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Autore: WarHamster    25/11/2013    8 recensioni
Sembrava una buona idea.
Il passato è importante in questa frase, sottolineiamolo, sembrava.
Un bacio per un caffè è un’idea balzana, forse poco saggia; più di una vecchia impellicciata ha sbattuto stizzita la borsetta alla vista di quel cartello infiorettato.
E non gli danno nemmeno un aumento.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Quella mattina d’aprile
(caffè freddo, il sole sul bancone e le vacanze di pasqua alle porte)


Sembrava una buona idea.
Il passato è importante in questa frase, sottolineiamolo, sembrava.

Un bacio per un caffè è un’idea balzana, forse poco saggia; più di una vecchia impellicciata ha sbattuto stizzita la borsetta alla vista di quel cartello infiorettato.
E non gli danno nemmeno un aumento.

Ad Alessandro non importa più di tanto, entrano quelle ragazzine con i leggins e le magliette svolazzanti, leggono il cartello, ridono, poi si dicono che il barista non è male.
Ha perso il conto delle liceali che ha baciato.
Ogni tanto ne passano anche di quelle acide, e le cose si fanno divertenti. Alcune hanno gli occhiali spessi e quelle maglie di lana troppo grandi per le loro spalle strette, e un po’ ci pensano, poi si nascondono dietro un libro e ordinano il solito cappuccino, ce ne sono un paio così ogni mattina.
Altre occhieggiano il cartello, ridacchiano fra sé e sé, sono quelle che di un bacio così se ne fanno poco o niente e ad Alessandro non dispiacerebbe conoscerle più a fondo – sorride mentre immagina sua sorella che lo chiama animale.

Come tutti i giorni arriva quel momento, quello della mattina-quasi-inoltrata, quando i liceali sono già nelle loro classi e gli universitari ancora nei loro letti, quel momento strano in cui i vecchietti non ancora deciso di portare fuori il cane e le signore della Torino bene migrano verso i caffè storici.
Il suo è solo uno dei tanti bar dell’infinita via Nizza, ma quella mattina c’è quel cartello a cambiare le cose.

Alessandro aveva riso quando Stacy se n’era arrivato con quell’affare rosa in stile “a penny for your thoughts”. Quell’australiano pazzo, non gliene frega niente di quello che potrebbe pensare la gente di fronte a una proposta del genere; lui predica di felicità e altre stramberie, vive nel suo mondo di pane amore e fantasia e raramente si degna di tornare coi piedi per terra,
Ale non sa se ammirarlo o aver voglia di spaccargli la faccia, e forse è proprio per questo, perché non sa come guardarlo, che ha annuito un po’ perplesso mentre quel suo quarto di anima da playboy la prendeva come una sfida bella e buona.

Così era cominciata la sua giornata, un mezzo sorriso e quell’atteggiamento che normalmente riserva alle ragazze dei locali in centro – i gomiti appoggiati sul bancone, qualche battuta trita e ritrita, sfiorarle la mano al momento giusto.
Arrivata la mattina-quasi-inoltrata tira un sospiro di sollievo, avrebbe potuto andargli tanto peggio. Ecco, in quel momento ancora gli sembrava una buona idea, pazza, ma buona.
Poi in quella calma piatta è arrivato lui, una nave spaziale sconosciuta in quella distorsione spazio-temporale – metafore stupide, Ale è un artista in questo campo, soprattutto quando ha tempo da perdere.
E si guarda un po’ attorno, alla maniera di uno che non è mai stato lì, e non c’è mai stato, o Alessandro se lo ricorderebbe.

Ha quella bocca alla Mick Jagger e i capelli scompigliati come un modello inglese, come un ragazzino che ha bigiato.
Ale ci pensa su un attimo, si chiede che diavolo ci faccia lì quando il sole scalda e il Valentino è a pochi passi.
Bisognerebbe parlarne un po’, di questo ragazzino, prima che l’idea di Stacy smetta di sembrare buona.

Camminava proprio verso il parco, lo zaino logoro un po’ più leggero del solito, il portafoglio leggero come al solito.
Sognava ad occhi socchiusi un caffè e qualcosa di dolce per mandarlo giù, e allora camminava un po’ più in fretta, era sicuro che l’erba ancora bagnata e gli scoiattoli curiosi l’avrebbero distratto abbastanza perché arrivasse mezzogiorno.
Avrebbe letto sotto il sole e si sarebbe dimenticato delle ignoranti lezioni di letteratura inglese, di tutti i suoi autori preferiti saltati a piè pari.
Questi erano i suoi programmi prima che vedesse il cartello.
Un bacio per un caffè, con il portafoglio vuoto sembra allettante.
Con il menefreghismo di un liceale annoiato che non vede l’ora di finire l’anno e diplomarsi si può fare.
Entra con quella sua camminata svogliata, di uno che non sa dove sta andando e trotterella dove lo spinge il vento.

Ed eccolo lì, e Ale sa subito che ha bigiato – è un esperto anche in questo.
Il ragazzino – Mick Jagger, lo chiama Ale nella sua testa – Mick Jagger punta al bancone «Un caffè lungo» miagola da quella bocca larga e curvata all’insù.
Quando Alessandro appoggia la tazzina sul bancone ha una sorta di premonizione, c’è qualcosa, nel legno scaldato dal sole, che gli dice oggi sarà diverso.

E Mick Jagger si avvicina di più «Lo pago adesso?».

Senza parole non è, ne avrebbe eccome, per dirgli di non tirargli così il colletto della camicia che ci mette un quarto d’ora a stirarla la mattina, per dirgli che bastava un bacio finto di quelli da film. Ma Mick tiene le labbra incollate alle sue, e mordeleccasucchia, tutto insieme, come lo sappia fare nemmeno Ale lo sa, ma ringrazia che sia mattina-quasi-inoltrata e il bar sia vuoto.

Alessandro chiude gli occhi, una mano è fra quei capelli da modello – caramello pallido, per usare uno di quei nomi stupidi da tinta al supermercato – e Mick con un ultimo morso si stacca, fa resistenza alla sua presa. In qualche modo finiscono per guardarsi, e tutti e due incazzati, per motivi che si mescolano e si interscambiano.
Già finito? Perché l’hai fatto?

Cosa succede adesso?
E ogni liceale lo sa, le incognite fanno incazzare, che siano x o domande irrisolte.
E Ale non ha voglia di lasciare quei capelli.

E Mick Jagger ha di nuovo quel sorriso da volpe, e una costellazione di lentiggini che sembrano fatte apposta per prendere in giro.
Passa la lingua sul suo labbro inferiore, quello che ha morso. Se ne va, senza tanti complimenti, senza nemmeno salutare, con il suo zaino leggero e i capelli ancor più scompigliati, senza nemmeno bere il caffè.

E Alessandro è di nuovo solo, in quella mattina-quasi-inoltrata di aprile.
Ha la sensazione di poter cadere da un momento all’altro, di poter inciampare su quella bocca larga da Satisfaction – I can get no! – e prende quella tazzina ancora piena, chissà che non lo tiri su.

Ma il caffè è ormai freddo sul bancone inondato di sole, e le vacanze di pasqua sono alle porte.
Mick Jagger non passerà più di lì, per dieci giorni o poco più, quanto basta perché si scordi di un piccolo bar su una via infinita.

Non sembra più una buona idea, Alessandro lo sa.
Ma quel cartello rimarrà lì, a stizzire le vecchiette e divertire le ragazze.
E confondere il barista.




NdA: Non so se qualcuno di voi conosca via Nizza, ma vi posso assicurare che attraversa 5 continenti.
E tutto questo è molto nonsense, ognuno la veda come vuole...
   
 
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