Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Ely79    25/11/2013    2 recensioni
Vorreste trasformare la vostra ridicola Urbanhare in un mostro capace di far sfigurare le ammiraglie del Golden Ring? Cercate più spinta per i vostri propulsori a vapore compresso? Spoiler e mascherine su disegno per regalare una linea più aggressiva al vostro mezzo da lavoro? Una livrea che faccia voltare ogni testa lungo le strade che percorrete? Interni degni di una airship da corsa, con quel tocco chic unico ed inimitabile?
Se cercate tutto questo, grande professionalità ed un pizzico di avventura, allora siete nel posto giusto: benvenuti alla "Legendary Customs".
[Ambientazione Steampunk]
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L.C. - Cap. 23
23

Quel giorno, la sala conferenze del “Kreml” era divenuta il centro nevralgico della città. Passanti, poliziotti, perdigiorno, tate con i bambini nelle carrozzine, garzoni di fretta sui trike, gettavano sguardi curiosi alle finestre arcuate bordate d’oro del decimo piano. Là, Avelan e i suoi architetti avevano parlato per quasi due ore filate, esponendo il progetto del museo aiutandosi con diagrammi, plastici ed enormi cianografie artisticamente ritoccate che mostravano la resa finale dell’intervento. Una platea di sessanta giornalisti, provenienti da tutto lo stato e dalle Colonie vicine, era stata inviata a ficcanasare dalle testate più disparate. Un paio di cronisti arrivavano persino dal Vecchio Continente.
«E ora, dopo avervi tediato con discorsi di muri, idee, soldi e politica, lascerei la parola alla rappresentante della “Legendary Customs”, Alexandra Stuart, perché possa chiarirvi la parte fondamentale di tutto il progetto, ovvero le opere di restauro delle gloriose airship che verranno esposte. Mi rimetto alla vostra cortesia e confido la tratterete con il riguardo che si conviene ad una signora» suggerì Ostap, esibendosi in un elegante baciamano mentre le cedeva il posto al microfono.
«Perché è venuta lei? Senza offesa, ma parlando di un’officina ci aspettavamo qualcuno di più preparato in materia» esordì un giornalista, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che allungare il collo per spiarle la scollatura.
Sandy aspettava quella domanda: conosceva fin troppo bene i pregiudizi che gli uomini avevano riguardo alle donne che s’interessavano di motori; tutta roba già sentita, digerita e rispedita al mittente da tempo. Questi, evidentemente, non la conoscevano così bene.
«Lavoro nel settore da sempre. Ho conoscenze sufficienti per rispondere alle vostre domande» ribatté placida.
«Come modella, magari» la sbeffeggiò un altro, sollevando un coro di risatine.
«Sì, è vero. Sono stata anche una modella. E come contitolare della “Legendary Customs”…»
«Lei non può sapere di motori quanto un meccanico».
«Lei dice?» sogghignò alzandosi.
Ostap cercò di fermarla ma Sandy gli fece capire con una strizzatina d’occhi che non aveva bisogno del cavalier servente. Scese dal palchetto, muovendosi sinuosa sui gradini e nel breve spazio davanti alle sedute come se stesse sfilando.
Si fermò di fronte all’ultimo detrattore che aveva parlato, un ometto grassoccio e quasi calvo, che sedeva a gambe larghe in prima fila. Aveva addosso un impermeabile talmente largo e stazzonato da farlo sembrare un uovo di Pasqua nel suo cestino di carta crespa. Puzzava di fumo rancido e grasso da frittura e a giudicare dalle larghe ditate unte sul suo blocchetto, doveva essere un frequentatore abituale di qualche pessima rosticceria.
«Se non erro, l’ho vista arrivare con un’OE Plus. È corretto?» gli domandò.
Proprio come immaginava, prima di rispondere di sì scuotendo la testa come un’idiota, il suo interlocutore l’aveva squadrata da capo a piedi, incapace di nascondere il totale disinteresse alla domanda perché incantato dalla sinuosa silhouette.
Povero amore mio: ha preteso che indossassi i pantaloni per non mettermi troppo in mostra ed è peggio che avere addosso solo la lingerie, sogghignò immaginando la faccia di Clayton quando gliel’avrebbe raccontato.
«Si è accorto che sta consumando almeno una libbra di pellet in più per ogni cinque miglia percorse?» s’informò, lasciando che una mano scendesse dalla spalla al fianco, accarezzando con nonchalance il corsetto rivestito di trine e catenelle d’ottone.
«Bella trovata, però…» azzardò, tuttavia Sandy non era disposta a concedergli terreno.
Assunse una posa più rigida e composta, incrociando le braccia e fissandolo dritto negli occhi.
«I fumi di scarico sono più scuri del normale e cosparsi di fiocchi di cenere molto densa. Inoltre, il suono emesso dal focolare è sordo e sforzato, indice di una sovralimentazione. Quando è voluta, si procede all’ampliamento delle prese d’aria, o alla loro aggiunta dove non fosse possibile; il rumore ne viene attutito e la fiamma opera correttamente. In alternativa s’impiegano additivi come l’In-Flame 50 o il Carbon XTR della Pyroclast, che migliorano la combustione».
Fece una breve pausa, spostando languida il peso da un tacco all’altro. Spiò le facce intorno, molte delle quali decisamente confuse o sbalordite.
«Nel suo caso però, visto che lei non mi sembra tipo da airship rielaborate, direi che si tratta di un problema al carrello di carico che pesca più del necessario. Farei verificare i facchini del nastro trasportatore: devono essersi allentati e allargati rispetto al piano di movimento - non abbastanza da intasare lo scivolo o staccarsi -, così da raccogliere più del dovuto nella vasca d’alimentazione. In genere si tratta di piccoli volumi di materiale ma a forza di depositarsi, le scorie incombuste vanno a peggiorare il tiraggio, per cui sulla plancia le sarà apparsa la spia che segnalava d’incrementare la rapidità di carico. Cosa che avrà fatto ruotando di una tacca il regolatore a manetta dietro la cloche di sinistra, e che si è tradotta in un aumento complessivo di tre quarti di libbra ogni cinque miglia. Uniti al materiale in più, fanno circa una libbra totale».
Il giornalista era paonazzo, difficile dire se di vergogna, rabbia o eccitazione.
«Capita, quando non si procede a una corretta manutenzione, che nel suo caso non viene effettuata da più di tre anni, perché questo è il tempo limite di vita del nastro dei pellet. Inoltre le consiglierei di cambiare meccanico, perché è evidente che il suo non si è mai preso la briga di aprire il focolare e dargli una ripulita» concluse, gettando indietro i capelli castani, a favore di alcuni fotografi.
Brusii di sincero stupore si sollevavano dalla platea, misti al grattare delle penne sui taccuini.
Lasciò che la torma dei rudi uomini della carta stampata traesse le proprie conclusioni e tornò ad accomodarsi al microfono, certa che solo in pochi avessero perso tempo a guardare come le ruche sulla coda della giacca le accarezzassero il fondoschiena.
«Ritengo d’aver provato a tutti che mie credenziali siano sufficienti a gestire quest’incontro. Ora potete tirarvi su la patta dei pantaloni e cominciare con le questioni serie. O preferite continuare a spogliarmi con gli occhi? Perché vi avviso: so difendermi anche in altri modi, se non bastassero i ragazzi del signor Avelan» chiarì indicando Thomas e Donat. «Ci sono domande?»
Passarono un paio di minuti, durante i quali i giornalisti scartabellarono appunti e scambiarono mezze frasi tra loro. Alla fine, un ragazzo con un pomposo abito di Darrington & Mills, alzò timidamente la mano e si presentò come l’inviato del Daily Colonial - o più probabilmente l’ennesimo tirocinante figlio di papà, mandato a svolgere un compito più grosso di lui per contraccambiare un favore.
«S-sa… saaappiamo che avete da sistemare la sette-punto-due-zero-uno di Italio Balzaretti. È… un sacco vecchia e non corre da un bel pezzo. Per quel che ho visto, non si stacca neanche da terra. Cosa farete per rimetterla a posto?» chiese sfoggiando un tono che avrebbe dovuto suonare come professionale ma che spinse molti a levare gli occhi all’altissimo soffitto della sala.
La mancanza di termini appropriati, unita alla lussuosa stilografica che agitava in aria a mo’ di fioretto, confermò ad Alexandra di avere di fronte l’ennesimo inetto pieno di soldi e di sé. La vittima sacrificale ideale per rompere definitivamente il ghiaccio con la platea.
«L’airship nota come 7.201, prodotta dalla Paulson A.H.W.V., e guidata da Giuseppe "Italico" Balzaretti, non corre da quarant’anni per essere precisi, da quando Italico si ritirò dalle gare. Gli anni d’inattività hanno danneggiato alcuni propulsori di levitazione, rendendo opportuno evitare di sforzare quelli superstiti. Dunque lei ha messo il naso nella nostra officina senza esplicita autorizzazione?» lo stuzzicò, rimarcando su ogni sua svista con un sorrisetto perfido.
Il simil-cronista impallidì, boccheggiando come un pesce nell’acquario.

***

Patch si era addormentato sul divano, esausto dopo dieci ore di lavoro alla “Legendary” e sei di consegne a un numero infinito di locali e alberghi. Il delicato profumo della biancheria pulita gli aveva fatto prudere il naso fino a stordirlo.
Si svegliò di soprassalto, sentendo i colpi di tosse del figlio e corse nella sua stanza. Il tubicino dell’aria che l’aiutava nella respirazione si era sganciato dall’inalatore, costringendolo ad annaspare mentre con le mani intorpidite dal sonno spezzato, tentava di sistemare da sé il dispositivo. Malcom si avvicinò camminando curvo in avanti, la lingua penzoloni e le braccia che sbatacchiavano incontrollato ovunque.
Lo spavento di Andrew si dissolse osservandolo e fu sostituito da una breve raffica di rantoli: la sua risata.
«Ehi, campione. Dovresti dormire un pochino, sai? È ancora presto per alzarsi» sbadigliò mentre risistemava la cannula.
Il piccolo emise un breve sospiro sibilante, tirando fuori da sotto le coperte il modellino della Cannonball.
«Papà, quando arriva lei?» domandò con un filo di voce, gli occhi febbricitanti fissi sul giocattolo che accarezzava amorevole.
Il padre lo imitò, passandogli una mano tra i capelli scuri e sulla fronte per sincerarsi che la febbre non fosse salita.
«Arriverà a ottobre. Mi sa che non dovremo farle granché, a meno che Gunner non abbia intenzione di fare a spallate con gli avversari o con i muri».
«Arriva dopo che Gunner vince tutte le gare?» pigolò sognante.
«Sì, Andy. Quando avrà vinto il campionato, altrimenti dovrà farselo a piedi. Non sarebbe molto corretto da parte nostra fargli questa sorpresina».
Il petto del bambino sussultò, scosso da una risata ansimante e flebile.
«Posso venire a vederla? Ti prego, papà» implorò.
Malcom credeva gli avrebbe domandato di poterci salire o d’incontrare il suo pilota del cuore per avere un autografo, non una cosa tanto semplice. Vedere la sua airship, nient’altro.
«Ma Andy, tu non verrai solo a vederla! Ti ci faccio salire e se riesco a convincere Clay, magari te la faccio anche guidare, lì nello spiazzo dietro l’officina. Ci stai?»
Il sorriso del piccolo si fece ancor più grande.
«Posso guidarla? Come Gunner?» chiese trepidante, abbassando lo sguardo sul minuscolo posto di guida.
Era facile immaginare quali fantasie attraversassero la sua mente.
«Beh, andremo un po’ più piano: quella non è una pista da corsa. È solo… uno spiazzo» scherzò.
«Mi insegna Jack come si fa? Lui è capace».
Era stato proprio il collega del padre a regalargli il modellino cui teneva tanto e a fornirgli i rudimenti del mondo delle corse accennando, per la prima e ultima volta in vita sua, al suo passato di pilota mancato.
«Se non lo fa, può dire addio ai suoi ricciolini! Su, ora dormi».
Seppur controvoglia, Andrew lasciò che il padre gli rimboccasse le coperte e chiuse gli occhi.
Malcom attese che si addormentasse, poi prese delicatamente la Cannonball e la posò sopra il mobiletto dell’inalatore quasi fosse un piccolo guardiano.
Quando entrò in camera da letto, trovò sua moglie sveglia. Guardava fuori dalla finestra, avvolta in uno scialle sformato. Probabilmente l’aveva atteso spaventata a morte dopo essersi svegliata e aver scoperto non aveva toccato il letto, fin quando non l’aveva sentito correre da Andrew.
«Scusa, Mel. Non volevo farti stare in pensiero. Ero stanco morto e mi sono addormentato in soggiorno. Stasera le consegne non finivano mai» si giustificò cominciando a spogliarsi.
«Non fargli promesse assurde. Per favore» bisbigliò.
«Non sono promesse assurde. Sta guarendo e merita un premio d’incoraggiamento» rispose sorridendo orgoglioso.
Sedette sul letto, cercando di sfilare la canottiera: conosceva bene l’apprensione di sua moglie così come sapeva leggere nei suoi silenzi, e quello che seguì non gli piacque affatto. Rimase a osservarla mentre continuava a dargli le spalle, immobile contro l’infisso. Lo stava evitando, il che non significava mai buone notizie.
«Melanie, che succede?»
Dapprima, la donna scosse la testa, poi si lasciò scivolare a terra singhiozzando.
«Gli esami… non c’è… miglioramento. Andy non guarisce più. È… è come… se si fosse bloccato».
Le mani di Malcom s’irrigidirono sulla fibbia dei pantaloni, raggelate.
«P-però… non è neanche peggiorato» obbiettò.
«Se non ci sono miglioramenti nei prossimi due mesi… i dottori… hanno… hanno detto…»
«Cosa?» domandò inginocchiandosi al suo fianco e prendendola per le spalle. «Cos’ha detto i dottori, Mel?»
Lei inspirò più volte, tentando di calmarsi, ma dalla sua faccia era evidente che ciò che stava per dire era qualcosa di troppo doloroso perché essere affrontato in qualsiasi modo.
«Lo escluderanno dal programma» riferì d’un sol fiato.
Quella frase suonava come una condanna. Senza terapie, i respiri del loro bambino si sarebbero spenti nel giro di pochi mesi. Come potevano fargli questo? Con che coraggio gli avrebbero negato la possibilità di una vita normale? Di una vita?
«No. Non succederà. Andrew sta solo passando una fase. Una fase di assestamento. Capita. Riprenderà a migliorare, vedrai» la rassicurò, aggrappandosi con tutto se stesso alla speranza nel cambiamento, che ormai riteneva la sua nuova fede.
Malcom rifiutava di credere che i rivolgimenti cui stava assistendo portassero frutto solo ad altri e non a suo figlio. Era assurdo, inconcepibile. Il suo Andrew non poteva essere tagliato fuori da quell’ondata di trasformazione: ne aveva diritto molto più di altri, non potevano negarglielo solo perché la sua guarigione non seguiva l’andamento delle loro stupide tabelle! Suo figlio era diverso dagli altri pazienti, Andrew era speciale!
«E se…» mormorò con voce rotta Melanie.
«È un combattente, un campione come Tyren Gunner: non parte bene e vince sempre» s’intestardì abbracciandola, così che soffocasse il dolore contro il suo petto.
Guardò la porta della stanza di Andy, dirimpetto alla loro. La tenue luce della lampada da notte scorreva sulle pareti e sulle tende, disegnando piccole airship, bandiere a scacchi e corone d’alloro.
«Vince sempre. Sempre» ripeté tra sé.

***

«Buongiorno, signore».
Ostap levò gli occhi sul volto di Thomas, sfilando gli occhiali da lettura.
«Benedetto figliolo, che faccia da funerale hai stamane! Qualcosa non va?» chiese osservandolo posare la colazione all’angolo della scrivania intarsiata di tartaruga e legni rari.
«I giornali di oggi» rispose atono, porgendoglieli.
Lui li squadrò per un istante, in bilico tra curiosità e scetticismo. Fu seriamente tentato di rimandarne la lettura a pranzo, tuttavia l’espressione della sua guardia del corpo lasciava presagire maretta. Decise pertanto fosse preferibile chiudere con il capitolo diciotto de “Chirinda
1. La Guerra dei Diamanti Verdi”: avrebbe ripreso poi dal punto in cui l’autore ipotizzava il metodo impiegato vent’anni prima da Leonid Grigorjan per immettere le gemme illecite nel mercato dei diamanti di Rostov, prendendosi il tempo necessario per appassionarsi alle indagini.
«Di grazia, non vorrai dirmi che si sono accaniti di nuovo contro il povero Ostap Avelan e la signora Alexandra Stuart? Chi mai potrebbe avere così poca creanza dopo la meravigliosa intervista rilasciata ieri e il principesco buffet che è stato offerto per placare anche gli animi più bizzosi? Dubito che persino l’Imperatrice Caterina ne abbia mai dato uno tanto ricco, e loro lo ricambiano in questo modo bieco?» commentò scorrendo le pagine dei diversi quotidiani nazionali.
Molti riportavano in pompa magna il resoconto della conferenza stampa condito di fotografie sue, di Sandy, degli architetti e dei modellini del museo. Svariate colonne riprendevano in maniera piuttosto dettagliata l’intervista, sfoggiando le consuete sbavature e interpretazioni che fungevano da gancio per quesiti, riflessioni, voli pindarici e commenti da calunniatori e sostenitori inseriti ad arte. Nulla di così sospetto da giustificare la cupa preoccupazione del suo uomo.
«Qui vedo solo elogi, Thomas; tanto per me e le mie copiose elargizioni gastronomiche, quanto per l’esaustività della cara Sandy. A quanto pare le sue maniere persuasive hanno scardinato anche le menti più ottuse. D’altra parte quella donna sa il fatto suo, era fin troppo facile immaginare che li avrebbe tenuti a bada. Clayotn dovrebbe rivedere le sue posizioni e risposarla: donne così sono delle autentiche benedizioni. Evidentemente io sono il solo a non essere in grado di scovare una compagna capace di tanto» sospirò abbattuto rigirando tra le dita un syrniki
2.
Lo schiarirsi la voce di Thomas rappresentò l’ennesimo campanello d’allarme: replicava a quel modo solo quado la sua mente era già proiettata verso la soluzione di qualcosa. E scrutando con la coda dell’occhio la sua faccia d’ebano china sulla teiera, Ostap comprese che l’ironia non avrebbe attecchito.
«Ma tu non mi stai ascoltando. E quel broncio dice che dovrei leggere dell’altro. Dove?» chiese rimestando la smokva
3 nella sua graziosa ciotolina di vetro dipinto.
«Qui, signore. L’ultimo trafiletto» replicò indicando il fondo della pagina.
Un articoletto di contorno richiamava i trascorsi poco puliti di Niklas Almgren, le sue frequentazioni con gente assai poco raccomandabile, bordelli e alcolici, proponendone un ritratto efficace e dettagliato, anche se non del tutto corrispondente. Il reporter di turno era andato a scavare tra chissà quali incartamenti, per riportare a galla quegli scabrosi dettagli; di certo possedeva delle ottime fonti.
Lo sguardo di Ostap corse al libro-denuncia sul fantomatico delinquente suo connazionale. Un sorrisetto divertito gli curvò le labbra.
«Notevole l’abnegazione che certi cronisti mettono nel loro lavoro, a prescindere da chi abbia attirato il loro interesse. Notevole quanto inutile: Niklas non è più a capo della “Legendary” da anni, e i suoi trascorsi a livello giuridico e finanziario fanno parte del passato. Si tratta di un accanimento pericoloso, che potrebbe portare a conseguenze spiacevoli, dico bene?»
«Benissimo» convenne Thomas versando il tè.
«Ciò nonostante, le insistenti voci che vorrebbero questa faccia da sempre coinvolta in chissà quali torbidi intrallazzi, ora le addossano presunti accordi illeciti con figure non meglio chiarite delle malefatte ormai lontane dell’Ingegner Almgren; il che farebbe presupporre che l’intera operazione si regga su basi illegali e funga da copertura per chissà quale orrendo crimine. È questo che vorrebbe insinuare?» domandò passando una mano tra i capelli lustri di brillantina.
«Sì, signore. È esattamente questo che viene riportato».
La smorfia abbattuta di Ostap sarebbe potuta sembrare persino comica, se non si fosse prestata attenzione all’improvviso serrarsi delle mani.
«Cielo, mai un attimo di pace. Vorrei tanto godermi un po’ della sacrosanta quiete della tundra siberiana, piuttosto del sibilare continuo di questo covo di serpi. Ah, che splendore… renne placide che costellano pianure che si stendono a perdita d’occhio, vestite d’arbusti che ci deliziano con i loro fruscii nella brezza. E magari dei deliziosi bliny appena fatti e accompagnati con della semplice panna acida e caviale. E una goccia di kvas di segale e miele. Trovo sarebbe quanto di meglio per scrollarsi di dosso questi infimi veleni e chi ha la malaugurata idea di spargerli su questo nome per proprio diletto. Chiunque sia non deve aver ancora capito con chi ha a che fare. Non trovi, Thomas?»
«Vi suggerirei di non prestare orecchio ai giornalisti. La legge è dalla nostra parte, ogni sentenza emessa l’ha comprovato. Si limitano a montare scandali per garantire la vendita dei quotidiani».
«Un’idea piuttosto trita e ripetitiva, mio caro. Mi da una noia terribile, sai? Insomma, credo si potrebbe produrre buoni articoli scegliendo altri argomenti, che magari attraggano maggiormente l’interesse delle masse e non infastidiscano la mia bile. Gradirei così tanto restasse al suo posto!» si lamentò, addentando la frittella ben ricoperta di smokva.
«Ritiene di voler indire un’azione legale? Preparo gli incartamenti?» propose sollecito.
Era implicito nelle sue parole che avesse predisposto una parte di essi ben prima di riferire le notizie.
Il magnate si allungò sulla poltrona, assaporando il dolce con estrema calma. Di tanto in tanto i suoi occhi scuri salivano a incrociare quelli di Thomas, che se ne stava rigido nel suo doppio petto grigio in attesa di ordini.
«No. Lasciamo alla gente i propri svaghi, per quanto fasulli essi siano. Avrà presto qualcosa di più grandioso di cui parlare e al quale rivolgeranno meravigliati gli occhi, dimenticando quelle inutili macchie d’inchiostro maldicente» decretò tamburellando con le dita sulle labbra arrossate dalla composta.
Congedò con un cenno l’assistente e rimase a pensare, lisciando distrattamente la barba mentre sorseggiava il tè. Oltre le finestre binate del suo studio scorgeva l’angolo sud-est dell’“Ultramarine Dove”. Riusciva a immaginare Aris abbigliato di bianco, in piedi al centro dell’immensa vetrata, che lo scrutava di rimando dal suo altissimo nido d’ombre.
«Ragazzo, così non va bene» disse scuotendo il capo bonariamente, quasi fosse un genitore che redarguiva il figlioletto capriccioso. «Puoi giocare con me finché ti pare, ma devi star bene attento a quale gioco scegli. Sono pochi quelli ai quali non so vincere e da questi mi tengo alla larga: non c’è gusto a gettar via le proprie risorse se non si ha qualcosa in cambio».
Versò altro infuso e vi aggiunse un abbondante cucchiaio di miele, disegnando arabeschi e cerchi concentrici sul fondo, picchiettando ritmicamente lungo le pareti di ceramica.
«Soprattutto, se vuoi giocare con me, devi stare alle mie regole. Non ho grande stima di chi ne inventa di proprie. Credo però che tu questo lo sappia già, o non staresti facendo le tue mosse. Non è così, Aris?» e levò la tazza, chinando appena il capo in segno di saluto.

1 Chirinda: minuscolo insediamento del Territorio di Krasnojarsk, nella municipalità di Ėvenkijskij Rajon.
2 Syrniki: frittelle a base di ricotta, da farcire a piacere.
3 Smokva: dolce simile ad una composta di frutta, preparato con pezzi di mele cotogne, prugne e sorbo o fichi (detti appunto “smokva”).

Writer's Corner
Ben arrtivata a TheWhiteDoll! Aspetto i tuoi commenti alla storia.
E grazie ancora ai lettori e recensori attuali:
Shade Owl, pheiyu, Wild_Demigods, Akainu magma, blood_mary95, maddampini, Ernesto507, LibertyStyle, Heven Elphas, tortuga 1 e vita17.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Ely79