Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Segui la storia  |       
Autore: TuttaColpaDelCielo    30/11/2013    3 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note iniziali: per l'ennesima volta, chiedo scusa. È passato molto tempo e sono successe molte cose, ma spero che ci sia ancora qualcuno che si ricordi di me, tra chi prima seguiva la storia. Altre note in fondo al capitolo, ora vi lascio al riassunto dei capitoli precedenti per riprendere un po’ le fila della trama.

Ricordate dov’eravamo rimasti? 
Avvenimenti spiacevoli nella dimensione umana – Michael amabile come sempre, Eishet sempre più sana e adorabile, un angelo che ha visto troppo ed è stato ucciso da Anane. Di conseguenza, chi ha assistito – Anane, Amitiel, Sachiel e Cassiel – viene sottoposto ad un’amabile chiacchierata con i Censori, per chiarire gli avvenimenti.
Anane si sviluppata e, divenuta un angelo adulto, cade. Sachiel entra in competizione con Cassiel per le attenzioni di Leliel, sempre più distante e più dura con le sue allieve; ha anche scontri con Amitiel, prima di trovare un punto di incontro e approfondire un legame strano. Nelchael, il maestro di Amitiel, non sembra contento di questo avvicinamento – così come non è contento del trattamento riservato ai Cherubini, forzati a crescere troppo in fretta, sino a doversi scontrare con dei Demoni. Durante lo scontro, Amitiel perde conoscenza e al risveglio si scopre smarrita e confusa, annaspante tra ricordi incomprensibili e sentimenti che spaventano Sachiel. E poi accade l’errore.

 
Sachiel aveva occhi azzurri sgranati e torbidi e un corpo tremante, e labbra chiarissime e morbide, mentre lei ne assaggiava il sapore.



 
Capitolo 30 – Silenzi
 
 



Erano silenzi di seta, quelli che scivolavano nel fiume. Sgusciavano nel flusso di un respiro inutile e le si adagiavano lievi sulle labbra; ma i flutti candidi glieli portavano via in un gorgoglio, scorrendo lenti attorno a lei, mentre le dita sfioravano quella carne chiara macchiata dal peccato. L’acqua le entrava dentro, la avvertiva scorrerle in gola e riempirle le sacche nel petto – polmoni, le chiamavano, e una volta Anane le aveva detto che era stupido, perché polmoni erano quelli degli Umani. Avrebbe potuto fare a meno di quelle sacche, loro, come di tanti altri muscoli e tessuti e organi; ma cosa sarebbe rimasto, senza quelle inutilità? Cavità spalancate sul nulla, silenzi sterili ad aderire alle ossa. Corpi di carne e di vuoto.
C’erano così tante cose insensate, in loro, e così tante cose importanti che non potevano avere.
Le dita le premettero di più sulle labbra, quasi a zittire la voce – perché, avrebbe potuto essere la parola proibita. Voglio. Penso. Sono. O seta, anche, perché nessuno le aveva mai spiegato cosa fosse e non le era permesso conoscerla, non ancora; anche se ricordava un fruscio lieve sulla pelle e tessuto che le scivolava addosso in una stanza buia – e non ricordava quando o come, ma sussurrava seta e c’era il fruscio nella sua mente, c’era il buio davanti ai suoi occhi. O un nome, innumerevoli nomi che avrebbe dovuto solo cancellare e che venivano ridotti a quel silenzio di seta.
Sarebbe stato così sbagliato, se le sue dita si fossero premute su altre labbra?
Così tante cose importanti e proibite. Così tante cose che erano più importanti della luce e del calore e degli organi a riempire spazi sterili, e verso cui non potevano volgere gli occhi e i pensieri.
Era vietato anche desiderare.
 
Abbandonò la testa sul fondo, dove i suoi capelli si agitavano, nastri neri intrecciati dai flutti, mossi come lingue di fuoco o di serpi. Parole proibite ancora sulle labbra, strappate dalla corrente prima di trovare voce; carne morbida e umida che si stringeva attorno alle sue dita, e il richiamo violento e nebbioso di qualcosa, qualcosa, qualcosa che...
Carne morbida e umida che si stringeva attorno alle sue dita.
Le labbra che suggevano i polpastrelli, lente, quasi senza avvedersene.
Calore. Respiro.
La memoria del corpo.
 
Fantasmi che la prendevano per mano, impalpabili, guidandola verso l’ora più gelida e calda.
Ma i flutti candidi le strappavano pensieri emozioni ricordi e restava solo quel richiamo violento e nebbioso, indistinguibile, lontano. Passato.
E la seta le scivolava addosso ancora una volta, impalpabile. Sulle membra e sul seno e sulle labbra, a sussurrare i suoi silenzi.
 
«Il Confine...»
La voce le giunse attutita, tra i flutti che danzavano attorno a lei: nulla più che un gorgoglio tra i fruscii muti della seta.
Sollevò il busto di scatto, con i capelli a coprirle la carne nuda e le labbra ancora socchiuse, le ali grondanti, le sacche nel petto che si contraevano per espellere l’acqua. Ne sentì i fiotti risalirle la gola e colarle dalla bocca lungo il mento, ma non ci fece caso: c’era altro a cui pensare.
Aria. Sabbia. Suoni.
Un cielo azzurro che si mostrava, non più offuscato dai flutti candidi del fiume.
Un cielo azzurro che si rifletteva in occhi puri e corrotti – e distanti, anche. Puri corrotti distanti vuoti.
«È proibito venire qui, Amitiel.»
«Lo so.»
Avrebbe voluto urlare piangere stringerla, peccare ancora, imprimersi sul corpo ogni istante; ma Sachiel le sarebbe sfuggita tra le dita come sabbia, come acqua, come seta. Non l’avrebbe appagata, fuggendo il silenzio, lasciandole il suo sapore dolce sulle labbra e il desiderio di assaggiarla ancora – ma avrebbe potuto davvero appagare quella fame di lei, in fondo? E loro non sapevano neppure cosa fosse la fame, la sete, l’istinto vorace del corpo, eppure... eppure quella era fame, quella era sete, quello era un obbligo. Sfiorarle le labbra con le proprie e sentirsi una in due, per un istante, come a guardarsi allo specchio e congiungere le dita a quelle del riflesso. Non era possibile saziarsi di quella sensazione, ma solo anelarne ancora e ancora, bisogno vorace e violento.
Le ricordava, le labbra di Sachiel e il loro sapore e quegli occhi azzurri terrorizzati.
 
Era stato sbagliato.
Era stato meraviglioso.
 
Distese le ali, lentamente, sentendole pesanti per l’acqua e per la stanchezza – non era riuscita a riprendere totalmente il controllo, ancora, come se la sua essenza logora non avesse la forza di legarsi al nuovo involucro.
«Non credevo saresti venuta a cercarmi.» mormorò, cauta. Quanto sarebbe bastato, perché Sachiel si spaventasse di nuovo? Perché le sfuggisse e... e la paura che non tornasse. Il terrore di rimanere sola, ancora, sola come prima, sola come era sempre stata senza neppure rendersene conto. Se la sentiva ancora addosso, quell’angoscia nera e vischiosa di un istante – o di un’esistenza? Il Confine toglieva al tempo il suo significato, fluendo lento e immutabile nel suo ciclo continuo.
«Il Confine è proibito, Amitiel.» ripeté Sachiel. Se ne stava lì in piedi sulla riva, rigida, come manovrata da dita estranee; gli occhi azzurri puri e corrotti non la guardavano, ma fissavano il nulla, persi, quasi opachi. Era stata lei a togliere loro la luce? Eppure lei aveva solo voluto... solo voluto sentirsi una in due, per il tempo di un respiro condiviso.
«Lo so.»
«Il Confine è essenza liquida, sapevi? Sempre la stessa essenza, da quando è stato creato. È senza tempo. È...» la voce le mancò per un istante, prima di tornare a sussurrare atona «È un confine. Il confine. L’attimo del cambiamento, cristallizzato in eterno.»
«Sachiel...»
«Si dice che abbia... proprietà rare, quest’essenza. Che non solo guidi i Cherubini nello Sviluppo, ma che  possa anche...»
Sachiel scosse la testa lentamente, con gli occhi distanti e un sorriso vacuo, come se qualcosa le avesse succhiato la vita da dentro – ma no, no, Amitiel non poteva credere che fosse stato quel breve sfioramento di labbra, perché in quel momento la vita era esplosa. Non poteva essere colpa di quello. Non poteva essere colpa dell’istinto più torbido e magnifico di un’esistenza intera.
Le dita pallide di Sachiel si mossero per appuntare una ciocca dietro l’orecchio.
«Si dicono cose, Amitiel... cose incredibili.»
 
Amitiel si sentì tremare, guardandola negli occhi – occhi azzurri puri corrotti distanti vuoti. Occhi che non erano Sachiel, perché Sachiel era ferma e affilata e ti fissava come se volesse entrarti dentro, non come se non fossi altro che nebbia e silenzio. No, non era Sachiel, quella. Non le accendeva il desiderio di sentirla, toccarla, esplorarla; non scatenava l’istinto vorace di renderla parte di sé. Risvegliava un’inquietudine sottile che scorreva sotto pelle, e folle urlava qualcosa nella sua mente, folle sibilava contro il suo orecchio, folle alitava contro il suo collo, folle come sempre, folle come prima – e quegli occhi erano invasi da una luce rossastra e sanguigna, illuminati da un bagliore esaltato, e c’era ancora l’acqua candida del Confine che le scorreva attorno, ancora il richiamo vago come seta sulla pelle, ancora... ancora cose, cose che non avrebbero dovuto esserci lì davanti ai suoi occhi e nella sua testa, ma cose che c’erano, illusioni, deliri, ricordi.
E il Confine le scorreva ancora attorno, addosso, dentro.
 
«Non tornare più qui, Amitiel. Non ti fa bene.»
Fruscii di piume.
Gorgogli d’acqua.
Nella sua testa, solo un silenzio assordante; davanti ai suoi occhi, solo quello sguardo vacuo.
Sulla sua pelle, il richiamo lontano della seta.
 
*   *   *
 
Si era aspettato furia – oscurità impenetrabile che si sarebbe serrata attorno a lui, spezzandogli le ali. Lacerando. Devastando. Si era preparato al dolore, perché il nero accecante del tempio aveva sempre tremato, sotto la collera disperata di Leliel; perché, quando lo richiamava in quel luogo di incubi e mostri, il motivo era uno solo.
Ricorda, Esecutore. Ricorda chi sono. Ricorda il mio potere.
E soffri.
Scoprire lacrime su quegli occhi di ghiaccio, invece, era stato inaspettato e terrorizzante. Respirava l’aria scura e avvertiva una disperazione non sua invadergli i polmoni, avvertiva la confusione, la rabbia; un grumo più nero dell’ombra, dolore folle e violento che aggrediva il nulla, essenza impazzita che vorticava e si espandeva e sembrava quasi volersi lacerare. Lui, spettatore esterno di quella tempesta, si lasciava attraversare da ogni cosa senza esserne ferito.
E le lacrime rilucevano nel buio, colando da quegli occhi aridi.
«Hai parlato con Sachiel.» ringhiò Leliel.
Più che un’accusa, gli sembrò una supplica.
«...no, Autorità.»
«Non mentire!» urlò – eppure l’oscurità continuò a non toccarlo, a non ferirlo, perché era una rabbia che si ritorceva su sé stessa e si malediva. «Chi altri le avrebbe parlato? Chi altri, per allontanarla da quel cherubino... chi altri?»
Una supplica, ancora. Un’implorazione.
«Non so di-»
«Non sai, Nelchael? Davvero non sai? Eppure Sachiel è cambiata, Sachiel... Sachiel sembra...»
La sagoma di Leliel, nell’oscurità, parve accasciarsi per un istante, quasi volesse lasciarsi crollare a terra: le spalle curve, le ali tremanti, ciocche che le ricadevano scomposte sul volto e sempre quelle lacrime, quelle scie trasparenti sulle guance che non avrebbero dovuto esistere – non su Leliel. Non sull’Autorità gelida e implacabile.
Doveva essere accaduto qualcosa di terribile, per piegare persino lei; Sachiel doveva sapere qualcosa di proibito, di orrendo, di...
Un presentimento gli strisciò lungo la schiena, gelido.
«Leliel.» la chiamò, cauto, allungando una mano senza osare sfiorarla «Cosa sembra, Sachiel?»
«Non lo immagini?» sussurrò, e crollò davvero, questa volta. L’impatto delle sue ginocchia contro la pietra risuonò come un boato, nel silenzio vibrante del tempio. «Si sta perdendo. È folle, distante, è... sembra come lei
«Ne sei certa?» sfiatò, fissandola dall’alto – senza pietà. Senza inginocchiarsi accanto a lei e offrirle conforto, perché la pietà non superava il rancore. «Ti ha raccontato?»
«Non... non vuole, parla solo di... di cose incredibili. Ho tentato, ma non risponde, è... è come lei, Nelchael. Si sta perdendo.»
Avrebbe potuto rassicurarla: dirle che non poteva averne la certezza, che Sachiel poteva essere semplicemente inquieta per l’imminente Sviluppo, che era un cherubino acuto e forse aveva intuito la tensione crescente con gli Sconsacrati, che... che c’erano tante spiegazioni, tanti modi per giustificare distanza e distrazione, che non doveva angosciarsi tanto.
Avrebbe potuto, ma non era mai stato disposto a mentire, lui.
«Dobbiamo separarle.» sibilò invece, deciso e tagliente quanto una lama «Subito.»
Leliel, se possibile, sembrò piegarsi ancor di più su sé stessa – colpevole.
«Le hanno accordato l’ultima Presenza, Nelchael.» mormorò «E Amitiel... stanno concedendo nuovi Fuochi. Gli allievi assisteranno.»
«No.»
La fissò dall’alto e dominò a stento l’impulso di colpirla – perché era colpa sua, sua che non lo aveva ascoltato, sua che non le aveva divise, sua che era stata troppo cieca orgogliosa stolta. Sua che concedeva alla propria allieva lo Sviluppo – e poi sarebbe stata un’adulta, senza difesa, senza guida, esposta alla ferocia di chi non mirava a lei ma a Leliel. Sua che imponeva a Cherubini troppo immaturi di assistere alla Venuta – e c’era una bambina, lì, che lui aveva promesso di proteggere. Giurato no, perché giurare era proibito, ma l’aveva promesso, aveva detto ; e Leliel lo sapeva, Leliel lo sapeva e gettava comunque quel cherubino bambina in qualcosa che...
Avrebbe dovuto essere alla settima classe – e neppure alla settima sarebbe stato certo che fossero pronti. Era necessario, perché maturassero abbastanza da giungere al ciclo superiore, ma alla quinta, alla quinta... non era bastato che fosse permesso – fosse imposto – di assistere alla sesta classe? Non era accaduto nulla, e forse non sarebbe accaduto nulla neppure alla quinta, ma non era... non era giusto. Stavano strappando l’innocenza, la serenità. Stavano strappando l’infanzia.
Stavano allevando piccoli combattenti che dovevano crescere in fretta, sempre più in fretta, per fronteggiare una guerra che ancora non c’era.
«Non l’ho deciso io.» mormorò Leliel. Aveva le ali tremanti e la schiena curva e la fronte che quasi sfiorava terra, e lacrime che le scorrevano sulle guance e colavano sulla pietra, eppure non risvegliò in lui neppure un barlume di pietà. «Si sono espressi tutti i Censori, tutte le Autorità... persino gli Antichi. È stato collegiale, non... non sono stata io.»
«Ti sei opposta?»
E sperò davvero, per un istante, che Leliel lo avesse fatto – s’illuse davvero che quel serafino affamato di gloria si fosse compromesso, lei che sapeva cosa fosse un’infanzia strappata e mille orrori vissuti troppo presto.
«Ti sei opposta, Leliel?»
Leliel rimase muta.
Colpevole.
 
*   *   *
 
Il dolore era una marea rossa che le esplodeva dentro. La sua stessa carne le si ribellava, straziata da sangue sbagliato, sfigurata da un’essenza marcita; è troppo presto, le aveva detto Eisheth con preoccupazione di madre e ghigno di demone, è troppo presto, amore mio. Non le era sembrato che stesse precisamente tentando di dissuaderla, quanto piuttosto di spingerla a farlo, perché se Eisheth l’aveva scelta – se non l’aveva eliminata, abbandonata, ignorata – era stato solo per noia. Quanto avrebbe potuto essere divertente, una ribelle codarda?
Avrebbe dovuto capirlo subito, Anane, che l’interesse di Eisheth chiedeva in cambio la vita – in un modo o nell’altro.
Ma era tardi, troppo tardi, e lei non sarebbe più stata Anane; anche se non avrebbe mutato nome, come invece aveva fatto un fratello codardo quanto lei, avrebbe perso sé stessa tra le dita di Eisheth. Anane era un cherubino immemore e incapace, era traditrice, era amica e sorella in nome di falsità donate come abbracci, ma non... non quello. Non un’essenza impazzita e un corpo che le si ribellava. Non un demone.
Anane era sempre Anane, ma non lo sarebbe più stata.
Savsa era diventato Michael ed era rimasto lo stesso.
Eisheth, senza dubbio, doveva trovare la cosa molto divertente.
 
È troppo presto, le aveva detto Eisheth, e Anane lo sapeva; come sapeva anche che, ignorando quell’avvertimento, stava solo seguendo le tracce che la madre aveva predisposto da tempo. Avvertì la schiena squarciarsi, abbozzi ossei che si formavano straziando la carne, ma lei li respinse nel nulla con un gemito. Troppo presto. Troppo presto per riuscire a controllare quel nuovo corpo. O troppo presto per affrontare quell'incontro?
Dumah, davanti a lei, mostrava il disgusto del genio costretto a confrontarsi con lo stolto: la piega appena contratta delle labbra, una ruga lieve sulla fronte. Aveva ancora potere su di lui, pensò, cercando la lucidità oltre il dolore che la travolgeva. Poteva ancora incrinare un’impassibilità che non era solo maschera, ma natura profonda; nel gelo di un animo perso tra incubi, lei era reale, concreta, importante. Era meraviglioso, scoprirlo.
Anche se quell’importanza si traduceva in disgusto.
Anche se avrebbe fatto male – qualsiasi cosa avesse scoperto.
«Dumah.» lo chiamò, piano. I denti troppo aguzzi le tagliarono le labbra rovinate, e altro sangue ustionante le si riversò in bocca, corrodendo carne già corrosa.
Le unghie le affondarono nei palmi. Avrebbe voluto avere qualcosa da stringere tra le mani, carta e inchiostro che aveva carezzato e lisciato troppe volte per poterle contare, ricordi che le dessero forza; ma il suo sangue li avrebbe corrosi in un istante, distruggendo quello che – sperava implorava pregava – non era stato solo finzione.
Eisheth l’avrebbe ingannata senza una goccia di rimorso; Savsa, che mentiva anche a sé stesso, avrebbe potuto superare persino la madre.
Lo sapeva, quando era iniziato tutto, ed aveva accettato comunque: aveva sacrificato tutto, tutti, sull’altare di qualcosa che poteva essere solo l’inganno di un demone annoiato e un caduto ossessionato. Forse, in fondo, anche lei era stata tanto annoiata e ossessionata da accettare un gioco che gridava sconfitta sin dal principio.
Aveva pensato che ne valesse comunque la pena; giunta al termine, troppi legami recisi urlavano il loro dolore più di un corpo in mutamento.
«Eisheth fingerà di non essere contenta, quando tornerò da lei.»
Forzò la voce in una risata stridula. Dumah, senza guardarla negli occhi, storse le labbra sottili in una smorfia più accentuata – aveva fiutato il suo dolore, la sua debolezza? Il terrore che la annichiliva?
Non ho nulla da perdere, si era detta nell’accettare l’inganno e il tradimento, ma poi aveva scoperto che sì, aveva tanto troppo da perdere, una sorella e un maestro e un mondo odiato che perlomeno risultava familiare. Sé stessa. Una Anane che non fosse un corpo mostruoso, devastato, denti troppo aguzzi che le tagliavano le labbra quando parlava e artigli che le squarciavano i palmi e sangue che la corrodeva da dentro; una Anane che non fosse allucinata ossessionata confusa, preda del ghigno predatore di una madre crudele.
Era andata avanti comunque, in quel gioco che gridava sconfitta sin dal principio, perché era troppo tardi, e a rifiutarsi non avrebbe guadagnato nulla e perso ogni cosa.
«Ma ha rispettato il patto. Incredibile, sì?» continuò, con un’altra risata stridula «Sono un demone, ora.»
No, sei ancora in mutamento, si era quasi aspettata che la correggesse; ma non era più abbastanza importante da meritarsi la sua voce. Forse non lo era mai stata – non davvero.
«Sono un demone, e lei mi ha condotta sino a te.»
Tacque, attendendo una risposta – un barlume di comprensione, un segno, un sospiro – senza neppure sperarci davvero. Si sentiva tesa; tesa come non era neppure con Eisheth. Come non era stata neppure di fronte agli orrori più atroci, forse, perché lei era egoista e codarda e abbastanza realistica da ammetterlo: era più importante la sua incertezza dolorosa e lacerante, piuttosto che i danni inflitti ad un altro. Aveva visto sua madre strappare unghie e spezzare ossa e lacerare essenze, e Michael infuriarsi sino a devastare ogni cosa, e gli occhi di quella serpe di Shoftiel spegnersi mentre lei stessa ne estingueva la vita; ma non c’era nulla, nulla che l’avesse fatta sentire così esposta vulnerabile angosciata come quelle labbra sottilissime e mute che vomitavano solo silenzio.
C’erano fronde che stormivano, da qualche parte, sussurri di vento e richiami di bestie, lontanissimi; ma il nulla pioveva da quella bocca troppo desiderata e la assordava. Non valeva neppure una parola, lei? Lei che aveva sacrificato ogni cosa. Lei che si era votata a lui, con la devozione malata di un angelo per il suo Dio. Lei che portava il suo marchio dentro, più a fondo della carne, fenditura rossa corrotta spaventosa in un’essenza che avrebbe dovuto essere candida – e forse per questo era stato tanto facile avvicinarsi ad Amitiel, cherubini dal dolore affine e da un futuro che era opposto e uguale, ma aveva sacrificato persino lei. Persino quel legame unico e prezioso. Persino l’unico frammento di sincerità in un’esistenza di menzogne.
E lui rimaneva muto, ancora.
«Quello che mi hai scritto...»
Accuse. Sentenze.
La dimostrazione che ancora, di lei, gli importava qualcosa – fosse anche solo per l’odio.
«...non farmelo chiedere, Dumah. Rispondimi e basta.»
Era sempre stata una codarda, in fondo: non aveva il coraggio di dar voce al suo terrore più profondo.
Dumah non le sorrise – sarebbe stata una crudeltà dolcissima più adatta ad Eisheth, quella, o a Michael. Il signore degli incubi, invece, tornò a distendere il viso in un gelido distacco: non c’era più nulla che valesse una dimostrazione d’interesse.
Sembrava che Naamah, oltre all’appellativo di figlio e al piacere di mille amplessi, gli avesse trasmesso anche l’indifferenza verso il mondo – entrambi troppo persi la propria realtà irreale, sogni e incubi e il futuro che si svelava a occhi ciechi.
Eppure, nel vedere le labbra sottili di Dumah muoversi su quel volto impassibile, scoprì di valere almeno quella risposta – la più temuta. La più prevedibile, in fondo.
«Io non ti ho mai scritto nulla.»
Avrebbe preferito il silenzio.




***
Angolo autrice
Eccomi. Sono finalmente tornata, per tirare le fila di questa storia e fare un po' di chiarezza su tutto ciò che è successo e deve ancora succedere.
Grazie infinite a chi ha seguito la storia e, spero, tornerà a seguirla.
E grazie anche a chi mi fa stare finalmente bene e mi incoraggia, dandomi di nuovo la forza di scrivere.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: TuttaColpaDelCielo