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Autore: Marlene Ludovikovna    29/11/2013    4 recensioni
1943 - Parigi
Ester Stradsberg; the Swan. Giovane, bella e annoiata moglie di un ricco imprenditore. Ciò che più vuole é la libertà di disinteressarsi a tutto.
Hans Wesemann; the Hunter. Spietato Colonnello delle SS, la sua giacca e ornata da medaglie e i suoi occhi mostrano solo ghiaccio.
Emilie Kaltenbatch; the Hawk. Giovane pittrice pronta a tutto per sfondare e dagli istinti creativi repressi a causa della dittatura a cui sottostà il suo paese. Affascinante, crudele, ambiziosa e, per tutti, indimenticabile.
Jean Russeau; the Treacherous. Ricco, bello ed egocentrico è il re della vita mondana parigina. Ereditiere di un'immensa fortuna dedito al lusso e all'amore per se stesso.
Delle vite vissute a metà come se aspettassero di essere esaurite, così cariche di emozioni e prive di valori da essere memorabili. Anime distrutte al centro della ricchezza, della miseria e della follia. Vite distrutte dallo sfarzo del Terzo Reich.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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Spring: Part 6


Jean accarezzò il nodo ben fatto della cravatta guardandosi allo specchio. 
Oltre alla sua immagine vide riflessa anche quella di Ginet Feller sdraiata sul letto, il corpo coperto solo da un sottile lenzuolo color champagne. 
Non ti prepari? Domandò Jean guardandola attraverso lo specchio. 
La ragazza miagolò strusciandosi sulle coperte. 
Non ne ho voglia. Disse. 
Ah, si? Domandò lui sarcasticamente, girandosi verso di lei.  
Mh, mh. Fece Ginet, maliziosa. 
Be', devi venire lo stesso. 
No. 
Si, mia cara. 
Ho detto di no... Resta con me, Jean... 
Lui rise ironicamente e le porse la mano. 
Al massimo, potresti essere tu ad andartene, dato che questa è casa mia. E ora alzati, non voglio più ripetertelo, cheri. 
Il suo tono era comunque scherzoso, ma lei rimase indignata da quell'improvvisa aggressività.
Jean! Le sue labbra si schiusero in un suono fastidioso. 
Oui, ma chérie?
Non si comportano così i gentiluomini! Rimproverò lei. 
Tesoro, ti senti autorizzata a parlarmi così perché non sono un nazista? Domandò sedendosi accanto a lei, improvvisamente serio e infastidito. 
Pensi che io non abbia autorità alcuna solo perché non indosso un uniforme con una grande svastica? 
Ad ogni parola Jean si avvicinava a lei, sentendo sempre di più il suo tepore, il suo respiro. 
Be', la vedi questa? Esclamò afferrando la spilla del partito nazista. 
La vedi? Ripetè. 
Lei annuì. Oui, oui, Jean. Però adesso calm- 
La sua voce venne interrotta dal violento gesto di Jean che dopo aver afferrato la spilla l'aveva anche lanciata da qualche parte nella stanza, rovinando il tessuto della giacca. 
Jean...Fece lei, prima di essere travolta da un bacio. Io capisco che...
Lui si staccò e la guardò intensamente. 
Se credi che io l'abbia fatto per amore, ti sbagli di grosso. L'ho fatto per me e per me soltanto, è meglio che tu lo sappia. Ma a te non da fastidio che i tedeschi invadano il nostro paese? Che sfruttino le nostre arti come se fossero le loro? Perdio, non ti da fastidio vederti negata la tua libertà? 
Pronunciò quelle parole con un trasporto che sorprese Ginet. 
Facciamo ciò che è meglio per un'ideologia giusta. Disse lei. 
Contenta tu. 
Ginet lo guardò irritata. Jean, rimettiti la spilla, se andrai al ballo senza... Loro non vogliono che vengano commessi affronti, lo sai...! 
So come funziona. La zittì lui voltandosi. 
Jean si chinò per raccoglierla. 
Questa stupida svastica mi ha dato potere, ma fosse per me glielo darei anche indietro. 
Perché dici questo, perché? Dai, smettila. Vieni qui, amami.Disse Ginet mordendosi il labbro. 
Non posso pensare ad amare qualcuno se mi viene negata la libertà. Pronunciò quelle parole cercando di contenere l'astio, ma non aveva mai detto nulla di più vero. Quello era uno di quei momenti in cui l'immagine del divo svaniva per lasciare spazio a quella di un uomo venduto e Ginet non poteva capire. 
Dai, prepariamoci, dolcezza. Disse lui con un sorrisetto rassegnato, sistemandosi i capelli e mettendosi a posto la spilla. Adesso nel suo volto imperfetto ma che lasciava intravedere un fascino magnifico non c'era più astio, solo una profonda ironia. 
Poco dopo erano pronti per uscire. 
Lui guardò Ginet che si sistemava la veletta davanti allo specchio del salotto. 
A volte si sentiva oppresso dalla superflua presenza di lei, non riusciva a descrivere la sensazione. Poteva avere altre mille amanti e lei non avrebbe detto nulla, però se lui avesse osato insultare i nazisti avrebbe fatto un dramma. Era stato con lei solamente per una notte e poi si era quasi trasformato in innamoramento. No, non innamoramento. Era una scintilla che si era assopita dopo poco e adesso sentiva che non esisteva più. 
Guardando fuori le pose una domanda: Sei felice? 
Ginet si volto con un sorriso. Perché me lo chiedi?
Lo sei? 
Non lo so, forse. Sì, credo di si. 
Non ti senti arrabbiata quando i tedeschi ti trattano come se tu fossi una puttana? O forse lo sei...
Jean! Di nuovo quel flebile e stizzito rimprovero. 
Lui rispose con uno sbuffo, ma sapeva che questa volta avrebbe resistito. Non avrebbe spostato l'infelicità di coppia su una conversazione futile, voleva che anche Ginet respirasse quell'infelicità che stava per finire. 
Perché non vai a fare direttamente la puttana, eh? Chiese lui con sarcasmo.
Sei uno stronzo, Jean Russeau! Urlò lei. 
Credi davvero che io non sappia che lo scorso sabato pur di aver un po' di rilievo nella società sei uscita con Goebbels? 
Ginet iniziò a piangere. 
Joseph vuole solo aiutarmi...
Joseph?! Cristo santo, tu sei davvero una puttana. E da quando lo chiami per nome? 
Lei restò a guardare fuori dal finestrino, finché non sputò una risposta: Da quando ho una parte in un suo film. 
Jean alzò gli occhi al cielo per poi scoppiare ad una risata grossa e forzata. 
Le sue risa rimbombavano nell'auto. 
Sai, tesoro, perché non vai da lui e ti offri anche per sta sera? E dato che sei una donna indipendente e che sa fare le sue scelte perché non scendi dalla mia auto e vai a chiedere aiuto a der Fuhrer? 
Le lacrime bagnavano il volto di lei. 
Siete ignobile, monsieur. Quel tono di voce e il cambio di registro segnarono un evidente distacco. 
Ginet lo guardò con astio e lui rispose con un ultimo, violento bacio. 
Jean sapeva quanto il suo modo di vivere fosse terribilmente scorretto, ma sentiva che se gli fosse stato tolto quello lui sarebbe diventato davvero un manichino nelle mani del Terzo Reich. Se gli fosse stata tolta la passione con cui ora baciava una restia Ginet lui sarebbe stato un nessuno pieno di soldi. 
Vai via o ti fai accompagnare fino a villa Stradsberg, dolcezza? Chiese lui con un barlume d'ironia nello sguardo. Era divertito dalla faccenda, adesso. Non si trattava di fare buon viso a cattivo gioco, lui non l'avrebbe mai fatto. 
Jean la baciò di nuovo.
Ho voglia di bere qualcosa. 
Lasciami! Rispose lei invece. Basta, è finita. 
Uh, perfetto. Scusa, dolcezza. 
Entrambi tornarono a guardare fuori dal finestrino. 
Jean era sempre rimasto affascinato dalle relazioni complicate, come quella dei suoi genitori. Si erano sposati per poi iniziare ad odiarsi, quindi costretti a vivere nell'infelicità eterna. 
Per questo adesso trovò fascino in questa disarmonia, in questo battibecco. 

La casa degli Stradsberg era magnifica, densa di quell'atmosfera patinata. 
Guardandosi intorno si vedevano uomini in divisa o con il vestito migliore che avevano e ragazze che indossavano abiti costosi e pregiati ornate di gioielli diamanti. 
Le svastiche erano ovunque, diventando parte integrante di quell'oro, di quella sfrenata mondanità che un tempo gli apparteneva. Tutt'intorno a lui c'era la borghesia nazista, in tutte le sue più complesse sfaccettature. Ciò gli faceva venire voglia di vomitare, ma al tempo stesso si stava divertendo. 
Tutto il suo astio nei confronti dei nazisti stava venendo annegato dallo champagne, dal lusso di cui lui faceva parte. 
Proprio nel momento in cui entrava lui, scendeva lentamente le scale una bellissima Ester Stradsberg insieme a suo marito Wolfgang. Lei era avvolta in un vestito rosso e con una bellissima collana di diamanti e i capelli raccolti in un'acconciatura complessa. 
Ciò che lo affascinava in Ester era il modo in cui chiunque avrebbe potuto dimenticarsi del marito vedendola. Tanto era il suo carisma, tanta la sua bellezza.
Gli Stradsberg gli andarono incontro e lui si preparò a riceverli con un sorriso smagliante e il suo migliore tedesco. 
Ester! Wolfgang! Che piacere! 
Jean! Trillò lei, contenta. 
Lui baciò la mano di Ester e si rivolse al marito dicendo: Vostra moglie diventa più bella ogni volta che la vedo, Herr Stradsberg. 
Come risposta il marito annuì e fece un rigido sorriso, mentre lei ringraziava, raggiante. 
Dopo le convenienze si fermò in mezzo alla sala agghindata ghermita di persone in festa, rendendosi conto che non trovava nulla di cui festeggiare. Eppure ogni volta lo faceva; festeggiava. E per cosa poi? Per essere vivi? Per ringraziare della vita donata affogandola nel superfluo. 
Dall'altra parte dell'enorme sala, sotto lo stesso lampadario di cristallo, una ragazza si voltava incrociando lo sguardo di lui e voltandosi subito dopo con una risata sulle labbra. 
Jean aggrottò le sopracciglia. Quella avvolta in un abito dello stesso colore ambrato dello scotch e con i capelli castani riuniti in boccoli grandi era la stessa ragazza del ristorante. Emilie. 
Gli venne offerto del caviale e lo accettò ben volentieri mentre aspettava.
Emilie dall'altro lato aveva in mano un taccuino e sopra degli schizzi per un quadro, sentiva un impellente desiderio di muoversi, di fare qualcosa. 
Proprio quando Jean stava per andare da lei, dopo un bicchiere di liquore la raggiunse un ufficiale della Gestapo che la invitò ad unirsi a loro.
Il taccuino di lei rimase dimenticato doveva l'aveva appoggiato o meglio, fatto cadere. 
I passi di Jean risuonarono sul pavimento in marmo. 
Raccolse il taccuino, ma si trattenne dal desiderio di aprirlo e leggere ciò che c'era scritto. 
Sentì lo sguardo ostinato di lei, nei brevi istanti in cui si poteva voltare prendendosi una pausa dalle luride e poco divertenti battute dall'ufficiale Hoeffman. 
Le sfiorò la spalla seminuda facendola voltare a quel leggero tocco. Le labbra rosse socchiuse e l'espressione divertita. 
Vi è caduto questo. Disse. Sapeva che con lei avrebbe potuto parlare in francese. 
Merci! Buon uomo! Rispose lei ridendo; in una mano un calice di vino, nell'altra il taccuino appena restituito. 
Poi si voltò verso i nazisti che la stavano guardando incuriositi. 
Ah, Jean! Proruppe una voce da dietro. 
Hans Wesemann! Rispose lui con altrettanto entusiasmo, voltandosi. 
Il nazista gli venne incontro con un sorriso stringendogli la mano. 
Emilie dall'esterno osservava la scena bevendo e con sguardo accigliato. 
Il Colonnello le sembrava ancora più fastidioso e inquietante quand'era allegro e sorridente, come se da un momento all'altro avrebbe potuto avere uno scatto d'ira e uccidere qualcuno. 
I due le vennero incontro e lei salutò Hans. 
Sono davvero contenta che voi siate venuto, Herr Colonel. 
Il piacere è il mio, una casa fantastica quella della vostra splendida cugina. Disse lui con voce espressiva. 
Tra poco andremo tutti, o meglio, la gente più importante, nella biblioteca degli Stradsberg, Ester mi ha detto di invitarla. 
La fraulein è davvero gentile, ci sarò. Ringraziatela da parte mia. 
Jean con espressione desolata s'introdusse nel loro copione. 
Mi dispiace molto, Hans, ma ti dovrò rubare la mademoiselle. 
Wesemann sorrise e disse: Prego, è tutta vostra. 
Poi lui si immerse nelle chiacchiere da nazisti, lasciando Emilie in presenza di Jean. 
I due andarono verso le scale come se sapessero benissimo cosa fare. 
Merci. Disse lei sorridendo con amarezza. 
E di cosa?
Le loro battute non sono divertenti, le conversazioni noiose, gli argomenti irrilevanti. Poi prese un respiro perché aveva parlato troppo velocemente, sputando ciò che aveva da dire. Io sono Emilie Kaltenbatch, in caso non ve lo ricordaste. 
Jean sorrise. Ovvio che mi ricordo e... Dove stiamo andando? 
In biblioteca. Rispose lei, sicura. 
Camminava davanti a lui, che la seguiva per i corridoi patinati. 
Perché ci tenete tanto ad andare in biblioteca? Domandò lui. 
Ne ho voglia. Rispose lei voltandosi.
Quella donna emanava un'energia emancipata, che nella presenza dei nazisti veniva repressa. In quel momento Jean capì che ella gli stava donando una parte di lei che probabilmente non aveva dato a nessun altro sconosciuto. 
Emilie si appoggiò alle pesati porte della biblioteca e spinse, facendosi strada.
La biblioteca era uno spazio enorme, con scaffali di legno che arrivavano fino all'alto soffitto e tappeti pregiati che ricoprivano alcuni punti del parquet. 
C'erano anche dei divani in pelle verde scuro e un tavolino con gli alcolici. 
Emilie appoggiò la schiena alla libreria. 
Vi piacciono i libri? 
Sì, abbastanza. Rispose Jean guardandosi intorno. 
Qui, dove io mi sto appoggiando sono racchiusi molti saggi scritti da buoni tedeschi nazionalsocialisti. Li leggiamo insieme? Fece lei maliziosa togliendosi il giacchetto nero. 
Nonostante avesse visto donne e donne, Jean rimase affascinato da come il colore ambrato dell'abito esaltava la purezza delle sue trasparenze. Quando lei si voltò notò un neo sulla spalla destra. 
Ecco qui, disse lei prendendo un libro. 
Metti giù la biografia di Hitler, carissima. Più che altro, non vuoi qualcosa da bere? Disse lui indicando il bar. 
Sì, c'è dello champagne lì. C'è sempre dello champagne in casa Stradsberg; prendo quello. 
Bien. 
Lui le porse il bicchiere, i loro visi illuminati dalla luce fioca della biblioteca. 
Emilie bevve lentamente. 
Cosa ti ha spinto a venire qui a Parigi tutta sola soletta? Chiese Jean in tono ironico. 
Mi fanno tutti la stessa domanda. 
E qual è la risposta? 
La risposta che do sempre, intendi? 
No, la tua. 
Emilie sorrise. 
Per assaporare il fascino ripugnante della borghesia. Rispose con uno sguardo vacuo. 
Noi facciamo parte della borghesia. Obbiettò lui. 
Sì, questo è vero. Ma ha un discreto fascino se la osservi nel suo pieno invece che da un palazzo di Vienna pieno di gente aristocratica che pensa in modo così poco audace, che pensi? 
Lui sorrise. Quindi siete passata al tu! 
Si, si! E voglio che lo faccia anche tu. Ti prego, chiamami Emilie! 
Jean fu affascinato dalla passionalità con cui Emilie pronunciò quelle parole. 
Lui la guardò insistentemente mentre lei andava a rimettere il libro a posto. 
Sicuro che non vuoi leggere Mein Kampf? Domandò lei inclinando la testa. 
Jean rise. Grazie, cara, sto bene così. 
Emilie ricambiò la risata. 
Sei pregato di non ironizzare sul nostro Fuhrer. Sottolineò la parola nostro fissando la spilla sulla giacca di lui. Il tono di Emilie però nascondeva un sottofondo d'ironia che non la fece sembrare quasi del tutto credibile come se stesse solo imitando chi parlava in quel modo. 
Jean guardò i vari libri sugli scaffali. 
Quando vuoi andare dimmelo. Disse lei, sedendosi sulla scrivania con aria visibilmente annoiata. 
Attenta a non far cadere il... 
Oh, cazzo! Esclamò lei guardando la macchia d'inchiostro sul tappeto. 
Jean corse a vedere il danno. 
Tu sei un genio, Emilie Kaltenbatch. Disse ironicamente guardando in basso. 
Poi il vortice passionale che la travolse non fu affatto inaspettato. 
Jean stringeva i suoi fianchi, scendendo sempre di più, poi le teneva la testa prendendole i capelli con delicatezza e passione, disfandole tutti i boccoli. 
Lui la lasciò, facendola ondeggiare contro la scrivania.
Allora è così un bacio da Jean Russeau. Commentò lei in un appassionato sussurro. 
E c'è molto molto altro. Disse lui travolgendola di nuovo. 
Le labbra si toccavano ardentemente, nel tepore della biblioteca. 
In ogni bacio di Jean e sentendo la spinta del suo corpo sul suo Emilie si sentiva liberata. 
Si staccarono di nuovo, ma lui continuò a tenere il viso osservando i suoi occhi verdi spalancati verso di lui, lucidi per il desiderio. 
I loro respiri erano affannati, desiderosi d'aria. 
Jean sentì che avrebbe potuto osare, in quel momento. Avrebbe potuto alzare il vestito di Emilie, avrebbe potuto... 
Dimmi la verità, Jean Russeau... Interruppe lei i suoi pensieri, ipnotizzandolo come mai gli era successo. 
Perché hai deciso di collaborare? 
Lui fece una smorfia rassegnata. 
O collabori o perdi tutto, è così che funziona, dolcezza. 
Io ho tutto. 
Tu collabori. 
Sì, per amore della Germania. 
Di nuovo quel disco rotto s'impossessò della voce calda di lei. 
Jean la bloccò per le spalle. 
Dal momento in cui ti ho vista non ho mai creduto nel fatto che tu nutrissi una vera fede in Adolf Hitler. Dimmi tu la verità adesso. 
La verità? E potrei fidarmi di te? 
Sai che è un rischio, ma mi hai portato qui in biblioteca. I tuoi rischi te li sei assunti. 
Sì. Sussurrò lei. 
Poi gli buttò le braccia al collo. 
E lui lo fece, lui alzò il vestito e lei, seduta sulla scrivania lasciò che lui s'impossessasse del suo giovane e bellissimo corpo. 
Si sentì inusuale, libera, emancipata. 
Ebbe un gemito e lui fu soddisfatto nel sentirlo. 
In quel momento Jean non ricordava delle altre donne prima di lei, perché quando stava con una donna era sempre come se fosse la prima. 
Lei appoggiò la testa sulla spalla di lui, ansimante. 
Poi ciò che lui voleva avvenne, proprio come lui inconsciamente voleva che avvenisse. 
Fu sussurrato in una biblioteca semibuia, nel bel mezzo della frenetica attività parigina, fu flebile, subito schiacciato dalla presenza possente del lusso: Abbasso... Abbasso Hitler.

 
Angolo Autrice:

Ed ecco a voi il primo capitolo di Jean Russeau! *^* Sono contentissima di averlo scritto e...
Sì, sono pazza a far ehm... fare cose ai miei personaggi la seconda volta che si vedono. Eggià. AHAHAH.
Spero che la storia stia continuando bene e che vi stia piacendo. In caso di consigli, critiche e tutto quello che volete vi prego di lasciarmi un parere, per me è molto importante sentire l'opinione dei lettori. <3
Un bacio e alla prossima, miei cari;


Marlene


 
   
 
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