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Autore: dunh8    29/11/2013    3 recensioni
"Non so con esattezza cosa mi avesse portato a quel punto.
Osservavo Ezio muoversi. Semplicemente. Con l'ammirazione di uno scudiero verso un cavaliere, perché poco più di quello eravamo."
Desmond era solo il diciassettesimo tentativo.
Era il prototipo meglio riuscito. Ma gli altri esperimenti?
Dorothea Vidic non sa chi è. Nella sua mente, i ricordi di troppe persone si affollano. E' ferma, immobile, in stato comatoso; dentro di lei un'altra persona alloggia.
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La storia non tiene conto di fatti al di là di Brotherhood.
I personaggi contenuti in questa storia vanno dal primo AC, ad ACB.
Genere: Azione, Dark, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Desmond Miles, Ezio Auditore, Maria Thorpe, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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Chapter 2
Chapter 2. – Past.
“You get me feeling of your lust.”





 
Maria si sentiva come un uccellino in trappola.
Un sospiro volteggiò via dalle sue labbra secche, screpolate, mentre le gambe gridavano vendetta per il troppo sostare a cavallo. Iniziava a sospettare che se quell’infedele avesse allungato ancora il tragitto, non sarebbe riuscita più a camminare come una persona normale. L’aria, sempre più fredda, si faceva più pungente ogni istante che passava, mentre il sole lentamente calava dietro le montagne. Dal puzzo di spezie ed oppio, capì che si stavano avvicinando in fretta alla fortezza di Masyaf. C’era già stata, nascosta dall’armatura, dietro le fila di Roberto.
- Scendi.
La voce calda dell’Assassino la risvegliò dai suoi ricordi, e lei, senza protestare smontò da cavallo. Le cedettero le ginocchia e ruzzolò per terra; una sottile imprecazione le sfuggì fra i denti, mentre si spolverava la casacca marrone.
Quando sollevò gli occhi, si trovò quelli ambrati dell’Hasshasshun su di sé, dall’aria divertita.
- Cosa c’è di così divertente?
Protestò lei, ma ricevette solo una risposta in arabo, sottovoce. Roteò gli occhi. Non appena lo cercò ancora con lo sguardo, sentì le sue mani calde sul collo, a scioglierle la corda che la teneva a mo’ di guinzaglio. Poi, con un fazzoletto candido, le bendò gli occhi. Si sentì sollevare, e acuendo i sensi, cercò di capire in che direzione andasse Altair.
Ma nonostante i suoi sforzi, non riusciva a capire neanche gli spostamenti d’aria. Scosse appena il capo, e stava già iniziando a pensare che non l’avrebbe mai mollata quando sentì il vuoto aprirsi sotto di sé e poi il terreno duro schiantarsi sul suo sedere.
Urlò.
Si strappò dal viso il fazzoletto e lo guardò scandalizzata. Era davanti ad una porta di legno, in uno stretto corridoio dall’aria claustrofobica e umida.
Altair, dal canto suo, camminava già in direzione del suo ufficio, ubicato chissà dove in quella specie di labirinto sul cucuzzolo della montagna.
 
Nella stanza trovò una vasca con dell’acqua, e un vestito poggiato accuratamente sulle lenzuola candide. L’arredamento spartano consisteva in uno scrittoio, vuoto, un armadio, vuoto anch’esso, e una cassettiera altrettanto vuota.
Non resistette a lungo, tentata dal tepore della vasca.
Poco dopo, i suoi vestiti erano un mucchio in un angolo, e le forcine non le trapassavano più il cranio, lanciate sulla cassettiera. S’immerse e lentamente, mentre l’acqua le annebbiava la vista e attutiva l’udito, immaginò di non essere stata appena rapita dagli Assassini, che Roberto fosse vivo, che appena uscita sul letto ci sarebbe stato sicuramente lui a scaldarla per la notte.
Si stava allacciando il vestito sul seno quando la sua porta si spalancò lasciando intravedere l’imponente figura vestita in nero di uno di loro.
Sobbalzando, lasciò cadere i lacci. Li riprese in fretta, avvampando.
- Non preoccuparti Maria. Sono qui solo per dirti che è pronta la cena.
Maria sospirò, e improvvisando uno chignon con i capelli gocciolanti, lo seguì senza dir nulla. Sapeva di dover ringraziare solo perché stava ancora respirando; sbottare e sfoggiare il suo orgoglio Templare in una città del genere sarebbe stata una cosa coraggiosa e patriottica, ma anche estremamente sciocca.
Si avvicinarono dopo poco all’insistente vociare, ma lo sorpassarono senza neanche guardarlo.
- Dove stiamo andando? Non alla mensa comune?
Quella domanda risultò ilare per il Rafiq, a cui sfuggì una calda risata, divertito dall’ingenuità dell’inglese.
Non la guardò mentre scuoteva il capo.
- No, no. Il Gran Maestro è andato contro il mio stesso consiglio portandoti qui nella fortezza. Addentrarti nella mensa comune sarebbe un tentato suicidio, e fidati, quella a cui rimarrebbero mille scartoffie da compilare non saresti tu.
Maria si limitò ad annuire.
Quindi, Altair si era messo contro chiunque per mantenerla in vita. Le sfuggì un sorrisetto compiaciuto.
Sì fermarono davanti all’uscita del padiglione. Pensando ai fatti suoi neanche aveva fatto caso a quale strada avessero fatto, e si maledì per questo. Di quel passo non sarebbe scappata presto da quel posto.
- Ora ascoltami. Ti sto portando dal Gran Maestro Altair, e si esige un certo comportamento da parte di una donna.
Alzò la testa di scatto e lo fulminò con gli occhi.
- Perfetto, quindi tu sai già cosa fare quando saremo là.
Non riuscì a trattenere il veleno dalle sue labbra, e disse quella frase come se sputasse. Vide accendersi qualcosa nello sguardo del Rafiq, prima di trovarsi contro il muro con il suo viso a pochi centimetri.
In quel momento, si accorse che all’uomo mancava un braccio. Lo guardò stupida con gli intensi occhi azzurri sgranati. Lui sorrise sghembo e con una nota perversa nello sguardo.
- Ti ricordo chi sono i tuoi amici qui, Maria Thorpe. È un consiglio, Templare: porta rispetto a chi è incaricato del tuo vitto.
Un istante dopo, stava scivolando verso il terreno, con Malik a pochi passi, che procedeva lentamente.
- Una donna non parla durante il pasto, e non guarda l’uomo, a meno che non sia interpellata. Una donna non mostra i capelli, ma credo che tu, essendo cattolica, possa farlo. Una donna non si rivolge a nessuno durante la consumazione.
Diceva quelle cose come se fossero naturali, e le sembrò di essere tornata ragazza, prima di arruolarsi, con la sua nutrice acida che, armata di stecca, le imponeva una postura rigida, e nel frattempo le insegnava come una donna si comporta, nel vero adempimento della diceria “donna schiava zitta e lava”.
Si alzò e raccolse la sua dignità.
Gonfiò il petto d’orgoglio e quasi urlò.
- Vi spaventiamo così tanto?
I pugni chiusi, le braccia, tese lungo i fianchi, e le guance gonfie di aria la rendevano minacciosa più di quanto volesse sembrare: gli occhi colmi di orgoglio ferito, e il petto gonfio di rabbia, tutto nella sua postura ricordava una lupa pronta a saltare al collo della sua preda.
Malik, in quel momento, poté solo avvertire un brivido gelido lungo la schiena e il formicolio dell’adrenalina sulle dita, leggermente intorpidite dal freddo.
- Voi uomini siete così spaventati da noi donne? Avete davvero così paura di quello che potremmo fare con una spada in mano?
Lui semplicemente non rispose. La guardò con un misto di ansia, rabbia e ammirazione. Nessuna donna aveva mai osato ergersi in quel modo davanti ad un uomo, se non una madre che difende i figli. E lei, quell’inglesina che gli era sembrata così altezzosa, appariva come una fiera infuriata.
Non poté non ammirarne la funesta grazia.
Ma in quel momento non ne aveva il tempo materiale, né di ammirarla né di ascoltarla. Si avvicinò bruciando la distanza in poche falcate, e la sollevò: la prese sulle spalle a mo’ di sacco di patate, e ignorando le sue proteste, la portò davanti all’ufficio di Altair, domando le sue urla e il suo scalciare anarchico con un gelido silenzio serrato.
 
- Come ti trovi qui, Maria?
Era strano. Era dannatamente strano. Non solo si trovava seduta davanti all’uomo che l’aveva – del tutto in via teorica – rapita, ma lui le stava anche servendo da mangiare, e tentava di fare amabile conversazione.
- Credo bene.
Disse solo. Si chinò sul suo bicchiere tentando di nascondere il viso nella terracotta. Altair sorrise, sommesso, capendo l’antifona, e riprese a mangiare in silenzio i suoi datteri.
Dopo aver appoggiato il bicchiere in terra, Maria aprì e chiuse la bocca senza emettere suono; anche se era una coltellata al proprio orgoglio, cercava di rispettare il più possibile gli usi di quel luogo. Suo padre le aveva insegnato che ogni paese aveva le proprie usanze, e non rispettarle significava opporsi a loro senza neanche provare a conviverci.
- Dimmi pure.
Si sorprese a pensare quanto fosse calda e gentile la sua voce.
- Perché sono qui?
Chiese, sottovoce. Lui inclinò la testa di lato, un sorrisetto che allungava la linea dello sfregio sulla sua bocca.
In realtà, neanche lui sapeva spiegarlo. E sebbene si aspettasse una domanda del genere, non si era mai preso premura di fermarsi a pensare ad una spiegazione plausibile.
- Mi ricordi una persona.
Disse solo. Neanche lui era in vena di conversare, in fondo.
 
Fu lo stesso Altair a riaccompagnarla nella stanza.
Durante il tragitto, si fermò a parlare con molti informatori, generali, e commercianti; in pochi minuti si informò sull’andamento settimanale di Masyaf, e gli argomenti spaziavano da chi era stato arrestato di recente a quanto fosse salito il prezzo di mercato sui tappeti.
Camminavano in silenzio l’una di fianco all’altro.
Senza neanche guardarsi.
- Maria… - la chiamò improvvisamente lui. – Ho voluto che tu fossi presente mentre parlavo con quelle persone per un preciso motivo.
Lo guardò senza capire.
- In questo modo sanno che sei sotto la mia protezione.
Le spiegò sbrigativo.
Vide gonfiarsi negli occhi azzurri della donna un moto d’orgoglio e rabbia, e si affrettò a continuare la frase.
- E così puoi andare in giro senza che nessuno ti attacchi, capito? – si fermò, e guardò Maria avanzare di un paio di passi, prima di rendersi conto di essere arrivata alla sua stanza.
Lo guardò a sua volta, nei suoi movimenti misurati, lenti, letali; non aveva mai smesso di essere un predatore e stava giocando semplicemente con la ciotola.
Chissà per quale motivo, questo non la spaventava.
E in un istante quei movimenti si erano fatti più morbidi e rilassati.
Pochi passi, e le sue mani le circondavano i fianchi. Con uno scatto, la strinse a sé quel poco che bastava per farle capire quanto la desiderasse in quel momento.
- Sta' tranquilla. Nessuno ti farà del male.
Le sue parole la accarezzarono dolcemente, stringendole i nervi in una morsa. Si sentì attaccata ma al tempo stesso inattaccabile.
Le venne la nausea.
Ma prima che potesse far qualsiasi cosa, le roventi dita dell’infedele le accarezzavano la guancia.
La sua mente iniziò ad intorpidirsi.
Capì che stava cadendo nel suo incantesimo poco prima di arrivare al punto di non ritorno, e lo guardò storcendo le labbra.
- Se hai così paura per la mia incolumità, non ti resta che insegnarmi a difendermi.
Sibilò, e si separò da lui così in fretta che Altair se ne rese conto solo quando la porta si chiuse davanti ai suoi occhi.




 

 

  
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