Il
lai
di dama Isotta
Assai
mi piace e ben lo voglio
non di quel lai del Caprifoglio[2]
ma d'un altro ormai scordato
c'hanno i Bretoni obliato,
narrarvi e dirvi la natura
come racconta l'avventura[3].
Di
dama Isotta il lai vi canto
che per amore soffrì tanto
lei lo fece e lo inviò
a Tristano che un tempo amò...
Ti scrivo
seduta allo scrittoio della mia camera nuziale.
Marco non è
ancora rientrato dalla caccia ed è quasi sera, una sera
pallida e delicata che scende soffusa a cullare
Alla luce della
sera, come in un limbo, tutti i luoghi si confondono e si assomigliano di più.
Così forse
brilla della stessa luce
Tre terre che
racchiudono la nostra storia e il nostro destino, come
conchiglie.
Ma oggi, Tristano, oggi sono
stanca di parlare di destino.
Oggi voglio
stringere tra le mani la mia vita come posso stringere questa penna e decidere
cosa scrivere.
Ero una bambina quando ti incontrai per la prima volta, tu, l'eroe
che aveva sconfitto e ucciso il Moroldo, fratello di
mio padre, tu, il cavaliere perfetto, dalla bellezza divina...no Tristano, non
mi ispirasti alcuna simpatia, allora. Perché avresti
dovuto?
Arrivasti
ferito, ma eri superbo ed altero, tronfio della tua perfezione.
E mi guardasti come tutti mi
guardavano, colmo di desiderio, traboccante di voglia. Non avevi mai visto una
donna più bella e ti folgorò il pensiero che io sola
sarei stata degna di te.
Non me ne
preoccupai molto. Eri soltanto uno tra i tanti. Più bello forse. Più galante.
Più forte. Ma in fondo solo l'ennesimo spasimante alla corte di
Elena. Aspettavo ancora il mio Menelao.
Aspettavo qualcuno che giungesse inaspettato,
umilmente e senza clamore, che mi amasse d'un amore dolce, che scrivesse per me
una favola e mi accompagnasse per mano a conoscerla.
Non volevo
cavalieri.
Non volevo
eroi.
Isotta,
principessa d'Irlanda, maga e guaritrice, voleva allora soltanto un uomo.
Sposerai
il re di Cornovaglia, mi disse mia madre.
Così finirono dei sogni, finirono le speranze bruscamente
ricondotte alla gravità dei miei principeschi doveri.
Mi
imbarcai
con te su quella nave, il filtro che conoscendomi troppo bene mia madre aveva
preparato per farmi innamorare di Marco lo bevemmo
noi, mentre giocando a scacchi ci stavamo sfidando e studiando l'un l'altra, e
il resto, nostro malgrado, è storia nota.
E' la storia
del terribile errore che commisi sacrificando Brangania,
la sola amica che avessi, alla mia felicità...ed ebbe bene il diritto di
odiarmi! Oh se potessi averla accanto, adesso, che mai un'ancella più fedele e
più nobile è vissuta!
E' la storia
della nostra follia, dei nostri inganni, degli
infiniti stratagemmi che inventammo.
Da allora non
ho più rivisto l'Irlanda.
Da allora sono
cresciuta.
Quella passione
ci ha consumato e mi ha cambiato.
Ho lasciato
tutto per seguire te, per vivere nel peccato e nella povertà. Io, spergiura
come sempre, alla fede data ho presto fatto ingiuria,
prigioniera della mia malafede, un vizio antico, mi disse Brangania offesa e tradita.
Aveva ragione.
Tu, Tristano,
mi hai strappato ai miei cari, alla mia terra, ma nulla mi importava
al di fuori di te.
Bel dolce
amico, ti chiamavo allora, mio signore.
Ma quando
l'effetto del filtro dopo tre anni è finito, quando sono tornata padrona di me
stessa e mi sono trovata sporca e mal vestita in una
foresta popolata di belve, allora, improvvisamente, ho capito.
Tu eri ancora
quello che mi aveva portato via dall'Irlanda, eri ancora il cavaliere perfetto
che tutti ammiravano, a cui i ragazzi volevano assomigliare.
Tristano
che aveva osato sfidare il re. Tristano che aveva sconfitto tutti, per
amore. Tristano, braccato come un animale, perseguitato...Eri un
ramingo, un fuggiasco, ma ancora un eroe.
Mentre io, io non ero più nessuno.
La mia bellezza si era consumata nelle privazioni quotidiane, le mie mani si
erano rovinate, il mio cervello così acuto e pronto,
che aveva saputo ingannare persino Dio, si era irrigidito nella mancanza di
stimoli.
Tu cacciavi
tendendo l'arco che-non-fallisce[4], io ti attendevo nell'ozio e la mia vita
si consumava nello spettro di un'abulia quotidiana e terribile.
Il silenzio mi
divorava come una malattia e tu mi privasti persino della voce d'Husdent. Ci farà scoprire,
dicesti, non abbiamo alcun bisogno di un cane. Ma era il tuo cane, quello, il tuo cane fedele che ti amava,
e tu non capivi, non capivi il mio bisogno di compagnia. Non ucciderlo, ti
supplicai. A patto che taccia, dicesti. E tacque. Si,
tacque. Perché Tristano, il perfetto, sa piegare al
suo volere persino la natura.
E la gente
parlava di me. Isotta...Isotta, la traditrice. Isotta
falsa e bugiarda, una meretrice.
Le loro voci
giungevano alle mie orecchie come presagi, come profezie d’un
futuro di disperazione.
Ebbi paura, paura di vedere la mia vita sfiorirmi lentamente tra le
mani, di incontrare la vecchiaia e di sorprendermi ancora in quella desolata
apatia. Tu non mi bastasti più.
Ero regina,
pensai, ma ho perduto quel nome per una pozione bevuta in mare.
Voglio tornare,
ti dissi.
Forse tu non
capisti. Mi assecondasti, ma forse non capisti davvero.
Come avresti
potuto, Tristano? Sentimenti così umani e meschini non ti sono
mai appartenuti, in ben altri cieli volano da sempre il tuo cuore e il
tuo spirito.
Marco mi
riaccolse come una regina e mi restituì tutto, compreso il suo amore. Amica cara,
mi chiamò ancora.
Allora lo
guardai per la prima volta.
Allora mi
chiesi chi fosse quest'uomo
a cui per due anni avevo dormito accanto, senza conoscerlo davvero. Non avevo
mai desiderato farlo. Lo avevo ignorato, come si ignora
un dettaglio, una parentesi, qualcosa di superfluo.
Marco era mio marito ma per me non era mai stato niente di più che
l'inevitabile ostacolo al nostro amore predestinato. Perché
in fondo, aveva ragione chi lo disse[5], noi non ci amavamo, noi agivamo come se
avessimo capito che tutto ciò che si opponeva all'amore lo garantiva e lo
consacrava, esaltandolo all'infinito.
Non esistevo se
non in te.
Non odiavo
Marco. Non lo amavo. Mi era indifferente, come una necessità.
Ma quel giorno lo guardai per
la prima volta.
Marco era un re ma non sarebbe mai asceso al cielo degli eroi,
E amava me, al di sopra di ogni cosa.
Avrei dovuto
capirlo prima.
Avrei dovuto capirlo quando ci trovò nella foresta ed ebbe pietà di noi e
lasciò il suo guanto a riparare il sole che mi feriva il volto.
Ero cieca,
allora.
Ma adesso, Tristano, adesso vedo.
Dal nostro
amore bellissimo e perfetto, dal nostro amore fatale,
ineluttabile, dal nostro amore disperato, adesso, chiedo pace.
Ho
migrato
per mille cieli come una rondine, ma il mio orizzonte non è stato altro che
infelicità, una nave triste, vele nere e morte.
No. Voglio
stringere la mia vita e decidere per me, finalmente. Basta con i filtri, basta con il destino!
Tu abbraccia la
tua donna e amala, se lo merita come lo merita il mio
sposo.
Non lasciare
che quell'amore ti sfugga, come per troppo tempo ho
fatto io.
Vivi Tristano,
e sii felice. Riscopri le gioie d'una vita semplice e
sconosciuta, di un'unione che non entrerà mai nella leggenda ma che ti darà
forse, finalmente, un po' di serenità.
E non preoccuparti.
Sarà
il mio nome a cadere nell'oblio, lo so bene.
Morire per
amore mi avrebbe concesso quella fama che una vita serena non mi darà mai.
E un
giorno...un giorno qualcuno nominerà Tristano chiedendosi chi fosse il suo grande amore.
Quel giorno,
credimi, sarò felice.
Isotta
[1] Il titolo viene dal Roman de Renart. È la volpe stessa che, travestita, dice al lupo Isengrino di conoscere “le lai dam
Iset”. Come è tipico dei lais i versi successivi sono in ottosillabi a rima baciata, con rime maschili e femminili.
Nel testo ci sono alcune citazioni dal Tristan
di Thomas e dal Tristan di Béroul, parafrasate o tradotte letteralmente.
[2] Il lai du Chievrefoil, di Maria di Francia, racconta di un incontro tra i due amanti
poi messo in musica dallo stesso Tristano.
[3] Utilizzo la parola avventura nel senso dell’antico francese aventure.
[4] Traduco letteralmente Arc-qui-ne-faut, nome proprio dell’arco magico
posseduto da Tristano.
[5] Denis De Rougemont.