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Autore: 13Sonne    29/04/2008    0 recensioni
<< Aggiunto Decimo Capitolo>>
"Tecnicamente parlando, in questo mondo gli esseri umani sono solo parassiti."
"Tu sei di parte."
"Io sono realista. Noi facciamo ciò che la Natura ci ha detto di fare, ovvero distruggere il mondo. Per quanto, nella Storia, vi sono state volte in cui abbiamo pensato con la nostra testa, fondalmentalmente la gente è stupida e tende a fare ciò per cui è stata creata."
Genere: Generale, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Isaac
Ringrazio Chibi per avermi rincuorato mentre scrivevo questo capitolo.
Ringrazio The Man Who Sold Peace per aver messo la storia fra i suoi preferiti.
E... uh, spero che questo capitolo sia meglio. Yay.

*/*-/**



La società più potente, 356 anni dopo l’inizio della nuova era, si chiamava Coma F.cor. Doveva il suo nome alle prime invenzioni che aveva messo in commercio, tutte di utilizzo medico.
Nel corso degli anni aveva aperto i propri orizzonti, arrivando a vendere le più varie attrezzature per lavoro: il punto forte rimaneva comunque la medicina, tanto che tutte le nuove scoperte in campo medico erano state create e vendute dalla Coma F.cor.
Grazie alle sempre maggiori entrate la società aveva finanziato in molti orfanotrofi il ‘programma di recupero giovanile ’: tale programma si prefissava di istruire il ragazzo a ciò a cui era più portato e, al raggiungimento della maggiore età, di trovargli un posto di lavoro. Negli otto anni – il periodo dell’adolescenza – in cui i ragazzi ne facevano parte questi ricevevano istruzione scolastica e universitaria, senza doversi preoccupare di rette che, in assenza di genitori o tutori, sarebbero state proibitive.
Dagli orfanotrofi finanziati dalla Coma F.cor uscivano alcuni dei più capaci dipendenti dell’azienda stessa, oltre che alcuni dei più conosciuti professionisti al mondo.

*-*/-*

Isaac Dee aspettava il proprio turno, cercando di ignorare gli altri presenti nella sala d’aspetto- in tutto una decina di persone che non aveva mai visto prima e due suoi colleghi di lavoro, che tentavano in tutti i modi di renderlo partecipe dei loro discorsi.
Erano stati chiamati in quel luogo per una semplice intervista: si cercava di capire come avesse influito il programma su chi vi aveva partecipato, così da placare quelle voci che insistevano nel dire che gli orfani erano stati sottoposti a dei “lavaggi del cervello”. Anche se Isaac sapeva che quelle voci erano ridicole mai gli era venuta la voglia di confutare quelle storie: erano stati i suoi colleghi – Nora e Andrè – a portarlo con loro quel giorno.
Nora era finita in orfanotrofio a tre anni. A tredici anni aveva dimostrato uno spiccato interesse per l’informatica e la meccanica, ed al raggiungimento della maggiore età era divenuta un ingegnere meccanico per conto del Coma F.cor.
Andrè era invece stato il rampollo di una famiglia benestante che, ai suoi diciotto anni, gli aveva pagato l’università di Biotecnologia, da cui era uscito come valente ingegnere genetico. Non essendo orfano e non avendo partecipato al programma, Isaac non riusciva a capire cosa ci facesse Andrè con loro: questo aveva però risposto con un breve ma esauriente “mi annoiavo” che gli aveva fatto perdere qualsiasi voglia di discutere.
Nora ed Andrè erano sicuramente due valenti scienziati, ma avevano un carattere allegro e gioviale che li rendeva, agli occhi di Isaac, completamente inaffidabili. Reputava, in un certo senso, un bene che i due fossero li con lui invece che al lavoro.
Isaac non tentò di nascondere l’ennesimo sbuffo mentre i suoi due colleghi continuavano a parlare accanto a lui. Non amava perdere tempo, come non amava il contatto prolungato con altre persone: avrebbe di gran lunga preferito essere al lavoro piuttosto che seduto in quella sala d’aspetto a fissare fuori da una finestra.
Distolse lo sguardo e cominciò a massaggiarsi delicatamente le tempie, con un gemito. Quando non riusciva a concentrarsi su qualcosa, a distrarsi, la testa cominciava a pulsargli dolorosamente: in quei momenti avere vicino i due gioviali colleghi gli era, se possibile, ancora più odioso.
Sapeva che il suo turno di lavoro doveva essere finito da un pezzo: non aveva un orologio e non aveva voglia di chiedere a Nora o ad Andrè, ma doveva essere sera inoltrata. Cercò di distrarsi con quel pensiero: di pensare a cosa avrebbe fatto se fosse stato a casa. Nulla di speciale, probabilmente avrebbe letto un libro, forse avrebbe mangiato qualcosa, sicuramente avrebbe preso qualche sonnifero e poi sarebbe andato a dormire. Una routine faticosamente costruita giorno dopo giorno su cui si basava il suo fragile equilibrio psico-fisico.
Trovava irritante essere in quel luogo e non a casa sua, come trovava irritante essere circondato da persone che non conosceva: e per quanto i due colleghi avessero tentato più volte di distrarlo parlando di qualcosa, Isaac non riusciva a non trovare irritante anche loro due.
Si riscosse dai suoi pensieri quando la porta dell’ufficio si aprì, lasciando uscire un tipetto nervoso che tentava di non guardare nessuno dei presenti in faccia. Isaac non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo quando Nora e Andrè, in uno dei più classici esempi di deformazione professionale, cominciarono a scommettere su che cosa stesse rendendo il tipo così tanto nervoso: era uno scompenso ormonale oppure l’effetto collaterale di qualcosa che prendeva?

“Isaac Dee.”

Isaac alzò gli occhi verso la donna che lo aveva chiamato, osservandola per qualche secondo. Voce fredda, capelli neri legati in una rigida treccia che scendeva fino all’altezza dei fianchi, occhiali con spessa montatura nera, deprimente tailleur grigio: quella donna sapeva da assistente sociale.
Senza perdersi in inutile chiacchiere con i due colleghi Isaac si alzò in piedi, seguendo la donna all’interno dell’ufficio. Squadrò rapidamente il nuovo ambiente in cui si trovava, quindi si sedette sulla sedia libera, di fronte a tre uomini all’apparenza decisamente stanchi. 

“Lei è Isaac Dee, giusto?”

A parlare era stato l’uomo, fra i tre, più a sinistra: occhi leggermente arrossati, sorriso tirato e voce impastata, probabilmente in quei giorni aveva lavorato parecchio.
Isaac annuì, come al solito parco di parole. La donna che poco prima l’aveva chiamato nell’ufficio cominciò a scrivere qualcosa, ma Isaac decise di ignorarla, concentrandosi nell’aspetto fisico dell’uomo: la fede al dito, segno che era sposato, la stanchezza, segno che aveva lavorato per molto tempo, insieme significavano forse che il suo matrimonio era in crisi? Oppure, molto più romanticamente, la moglie era morta e lui si stava buttando nel lavoro?

“Dalle informazioni da noi raccolte, lei entrò in un orfanotrofio controllato dal Coma F.cor a dieci anni. Frequentò il programma di recupero giovanile e divenne biologo del terzo livello. Esatto?”

Isaac annuì nuovamente, aspettando pazientemente una nuova domanda.
La donna si schiarì la gola, attirando l’attenzione di Isaac che, come aveva già fatto con l’uomo assonnato – come lo aveva ribattezzato fra se e se – , cercò di analizzarla e trovare quanti più particolari possibili: la conclusione di questa sua piccola indagine si limitò a confermare ciò che aveva pensato fino a prima, ovvero che lei era un assistente sociale e che il tailleur grigio che stava indossando era quanto di più triste fosse stato creato.

“Nella sua scheda è stato riportato che ha sofferto di depressione.”

La voce non aggiungeva altri particolari degni di nota al quadro che Isaac si era fatto: un’assistente sociale, probabilmente una che lavorava da più di dieci anni in quel campo. Seduta in modo rigido, uno sguardo freddo, un continuo scribacchiare- sicuramente preferiva il lavoro d’ufficio a quello a contatto con la gente.
E la gente ricambia
, pensò Isaac guardandola negli occhi.

“Allora ero un adolescente.” Biascicò Isaac, tenendo la voce bassa. “Gli adolescenti sono depressi.”

Quella frase lasciò i tre uomini decisamente perplessi, ma la donna continuò a scrivere, imperturbabile.

“Nella sua scheda è riportato anche che a quei tempi soffriva di una malattia grave.”

Isaac piegò leggermente la testa d’un lato, socchiudendo gli occhi, quasi a cercare di vedere cosa si celasse all’interno della mente di quella donna: stava cercando di vedere se il programma funzionava o voleva screditarlo di fronte a testimoni?

“Studiavo fino a tardi, cosa che mi portò ad una grave forma di insonnia. Colpa mia. Dubito che il programma traesse giovamento da un mio crollo nervoso.”

La donna lo guardò negli occhi: sembrava stesse cercando qualcosa nella mente dello scienziato, qualcosa che fosse fuori posto e che potesse diventare un punto a suo favore. Ma l’ispezione non durò che pochi secondi, alla fine dei quali tornò a scrivere sulla sua cartella.
Uno dei tre uomini – quello al centro, a destra del tizio stanco – si schiarì la voce, tentando di attirare l’attenzione di Isaac. 

“La scheda afferma che lei è uno scienziato del livello Gamma. Può spiegarci cosa significa?”

La voce dell’uomo era controllata, tentava di nascondere la stanchezza e di darsi un contegno. Gli abiti erano puliti e senza pieghe, impeccabilmente stirati, eppure non aveva alcuna fede al dito.
A quanto pareva, quello era un uomo sposato al suo lavoro.

“L’azienda divide gli scienziati in tre categorie. Nella sezione Alpha vi sono i nuovi arrivati, hanno lavori di poca importanza e sono, per così dire, la base della piramide. Prendono ordini dalla sezione Beta, in cui fanno parte gli scienziati più esperti. Nella sezione Gamma ci sono i migliori dipendenti, che lavorano ai progetti più importanti. È solo questione di tempo perché un dipendente del livello Alpha passi al Beta, ma non è detto che dal livello Beta si passi al Gamma: ci vuole un talento particolare e un discreto attaccamento all’azienda.”

Isaac aspettò pazientemente che avessero finito di scrivere tutto ciò che aveva detto. Non era abituato a fare discorsi così lunghi e le corde vocali stavano formicolando fastidiosamente: tuttavia non aveva intenzione di massaggiarsi la gola, almeno non davanti a quattro persone che sembravano analizzare tutti i suoi movimenti alla ricerca di un segno di squilibrio mentale.
L’uomo sposato al suo lavoro sembrava notevolmente interessato a quel discorso, o almeno così sembrava da com’era cambiato il suo sguardo.

“Se al livello Alpha lavorano su prodotti semplici e nella sezione Beta su cose più complicate, perché c’è anche la sezione Gamma?”

Isaac stette in silenzio per qualche attimo, cercando di pensare a cosa rispondere senza però tradire i suoi datori di lavoro: cosa poteva rivelare e cosa no? Cosa poteva essere sfruttato contro l’azienda?

“Gli scienziati al livello Beta non hanno abbastanza esperienza per entrare nella sezione Gamma, ma sono più capaci di un dipendente della sezione Alpha. Questione d'ordine.”

L’uomo sembrava soddisfatto dalla spiegazione generica che aveva offerto Isaac, e lo scienziato trattenne a malapena un sospiro di sollievo: si era tenuto sull’ovvio, in modo che la frase fosse esauriente e non tradisse nulla di importante, e straordinariamente il risultato era stato il più roseo fra quelli che aveva immaginato.
Appena prima che Isaac potesse realmente cominciare a rilassarsi, però, il terzo uomo, quello all’estrema destra, si sporse in avanti per chiedere qualcosa.
Lo scienziato non riuscì a controllare la sua personale deformazione e, come aveva già fatto con gli altri tre, cominciò ad analizzarlo: le occhiaie erano un ovvio segno di sonno arretrato, il colletto sbottonato indicava nervosismo.
Assieme, quei due segni dovevano significare qualcosa, ma Isaac si stupì nel constatare che il suo brillante cervello non riusciva a comprendere cosa.

“Ma di cosa trattate, specificatamente?”

La voce era normale. Non riusciva a cogliere nessuna sfumatura particolare.
Isaac si trattenne dal portare una mano alla tempia: la fronte aveva ripreso a pulsare dolorosamente, come se stesse andando in sovraccarico. Era come se stesse osservando un rebus e la soluzione fosse li, evidente, ma i suoi occhi non riuscissero a decifrarla.
La domanda. Pensa alla domanda.
Isaac inspirò profondamente, cercando di concentrarsi sulla domanda che l’uomo gli aveva appena posto. Il mal di testa continuava ad aumentare e le sue capacità dialettiche cominciavano a risentirne: le parole, che di solito sarebbero venute dopo pochi istanti, in quel momento apparivano a rilento, facendosi strada nella fitta nube di dolore che era ormai diventata la sua mente.

“Questo- non posso dirlo.”

La risposta era troppo breve, troppo vaga perché i tre non facessero altre domande per indagare. Isaac si sforzò di pensare a qualcosa da aggiungere, ma la mente sembrava essersi ribellata al suo controllo, troppo occupata a cercare nell'aspetto dell'uomo qualche indizio circa il suo carattere: qualsiasi particolare veniva analizzato, dal movimento delle mani a come stava spostando il peso sulla sedia- persino se le pupille si stavano dilatando.
Isaac sentì il cuore perdere un colpo mentre registrava quell’informazione: l’uomo aveva le pupille a spillo.
Di colpo la sua mente si raffreddò, finalmente giunta al logico risultato che tanto cercava: le occhiaie, il nervosismo appena accennato, la miosi, tutti erano possibili sintomi d’astinenza. 

“I nostri prodotti sono ancora in via strettamente sperimentale e in quanto tali segreti. Potrebbero divenire accessibili fra qualche mese così come fra un paio d’anni.”

 Isaac aveva capito da tempo che il modo migliore per interrompere un discorso era non dire niente come se stesse effettivamente rivelando qualcosa, evitando di mentire: in quel modo le due parti in causa si ritiravano soddisfatte, una garbatamente presa in giro, l’altra al sicuro perché ciò che aveva detto era vero.
Quella semplice regola funzionò pure quel giorno: l’uomo tornò ad appoggiare la schiena sulla sedia, soddisfatto, e Isaac cominciò finalmente a rilassarsi.
Così facendo si ricordò di quanto reputasse seccante essere in quel luogo, di quanto avrebbe preferito essere al lavoro e di come trovasse irritante dover parlare con qualcuno per più di cinque minuti: finalmente si ricordò che non ne poteva più d’essere li, e quando vide che la donna si stava preparando a fare una nuova domanda Isaac decise che n’aveva avuto abbastanza.
 
“Lei-”
“Vi pagano ad ore, per caso?”

 Gli occhi della donna si sgranarono leggermente quando udì la domanda che Isaac aveva posto con voce calma e compassata. Sbatté le palpebre, come a convincersi che non era stato frutto della sua immaginazione, quindi serrò le labbra, cercando di nascondere la sua evidente irritazione con la maschera d’indifferenza che aveva mantenuto fino a poco prima.

“Siamo noi che poniamo le domande, mister-”
“Certo, certo. È solo che voi continuate a chiedermi cose che non centrano con il Programma, quindi era logico presupporre che volevate soltanto perdere tempo con domande inutili per gonfiare la vostra busta paga.”

Per quanto Isaac si fosse mantenuto su un tono cortese, i tre uomini capirono subito che quello era un avvertimento: dovevano smettere di fargli perdere tempo.
La donna, invece, sembrava sorda alla minaccia, tanto che ricominciò a scrivere nella scheda che aveva sotto mano: il continuo muoversi della penna in un qualche modo disturbava Isaac, che si convinceva ogni momento di più che doveva andarsene.

“Per tornare al discorso originale, il Programma mi ha dato un’istruzione e un lavoro che adoro: che dalla sapiente analisi della… dell’assistente sociale qui presente venga fuori che io sono sbagliato, quello è un altro conto. Arrivederci.”
 
Detto ciò Isaac si alzò in piedi, facendo un leggero cenno con la testa a mo di saluto, e s’incamminò verso la porta. Sapeva che aveva ancora pochi attimi, prima che uno dei quattro si riprendesse dallo stupore e dicesse qualcosa, ed Isaac preferiva sfruttarli per scappare ed evitare qualsiasi ulteriore spreco di tempo: voleva solo tornare a casa e dormire.

“Io sono una psicologa.”

Isaac aveva già sposato la mano sulla maniglia quando la donna disse quella frase. Si fermò, lasciando che ogni sillaba gli rimbombasse nella mente e perdesse qualsiasi significato logico, quindi si voltò verso di lei. Di nuovo analizzò tutti i particolari di quella donna, inarcando un sopracciglio in segno di sorpresa quando, per la seconda volta, giunse alla conclusione che doveva sicuramente essere un’assistente sociale.
Poi scrollò le spalle, disinteressandosi alla faccenda.

“Capita.”

Prima che la donna potesse dire qualcos’altro Isaac era uscito dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

  
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