le braccia del ragazzo stringere i denti come stesse tirando con forza, con le ultime forze, qualcosa che non voleva cedere. Nei suoi occhi vide la disperazione. Ma anche in quelli di Lakil ed ebbe un brivido perché pensò che sembravano allo specchio. Lo comprese anche Lena senza averne razionale coscienza del tutto, ma era evidente una cosa: Il Dottore aveva paura. Quell’uomo che aveva affrontato tutto quel dolore con fierezza impressionante, aveva paura ed essa si rifletteva chiaramente in uno sguardo fermissimo, fisso negli occhi del ragazzo che gli stava dicendo di morire. Eppure non era quello che temeva, non del tutto.
Fu allora che, dopo il ragazzo robusto, anche tutti gli altri presenti capirono che Lakil non doveva essere lì e ricordarono che John Smith aveva chiesto di allontanarlo da lui.
  • Lakil, cosa vuoi fare? – gli chiese il ragazzo robusto avanzando appena verso di lui.
  • Quello che devo – rispose con tono incolore il ragazzo e poi si rivolse a John – no, tu non puoi impedirmelo, Dottore. Non sei abbastanza forte – gli sussurrò Lakil con più gentilezza – non puoi… Puoi solo morire… – Martha gemette quando con un gesto repentino John la lasciò per afferrare il braccio di Lakil e poi far scivolare stancamente la sua mano su quella che il ragazzo teneva sul suo cuore. Il Dottore sussurrò qualcosa ma Martha comprese solo che le parole di Lakil lo stavano portando ad una disperazione impressionante, tale da avergli fatto trovare la forza per stringerlo a quel modo, sebbene un istante appena. Soffriva, soffriva moltissimo.
  • Sarebbe meglio che gli dessi il colpo di grazia… – mormorò Steward amareggiato – perché lo stai torturando?
  • Lakil, basta… ! – lo implorò Martha e mise quasi una mano sulla sua spalla per scuoterlo via ma Lakil rivolse verso di lei degli occhi di un blu così profondo da dare le vertigini e lei si ritrasse istintivamente – Lakil, cosa stai facendo?
  • Io lo salvo – disse deciso e quindi Martha vide che aveva afferrato, tagliandosi, la scheggia dentro il corpo del Dottore e iniziato a muoverla provocando a John un dolore atroce che sopportava lamentandosi sfinito, i lineamenti contratti da una sofferenza che cercava di trattenere.
  • È inutile, basta! – gridò Martha – non vedi come soffre?
  • Non può averla dentro – concluse Lakil con tono cupo e la tirò fuori con uno schizzo sangue. John gridò e tutti quelli che erano nella stanza lo sentirono. Lakil gli rivolse uno sguardo comprensivo mentre Steward e Martha lo fissavano inorriditi da quel che aveva fatto – Dottore, scusami. Speravo non avresti sentito quasi nulla ormai… - sussurrò Lakil e John gli rivolse uno sguardo disperato e stanco. Il sangue inzuppò la sua giacca e cadde sui frammenti di vetro colorandoli di rosa, come il cielo dell’alba che non avrebbe visto. Una cosa così terribile e una così bella, avevano qualcosa in comune, pensò Martha. John si sforzò di parlare ma cercò di prendere invano respiro due volte, la mano sui vetri che piano si strinse, vuota. Ebbe un singulto, Lakil lo fissò con ansia – avanti… fallo..! – gli sussurrò. Il Dottore fu scosso da un lungo tremito che il ragazzo parve trattenere ed ascoltare attraverso il suo corpo. Sfinito, spalancò gli occhi in quelli di Lakil ed emise un terribile sospiro, di resa. Fu l’ultimo.
Il ragazzo robusto distolse lo sguardo da entrambi e scosse il capo, Steward fece lo stesso mentre Lena guardava sia lui che Lakil con occhi lucidi.
  • Povero Dottore…  - disse Martha fissando John con tristezza infinita e poi il ragazzo alieno che aveva compiuto quel gesto così inutile, alla fine – perché…?  - gli chiese in un sussurro.
Lakil non la guardò, fissava gli occhi scuri di John persi nel nulla, umani come mai. Poi irrealmente sorrise. Chiuse i suoi occhi facendogli una carezza su una spalla, come per calmarlo, quindi si irrigidì scosso da un lunghissimo brivido che increspò la sua pelle. E non solo la sua.
Martha accigliò la fronte e in una frazione di secondo passò dal dubbio al terrore. Rivolse lo sguardo a Steward, accanto a loro, che lesse i valori del dispositivo medico prima usato sul Dottore per capire le sue condizioni. I suoi occhi si aprirono in un’espressione sorpresa e impaurita insieme.
Fissò quindi Lakil e poi Martha. Impallidito, esitava a parlare.
  • Non è possibile…  - gemette.
  • Lakil… ! – gridò Lena. Il ragazzo robusto la prese per le spalle trattenendola, fissando la scena con sguardo attento.
  • Cosa sta succedendo? - Martha fissò stravolta Lakil che stringeva John come lo tenesse saldamente fuori da qualcosa che lo stava trascinando altrove. Ed era quello.
  • Il Dottore è…  
  • Il mio cuore batte per entrambi, io sono entrambi – disse Lakil e Martha vide che gli occhi blu del ragazzo si stavano progressivamente scurendo. Chinò il capo premendo la mano sul petto di John e l’altra stretta alla base della sua schiena. Il corpo di Lakil iniziò a cambiare.
“… Dottore, figlio di Gallifrey…”  il Dottore emise un leggero respiro.
Martha gemette per la sorpresa e Lena spalancò lo sguardo su di lui, incredula. Lakil chiuse gli occhi. Le vene delle sue mani parvero diventare rami color dell’ombra e così lui impallidire. Martha e Steward videro le ferite sul corpo del Dottore chiudersi e invece aprirsi su quello di Lakil che sembrava soffrire terribilmente. Gemettero entrambi, insieme. Le mani di John erano guarite per prime e poi la ferita che aveva inzuppato di sangue la giacca stava rimarginandosi. Ogni graffio, ogni offesa, passava su Lakil. Quando toccò alle ferite più profonde Lakil sussultò e lo strinse più forte. Piangeva per il dolore ma continuava a stringerlo.
“ LAKIL, NO. NON FARLO!” la voce del Dottore fu nella mente del ragazzo limpidissima e forte. Lo era rimasta fino alla fine; ma alla fine non aveva potuto impedire che lo prendesse.
“… signore del Tempo… tu conosci la mia gente e sai che probabilmente… ora sono l’ultimo, come hai pensato di esserlo tu per molto tempo. Noi proteggiamo la conoscenza, proteggiamo i vecchi. I giovani servono a proteggere gli anziani, gli anziani sono tutto e tu sei antico, antico e giovane insieme…
Oh ma tu… sei anche così giovane… non avevo capito! Sì, è meraviglioso e tremendo!...
io… leggo i tuoi pensieri vedo… vedo tutto di te, fino in fondo e non è spaventoso come credi, non è buio come credi ma è UN ABISSO …
…è tantissimo tempo…”
“… LAKIL, NO!” ma il bambino alieno non ascoltava, incantato e impaurito insieme, nel dolore che lo stava consumando. Ma non gli importava: era più di quanto avrebbe sperato di sapere in una vita intera e il popolo di Lakil venerava il tempo e la conoscenza. Il Dottore sentì questo pensiero in lui, limpidissimo. Non poteva fare nulla, Lakil dominava il suo corpo, del tutto. E lo stava curando, distruggendosi.
Gli si opponeva ma non riusciva a far altro che subire quel che stava accadendo.
Emopatico. Lakil era tale. Ma non poteva curare la morte se non morendo lui stesso.
“… ti prego, non farlo!...” quasi lo implorò nella sua mente. Lakil aprì gli occhi e lo fissò. Erano scurissimi, con i suoi stessi occhi.
“ … Io VEDO E SENTO TUTTO IL TEMPO…!  E tu fai paura, sei il più terribile di tutti coloro che sei stato e tu stesso lo sai… ! Per questo ti sei chiuso qui?
… Sì… ma…
 … CON ROSE … ” non poteva impedirgli di sentire ogni cosa che avesse dentro, di provare su di sé anche quello. Lakil fu travolto da quel che percepiva e poi vide quel che il Dottore non poteva vedere, perché andava oltre la fine che aveva attraversato. Tremò di paura e lo guardò stravolto, più che per il dolore.
“… Dottore… mi dispiace…
… sarà spaventoso, alla fine… così pare ma…
LEI dice che sono “Cose”… sono solo cose…”  LEI…
  • Lasciami, Lakil… - Martha sentì appena quel sussurro sulle labbra livide del Dottore.
  • Non posso… è irreversibile – gli rispose Lakil che si forzò di non piegarsi per il dolore.
  • Lakil! – gridò Lena facendo per avvicinarsi ma il ragazzo robusto la trattenne – lasciami…! Tentò di divincolarsi ma il suo compagno era risoluto a tenerla lontana da Lakil. Lena si lamentò per il dolore e la stretta, gemette nel pianto, guardando Lakil con gli occhi che quasi non lo vedevano per le lacrime. John si lamentava per il dolore che sembrava provare con il ragazzo mentre sembrava riprendere lentamente un po’ di colore. Lakil invece impallidiva  – No… Lakil, no…!
  • Lui è più importante di me. E’ vecchio… - disse Lakil rivolgendo verso di lei uno sguardo addolorato ma scuro, scurissimo e differente da prima.
Martha restava loro accanto, scossa ma completamente immobile e così Steward.
Il Dottore gridò ancora e Lakil scosse piano il capo.
  • Se tu… fossi stato del tutto umano avrei potuto guarirti per sempre ma… non posso fare quel che vorrei sei... impossibile, sei impossibile davvero… - irrealmente rise.
  • Perché? …  - chiese John con un velo di voce.
  • Perché tu sei il Dottore… - mormorò con voce tremolante mentre la sua pelle sembrava farsi sempre più sottile e trasparente e i suoi abiti si inzuppavano di sangue. Lena iniziò ad urlare e il ragazzo robusto, con gli occhi lucidi, la afferrò ancora più saldamente per evitare che gli sfuggisse e si avvicinasse ad entrambi. Lakil gli sorrise riconoscente – mi dispiace… mi dispiace veramente… - sussurrò con sforzo delle parole che non parvero neanche sue e i suoi occhi furono del tutto come quelli che aveva avuto la donna morta che giaceva non lontano da loro e come erano quelli del signore del Tempo che sembrava costretto a riprendere vita, contro la sua volontà.
“… ora so ogni cosa… so tutto di te e tu di me. Ti resterà la traccia della mia vita dentro e qualcosa di tuo resterebbe a me, non fosse necessario morire…”
“LAKIL!...” gridò nella sua mente il Dottore.
  • Lakil… - fu un sussurro appena percepibile mentre stringeva i denti.
“… ora… per ora…
… il dolore passerà…”
L’essere che tra le grida inorridite e il pianto di Lena stava consumandosi, ebbe appena il tempo di un ultimo sguardo a lei, prima di perdere gli occhi in due vuoti neri. Ma quell’istante fu carico di amore, di sentimento totale e inespresso. Non aveva mai avuto modo di dirglielo, per paura di non poter restare con lei per sempre; ma ora, quello che Lakil era stato, era completamente aperto all’esterno, come il suo corpo.  Le sue emozioni e ogni cosa che aveva ascoltato per ultima, parve risuonare nelle menti di tutti i presenti e poi, tutto si spezzò come in cocci taglienti.
I cocci taglienti su cui ricadde un cadavere vuoto e irriconoscibile. Un involucro che parve somigliare ad una fragile foglia secca rimasta ai piedi di un albero morto, dopo l’ultima tempesta.
E tacque ogni cosa, come fosse stata fermata da una volontà più forte.
Chi era loro vicino, contemplava i resti di quel che era appena accaduto con espressione impietrita, persino il pianto di Lena si era fatto più profondamente silenzioso. E fu proprio lei a fissare per prima il Dottore, tra quei cocci taglienti ancora inzuppati del suo sangue. Martha e Steward si rivolsero un’occhiata turbata e indecisa. Tutti tacevano smarriti e come soli.
  • Lui è vivo… ? - chiese Lena ad un tratto, con le lacrime agli occhi.
Martha la guardò e annuì con un veloce cenno. Spiò il suo respiro, regolare ma affaticato.
  • Dottore… - provò a chiamarlo. L’uomo restava con gli occhi chiusi. Steward allora, vincendo la propria reticenza istintiva lo toccò appena.
Il Dottore emise quindi un profondo respiro, come dopo una lunga apnea e spalancò gli occhi.
Blu cobalto scuro.
 
 
 
  
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