The painful truth
Rimasi lì
per ancora pochi minuti, giusto il tempo per finire quello che avevo ordinato.
Era strano
forte quel ragazzo, ma almeno sembrava simpatico.
Finito
tutta la colazione, raccolsi le mie cose e uscì dal locale.
D’ora in
poi sarei sempre venuta qui, il luogo del nostro piccolo incidente.
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Ero uscita dal locale.
Il vento tirava molto forte e il cielo si stava coprendo di
nuvole grigie.
Mi strinsi nella felpa e mi diressi verso casa.
La città si stava svegliando e tutte le luci delle case si
stavano accendo, creando un atmosfera bellissima.
Era una cosa indescrivibile e sensazionale.
Mi guardai intorno e notai un uomo in accappatoio che usciva
di casa a prendeva il giornale; da una casa più avanti si sentivano le grida di
alcuni bambini, molto contenti della colazione preparata dalla mamma.
Peccato che io non abbia potuto vivere così…
Solo per i miei primi anni di vita, quando ancora mio padre
c’era, la mattina mia madre mi preparava i pancake ed il loro dolce profumo mi
svegliava.
Mio padre è uno stupido…ha tradito mia madre con un’altra
donna.
Mi ricordo
ancora quando ero piccola che loro litigavano e papà picchiava mamma, io
invece, come una codarda, mi andavo a nascondere sotto le coperte e piangevo
per ore ma d’altronde ero solo una bambina di cinque anni.
Mi manca
essere una vera famiglia, una famiglia vera ma in fondo la mia famiglia sono
mia madre, mia sorella e Cat.
È sempre
stata una forza della natura
Ci siamo
conosciute all’asilo.
Stavo
giocando sulla sabbia dell’asilo.
Intravidi
un gruppetto di bambine più grandi, le odiavo.
Erano
delle bulle e mi facevano stare male.
Più in
là, una bambina dai capelli lunghi e castano scuri stava giocando.
Non la
conoscevo molto, anzi non la conoscevo proprio, era la prima volta che la
vedevo.
Ad un
tratto mi ritrovai davanti le bulle.
-Ehi
nana spostati!- mi ordinò una bambina dalle lunghe trecce bionde.
-Ma qui
ci sto giocando io- piagnucolai.
-Spostati-
mi gridò quella che doveva essere il “capo”.
-No,
lei non si sposta!- protestò la bambina che giocava poco più in là.
-Mocciosa,
cosa vuoi?- chiese la bambina dalle trecce bionde.
-Tieni
questo- e così detto calpestò il piede al “capo”.
-Ahia!
Adesso te la faccio vedere io- l’aggredì spingendola a terra.
Tutto
il gruppetto si allontanò ridacchiando.
La
bambina accanto a me era accovacciata a terra e le lacrime scendevano copiose
dai suoi occhi.
-Ti sei
fatta male?- chiesi.
-Un
po’. Guarda.- disse indicando il ginocchio graffiato.
-Grazie
per avermi difeso-.
-Dovevo
farlo, mi sembravi simpatica. -disse con nonchalance.
-È la
prima volta che ti vedo qui, sei nuova?- chiesi.
-Sì, mi
sono appena trasferita.-.
L’aiutai
ad alzarsi e insieme tornammo a giocare.
Da quel
momento non ci siamo più separate, è come una seconda sorella per me.
Un tuono
squarciò il cielo e la pioggia incomincio a cadere.
Non mi misi
a correre come una persona normale ma andai lenta, facendomi bagnare da quelle
goccioline.
Poco dopo
arrivai a casa.
Quando aprì
la porta, due figure femminili mi si scagliarono addosso.
-Margaret
Nicole Stevenson dove sei stata fino ad adesso?- mi urlarono all’unisono.
-Sono andata
a fare una passeggiata e poi sono andata da Starbucks.- raccontai.
-E come mai
sei fradicia?- mi urlò mia madre nell’orecchio.
Alzai gli
occhi al cielo e mi diressi verso la finestra, scostai la tenda e parlai.
-Notate
questo?- chiesi riferendomi al temporale- bene io l’ho centrato in pieno mentre
venivo a casa.- spiegai.
-Oooooooh-
esclamarono.
-Bene, ora
con permesso vado a farmi la doccia in camera.- dissi un pochino scocciata.
Mi diressi
verso le scale che conducevano al piano superiore e salì pochi gradini.
-Nicole
aspetta.- mi chiamò Cat.
Mi voltai.
-Mh?- la
guardai alzando le sopracciglia in attesa di una risposta.
-Io adesso
devo andare a casa.-
La scrutai
bene, aveva qualcosa di strano.
Cat aveva
uno sguardo un po’ perso, stanco e preoccupato.
Deve essere
successo qualcosa.
-Cat tai
bene? Ti vedo strana.- osservai.
Scosse la
testa, alzò le spalle e strinse le maniche del maglione nelle mani.
-No, è tutto
apposto.- disse sorridendomi a mala pena.
-Sicura?
Puoi dirmi tutto.- mi avvicinai.
-Sicurissima.-
mi sorrise più di prima ma non mi convinceva.
-Adesso però
devo andare.- prese il suo cappotto e l‘ombrello.
Mi avvicinai
e l’abbracciai.
La strinsi
forte a me e la lasciai.
L’accompagni
all’uscio della porta e la vidi oltrepassare la soglia del mio cancello.
Si diresse
subito verso la via per casa sua, non si voltò, non mi salutò.
CAT’S POV
Mi svegliai
di soprassalto, erano solo e 6.50 e il mio telefono squillava.
Notai con
dispiacere che Nicole non c’era nel letto.
Non mi preoccupai,
era normale che lei si svegliasse nel mezzo della sua dormita per andare in
bagno.
Finalmente
il mio cellulare smise di suonare.
Portai le
coperte fin sopra la mia testa e chiusi gli occhi.
Sentii il
caldo avvolgermi e proprio mentre mi stavo per riaddormentare il telefono
riprese a squillare.
Sollevai le
coperte sbuffando e mi avvicinai al cellulare strisciando sul materasso.
Sboccai il
telefono e notai che il numero era di mia madre.
-Ciao mamma,
come mai mi chiami a quest’ora?-chiesi di buon umore.
-Scusi, lei
è la signorina Penelope Catherine Owen ed è figlia di Marie Kate Johnson e
Patrick Jamie Owen?- chiese la voce di un uomo dall’altra parte del telefono.
Mi portai
istintivamente una mano al petto e respirai profondamente.
-Sì, sono
io…ma cos’è successo?- domandai molto preoccupata e in ansia.
-I suoi
genitori sono stati coinvolti in un incidente d’auto- disse evidentemente in
pena per me.
Ma io non
avevo bisogno di nessuno, avevo solo bisogno di mia mamma e di mio papà.
Il telefono
mi cadde dalle mani e finì sul materasso.
-Signorina
c’è ancora?- domandò la voce ormai per me quasi inudibile.
Non era
possibile, non potevano essere successo.
Ripresi il
telefono e l’avvicinai all’orecchio.
Ormai i
singhiozzi avevano preso il sopravvento.
-Arrivo fra
un po’, devo prima fare una cosa.- riattaccai e mi vestii.
Presi solo
dei leggings e un maglione.
Andai in
bagno e mi sciacqua la faccia.
Aspettai
qualche minuto per far attenuare il rossore agli occhi.
Presi il
correttore e il fondotinta e li spalmai sul viso.
Mi misi solo
una riga di matita e un po’ di mascara.
Mi tirai su
i capelli in uno chignon.
Mi guardai
allo specchio.
Il mio viso
era solcato da profonde occhiaie attenuate dal correttore, ero stana e
distrutta.
Controllai
l’ora e vidi che erano le 7.
Scesi e
scale e andai in cucina.
Trovai la
madre di Nicole seduta su uno sgabello mentre sorseggiava una tazza di the
bollente.
-Salve
Cristine- dissi.
Si accorse
di me e si girò.
-Oh
buongiorno Cat.- disse sorseggiando un altro po’ di the.
-Nicole
dorme ancora?- chiese inarcando le sopracciglia.
-No…in
verità credevo che fosse già scesa.- dissi allargando le braccia.
-Dove è
andata quella ragazza di mattina così presto?- appoggiò la tazza sul tavolo e
si diresse verso la finestra.
Restammo ad
aspettarla per un po’ e finalmente arrivò.
Io me ne
andai subito dopo, dovevo andare in ospedale.
Nicole
sembrò rimanerci male ma i miei genitori aspettavano.
Percorsi
velocemente la strada per l’ospedale, che si trovava abbastanza vicino a casa
mia e di conseguenza vicino alla casa di Nicole.
Arrivai
davanti all’edificio bianco.
Era un luogo
triste, spento e privo di vitalità…almeno da fuori.
Varcai le
porte scorrevoli di vetro e mi ritrovai nella reception.
Era molto
accogliente e luminosa.
Le poltroncine
erano di un giallo scuro e le pareti erano arancione chiaro.
Mi voltai a
sinistra e vidi la ragazza a cui potevo rivolgermi.
Era
abbastanza bassa, dai lineamenti dolci e gentili.
Aveva i
capelli legati in uno chignon disordinato e portava un camicie blu.
Mi avvicinai
a passo lento.
Doveva
essere tutto un sogno, ovvio.
Adesso io
ero ancora nel letto a casa Stevenson e i miei genitori stavano bene.
Ma no,
questa era la realtà.
La semplice
e stupida realtà.
-Mi scusi,
mi può ire in che stanza sono i signori Owen?- dalla mia bocca uscirono solo
flebili parole.
-In terapia
intensiva, stanza 359- disse guardandomi tristemente.
Seguii le
indicazione che mi dette e mi ritrovai al 4° piano dell’ospedale.
Vidi molte
famiglie aspettare malinconiche le notizie dei loro famigliari e altre invece
che piangevano perché quelle notizie erano già arrivate; non dovevo, non volevo
fare a stessa fine: dovevo essere forte per me e per i miei genitori.
Un’infermiera
passò lì vicino ma io la bloccai per un braccio.
Lei si voltò
e mi osservo prima male e poi questa si alleviò alla vista della mia
espressione preoccupata.
-Scusi, lei
sa dove sono i coniugi Owen?-
-Oh, lei
deve essere la figlia, giusto? - mi domandò.
-Sì, sono
io.-
-I suoi
genitori sono ancora nelle mani del chirurgo, ma non si preoccupi.-
Io…io non
dovrei preoccuparmi?! Questo è inaccettabile!
I miei
genitori sono sotto i ferri e non dovrei preoccuparmi?!
-Comunque
c’è sua zia- continuò per poi indicarmi una donna più in là.
Scrutai la
sagoma da lontano e vidi che era proprio mia zia.
Mi
allontanai dall’infermiera e raggiunsi mia zia che era seduta sulle seggioline
di plastica e aveva le ginocchia strette al petto.
La riconobbi
dai lunghi capelli castani e dalla pelle bianca come il latte.
Si voltò non
appena mi ebbe sentito.
Mi guardò
compassionevole.
Non potevo
di certa biasimarla.
-Penelope mi
dispiace tanto.- si alzò e mi abbracciò.
La strinsi
forte, lei adesso era il mio unico punto di forza.
-Ti hanno
detto qualcosa?- chiesi staccandomi da lei.
Silenzio.
-Zia devi
parlarmi, voglio sapere la verità.- m’imposi.
-Vedi, Cat,
non è facile da spiegare…-
-Zia non
usare giri di parole, voglio la semplice e pura verità.-
-I tuoi
genitori adesso si stanno operando, tuo padre ha avuto un trauma cranico e
invece tua madre è in condizioni migliori.- mi guardò, le scesero due lacrime e
poi incominciò a piangere.
Solo allora
i resi conto dei danni che avevano subito i miei genitori.
I unì a mia zia e ci abbracciammo sperando di rivedere le persone a noi più care.
Ehilà!
Salve a tutti/e,
per prima cosa volevo chiedervi se avete sentito il nuovo album
Ceh, è per-fet-to!!! XD
Adesso pariamo della storia:
scusate se fa schifo ed è in ritardo ma ho un motivo valido
mi si è quasi rotto il dito della mano giocando a pallamano.
Allora sono crudele perchè ho fatto finire i genitori di Cat in ospedale, pregate per loro...
Questo capitolo è maggiormente di Cat ma questo capitolo è molto importate.
ED ORA VI SALUTO POVERI PLEBEI.
No scherzo, vi adoro anche se * coff coff* nessuno recensisce *coff coff*