Mutatio Daphnes
Mutazióne (ant. mutagióne) s. f. [lat. mutatio -onis]. – Atto, effetto del mutare, del mutarsi; cambiamento, variazione. [Fonte: vocabolario online Treccani]
Time to Pretend
Era
una notte buia e tempestosa.
O meglio.
Di solito tutte le belle storie
iniziano così, ma immagino non sia il mio caso.
Era una notte buia e
tempestosa.
La mia non-bravura a raccontare si fa
sentire, purtroppo.
Ok, ci riprovo.
E che la storia cominci davvero.
La
notte non era tempestosa, e nemmeno
buia. La luna piena splendeva nel cielo, ancora più grande
del
solito dovuta alla straordinaria coincidenza tra plenilunio e
perigeo. I suoi raggi rendevano tutto cianotico e lattiginoso,
cancellando i colori caldi dal mondo; persino le foglie degli alberi,
che in estate diventavano di un verde pieno e lussureggiante sotto
quella luce sembravano quasi blu.
I due uomini camminavano adagio, fianco
a fianco lungo il sentiero che si inoltrava nella foresta. Nonostante
le notti, intorno alle calende di agosto, fossero tutt'altro che
fresche, erano entrambi avvolti in delle tuniche lunghe, una argentea
e l'altra più scura, con un cappuccio che teneva in ombra i
loro
volti. Dietro di loro, come su una barella, galleggiava il corpo
esanime di una ragazza, mani pallide, piedi nudi e riccioli scuri che
sfuggivano all'ombra della tunica.
« Ci siamo »,
soffiò l'uomo con la tunica argentea, fermandosi sul bordo
di una
piccola radura erbosa, immersa in una caligine strana per quel
periodo dell'anno. Sentì il suo compagno fermarsi vicino a
lui, e
poi sospirare. « Non sono ancora del tutto convinto di quello
che
stiamo facendo » sibilò,
una nota di biasimo nella voce altrimenti calma. L'uomo dalla tunica
argentea scrollò le spalle. « Sai che è
l'unico modo. Ed il fatto
di essere in uno dei Giorni del Potere, con un plenilunio al perigeo
per di più, non potrà fare altro che aiutarci.
»
Non aspettò la sua risposta, ed entrò
nella radura con passi lenti e misurati. Tirò fuori dalla
manica
sinistra della tunica un sacchetto di stoffa contenente del sale
grosso, con il quale iniziò a tracciare un pentacolo
sull'erba
bluastra. Non lo chiuse, ma continuò a lavorarci in
silenzio,
tracciando anche il secondo cerchio intorno al primo, e delle rune
poste a distanza regolare l'una dall'altra.
Quando ebbe finito, l'uomo dalla tunica
scura vi entrò, facendo adagiare la ragazza esattamente al
centro di
quell'altare naturale con la bacchetta. « Che la Madre mi
perdoni...
» borbottò, portandosi
fuori dal pentacolo per permettere al compagno di chiuderlo.
Si misero agli antipodi del pentacolo,
con il viso rivolto verso la luna piena. Alzarono le bacchette, e poi
l'uomo dalla tunica argentea pronunciò la formula.
Un lampo di luce azzurrina, e la
ragazza era sparita, lasciando solo delle strie bruciate dove prima
c'era il sale del pentacolo.
***
Chiunque
abbia conosciuto Eliza
Doolittle da quando si è trasferita a Pretoria non ha
trovato altro
modo per definirla se non otaku,
anche se lei si ostina a definirsi una semplice Potterhead.
E
otaku è il modo in
cui la chiama affettuosamente Tom, il suo migliore amico, quando lo
trascina nella sua stanza al convitto del college per costringerlo ad
improponibili maratone potteriane.
E
otaku è anche il modo
in cui la chiama Austin, il suo neoragazzo, quando passa le ore sui
siti di gossip per scoprire cosa faccia il cast di Harry Potter in
ogni momento della giornata.
E
maledetta otaku del cazzo
è il modo in cui Sally, la sua migliore amica
nonché ragazza di
Tom, la stava apostrofando da due giorni. Due giorni nei quali l'ha
costretta a saltare l'università per mettersi in coda
davanti a
Barnes & Noble, nell'attesa che esca l'ultimo capitolo della
saga.
Sono
le undici e mezza del venti luglio duemilasette, e Sally sta perdendo
ore di studio preziose per stare dietro alle fissazioni della sua
migliore amica, alla quale non sembrava importare di meno. Sta seduta
per terra, sorseggiando un frappuccino dal bicchierone di Starbucks,
con i capelli spettinati e l'espressione tesa. « Maledetta
otaku del
cazzo. »
Lei si
gira, ed abbraccia Austin con una risatina nervosa. « Eddai,
Sal,
abbiamo fatto queste pazzie anche il mese scorso per quell'aggeggino
di Steve Jobs »
dice, e Sally non riesce a credere alle sue orecchie. « Stai
veramente paragonando la apple
a Harry Potter, Liza?!
»
Fortunatamente
per i nervi di Sally Tom interviene, posandole due dita sulla bocca
«
Hai diciannove anni buttati al vento Liz, lo sai, vero? »
Eliza
sbuffa un sottilissimo « gaan
na die hel
» e si mette a guardare l'entrata della
libreria, come
a volerla aprire con la forza del pensiero. Sally ghigna, e le scocca
un bacio sulla guancia. « Fok jou,
Lizzie, fok jou. »
Eliza
ha ancora le lacrime agli occhi per l'emozione di stringere
finalmente a sé l'ultimo capitolo della saga. Sa che
leggerlo farà
male, così come fa male sapere che adesso è tutto
finito e non ci
saranno altre avventure, e non ci sarà più
Hogwarts.
Sa
che gli altri non capiscono quella che chiamano un'ossessione, e
così
non ha mai neanche provato a spiegare per bene come mai a leggere
quelle avventure lei si senta a
casa.
Lì, tra gente che non sa neanche cosa sia un motore di
ricerca o un
cellulare, e che per fare tutto usa la bacchetta magica.
Sorride,
e si volta verso Austin, che, armato di santa pazienza, l'ha
riaccompagnata a casa. « E se salissi, Aussie? » dice,
e lo vede ridacchiare a quel soprannome che lo fa sentire straniero.
« Per stare lì a vederti leggere Liz? »
Gli si avvicina, seducente, passandogli
un dito sul profilo. « La tua presenza sarebbe un incentivo a
farmi
chiudere il libro prima del dovuto, lo sai. »
Stavolta lui ride apertamente e scuote la testa, guardandola di
traverso. « Mrs Van Hallen ti farà già
il culo così, Lizzie, non
serve che tu tenti di nascondere anche me. »
Eliza sbuffa e scende
dalla macchina, la sigaretta già tra le labbra,
occhieggiando
preoccupata alla portineria dove la temibile guardiana notturna
sarebbe stata pronta a farle dimenticare di avere una vita sociale.
Austin la raggiunge, e lei gli sorride seducente. «
Però domani
quando torniamo da Johannerburgh ti voglio tutto per me, sappilo.
»
gli dice, decisa, e si accende la sigaretta prima di baciarlo con
trasporto. Gli sorride sulle labbra e « ti prometto che non
farò
nottata a leggere il libro, Aussie »
mormora, quasi facendo le fusa. Lui le dà un buffetto sulla
testa,
ammonendola con lo sguardo. « Fila in camera Liz, ti mando un
messaggio quando sono a casa. »
« … E se ti
trovo
ancora una volta fuori dalla tua stanza a quest'ora
puoi scordarti di rimanere qui, signorina! »
Eliza non ha un buon rapporto con Mrs Van Hallen. A dirla tutta,
Eliza la odia e non capisce veramente come può una come
lei avere la
fede al dito.
Aspetta
di sentire i suoi passi allontanarsi nel corridoio, poi esce sul
balconcino con il libro ed un pacchetto di sigarette. Si siede per
terra, accende una luce da campo che i genitori le hanno lasciato
portar via dal Maasai Mara e che tiene sempre fuori, per leggere la
notte.
Sospira,
e si accende una sigaretta, accarezzando distrattamente il dorso del
libro. Non sa se lo vuole leggere realmente, e non sa se è
pronta a
lasciar andare tutti quei personaggi, quelle persone
che l'hanno fatta emozionare per tanti anni, che le sono rimaste
accanto come nessun essere umano in senso stretto ha saputo fare.
Si
fa coraggio ed inizia a sfogliarlo. Quando legge la dedica a forma di
saetta le spuntano le prime lacrime, e l'unica cosa che riesce a
farle coraggio è il pensiero di Sally che, sigaretta dietro
l'orecchio, la prende bonariamente in giro per quella sua innocua
passione.
E
così, col pensiero della migliore amica in testa che le fa
compagnia, si immerge nell'ultima lettura, sentendo già il
dolore
del distacco.
Se una cosa era certa,
era che che i vividi occhi azzurri di Albus Silente non l'avrebbero
mai più trafitto.
Eliza
sbatte le palpebre un paio di volte, la sigaretta ormai consumata tra
le dita ed un'espressione scioccata sul viso. Si alza e rientra nella
stanza, senza curarsi di chiudere la porta-finestra, visto che venti
gradi il trentun luglio son tanti, a Pretoria. Raggiunge la piccola
libreria che sembra voler scoppiare, da tanti tomi che porta addosso,
scorre febbrilmente con le dita i dorsi dei libri.
Harry Potter and the
Halfblood Prince
è riposto
vicino a Vergogna, e
lei storce un po' il naso non vedendolo al suo posto insieme agli
altri della saga. Lo prende, e si butta di peso sulla poltrona a
fagiolo della sua stanza; sta iniziando a risentire delle due
giornate passate all'aperto davanti alla libreria, ed avverte una
grande stanchezza che dallo stomaco si irradia verso tutti gli arti
periferici.
Inizia
a sfogliare il libro dalla fine, cercando la scena della morte di
Silente. Vuole rileggerla per capire se può esserle sfuggito
qualcosa, perché i conti non le tornano per nulla, e anche
perché
spera di rimandare la fine in questo modo.
Gli
occhi le si chiudono, e sfoglia distrattamente le pagine del libro,
pensierosa. Sorride al rivedere i primi capitoli, con la scena del
treno in cui Malfoy rompe il naso ad Harry. Oh, ma se fosse stata lei
al suo posto sicuramente non si sarebbe fatta beccare perché
lei è
più brava a non farsi scoprire, quante volte l'ha fatta
sotto il
naso a Mrs Van Hallen dopotutto. Se ci fosse stata lei sicuramente...
Gli
occhi le si chiudono definitivamente, e fa appena in tempo a pensare
che dovrebbe chiudere la porta-finestra oppure gli spifferi le
faranno venire un torcicollo allucinante.
Poi,
il buio.
***
Non si era
aspettata che la poltrona a fagiolo potesse essere così
comoda, di
sicuro; certo, aveva fatto infiniti tornei alla PlayStation con Tom
stravaccata sulla stessa, ma dormirci... Non aveva né
torcicollo né
mal di schiena, e si prospettava una giornata magnifica. Si
stropicciò gli occhi, poi fece ricadere la sua mano,
scostando
leggermente il piumone dal corpo.
Un momento... Piumone?
Eliza si alzò di
scatto, aprendo gli occhi. Buio.
Si trovava in un
letto, alquanto comodo a dire la verità; allungò
le mani avanti,
poi di lato, e scoprì che il buio pesto era dovuto ad una
pesante
cortina di quello che sembrava velluto, messa tutto intorno al letto.
Un letto a baldacchino?
Doveva essere un
sogno: nel velluto si annidavano migliaia di milioni di acari, e lei
non aveva ancora starnutito. Senza contare che a Pretoria la
temperatura non permetteva mai di usare un piumone; non viveva nella
città con più ore di sole all'anno per
dimenticarsi queste cose.
Incuriosita, si
fece strada a tentoni tra la cortina di velluto, finché
un'apertura
non le permise di guardare il posto nel quale si trovava.
Eliza Doolittle era
sempre stata presa in giro per la fantasia che dimostrava nei suoi
sogni; in genere raccontava di voli sul dorso di lunghi draghi
cinesi, o di isole volanti sul Mar d'Izabella, che danzavano sulle
note di Edith Piaf, così, quando vide semplicemente la
stanza
circolare di un dormitorio, all'inizio ne fu quasi delusa.
Poggiò la mano sul
piumone, sentendone distrattamente le cuciture
Come faceva un sogno ad essere così
particolareggiato?
e si guardò meglio
intorno, tentando di carpire indizi sul posto dove si trovava.
La stanza era
illuminata debolmente da una decina di candele messe in punti
strategici, e riusciva a vedere altri quattro letti a baldacchino,
chiusi ed immobili. Si udiva un leggero russare proveniente dal letto
vicino al suo, e fuori iniziava ad albeggiare.
C'era un orologio
al muro, che segnava le quattro e un quarto; sotto, una foto con
cinque ragazze sorridenti, che... Si muoveva.
Era un sogno,
era solo un sogno.
Cinque letti, con
ai piedi cinque bauli semi disfatti, cinque mobili da toeletta,
cinque comodini, cinque armadi con su cinque specchi, e solo due
porte, una delle quali con appesa una graziosa scritta:
“Bagno”
Incredibile, stava
sognando di essere ad Hogwarts. Represse una risata, per evitare di
svegliare le compagne; senza dubbio si trovava a Gryffindor, anche
perché nessuno sarebbe stato così perverso da non
arredare il
dormitorio secondo i colori della casa. Sorridendo leggermente,
andò
in bagno per farsi una doccia.
Lo specchio le
restituiva la sua immagine dopo una notte di nervosismo assoluto: i
capelli, che portava corti, si presentavano così sparati che
se
avesse tentato di farlo lei con la lacca probabilmente sarebbero
venuti peggio; inoltre, come pronosticato da Austin, aveva due
occhiaie gonfie e profonde che le arrivavano agli zigomi: neanche in
sogno era clemente con sé stessa.
Si improvvisò
ballerina davanti allo specchio, canticchiando una di quelle chansons
françaises che le piacevano un sacco, poi
notò cinque
accappatoi appesi ordinatamente vicino ad una cabina doccia
abbastanza grande.
L'acqua uscì
subito calda, stupendola piacevolmente. Si infilò sotto il
getto e
si tappò le orecchie, ascoltando il rumore delle gocce sulla
testa.
Si stava
insaponando quando udì dei passi strascicati all'interno del
bagno,
seguiti da uno sbadiglio alquanto rumoroso. Una sua compagna,
probabilmente.
Ma in un sogno, non dovrei già
sapere come si chiamano?
Si strofinò forte
i capelli, facendo l'indiana, mentre, a giudicare dal rumore
–
dall'assenza di esso – la sua compagna doveva essersi seduta
da
qualche parte. Si bloccò quando le giunse la sua voce.
« Non solo ti alzi
alle quattro, ma ti dimentichi anche di prendere qualcosa per
asciugarti. » il tono era leggero, divertito, con qualche
traccia di
stanchezza. Era una voce piacevole, si ritrovò a pensare
Eliza.
« Ehm... Sì, non
ho la testa al posto giusto. » la sua voce era suonata un po'
incerta, e per poco non sobbalzò quando un accappatoio le
venne
appeso alla cabina doccia. Sorrise, anche se l'altra non poteva
vederla : « Grazie »
Sentì una
risatina: « Ma che grazie e grazie: mi hai fatto svegliare
così
presto, mi devi un grosso favore »
Non rispose, si
sciacquò velocemente: aveva voglia di vedere chi era la sua
compagna. Probabilmente quello che stava facendo era un sogno lucido,
e voleva goderselo fino in fondo.
Prese un respiro
profondo ed uscì dalla doccia, avvolta nella spugna; seduta
sul
ripiano del lavabo, una ragazza bassa e con le fattezze decisamente
indiane la guardava a metà tra il divertito ed il minaccioso.
Calì Patil?
Faceva dondolare leggermente le gambe,
ed in mano aveva un barattolino di crema ed uno smalto azzurro
fluorescente.
«
Ben svegliata, ex-Prefetto Granger ».
Parlo
un po' io.
Eeeee...
Ecco qui la versione del prologo mezza rivedutaeccorretta. Non so,
non mi soddisfa molto, e probabilmente ha un sacco di cose ancora da
sistemare. Sto meditando se unirla al primo capitolo e far capire un
po' di più rispetto a quattropaginequattro di word, un po'
risicate,
senza dubbio.
E
nulla, pubblico per staccare un po' dallo studio, ma sicuramente ci
sono un sacco di errori che ho tralasciato; se ve ne accorgete, vi
prego di farmeli notare cosicché io possa fustigarmi con un
gatto a
nove code e seppellirmi per la vergogna.
Ed
ovviamente grazie per essere arrivate/i fin qui, spero vorrete andare
avanti anche con i prossimi capitoli. Da parte mia posso dire che ne
vale la pena, ma ovviamente il giudizio finale spetta a voi.
Ahora,
i riferimenti nel misero prologo, mgh :3
-
Era una notte buia e tempestosa. Ovviamente si tratta di Snoopy, no? (Non devo dirvelo veramente, vero? D:)
-
Ho dato al rituale un bel po' di caratteristiche di un rituale neopagano. Questo perché, visto che JKR parla espressamente di Yule Ball nel quarto libro (e Yule è una delle otto festività, o Giorni del Potere, della Ruota dell'Anno neopagana) ho voluto dare al magico mondo di HP una connotazione un po' più adulta e mistica. La data in questione è Lughnasadh/Lammas, festa del raccolto. La Madre dell'invocazione è la Dea Madre, visto che i neopagani credono che la divinità creatrice sia femminile.
Cito l'iphone all'inizio. Wiki mi dice che è uscito proprio nel 2007, quindi l'ho ficcato lì :3
-
Gaan na die hel: andate a quel paese/all'inferno. Fok jou: fottiti/vaffanculo. In afrikaans. Da precisare come in realtà io non parli l'afrikaans, e tutte le conoscenze che ho in realtà derivino dall'ascolto prolungato degli Antwoord (e forse è per questo che conosco solo parolacce, ehm), che vi consiglio caldamente di ascoltare. Sono fichi, yo.
-
La riserva naturale del Maasai Mara sta in Kenya, dove i genitori di Eliza lavorano come zoologi. Per le loro figure mi sono ispirata a Mark e Delia Owens, che mi colpirono molto quando, ormai otto anni fa credo, lessi Il grido del Kalahari, esperienza autobiografica. E consiglio vivamente la lettura.
-
Vergogna è un libro di John Coetzee, scrittore sudafricano che ha vinto laqualsiasi (nobel per la letteratura compreso). Lettura non propriamente leggera, ma anche questa vale la pena. Lo so, sto diventando pesante, ma tanto 'ste cose non le legge mai nessuno...
-
Il Mar d'Izabella è il mare che circonda le tredici isole di Abarat nell'omonimo libro di uno dei miei scrittori di genere preferiti, Clive Barker. Giuro che è l'ultimo libro che vi consiglio di leggere... Per ora, mgh. (però seriamente, vale la pena, quell'uomo è un dio per quanto mi riguarda)
-
Infine, il titolo del prologo è anche quello di una canzone dei MGMT.
Importante,
nota onomastica:
visto che traduzione la studio, mi sento in dovere di fare quantomeno
un paio di precisazioni sul perché i titoli dei libri (e
delle Case)
sono in inglese, pentre Calì si chiama Calì e non
Parvati, e
Silente non si chiama Dumbledore.
Detesto
la traduzione che la Salani ha fatto della saga. E detesto il fatto
che JKR sia una persona per nulla disponibile con i suoi traduttori
(al contrario, per dire, di Umberto Eco, che fa di tutto
perché la
traduzione di un suo libro sia target
oriented
e perfettamente fruibile in ogni lingua) e in anni di Harry Potter
non abbia mai dato indicazioni precise su cosa volesse –
salvo poi
arrabbiarsi perché Dumbledore era diventato Silente.
Comunque.
Un
qualcuno che mi traduce locket
con lucchetto
(=padlock)
per quanto mi riguarda è degno del rogo. E quindi le sue
traduzioni
non sono degne di essere utilizzate.
Voglio
dire, ma perdio,
bastava google
translate!
E meno male che tradurre dovrebbe essere un mestiere. O, se
è per
questo, la revisione di una traduzione (che va fatta una prima volta
con testo a
fronte,
e non lo dico io, lo dice gente laureata).
Povera
Italia.