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Autore: Dani85    24/11/2013    0 recensioni
4 storie, 6 momenti, 6 stralci di vita. Nessun collegamento se non la stagione in cui si svolgono - l'inverno - e i personaggi - Luca, Anna e chi li circonda -. Il tutto interpretato in chiave fluff per la Fluff Challenge.
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Dalla seconda One-shot:
"Anna si lascia cadere ai piedi del letto, sul tappeto morbido, e prima che faccia in tempo a dire a Luca di spostare pure quei cumuli di abiti colorati, lui le si è già seduto accanto, le gambe incrociate. Forse si aspetta che la rimproveri: per aver messo a soqquadro la casa, per averlo tirato giù dal letto uno dei pochi giorni in cui avrebbe potuto dormire, per un miliardo di altre cose che ha fatto e non doveva. Invece Luca se ne sta in silenzio e non dice nulla."
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Gori, Luca Benvenuto, Nuovo personaggio
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Via da questo inverno [Cade la neve]
Autore: Dani
Fandom: Distretto di Polizia
Capitoli: 3 / 6 – Raccolta di One Shot
Personaggi: Luca Benvenuto, Anna Gori, nuovo personaggio
Paring: Luca/Anna
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale
Rating: Gialla
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Taodue srl che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Distretto di Polizia, appartengono solo a me.
Word: 1.962
Note: Post DdP11, What if (enorme what if, visto che pressuppone che Luca non sia morto XD) – Titolo da “Inverno” di Annalisa – Storia scritta per la Fluff Challenge di Contest & Mania Challange. Qui la mia tabella (Tabella: inverno; Prompt: 6. labbra fredde) – Pubblicata la prima volta il 23/08/2013

Via da questo inverno
cammino nella pioggia
cammino contro vento
cammino cammino e fuggo
via da questo inverno

[Inverno - Annalisa]

Un'altra nottata era sbiadita nel solito incubo, malmostoso e confuso, e Luca si era svegliato con gli ormai familiari tre spari a rimbombargli nelle orecchie. Gli era servita la solita manciata di secondi per prendere coscienza della realtà e di quei tre colpi che ancora sopravvivevano nella sua testa e nel suo corpo a formare uno strambo triangolo di cicatrici, contemporaneamente fisiche e psicologiche.
Sospirò piano contro le coperte che gli arrivavano al mento, per calmare l'affanno e il dolore sottile del brusco risveglio.
Ad occhi chiusi, i pugni che si aprivano esausti sul materasso, Luca si lasciò di nuovo sprofondare contro il cuscino e percepì appena la porta che si apriva disegnando un cono di luce sul pavimento in ombra.
Anche quello si ripeteva tutte le mattine, parte inconsapevole di quella routine che segnava adesso le sue notti, avvelenandogli il sonno e i sogni. L'ultimo atto di quello spettacolo aveva il profumo di Anna, la sua mano delicata a sviargli i capelli sudati dalla fronte e le sue labbra fredde - sempre così d'inverno, sempre fredde - a sfiorarlo a metà tra un bacio e un buffetto da bambini, tra la confidenza di prima e la semplice attenzione da infermiera, tra il tutto e il niente. E mattina dopo mattina, quella specie di bacio durava un po' di più mentre Luca si sforzava di restare immobile, improvvisamente così tanto vigliacco da fingere di dormire. Perché aprire gli occhi ed ammettere di essere sveglio avrebbe reso inopportuna anche quella piccolissima intimità che si consumava nella penombra della stanza. Perché c'erano mesi di lontananza e di silenzi e di pagine voltate troppo in fretta a riempire adesso il loro rapporto, a rendere scomoda quella ritrovata convivenza, a costruire un muro di domande che lui affogava in un nervoso orgoglio.
Anna sfilò con lentezza la mano ancora intrecciata ai suoi capelli e Luca ne avvertì il tepore ad un soffio dalla sua guancia: la premessa di una carezza che non sarebbe arrivata neanche quella volta.
La sentì uscire dalla stanza con un sospiro pesante e il passo solo un po' troppo veloce, come il principio di una fuga. Nel buio di nuovo vuoto della sua stanza, Luca si chiese a cosa li avrebbe portati quella ridicola vigliaccheria fatta di silenzi troppi lunghi e comodi, di sonni finti e baci rubati, ad occhi chiusi e labbra fredde.
*

La pioggia rotolava in stretti e rapidi rivoli lungo i vetri delle finestre e il grigio di quella mattina di fine inverno sporcava il bianco accecante della casa.
La cucina annegava in una bolla di luce smorta, così triste e livida da essere perfettamente in linea con lo stato d'animo di Luca. Eh sì che essendo praticamente vivo per miracolo, il suo umore sarebbe dovuto essere decisamente diverso.
«Col cazzo...» borbottò all'aria, una fetta biscottata che finiva sbriciolata senza troppi complimenti in quella brodaglia deteinata che gli spacciavano per tè. Ci pensava tutte le mattine e ogni volta che guardava le tre garze bianche che lo attraversavano formando un'irregolare linea obliqua. Spalla sinistra, torace, stomaco. Tre fori circolari sotto le garze che erano cicatrici, promemoria e ostacoli tutto insieme. Coperti dalla maglietta poteva fingere fossero poca cosa. Non li vedeva lui e non li vedevano gli altri. Ma c'erano e lo sapeva lui e lo sapevano gli altri.
Luca guardò sconsolato la tazza di tè diventata una disgustosa poltiglia tremolante, buona solo per essere lavata via da un generoso scroscio d'acqua.
Con i movimenti lenti ed affaticati di quei giorni, si avvicinò al lavandino e svuotò la tazza sotto il getto freddo del rubinetto, mentre la finestra accanto gli rimandava l'immagine della strada sferzata dalla pioggia e una rumorosa processione di auto. Un po' invidiava la gente che continuava la propria vita come niente fosse mentre lui, invece, aveva visto il suo trasferimento a Torino sfiorire in una lunga e faticosa convalescenza in una casa piena di scatoloni, inospitale come mai gli era apparsa. Tutto nello spazio di una notte, del luogo sbagliato al momento sbagliato.
«Ohi, se vai un po' in salotto vado a sistemarti la camera!»
Anna era comparsa inaspettata sulla soglia della cucina e Luca era sobbalzato, quasi spaventato.
E lei se ne era accorta. Lei si era accorta di tutto in quei giorni ma non sapeva cosa fare, cosa osare, cosa pretendere o imporre. Non sapeva nemmeno più cosa era per lui.
«Scusami Lu', non volevo...» spaventarti, andarmene, sparire, ferirti.
«Fa niente, ero sovrappensiero!» e il suo sorriso sapeva di bugia, di cuore in gola, di respiro trattenuto.
Si erano sorrisi mentre Luca allungava una mano a sfiorarle il viso, a concederle quella carezza che lei invece gli negava nel limbo delle loro mattine senza voce. Solo la parodia di un bacio a labbra fredde e niente altro. Tutto il resto ammazzato dalle loro paure.
*

Anna era sparita nella sua camera, le lenzuola pulite sottobraccio, e Luca era rimasto lì, allungato scompostamente sul divano, a riflettere sulla stranissima situazione in cui si trovavano. C'erano momenti in cui era tentato di attribuire anche quello a Corallo e ai suoi tre colpi di pistola e, in parte, era vero. Era vero perché era stato quello a riportare Anna a Roma, a riportarla da lui, nella sua casa, a prendersi cura di lui. Luca rise da solo, la testa abbandonata all'indietro. Era quasi dovuto morire perché lei annullasse le distanze - almeno quelle fisiche -, perché si ricordasse cosa li aveva legati.
L'improvvisa e disordinata melodia di un gioco da bambini lo fece scattare all'erta e, in quell'istante di occhi sbarrati, Luca ricordò una manciata di parole ben precise. Le aveva sentite la prima volta, ancora intontito di anestesia, medicinali e dolori, nella confusione dei tanti che lo circondavano.
Possibile disturbo da stress post traumatico.
Le aveva pronunciate Anita, forte della sua laurea in psicologia, a pronosticare una conseguenza che suonava inevitabile. Luca aveva relegato tutto in un angolino della sua memoria, cosa poco importante, cosa senza futuro. Poi, una porta sbattuta di colpo, a sorpresa, e lui era saltato a sedere di scatto, le ferite a tirare dannatamente come se succedesse tutto daccapo, come se ogni sparo esplodesse di nuovo. Spalla sinistra, torace, stomaco. Elena, il lavoro messo in pausa a Genova senza particolari rimorsi, lo aveva stretto per le braccia e gli aveva parlato con calma. E quella manciata di parole era tornata.
Possibile disturbo da stress post traumatico.
E nel tono dell'amica, nelle sue spiegazioni chiare e dettagliate, tutto era diventato ineluttabile. Luca ne era diventato consapevole. Aveva capito che quei tre spari sarebbero diventati un incubo, che qualunque rumore inatteso lo sarebbe diventato, che anche riprendere in mano la sua pistola - la sua pistola - sarebbe diventato un traguardo per cui lottare. Una normalità interrotta.
La melodia riprese in un secondo giro e stavolta Luca non sobbalzò. Sorrise. Abbassò lo sguardo sul pavimento e si soffermò sulla piccolina che sedeva appallottolata tra i cuscini troppo grandi del divano. Ogni volta che si ritrovavano da soli nella stessa stanza, Luca ne approfittava per studiarla un po'; la guardava cercando neppure lui sapeva bene cosa. Forse cercava semplicemente Anna: la cercava negli occhi scuri di Marta, nelle sue guanciotte rotonde, nelle labbra a forma di cuore e in quelle manine minuscole. E qualcosa dentro di lui tirava il fiato ad ogni somiglianza che trovava, felice di non dovere ricondurre niente a quel misterioso uomo di cui nemmeno sapeva il nome. Anna non glielo aveva detto e lui non lo aveva chiesto. A volte l'ignoranza è una buona cosa e, certe cose, a quel punto, Luca preferiva non saperle.
La bambina, un anno da compiere a breve, sbatteva a tempo i piedini a terra, le manine affondate nel pelo dell'orsetto di pezza. Quando la musichetta si spense per la seconda volta, Marta si girò sulle ginocchia e prese a spingere l'orsetto sul divano. Quando finalmente ci riuscì, tornò a sedersi con un soffice plop, e puntò gli occhioni scuri su Luca mentre batteva contenta le manine e un sorriso sdentato le si apriva dietro il ciuccio. Lui ricambiò il sorriso d'istinto, mentre Marta afferrava un altro pupazzo. A Luca parve una dinoccolata ranocchia verde, gli occhi giganteschi e le zampe lunghissime, che sembrava enorme stretta tra le minute braccia della bimba più interessata a lui che al giocattolo. Come Luca studiava Marta, Marta sembrava studiare Luca. Ed era una cosa strana e divertente insieme. Facevano sempre uno strano effetto le occhiate che gli riservava Marta, la testa inclinata da un lato, come se stesse cercando di capire chi era lui e che posto avesse nel suo mondo di bambina. Ed era divertente vederla poi gattonargli incontro e tentare la scalata alle sue gambe, segno che qualunque posto avesse, Luca le piaceva.
Il copione aveva seguito fedele l'abituale schema e, dopo qualche secondo di intensa osservazione, Marta aveva gattonato tra i giocattoli e i cuscini e aveva artigliato con una manina la gamba di Luca. Senza Anna a fermarla, troppo preoccupata che potesse fargli involontariamente male, la piccola rinsaldò la presa sulla stoffa dei pantaloni di Luca e si tirò su, la ranocchia di pezza ancora incastrata sotto un braccino. Instabile, traballò un po' sulle gambe mentre lui la tirava con delicatezza sul divano.
«E adesso che vuoi fare?» chiese alla bimba, due perfetti dentini bianchi visibili dietro il ciuccio mentre si accoccolava al suo fianco.
Marta lo guardò di nuovo, i suoi occhioni da cerbiatto fissi in quelli malinconici di Luca, così tanto agitati e tormentati da non parere veri.
La bambina strinse il peluche a pieni mani, lo guardò per un momento e poi lo alzò verso di lui spingendoglielo contro finché non lo prese. Luca se lo rigirò in mano, pensieroso.
«Grazie piccola, ma non basta a risolvere la questione!»
Le paure, le cose non dette, i sentimenti in stand-by.
Un peluche non risolveva le cose dei grandi. Ma Luca apprezzava il gesto. Oh, se lo apprezzava. Sorridendo fece scorrere una mano tra i riccioli neri di Marta che tornò a fissarlo, gli occhi attenti di chi cerca una soluzione. A modo suo. Col sorriso più bello che Luca avesse mai visto - così da Anna, così di Anna - la bambina si tolse il ciucciotto dalla bocca con un ridacchiante schiocco e glielo offrì, il braccino teso appoggiato contro di lui.
«Oh, amore!» mormorò Luca mentre avvolgeva con la sua la mano con cui lei reggeva il ciuccio. Marta era così piccola eppure aveva capito comunque che lui non stava bene.
Certo, non poteva capire di cosa si trattava ma la tristezza dei suoi occhi l'aveva percepita. Nella sua ingenuità di bambina bastava un peluche o il suo adorato ciucciotto a mandar via gli occhi tristi e pazienza se a lui serviva altro; lei non poteva offrirgli che quello.
«Grazie tesoro, davvero!» rise Luca, gli occhi finalmente allegri, intanto che le portava il ciuccio di nuovo alla bocca e le scoccava un bacio tra i capelli. Marta riprese a ciucciare  entusiasta mentre gli agguantava una mano tra le sue e prendeva a giocarci, soddisfatta di quelle improvvisate coccole.
Le spalle appoggiate allo schienale del divano, Luca si sentì stringere da un paio di braccia sottili e nervose.
«Ti prometto che troverò un modo per risolvere tutto, Lu'! Risolveremo tutto!»
Le tue paure, le cose non dette, i nostri sentimenti in stand-by.
E Luca sorrise, mille domande che ballavano sulla punta della lingua, la pioggia che ancora scrosciava sui vetri, due piccole bollenti manine a giocare con la sua e un bacio a labbra piene.
Labbra delicate, quelle di Anna; labbra fredde, quelle di Anna, come sempre d'inverno; labbra di nuovo sue, quelle di Anna, non più ladre nel buio di una stanza silenziosa. Ad occhi aperti, a risolvere le cose.
Fine
  
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