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Autore: Kumiho    29/11/2013    2 recensioni
Io detesto il cielo del mio paese,non fa altro che piovere...
come un monito per ricordarmi quanto sono debole.
Ma è in quelle rare e brevi giornate di sole che credo di detestarlo ancora di più;perché ha lo stesso colore cristallino dei tuoi occhi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAP. 4
 
 
 
Il vento freddo d’autunno gli intorpidiva le guance arrossate e gli scompigliava i capelli biondi. Inghilterra si strinse ancor più nelle spalle, affondando nel colletto spesso e nella sciarpa di lana pesante. Le foglie si alzavano appena ai suoi piedi, sfiorandogli i polpacci e le punte delle scarpe, prima di svolazzare qualche metro più avanti per poi tornare indietro, in un mulinello lento e ghiacciato. Per quanto sperasse che la sensazione di gelo contro la schiena e le cosce si attenuasse, l’umidore gelido della panchina di legno contro il proprio corpo non passava mai, costringendolo a rabbrividire ogni pochi minuti. Inghilterra alzò appena lo sguardo, verso la fine dell’enorme giardino, verso le colline ed i prati sconfinati, verso l’orizzonte che sembrava non finire mai. Per quanto gli facesse male, per quanto sentisse il gelo annidarglisi nelle ossa ogni volta che cedeva a questa consapevolezza, Inghilterra fu costretto ad ammettere quanto quel paesaggio fosse intriso di voglia di vivere e di libertà.
 
Sospirò appena e il proprio respiro venne portato via da un alito di vento, una nuvoletta pallida e grigia dispersa nell’aria. Tentò di ricordare cosa provasse quando guardava tutto quello appena pochi secoli indietro, tentò di ricordare ogni traccia di adrenalina e di gioia orgogliosa ammirando le coste verdi e i boschi infiniti di quella terra enorme e bellissima che era stata sua per troppo poco tempo, e un’altra ondata di gelo lo paralizzò rendendosi conto che la sua gioia ed il suo orgoglio non erano mai stati abbastanza. Come non erano state abbastanza le volte in cui lo aveva abbracciato e fatto addormentare stretto a sé, in cui gli aveva letto favole o stretto semplicemente per mano.
 
Inghilterra non aveva mai rimpianto nulla in tutta la sua lunga e gloriosa esistenza, non aveva mai dovuto farlo; anche quando le battaglie erano perdute e sentiva l’odio di mille e più esistenze gravargli sulle spalle, non aveva mai dovuto né voluto chiedere niente né rimpiangere alcunché. Ma c’erano quei momenti, in cui il ricordo del sorriso di America era troppo pesante ed insopportabile. In cui  non poteva fare altro che ripensare all’ultima volta che lo aveva guardato, puntandogli un fucile alla gola e gli aveva letto negli occhi l’orgoglio e la mancanza di bisogno di qualcos’altro, lui compreso. L’ultima volta, gli ultimi secondi in cui era stato suo. Ed il rimpianto lo avvolgeva come una morsa fredda, inondandogli il cervello di dubbi e di ipotesi mai considerate. E come se fosse uno scherzo del destino, proprio in quei momenti, proprio quando sapeva che dopo i bei ricordi sarebbero dovuti arrivare la rabbia e l'odio scaturiti dalle delusioni, il suo cuore si riempiva di un amore infinito verso di lui. Ed odiava se stesso così tanto per non essere in grado di odiare America, mentre i suoi occhi si velavano di lacrime e le sue braccia si colmavano del desiderio di stringerlo a sé come faceva una volta. Perfettamente conscio che odiare America, per il suo cuore, era solo un'utopia: desiderata ma irrealizzabile.
 
Inghilterra chiuse gli occhi, lasciandosi andare ancora di più contro la panchina gelida. Aspettando che il gelo lo intorpidisse ancora un po’.
 
- Hai deciso di morirci assiderato, su quella panchina?-
 
Inghilterra sbuffò, liberando un’altra nuvoletta bianca dalle narici che volò via, scomponendosi nel vento. Aprì gli occhi e girò lentamente il capo verso America, in piedi, sul porticato di legno sverniciato. Il maglione azzurro pallido gli fasciava il petto largo e i fianchi stretti facendolo sembrare ancora più alto e robusto. Inghilterra abbassò lo sguardo verso le proprie gambe, trovandole improvvisamente e vergognosamente sottili e magre. Nemmeno il buon odore di caffè che gli arrivò presto sotto al naso riuscì a scuoterlo da quell’apatia malinconica in cui sembrava sprofondato.
 
- Vieni dentro o no?- Parlò di nuovo America, sfiorando con la mano una delle colonne del porticato, facendosi più vicino.
 
- Sì- Rispose Inghilterra, e un’altra nuvoletta, più grossa e più bianca gli uscì dalla bocca e volò via.
 
 
 
 
 
 
Inghilterra si accomodò meglio sulla grande poltrona color pesca, portandosi il caffè bollente alle labbra, fissando il fuoco del camino acceso. Sentiva le ginocchia e i polpacci, ancora intorpiditi dal freddo, pungergli piacevolmente, ammorbiditi dal calore del fuoco. America gli sedeva accanto, seduto sul tappeto, le guance appena arrossate e gli occhi azzurri illuminati dai riflessi vivi delle fiamme nel camino. Sembrava il ritratto di una delle loro giornate invernali, quando Inghilterra veniva a trovarlo riempiendolo di regali, tentando di soffocare la lontananza straziante dei mesi in cui non aveva potuto vederlo, ma America non sembrava mai contento finché non si sedevano insieme davanti al fuoco e Inghilterra non iniziava a raccontargli qualche storia di glorie passate fatte di leggende e miti persi negli anni. Inghilterra si sentì nuovamente avviluppato in una morsa gelata e strinse forte gli occhi, prendendo una lunga sorsata bollente, per impedirsi di pensarci ancora.
 
- Erano diversi anni che non accendevo il camino d’autunno. Tutto questo freddo è quasi preoccupante…- Mormorò America, sporgendosi con l’attizzatoio verso la legna arsa e smuovendola appena facendo ingigantire la fiamma. -Anche da te fa così freddo?- Gli chiese senza voltarsi.
 
Inghilterra stette un momento in silenzio per poi assentire con un mugolio. In realtà quel freddo non aveva nulla di strano né di insopportabile, ci era talmente abituato che, anche senza accendere il camino, gli sarebbe sembrata una temperatura ideale. Ma quel gelo che gli era nato nelle ossa e intorno al cuore non aveva nulla di sano né di consueto.
 
- America…- Mormorò pochi minuti dopo, appena il proprio corpo gli sembrò caldo abbastanza - Io devo tornare a casa.- Concluse con un fiato che gli costò più di quanto avrebbe creduto.
 
America rimase in silenzio, continuando a fissare il fuoco, per poi portarsi l’ultimo sorso di caffè alle labbra mormorando -Lo so…-   
 
America si alzò con uno sbuffo stanco, posando la tazza di caffè sul tavolino più vicino. E Inghilterra sentì il cuore battergli più velocemente appena lo vide chinarsi su di lui, un braccio contro lo schienale della poltrona e l’altro sul ginocchio di Inghilterra. Obbligandosi a non guardarlo negli occhi, seguitò a fissare le fiamme del camino, vive e abbaglianti.
 
- Vuoi una mano a fare le valige?- Nessuna nota di malizia né di irritazione a stonargli la voce, solo un sottofondo deluso e controllato.
 
Inghilterra sentì le labbra piegarsi un sorriso malinconico. Per un attimo America tornò nuovamente bambino, quando con le lacrime agli occhi e la candela al naso si sforzava di non piangere mentre lo aiutava a fare i bagagli, e Inghilterra una volta a casa li apriva, trovandovi dentro infiniti regali: dal cibo, ai disegni, alle costruzioni di legnetti umidi, tenute insieme da lacci logori e nastro adesivo. Quando si voltò verso di lui lo trovò a testa bassa, l’aria abbattuta degna di un bambino cresciuto troppo in fretta, mascherata da una piega dura nelle sopracciglia. Senza pensarci sollevò una mano, passandogliela tra i capelli biondi, illuminati dai riflessi rossi del fuoco, e America alzò appena il volto con aria interrogativa, incapace di reagire anche quando le labbra di Inghilterra toccarono le sue.
 
 
Lo baciò sulla bocca, come aveva fatto mille volte quando era piccolo, un brevissimo contatto umido e innocente traboccante ogni goccia dell’amore infinito che provava per lui. Una mano tra i ciuffi biondi e l’altra in grembo. Fu un gesto talmente spontaneo e malinconico che passarono diversi secondi prima che Inghilterra si scostasse da lui con aria allarmata. Sentì le guance andargli a fuoco, incapace di continuare a guardarlo, spostando velocemente lo sguardo dall’espressione sorpresa di America alle fiamme del camino alla tazza nel suo grembo, aprendo e chiudendo la bocca, incapace di trovare l’ossigeno necessario a respirare di nuovo.
 
- M-Mi… mi dispiace, io… Scusami, non…-
 
Inghilterra non riuscì a fare altro che balbettare parole senza significato mentre uno strano calore spaventato gli nasceva nel petto, e l’imbarazzo cresceva sempre di più impedendogli di completare una frase qualsiasi. Proprio quando stava per alzarsi, gesticolando e soffocando tra mille altre scuse tartagliate, per allontanarsi da lui il più velocemente possibile, fece appena in tempo ad avvertire la stretta forte di America sul proprio braccio e sulla schiena, prima che le loro labbra si incontrassero nuovamente.
 
Ad Inghilterra sembrò di annegare, un uno strano limbo in cui ogni nuovo secondo si scopriva dimentico di quello precedente, mentre il calore del corpo di America si faceva sempre più tangibile e il suo respiro sul volto più reale. Solo quando sentì le labbra dell’altro schiudersi accarezzando le proprie con la lingua riuscì a trovare la forza per tentare di scostarlo da sé, più per un riflesso spontaneo che non per vero bisogno. Sollevò le braccia afferrandogli le spalle, scoprendole grandi e forti, troppo forti. Sentì i muscoli indurirsi sotto i palmi tremanti, per poi essere strinto al corpo grande di America ancora di più, mentre sentiva la lingua dell’altro entrargli in bocca, accarezzando gli incisivi e l’interno delle proprie labbra. Uno strano crampo allo stomaco gli paralizzò il respiro, costringendolo ad ansimare contro la bocca di America, che non accennava a volerlo lasciar andare. Sentì la tazza di caffè caldo scivolargli dalle ginocchia e cozzare contro il pavimento, udì i cocci schizzare via, contro il legno del parquet, ma il respiro di America aveva un sapore troppo buono e le sue braccia erano talmente forti e calde che non riuscì a preoccuparsene per più di pochi secondi.
 
Sentì la voce di America infrangersi in qualche gemito debolissimo contro le proprie labbra, giusto il tempo necessario per liberarlo da quel bacio e precipitarlo in un altro, più profondo ed improvviso di quello precedente. Inghilterra capì di star tremando solo quando gli sembrò di galleggiare nel vuoto, stringendo il maglione di America tra le dita ogni volta che gli sembrava di perdere il contatto con la realtà. America lo abbracciò più stretto, prima di allontanarsi dalla sua bocca per baciargli una tempia ed accarezzargli i fianchi magri e la nuca, ansimando appena.
 
- Arthur…-
 
Fu come una secchiata d’acqua gelida in pieno viso, Inghilterra sentì la gola secca e un dolore dilaniante proprio dietro alla cassa toracica. Fu strano, strano e grottescamente bellissimo. Dietro quel tono caldo, dietro quella voce stranamente bassa e roca riconobbe il tono infantile del bambino che aveva amato più di ogni cosa. Sentirgli pronunciare il proprio nome come faceva da piccolo, e come nessun altro aveva mai osato fare, fu come essere precipitato nella consapevolezza del proibito e dello sbagliato. Gli agguantò nuovamente le spalle, allontanandolo piano da sé, a testa bassa. Udì America sussultare sorpreso, assecondandolo fin quando le sue ginocchia non toccarono di nuovo il pavimento.
 
-…Vado… a fare le valige.- Sussurrò Inghilterra, la voce debole ed involontariamente morbida, come se il sapore di America ne avesse mutato il suono. Non fece in tempo ad alzarsi, però, che sentì di nuovo la presa forte dell’altro trattenerlo.
 
Aspettò che America parlasse, pronunciando una qualsiasi scusa o tentativo di farlo restare. Ma seguirono solo il silenzio ed il disagio di Inghilterra, incapace di voltarsi per guardarlo. Si alzò dalla poltrona, scivolando fuori dalla sua stretta, sgusciando dentro allo stesso freddo che lo aveva avviluppato ogni istante prima che America lo toccasse.  
 
 
 
Mentre le valige si riempivano lentamente, mentre le sue gambe lo portavano da una parte all’altra della propria stanza e le sue braccia si muovevano, come robotizzate, in quelli che sembravano movimenti comuni, la sua mente era ancora invasa dalla sorpresa e dall’angoscia. Nella mente solo la strana consapevolezza del piacere che lo aveva avvolto rendendosi conto di quanto le braccia di America fossero grandi e forti, mentre lo stringevano a sé, e del brivido caldo e inibente che lo aveva paralizzato non appena gli aveva permesso di baciarlo in quel modo un po’ infantile e bellissimo.
 
Le dita gli tremavano ancora mentre tentava di ripiegare le camice ed impilarle ordinatamente l’una sull’altra. Ogni traccia di orgoglio, ogni grammo di autorità era scomparso, soffocato sotto l’improvviso calore che lo aveva invaso in quei pochi secondi. Sentiva solo una gran rabbia verso se stesso e verso la propria incapacità di reagire. Era debole. Di nuovo. Di più. Smise di affrettarsi da una parte all’altra della stanza, sedendosi sul letto e prendendosi la testa tra le mani.
 
Era stato talmente strano che Inghilterra non sapeva nemmeno di cosa preoccuparsi di più, se del fatto che America dovesse essere un fratello per lui, e di conseguenza rendere ciò che era successo appena pochi minuti prima immorale e disgustoso, o del fatto che non riuscisse, nemmeno in una situazione del genere, a prendere una ferma decisione su un qualche punto, sentendosi precipitare in un vortice di confusione e di voglia di scappare lontano. L’unica cosa di cui si sentiva certo era il bruciore sulle guance e quel calore imbarazzante che gli aveva avviluppato il ventre mentre non si preoccupava di altro se non dell’impeto con cui America lo aveva stretto a sé. Era talmente confuso e stranito che non si accorse nemmeno della figura che aveva fatto capolino dietro l’infisso della porta, poggiando la fronte allo stipite di legno e che lo stava fissando da doversi secondi.
 
- Non credevo che ti avrebbe dato fastidio, mi dispiace.-
 
Inghilterra trasalì, lasciandosi scivolare via dalle mani il gilet grigio che stava ripiegando. Non si era ancora voltato verso di lui che le guance gli si erano infiammate ancora di più, e la bocca gli si era inaridita di nuovo. Restò il silenzio, immobile, non sapendo davvero che cosa dire, ogni frecciatina, ogni tentativo di scherzarci sopra sarebbero stonati come un pugno in piena faccia, e Inghilterra rimase semplicemente zitto. Si chinò per raccogliere il gilet e ricominciò a piegarlo in silenzio.
 
Sentì America fare qualche passo verso di lui e non dovette sforzarsi troppo per immaginarsi la sua espressione di disagio: gli occhi azzurri bassi, la bocca ridotta a una linea sottile e le guance arrossate come dopo una corsa, risaltare contro la pelle chiara. Aveva visto quell’espressione talmente tante volte quando era piccolo che sarebbe stato in grado di ricordare qualsiasi particolare.
 
- Sei arrabbiato con me?- Il tono era stranamente deciso e tradiva l’indecisione della domanda stessa, tanto che Inghilterra si voltò verso di lui per accertarsi che gliel’avesse posta sul serio.
 
Il cuore smise di battergli in petto per diversi secondi: l’espressione di America era incredibilmente seria e sicura, gli occhi erano limpidi e decisi e nessuna ruga d’espressione lasciava trapelare alcun senso di disagio né di imbarazzo; aveva le mani in tasca e stava dritto, in piedi, davanti a lui. Inghilterra ebbe la fastidiosa sensazione di stonare di fianco a lui, che sembrava così forte e così adulto, era una sensazione che non aveva mai provato ed era fastidiosa e denigratoria.  
 
Erano poche le volte in cui Inghilterra si preoccupava del pensiero di qualcun altro nei propri riguardi, ma quando succedeva quello il cui pensiero lo preoccupava più di tutti era sempre America. Si chiese se lo trovasse pateticamente imbarazzante, con le gote ancora rosse e le mani tremanti per un semplice bacio, con la fretta di andare via che si leggeva in ogni gesto, il bisogno di scappare trapelante da ogni poro della pelle. Scoprì insopportabile il pensiero che America potesse trovarlo debole o indifeso. Era successo una sola volta e gli era bastato per mille ere.
 
Inghilterra ripose l’ultima camicia nella valigia che chiuse di schianto, facendo scattare le due piccole serrature metalliche ai lati, la sollevò per poi agguantare anche l’altra, già pronta, ai piedi del letto. Imbracciò il cappotto per poi superare America, senza alzare lo sguardo verso di lui, ancora in piedi davanti a lui. Stava quasi per salutarlo ma la voce di America fu più svelta della sua.
 
- Io non sono più un bambino e nemmeno tuo fratello minore, credevo di avertelo già detto. Non ho nessun paletto da rispettare nei tuoi confronti, non puoi avercela con me per una cosa del genere.-
 
Per la millesima volta, quel pomeriggio, il cuore di Inghilterra saltò qualche battito per poi riprendere a battere più velocemente di prima. All’imbarazzo si unì l’irritazione e poi la rabbia. Con un tonfo lasciò andare le valige e si voltò verso il più giovane.
 
- Tu ce li hai eccome dei paletti. Non puoi pretendere di fare quello che ti pare e non aspettarti delle conseguenze. Se hai voglia di farmi arrabbiare tirando in ballo questioni morte e sepolte fai pure, io non rimarrò certo qui a farmi prendere in giro da un ragazzino.-
 
America rimase in silenzio per diversi secondi, ammorbidendo lo sguardo per quello che fi meno di un attimo; si avvicinò ad Inghilterra, posando una mano di fianco al suo viso, stringendo l’infisso della porta di camera e sbuffando come divertito, tradendo quelli sprazzo di tristezza con cui i suoi occhi si erano velati.
 
- Il bacio non c’entra nulla, non è così? Tu non sopporti stare qui per via di quello che io rappresento per te. Sei tu che non riesci a fare a meno di stare male e vuoi darmi la colpa in eterno per questo!-
 
La mani di Inghilterra si mosse automaticamente, stringendogli il colletto del maglione e strattonandolo appena verso di sé, sentiva l’irritazione montargli dentro annichilendo ogni traccia del precedente sarcasmo, ogni traccia di dubbio e di colpevolezza, anche se quel dolore al centro del petto non accennava a scemare.
 
- Tu non sai un cazzo di niente di quello che io penso! Non pretendere di fare l’adulto solo perché lo sembri e non osare pretendere il rispetto degli altri, soprattutto il mio, senza dare nulla in cambio. E smettila di atteggiarti a quello che non sei, tu rimani e continuerai a rimanere solo un ragazzino arrogante! Ora spostati, voglio andarmene di qui.- Sibilò con aria cattiva, lasciandolo andare per poi spintonarlo appena, per farsi spazio.
 
Agguantò nuovamente le valige e si incamminò lungo il corridoio. Ogni suo nuovo passo era come una crepa che si allargava e, per un attimo, Inghilterra temette davvero di averlo perso per sempre. Sentiva solo il rammarico per ogni parola detta e la consapevolezza che l’aver difeso il proprio orgoglio non era valsa nessuna delle parole che gli aveva vomitato addosso.
 
 
- Io non ti chiederò mai scusa, Inghilterra.-
 
Le parole di America echeggiarono nel corridoio deserto, riempiendosi di quella che sembrava solennità. Inghilterra si fermò proprio in mezzo al corridoio, voltandosi per guardarlo meglio. America aveva gli occhi che brillavano, talmente simili a quelli di quel giorno che Inghilterra sentì qualcosa nel suo petto infrangersi dolorosamente. Prendendo un lungo respiro, America, cominciò a camminare lentamente verso di lui.
 
 
- Questo è ciò che sono. Io sono la mia libertà, io sono il mio paese. Amo tutto ciò che ho ottenuto, lo adoro e lo desidero come la prima volta in cui l’ho raggiunto. Niente di tutto questo mi è stato regalato, l’ho conquistato con fatica, impegno e sofferenza… e tu lo sai meglio di chiunque altro. Io ti rispetto enormemente, sai che lo faccio, l’ho sempre fatto, ed è perciò che quello che ho raggiunto ha questo enorme valore. Sono fiero di ciò che sono, di ciò che ho conquistato… so che tu lo vorresti ma io non intendo chiederti scusa per qualcosa che mi sono guadagnato. Non posso farlo… ed è meglio che tu lo capisca, se il tuo obiettivo è di sentirmi implorare la tua pietà o la tua indulgenza.-
 
America, con un ultimo passo, raggiunse Inghilterra, fermo, immobile davanti a lui. La voce ferma e gli occhi pieni di dolore. Inghilterra aveva il petto che faceva male, faceva male come non mai e gli occhi avevano cominciato a bruciargli in modo insopportabile, lottando contro il proprio autocontrollo. Sentiva le lacrime traboccare, lungo le gote rosse e gli angoli della bocca immobili. America si avvicinò ancora, sollevando una mano e accarezzandogli una guancia con le nocche, sorridendo appena, un sorriso caldo e malinconico.
 
- Ma ciò non toglie che io ti ami…- Aggiunse America abbassandosi ancora versi di lui -…ed il fatto che io ti ami nonostante tutto l’orgoglio e l’arroganza verso ciò che possiedo... significa che non potrò mai amare nessun altro come amo te.-
 
Inghilterra abbassò lo sguardo a queste parole, le guance nuovamente in fiamme e il petto colmo di dolore e sollievo. America gli prese il volto con le mani, posandogli un bacio sulla bocca e sugli occhi e solo allora Inghilterra si accorse che le sue mani tremavano, allora sollevò le braccia e gli circondò il collo in un abbraccio silenzioso, come quando era piccolo ed il resto del mondo sembrava così grande. E, improvvisamente, forse per la prima volta dopo tanto tempo, Inghilterra seppe esattamente cosa dire.
 
- Un discorso piuttosto eroico…-
 
America sorrise, in uno sbuffo sinceramente divertito che aveva il sapore della voglia di piangere. Inghilterra si allontanò da lui solo per baciarlo di nuovo, di un bacio che aveva il sapore di lacrime e di amore sincero ed eterno.
 
 
 
 
Pochi giorni più tardi, sul volo di ritorno, Inghilterra aprì il piccolo bagaglio per prendere uno dei libri che non aveva avuto il tempo di leggere, e un piccolo soldatino di legno, scheggiato e scolorito fece capolino da dietro una delle sue giacche scure. Inghilterra sorrise, sentendo gli occhi pungergli di nuovo e si sentì per un breve attimo, nuovamente debole e ridicolo. Accarezzandosi la bocca sorridente con le dita, Inghilterra si scoprì conscio e non più così preoccupato dal fatto che, forse, il suo ultimo barlume di “forza” era davvero sparito quel 4 di luglio, portato via dagli occhi azzurri di America.
 
 
 
 
 
 
FINE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo mille mila anni, è con viva e vibrante soddisfazione che vi annuncio la fine di questa fan fic. Siccome i tempi si sono prolungati di parecchio temo che lo stile di quest’ultimo sarà un po’ diverso dai capitoli precedenti (o almeno lo spero, dato che rileggendoli ho storto il naso non poco). Che dire, spero che vi sia piaciuta e ringrazio dal più profondo del cuore chi ha messo la fan fic  tra le preferite, le ricordate, le seguite e chi ha gentilmente commentato, dedicandomi un po’ del proprio tempo.  Have a nice day! <3
Ps: scusate se ho cambiato font in quest’ultimo capitolo ma… cavolo, era lo schifo! Appena posso cambierò anche gli altri!
Slurp, Kumiho.
 
  
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