Capitolo
31 – Esami
Se i quattro giorni trascorsi dopo l’annuncio di Laura
erano stati terribili, quelli che seguirono furono ancora peggio.
Insopportabili, quasi.
Se
tu parti, io non ce la faccio.
Quelle parole erano impresse a fuoco nella mente di India,
insieme a molte altre, e continuavano a tormentarla ad ogni ora del
giorno e
della notte.
Walter.
Quante cose avrebbe voluto dirgli. In un certo senso
gliele aveva spiegate, le sue ragioni. Taglio netto. Veloce e indolore.
Per
quanto questo fosse possibile, certo. C’erano stati gli
ultimi giorni di
scuola, e India non poteva mettere una benda e non guardarlo
più.
Aveva avuto la tentazione di chiedergli se avesse voluto
dirlo a qualcuno. Veronica, Marco, Eva, Stefania… Ma cosa
c’era, poi, da dire?
Le avrebbero chiesto perché, se per caso non si potesse fare
qualcosa, se era
colpa di qualcuno. Le stesse domande che le aveva fatto Walter. Ma se
parlare
con lui non era servito a nulla, a cosa sarebbe servito il resto?
Se India avesse avuto il coraggio necessario,
gliel’avrebbe detto, tutto quello che le passava per la testa.
Walter, non so
più cosa pensare di
te.
Da una parte ti odio, e non
immagini neanche quanto. Perché mi hai spronata a riprendere
i rapporti con mia
madre, convincendo anche me che fosse la cosa giusta. E poi, proprio
quando
stavo cominciando a credere di vivere in un sogno, sono caduta dal
letto. Sapessi
quanto mi sono fatta male, Walter. Ho un bernoccolo che non accenna a
voler
sparire.
Ed è solo colpa tua.
Se tu non avessi cominciato a farmi
sognare, il risveglio non sarebbe stato così doloroso. Ma io
non avevo mai
fatto sogni così belli, prima, quando tu non eri ancora
entrato nella mia vita.
Quindi dovrei anche ringraziarti, no?
Ma ci sono talmente tante cose per
cui vorrei ringraziarti, che mi sembra di aver perso il conto.
Quante cose hai fatto per me?
Troppe, forse. Troppe cose che non
sono neanche più certa di aver meritato.
E questo è uno degli infiniti
motivi per cui ti amo, Walter. Che poi è la stessa ragione
per cui ti odio.
Ecco, se tu non mi avessi ispirato
sogni così dolci, non mi sarei fatta tanto male cadendo. Se
tu non ti fossi fatto
amare quanto io posso e quanto tu meriti, ora non ti odierei.
Ma se non ti odiassi vorrebbe dire
che non ti amo, no?
E allora preferisco così.
Ti ho chiesto di dimenticarmi.
Forse te l’ho chiesto proprio perché sapevo che
per me sarà impossibile dimenticare
te.
Non lo so, non so più niente.
Vorrei mettere tutto questo in un
foglio di carta, in una lettera, vorrei poterti dirti quello che
c’è da dire.
Ma allora penso che non riuscirei più ad andarmene.
E io voglio amarti, Walter, ma più
di tutto voglio che tu sia felice. E questo non sarà
possibile se continuerò ad
essere legata a te come lo sono stata e come vorrei continuare ad
essere…
E allora perdonami, Walter.
Ma non c’era stato bisogno di chiedere nulla. Gli sguardi
dei suoi amici dicevano tutto.
In un primo momento, Veronica sembrava voler picchiare
India, poi l’aveva abbracciata stretta.
- Perché non m’hai detto niente, maledizione a
te?! –
- Vero, non voglio che nessuno stia male, basto io. – A
quelle parole, Veronica si era sciolta dall’abbraccio e aveva
puntato i suoi
occhi azzurri in quelli verdi dell’amica.
- Questa è la stessa cosa che hai detto a Walter, vero?
–
E India si era vergognata come non mai.
- India, dove c’hai la testa? Quello là
è distrutto.
Perché fai così? Non se lo meritava da parte tua,
sai? –
- Vero, per favore, la pianti di rimproverarmi?! –
- No, non la pianto! Sei liberissima di andare dove ti
pare e piace, India, puoi dimenticarci tutti quanti, ma non puoi
chiederci di
fa’ lo stesso con te. – India aveva rialzato lo
sguardo ed aveva incrociato
quello di Veronica. Questo era bastato a farla sciogliere di nuovo.
- Oh, Vero… come puoi dire una cosa del genere? Io non
dimenticherò mai nessuno di voi, e anche se volessi non ci
riuscirei! – aveva
mormorato, abbracciandola e cercando di non piangere, senza molto
successo. –
Cavolo… maledizione a te, piuttosto! Non
ne posso più di fare la fontana
ambulante! –
- Prepara le riserve, India, anche Marco vuole parlare con
te. –
- Allora siamo a posto… -
E aveva parlato anche con lui, infatti.
- E’ uno scherzo, vero? – era stato il suo esordio.
- No, è la verità. – Inizialmente la
tensione era
palpabile tra i due, ma poi India cercò di non far
precipitare di nuovo il
morale a terra. Con Marco era abbastanza facile lasciarsi trascinare
dalla
depressione. – Dài, ti immagini? Ora dovrete
trovarvi un’altra baby sitter.
Chissà che non sia il tuo futuro grande amore! –
Ma lo sguardo che Marco le aveva lanciato in risposta non
era certo allegro.
- Ma non sarai tu. –
- Marco, ti prego… Non rendermela ancora più
complicata. –
- Per carità, spero solo che tu ti renda davvero conto di
quello che stai facendo. –
- Credi che ne sia felice? – Per un attimo si erano
guardati in cagnesco, poi India l’aveva abbracciato,
così, senza pensarci
neanche. – Venitemi a trovare, un giorno, tu ed
Eva… e portate anche gli altri,
eh?, che laggiù ci si deve stare benissimo. –
- Cavolo, India, che combini? –
- Io non combino niente, sono gli altri che combinano
tutto al mio posto… -
- Certe volte non ti capisco. Come puoi accettare una cosa
del genere? –
Visto?, avrebbe voluto dirgli. Tu e Walter non siete poi
così diversi.
Chissà se in futuro sarebbero riusciti a trovare un nuovo
punto d’accordo… Forse sarebbe rinata
un’amicizia, e con la sua assenza si
sarebbero ritrovate due persone che erano state lontane per troppo
tempo.
Aveva parlato anche con gli altri Cesaroni, quella grande
famiglia di cui ormai si sentiva un po’ parte. Aveva visto le
lacrime di Mimmo,
aveva risposto alle domande di Giulio, aveva visto il muso lungo di
Rudi
accompagnato da un ostinato silenzio. E si era resa conto che le
sarebbero
mancati tutti, dal primo all’ultimo, alla stessa misura.
C’erano stati gli esami, ma India aveva pensato solo a
concentrarsi su se stessa, sul suo tema, sulla sua versione, sui suoi
orali.
Non si era fermata a vedere quelli di nessun altro, si era trattenuta
solo quei
tre quarti d’ora scarsi che erano serviti a rendere conto di
quello che aveva
imparato in un anno di studio.
Ho
imparato molto di più fuori da questa scuola, sapete?
Stefania sembrava non sapere niente dell’imminente
partenza di India. Era stata cordiale e sorridente come sempre, forse
anche
troppo allegra. No, decisamente non lo sapeva. Dunque Walter aveva
deciso di
tenerlo per sé, quel piccolo dolore.
Ma sarebbe passato. Doveva passare.
C’erano stati i risultati. India andò a vedere i
quadri
all’inizio, il primo giorno, di mattina presto, per essere
sicura di non
incontrare nessuno.
Scorse con lo sguardo la lista di nomi stampati sul
foglio.
Fabiani India: 100/100esimi. Evviva.
Non riuscì a resistere alla tentazione e lanciò
un’occhiata di sfuggita ad altri quattro nominativi, quasi
fosse reato vedere i
voti degli altri. Anche Eva era uscita con 100. Marco aveva preso 80,
Veronica
se l’era cavata con un 60…
Masetti Walter: 95/100esimi.
Le venne quasi da ridere. Cinque punti.
Che
saranno mai?
Avessero dato un voto al loro impegno, ai pomeriggi
passati insieme, a quello che ne era nato…
- India! –
Sentendosi chiamare, India si voltò di scatto verso la
direzione
da cui proveniva la voce. Stefania correva verso di lei sorridendo e
agitando
una mano. La raggiunse in fretta. – India, non ci speravo!
Dopo gli esami te ne
sei scappata, pensavo che ti avrei rivista direttamente a luglio!
Perché ce la
fai una visitina quest’estate, vero? – India
mandò giù il nodo che le si era
formato in gola e si sforzò di sorridere.
- Certo… Se potrò. – Stefania sorrise e
lanciò un’occhiata
ai quadri.
- Allora, soddisfatta del risultato? –
- Non c’è male. –
- Oh, ma che vi prende a tutti? – esclamò
scoppiando a
ridere. – Fino a qualche mese fa Walter avrebbe ringraziato
tutti i Santi in
ginocchio se fosse stato sicuro di prendere 60 e adesso, tra poco
inciampa nel
suo mento. Cos’è, stanchezza post-esami?
–
- Forse, Stefania, forse… - La donna la guardò
con
tenerezza.
- India, non mi capaciterò mai abbastanza del fatto che da
settembre non sarai nella mia classe. Però mi fa piacere che
potremo continuare
a vederci. Mi raccomando, tirati su, continua così e fatti
sentire, ok? –
Forse perché non sapeva cosa rispondere, India si sporse
ad abbracciarla.
- Grazie, Stefania. Grazie di tutto. –
Le 23;30.
Walter si gettò sul divano, sfinito per il continuo avanti
e indietro che faceva ormai da mezz’ora per il corridoio. La
notte sarebbe passata,
prima o poi. Peccato che fosse solo all’inizio.
Dopo quella che gli sembrò un’eternità,
strizzò gli occhi
e tornò a guardare l’orologio.
Le 23;32.
Fantastico, erano passati solo due minuti.
Sarà
una notte lunga.
Dall’altra parte della casa, Ezio russava sonoramente.
Speriamo
che almeno lui faccia sonni tranquilli.
Walter rimase lì dov’era, immobile e stravaccato
sul
divano, senza sapere più neanche a cosa pensare. Nella sua
mente si erano
accumulati talmente tanti pensieri, tante domande che si sentiva come
se avesse
appena sbattuto la testa contro un muro.
Ma di quelli duri.
India,
che mi combini, limortaccitua?!
Gli sembrava impossibile. Eppure eccolo lì, Walter Masetti
che, dopo diciannove anni passati senza alcuna preoccupazione al mondo,
ora si
disperava fino a notte fonda per una ragazza che probabilmente non
avrebbe
visto mai più. Le cose erano due: o era lui ad essere
impazzito, o la ragazza
in questione era veramente speciale.
Un po’ tutte e due, magari.
Solo una cosa era certa: non poteva passare un minuto di
più in quello stato, o sarebbe impazzito sul serio. Si
tirò faticosamente su
dal divano e cominciò a rovistare nei cassetti del mobile
del soggiorno finché
non trovò carta e penna. Scostò bruscamente una
sedia dal tavolo e vi si lasciò
cadere, mettendosi davanti il foglio bianco e la penna, senza
preoccuparsi del
fracasso che stava provocando.
Tolse il cappuccio alla penna e cominciò a scarabocchiare:
“Cara India…”
e rimase a contemplare
quelle due parole, solitarie in cima al foglio, per
un’eternità. Dopo pochi
minuti le cancellò con un veloce tratto di penna, e
passò al rigo successivo.
“India,
ebbene
sì, lo ammetto: non ho mai
scritto una lettera in 19 anni. Ma tu meriti molto più di
qualche riga scritta
così, senza pensarci, e allora…”
Si fermò, mordicchiando l’estremità
della penna.
...e
allora eccomi qui, seduto al tavolo in piena notte
come un idiota, a cercare di mettere su carta quello che da mesi sento
per te, avrebbe
voluto scrivere. Ma non
lo fece. Cancellò rapidamente quanto scritto, fino a formare
un’uniforme
macchia nera. Strappò la strisciolina di carta consumata e
la accartocciò.
Riprovò ancora.
“Come puoi pensare
che non me ne importi niente se tu te ne vai? Come fai a cancellare
tutto
quello che abbiamo fatto in questi mesi? Beh, sai una cosa? Io non lo
farò. NON
LO FARO’. Perché ti amo, India. IO TI
AMO!” Si soffermò un istante a
rileggere, poi accartocciò rabbiosamente il foglio e
gettò via la penna.
- Ma vaffanculo! –
Walter si prese la testa tra le mani, chiudendo gli occhi
e massaggiandosi le tempie. Ma aveva la vaga impressione che non
sarebbe
bastato a dargli neanche un po’ di sollievo.
- Walter… -
Inutile voltarsi: sapeva a chi apparteneva quella voce.
Ma, nonostante ciò, il ragazzo alzò la testa e
guardò nella direzione da cui
proveniva il richiamo. Stefania era lì, ferma sulla soglia
del soggiorno, in
camicia da notte bianca, e sorrideva.
- Scusa se ti ho svegliata, mamma. – borbottò lui,
voltandosi nuovamente dall’altra parte.
- E’ da un po’ che sono sveglia. –
Stefania avanzò
lentamente e gli si affiancò. – E tu? Non
è scrivendo che si prende sonno. –
- Lo so. – Stefania scostò una sedia dal tavolo e
vi si
sedette, appoggiandosi con il gomito al tavolo.
- Estenuato dagli esami? –
Walter rimase in silenzio per qualche secondo, fissando il
cielo stellato fuori dalla finestra, poi voltò lentamente la
testa e rivolse a
sua madre uno sguardo stanco. – Un po’. –
- Sono andati benissimo, lo sai. – lo rassicurò
lei, con
un tono che diceva chiaramente “So che non è tutto
qui”.
- Diciamo che ci sono altri esami che non vorrei
affrontare, ma ci sono costretto. – mormorò con
voce carica di amarezza.
Stefania fissò per qualche istante il foglio appallottolato
e abbandonato al
centro del tavolo, poi sospirò e tornò a guardare
suo figlio.
- Walter, vuoi dirmi cosa c’è che non va?
–
Walter non si era mai sentito troppo in confidenza con sua
madre. Tutto quello che lo turbava, lo rendeva felice, lo faceva
arrabbiare,
non gliel’aveva mai raccontato. Ne aveva parlato con Marco. E
quanto gli
mancava quel parlare! Ne aveva parlato con Eva, ogni tanto…
Ma non era lei la
persona che avrebbe potuto aiutarlo, in quel momento.
Ne aveva parlato con India… Ma di cosa avrebbero dovuto
parlare, adesso, se non riusciva più neanche a pensare a lei
senza sentirsi
salire il magone?
Decisamente non era da lui.
E allora avrebbe accettato fino in fondo quel cambiamento
di personalità.
- Mi sento così solo, mamma… -
NdA: qui ci stanno. Anche se adesso, rileggendo la storia, mi sembra incredibilmente stupida, questo capitolo è uno dei miei preferiti. Perchè ho avuto l'onore di conoscere il "vero" Walte, Ludovico Fremont, ed è così che io me l'immagino nella vita vera. Detto questo... il prossimo capitolo sarà l'ultimo, e spero che anche i miei tanti lettori silenziosi lasceranno un commentino.
(michelle, hai
ricevuto la mia email di risposta?)