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Autore: Melanyholland    09/11/2004    9 recensioni
Per non perdere per sempre la sua Ran, stavolta Shinichi dovrà combattere la battaglia più dura: quella contro se stesso
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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ATTENZIONE: in questo capitolo è presente la descrizione di una scena truculenta; niente di così terribile, anzi, niente di più di ciò che si vede abitualmente nel manga, ovvero sangue, ferite più o meno gravi ecc. Tuttavia, ho voluto precisarlo in modo che, se siete persone facilmente impressionabili o se queste cose vi offendono, possiate evitare di leggerle. Mi scuso inoltre per la frequente presenza di parolacce nella prima parte; a me per prima non piace la volgarità gratuita, ma trattandosi di criminali ho dovuto adottare questo stile di scrittura. Ho cercato comunque di non cadere nel cattivo gusto.

-Melany

14. Fight, Blood and…Tears

Ran aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per disappannare la vista. In un primo momento la sua mente intorpidita dal sonno non riuscì a capire perché si sentiva frastornata e impaurita, né perché fosse adagiata ad un freddo pavimento di ceramica; poi il ricordo dell’orrore che stava vivendo si fece largo nella sua testa, di nuovo provò un dolore acutissimo all’altezza del petto e una sensazione di vuoto incolmabile. Per la seconda volta in due giorni si sentì persa, patetica e terrorizzata, e si chiese angosciata il motivo per cui tutti da un po’ di tempo a questa parte ce l’avessero con lei. Senza contare che quell’uomo mostruoso, quel Gin aveva intenzione di…

No non voglio non potrei sopportarlo voglio morire sì piuttosto che questo…

Sentì gli occhi che bruciavano mentre le lacrime cercavano di venir fuori. Non poteva permetterlo. Loro non dovevano accorgersi che aveva ripreso i sensi, e così rimase sdraiata a terra, le palpebre chiuse, cercando di non tremare, né di respirare affannosamente a causa dei battiti accelerati del suo organo vitale. Poteva udire i passi degli uomini nella stanza, e un altro lamentoso rumore di sottofondo, come se qualcuno stesse cercando disperatamente di non piangere senza molto successo.

“Allora, ti è passata la voglia di scherzare amico?” chiese una voce fredda e crudele. L’uomo chiamato Gin di sicuro, pensò Ran con un brivido.

“Sì…sì…mi dispiace…” balbettò una voce acuta e piagnucolosa.

“Perché vedi…il tuo scherzetto con quei soldi falsi…non l’abbiamo trovato molto divertente.” Riprese Gin, Ran udì altri passi e sentì che il respiro dell’uomo in lacrime si faceva più affannoso. Lui gli si era avvicinato…

“Sì…avete ragione…vi pagherò lo giuro…vi darò tutto quello che volete…il doppio, il triplo…ma non fatelo di nuovo…vi prego…non lo sopporterei…” insisté la voce tremante e disperata, in un pianto sommesso. Ran capì che doveva trattarsi del proprietario del negozio, quello di cui avevano parlato in precedenza, e si chiese con orrore cos’era la cosa che non gli dovevano fare di nuovo. Pregò di non doverlo mai scoprire.

“Eh no…vedi, il tuo giochino ci ha fatto perdere un bel mucchio di tempo; devi imparare la lezione. Nessuno può credere di ingannare la nostra organizzazione.” ribatté divertito Gin, scoppiando in una risata agghiacciante a cui si unì una seconda che, con orrore di Ran, si trovava piuttosto vicino a lei.

“Lo so ho imparato…ho imparato davvero…ma vi prego…non di nuovo...non di nuov…” non fece in tempo a finire la frase che un urlo squarciò il silenzio, Ran fu scossa da un tremito incontrollabile sentendo quel grido di dolore e sofferenza incalcolabili, unita a un odore forte e dolciastro. L’odore del sangue.

Fortunatamente nessuno se ne accorse, probabilmente erano troppo occupati a godersi lo spettacolo…di qualsiasi cosa si trattasse, era sicura che fosse terribile.

Il pianto dell’uomo aumentò considerevolmente di volume. Ora non gli importava più di trattenersi, e lei udiva distintamente i suoi singhiozzi e i suoi gemiti, accompagnati dalle risa dei due uomini in nero. Il clima intorno a lei era pesantemente raccapricciante.

“Pronto ad un altro giro, amico?” Gli domandò in tono di scherno la voce vicina a Ran, quella di Vodka, presumibilmente.

“No per favore…per favore…” singhiozzò con voce fioca e lamentosa il proprietario. Ran era spaventata, sapeva che se avesse visto ciò che stava accadendo si sarebbe sentita ancora più male, tuttavia, fu colta da quella curiosità morbosa e autolesionista tipica della maggior parte delle persone, molte delle quali poi finiscono per affollare i cinema all’uscita di film come “The Ring”. Socchiuse leggermente una palpebra, scorgendo un paio di scarpe nere lucide e il bordo di un lungo cappotto dello stesso colore, visto da dietro. I due piedi, poco distanti uno dall’altro, si stagliavano davanti a due aste legnose al centro delle quali c’erano due gambe robuste, tenute unite e assicurate alla sedia da una spessa corda. E –con suo gran orrore- il pavimento sottostante era ricoperto da una pozza di sangue scuro, su cui ancora gocciolavano perle rosse. Aprì entrambi gli occhi e, sebbene già quella vista l’avesse scossa, le sue pupille si mossero lentamente verso l’alto, mostrandole un braccio lasciato libero dalle corde, martoriato da ferite profonde e roventi, da bruciature di sigaretta e zuppo di sangue, soprattutto sulle dita, dove si era raggrumato. Sì perché lì gli avevano…

Oh mio dio gli hanno strappato le unghie

Percepì un senso fortissimo di nausea e vertigine che la travolsero completamente e si lasciò scappare un gemito. Le scarpe lucide si voltarono sogghignando: “Oh, ma guarda, la nostra graziosa ospite si è svegliata…” cominciarono ad avvicinarsi e lei iniziò a tremare, serrando gli occhi e raggomitolandosi come per cercare protezione e sicurezza dal calore del suo stesso corpo. Sentì un dolore acuto alla testa e qualche capello si strappò, mentre Gin la sollevava di peso e lei collaborava con gambe e braccia, affinché la morsa sui suoi capelli non le facesse più male. Di nuovo si ritrovò a fissare quegli occhi freddi e spietati: “Allora bambina, hai dormito bene? O le urla di questo figlio di puttana ti hanno disturbata?” chiese con falsa premura. Lei non rispose e abbassò lo sguardo, cercando disperatamente di non far uscir fuori le lacrime.

Non devo piangere non devo sono già abbastanza patetica così non gli darò questa soddisfazione…mai… tanto morirò comunque allora a che serve dargli un’altra occasione per ridere di me?

Tornò a guardarlo, la fronte aggrottata e le sopracciglia inarcate; un’espressione di sfida di cui Shinichi sarebbe stato orgoglioso…

Shinichi…lui torna questo pomeriggio…

Improvvisamente un sentimento diverso da quelli che l’avevano angosciata fino a questo momento si fece spazio nel suo cuore. Era…speranza…ingenua, desiderata, inutile, forse…ma c’era. Ed era la miglior sensazione che avrebbe potuto provare, a cui doveva appigliarsi per resistere e non crollare.

Shinichi…se viene qui e non mi trova capirà che è successo qualcosa sì e mi verrà a cercare e sì capirà tutto e mi troverà di certo il mio Shinichi non gli permetterà di farmi soffrire quando saprà che sono nei guai…

Con suo grande stupore si ritrovò a sorridere a quegli occhi freddi, che per un secondo la guardarono con una traccia di confusione e incredulità:

“Ehi, non so cosa ti abbia preso, ma non preoccuparti. Ora finisco con lui e poi mi occuperò di te, d’accordo?” insinuò riprendendosi il biondo, con un sorriso lascivo in faccia. Le lasciò i capelli e lei cadde seduta, cercando di spazzare via la fitta lancinante che le sue parole e la sua smorfia le avevano provocato. A che ora sarebbe tornato Shinichi? Era possibile che fosse già in città?

Gin tornò a voltarsi verso l’uomo piagnucolante, di cui adesso Ran poteva vedere il volto arrossato e zuppo di lacrime, contratto in una smorfia di dolore e disperazione. Doveva avere almeno quarant’anni, eppure, vedendolo in quello stato, sembrava un piccolo bambino indifeso. Guardò Ran con i suoi occhi neri lucidi, bui e desolati come la notte più oscura, imploranti. Le sue labbra screpolate si mossero lievemente a pronunciare senza voce una parola: aiutami.

Solo allora Ran smise di pensare a se stessa e a come salvarsi. Il suo animo si gonfiò di compassione e sofferenza, unita a un forte senso di colpa per essere stata così egoista. Nonostante sapesse che lì c’era un uomo che stava patendo le pene dell’inferno era riuscita solo ad aver paura per sé, e vedendo quello che gli avevano fatto, poco prima, aveva solo sperato che non lo facessero anche a lei. Improvvisamente si sentì… sporca.

Come ho potuto essere così crudele… oh mio Dio è un padre di famiglia e io sto qui a pensare a come cavarmela mentre lo torturano…e anche se dovessi salvarmi come potrei guardarmi allo specchio da oggi in poi come? Dopo essere stata tanto spietata…non posso…devo aiutarlo…voglio aiutarlo…

Raccolse tutto il suo coraggio e balzò in piedi, fissando torva la schiena del biondo: “Lascialo stare.” Riuscì a dire, con voce roca. Vodka la guardò con un lieve cipiglio che gli occhiali scuri non riuscirono a mascherare.

Gin si voltò lentamente verso di lei: “Come dici?”

“Ho detto di lasciarlo stare.” Ripeté, schiarendosi la voce. Lui rise, ma i suoi occhi restarono seri e temibili. Dietro di lei, Vodka scattò in piedi: “Ehi, ragazzina, bada a come parli!” la ammonì, lei non si voltò a guardarlo, ma aveva la vaga impressione che avesse tirato fuori la pistola.

“Calmati, Vodka.” Gin si avvicinò di nuovo a lei, ma stavolta Ran non indietreggiò, né cominciò a tremare, squadrandolo ostile. Basta fare la patetica frignona, basta aspettare che il principe azzurro la vada a salvare dagli uomini cattivi, come accadeva nelle fiabe; basta lacrime, basta gemiti…era giunto il momento di comportarsi con onore, e forse era meglio morire affrontandoli fiera che lasciarsi violentare e poi ammazzare mentre ancora stava per terra a cercare di coprirsi con i suoi vestiti strappati. E forse…

Forse trovandomi papà Shinichi e tutti gli altri saranno orgogliosi di me…forse Shinichi dirà che sono stata proprio una coraggiosa detective…

Di nuovo quel bruciore agli occhi e quel peso alla bocca dello stomaco. Fece un respiro profondo e li ricacciò via, continuando a fissare con determinazione e rabbia l’uomo che le stava davanti con quel ghigno, avvicinandosi sempre di più.

“Che c’è, bambola, non vedi l’ora di spassartela con me? Non te la senti di aspettare che abbia finito? Va bene, se è questo che vuoi…” tese una mano verso il suo viso e qualcosa dentro di lei scattò. Con un gesto fulmineo e inaspettato gli assestò una bella ginocchiata nello stomaco sorridendo raggiante quando lui si inginocchiò con un tonfo, strizzando gli occhi. La sua felicità durò solo qualche secondo. Dietro di lei, Vodka la colpì con violenza alla nuca con l’impugnatura della pistola, vide scintille davanti ai suoi occhi mentre qualcosa di caldo e viscoso le colava dalla nuca al colletto della maglietta. Si ritrovò a terra, frastornata e dolorante, mentre una voce concitata chiese:

“Stai bene, Gin?”

“Sì, certo che sto bene…” Ran notò con piacere che la sua voce era soffocata.

“Ho preferito non sparare…così se vuoi farle qualcosa tu puoi…” Aggiunse il più robusto con l’aria di chi si aspetta di sentirsi dire che ha fatto bene. Gin lo ignorò, si avvicinò a lei e le sferrò un calcio in un fianco, con la punta della scarpa, facendola gemere di dolore.

“Che pensavi di fare, schifosa puttana??” e la prese di nuovo per i capelli, cosa che la fece tremare di dolore, data la ferita che le si era aperta in testa. “Adesso ti faccio vedere io che succede a…” La porta dietro di loro si spalancò con un tonfo, Gin, Vodka e Ran non fecero in tempo a dirigere lo sguardo verso di essa per capire cosa era successo che qualcosa schizzò nell’aria e andò a colpire Vodka in faccia, infrangendo le scure lenti degli occhiali e facendolo cadere a terra, il naso sanguinante. Gin lasciò andare Ran ed estrasse la pistola, gli occhi che guizzavano dalla stanza alla soglia vuota. Una voce echeggiò da un punto imprecisato all’esterno.

“Ran, va via dall’entrata principale dietro di te!!!” Era una voce giovane, autoritaria e preoccupata. Una voce che conosceva bene…

SHINICHI

Gin, con lo sguardo che ancora vagava alla ricerca del ragazzo, agitò di colpo una mano verso di lei per afferrarla ma Ran fu più veloce, balzò in piedi e corse velocemente obbedendo a Shinichi.

Conan aspettò che Ran lasciasse la stanza, appoggiato al muro vicino alla porta, il modulatore di voce ancora accostato alla bocca, le scarpe da ginnastica che mandavano scintille, pronte all’azione, e il mirino dell’orologio alzato. Il momento della resa dei conti. Scorse Gin con la pistola puntata, che lo cercava; il suo compare era ancora a terra, a tamponarsi i fiotti di sangue dal naso con la manica.

“Esci fuori bastardo! Chi diavolo sei?” tuonò Gin.

“Uno contro cui non avreste mai dovuto mettervi…” rispose la sua voce adulta, determinata e sprezzante. Gin sparò nella sua direzione, Conan udì i proiettili colpire il muro dietro cui si era riparato, poi si sporse veloce ma cauto dal suo nascondiglio calciandogli addosso un pezzo di tegola abbastanza grande da spaccargli la mascella. Gin non si lasciò cogliere alla sprovvista. Lo schivò, e quello s’infranse contro il muro dietro di lui, mentre si lanciava verso il luogo dove Conan si nascondeva. Non era riuscito a vederlo. Non ancora, almeno. Il piccolo detective corse a sua volta verso l’altro angolo dell’edificio, nascondendosi dietro il mattonato. Gin varcò la soglia, la pistola ancora in pugno. Dietro di lui fece capolino Vodka, l’arma pronta in mano e le narici ancora grondanti.

“Ah, davvero? Beh, per ora non mi sembri tanto temibile, visto che continui a nasconderti come un coniglio.” Commentò Gin in tono di scherno, ridendo, ma Conan sapeva che era perfettamente concentrato e attento, e voleva spingerlo a parlare per rivelargli la sua esatta posizione. Sorrise. Se lo credeva uno stupido, avrebbe pagato caro il fatto di averlo sottovalutato. Scoccò un’occhiata a Vodka, che si guardava intorno nervosamente, la pistola puntata. Lui era il bersaglio più facile: sembrava molto meno acuto del suo compagno, anche se decisamente più forte fisicamente. Fortunatamente non doveva affrontarlo in un corpo a corpo…

Le scarpe da ginnastica ancora mandavano scintille. Il piccolo detective aspettò che Gin si voltasse dall’altra parte e con un gesto veloce e atletico sollevò la gamba e calciò un sasso piuttosto grande in direzione dell’uomo, avvertendo una leggera fitta al piede. Gin sentì lo schiocco della scarpa contro il sasso e senza farsi scrupoli si fece scudo con il corpo di Vodka, che venne colpito di nuovo alla testa, rovinando a terra con un basso gemito. Gin sorrise diabolicamente, adesso sicuro del luogo in cui si trovava il suo avversario. Afferrò velocemente la pistola del suo compare privo di sensi e sanguinante e scattò verso di esso. Conan lo osservò e subito corse dietro un albero lì vicino, rischiando per un pelo di essere visto. Gin scoppiò in una profonda risata roca.

“Siamo piuttosto in difficoltà, a quanto vedo! Mi chiedo perché tu ci tenga tanto a mantenere l’anonimato...”

“Beh, che vuoi che ti dica..? Ad ognuno i suoi segreti…”

Gin sparò un altro colpo che colpì la corteccia dell’albero. Conan poteva sentire l’odore della polvere da sparo e di bruciato dietro di sé. La situazione era piuttosto difficile. Doveva riuscire a colpire l’uomo senza che lui lo vedesse, e Gin teneva l’arma puntata nella sua direzione.

“Vorrà dire che vedrò il tuo aspetto una volta che sarai cadavere…e poi magari me la spasserò con la tua fidanzatina…”

Conan sentì la rabbia incendiare ogni centimetro del suo corpo, ma cercò di tenerla a bada. Fargli perdere il controllo per farlo sbagliare era l’intenzione del suo avversario e lui non era così sciocco da cascarci. Tenne la mano stretta sull’orologio spara-anestetico, il dito sul pulsante. Doveva solo aspettare il momento buono....

Avanti bastardo…distraiti solo un secondo…solo uno…e ti trascinerò nello stesso abisso in cui mi hai portato tu…

“Anche se mi sembra di aver già sentito la tua voce…dì, perché ci tieni tanto a rischiare la pelle contro di noi?”

Gin parlò in modo spavaldo e arrogante, e Conan sentì un brivido percorrergli la schiena quando capì che cominciava a ricordarsi di lui. Non voleva che succedesse…il piano che aveva in mente era già pieno di rischi senza che l’Organizzazione ricominciasse a seguire le sue tracce. Forse non era stata una buona idea parlare con la sua vera voce…ma era l’unico modo per tranquillizzare Ran, che era finita in quell’incubo a causa sua…e perciò aveva solo un piccolo rimorso.

“Se fossi in te non mi preoccuperei di questo, ma piuttosto di guardarmi le spalle…”

disse sicuro, sorridendo soddisfatto quando gli occhi di Gin saettarono per un istante dietro di sé. Non durò molto. Forse nemmeno un secondo intero…tuttavia Conan era pronto: abbandonò per un istante il suo rifugio dietro l’albero, lo mirò con il suo orologio e spinse il fatidico pulsante. L’ago saettò fendendo l’aria e lo colpì sul collo. Gin cadde in ginocchio, strinse i denti e si portò la mano al collo, estraendo l’ago con un gesto secco. “Ah, adesso mi ricordo di te…” sibilò, lottando con se stesso per restare sveglio “…sei quello che ha aiutato quella troia di Sherry a sfuggirmi…” poi inevitabilmente le palpebre si serrarono e cadde a terra. Conan rimase per qualche secondo dietro l’albero, ascoltando il suo stesso respiro, gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Sorrise a se stesso, mentre felicità e soddisfazione riempivano il suo animo.

Ce l’ho fatta…

Uscì fuori dal suo nascondiglio, avvicinandosi a lui, e restò a guardarlo per qualche attimo con un misto di disprezzo e superiorità; l’uomo che gli aveva rovinato la vita, lo stesso che mesi prima l’aveva tramortito somministrandogli l’APTX e costringendolo a quella vita di menzogne e finzione, colui che odiava e temeva con tutto se stesso…era lì, inerme davanti a lui. L’aveva sconfitto. Non gli restava che chiamare la polizia…e tutto sarebbe finito. Un solo piccolo gesto, e si sarebbe svegliato da quell’incubo. Per sempre…

“Shinichi!!!” Sussultò percependo la voce della sua amica d’infanzia; si voltò, la mente che lavorava furiosamente cercando di prendere una decisione in quei pochi secondo che gli restavano prima che lei facesse capolino dietro il vicolo.

Mi chiederà spiegazioni ma cosa devo dirle? La verità?? Anche se catturo questi due sono ben lontano da sconfiggere l’intera Organizzazione e se la coinvolgo potrebbero ucciderla…e poi se lei vede tutto questo vorrà chiamare la polizia e se l’Organizzazione scopre che è stata LEI a mandare in prigione i suoi uomini potrebbe ugualmente prenderla di mira…no non posso permetterlo…è già stata coinvolta abbastanza ma allora cosa devo fare????

Vide la sua ombra che si stagliava contro il suolo; non c’era tempo da perdere: con un gesto fulmineo portò il farfallino alla bocca e gridò col tono più autoritario possibile.

“Ran, resta dove sei!!!”

L’ombra si bloccò; quando parlò di nuovo, la sua amica d’infanzia sembrava piuttosto perplessa.

“Sh…Shinichi…cosa..?”

“Non muoverti.” Ripeté, frugando nella tasca del giacchetto blu ed estraendo un piccolo trasmettitore e una cimice elettronica; altri due piccoli souvenir che aveva recuperato passando per l’agenzia investigativa.

“Ma…perché?? E quei due, che fine hanno fatto??”

“Non posso spiegartelo adesso…” assicurò entrambi i congegni sotto la suola della scarpa di Gin, tenendoli con un fazzoletto per evitare di lasciarvi sopra le impronte digitali. “Ma è molto importante Ran, che tu faccia alcune piccole cose per me.”

La voce di lei ora appariva più che perplessa…confusa. Evidentemente non sapeva cosa pensare.

“Cosa?”

“Per prima cosa, non devi chiamare la polizia o nessun altro. Penso a tutto io.” Scoccò un’occhiata disgustata alla figura di Gin accoccolata per terra e si trattenne a stento da mollargli un calcio.

“Seconda cosa, è meglio se per un po’ non vai in giro da sola quando fa buio o nei luoghi isolati. Questo è importante”.

Ci tenne a sottolineare, nonostante capisse che questo l’avrebbe messa in allarme. Gin e Vodka l’avevano vista bene in volto e ormai erano anche a conoscenza del loro legame, dunque, se per qualche motivo queste informazioni avessero raggiunto orecchie sbagliate…preferiva che lei fosse attenta.

“Perché…credi che io sia…in pericolo?” chiese lentamente, la nota di profonda preoccupazione nella voce perfettamente percepibile. Conan si sforzò di assumere un tono solare e un pochino ironico; attenta sì, ma non era il caso di metterla in agitazione più del necessario.

“Ma no, idiota!”

o almeno non in pericolo immediato…ma non preoccuparti amore mio penso io a difenderti…non gli permetterò di toccarti di nuovo con le loro luride manacce…

“Comunque la prudenza non è mai troppa!! È meglio se per un po’ eviti qualsiasi rischio, okay?”

“Sì…” mormorò lei “sì…dici che potrei dire a papà quello che mi è successo, Shinichi? Magari può aiutarti a indagare su quei due…ah, hanno nominato una certa Vermouth, credo sia una complice…se lavorate insieme potreste rintracciarla, e catturarla, e…”

Conan sobbalzò: Ran aveva capito più di quanto credesse. Ma ora che poteva dirle?

Kogoro…non è una cattiva idea accennargli qualcosa…magari non tutta la storia ma…sarei più tranquillo se anche lui fosse all’erta…forse non è un genio ma se c’è di mezzo Ran diventa proprio in gamba…ed è bravo a usare la pistola…però…se lo coinvolgo…e viene ucciso…no non potrei mai sopportare l’idea di averle strappato suo padre…mai…anche se…

Su questo punto avrebbe dovuto riflettere con calma in un’altra situazione, si disse, nel frattempo doveva arginare quella furia prorompente che gli stava davanti e che continuava a parlare incessantemente. Non smise di sfoggiare quel falso tono gioviale e la interruppe: “No, è meglio di no…me ne sto già occupando io. Adesso è meglio che torni a casa, che ti fai medicare quella brutta ferita alla testa e che ti prepari per il nostro appuntamento.” Arrossì, e immaginò che anche lei stesse facendo lo stesso. “Io devo occuparmi un attimo di quei due e poi arrivo…d’accordo?”

“Okay…ma perché non posso…?” Vide la sua ombra avanzare un pochino e di nuovo alzò la voce.

“NO. Dopo, Ran; per favore.”

“Ma…non capisco…” replicò, nonostante si fosse fermata. Conan udì un basso grugnito proveniente da Gin e il cuore cominciò a martellare velocemente nel suo petto. Doveva farla andar via…e alla svelta.

“Ti prego. Dopo. Alle sei. Adesso torna all’arteria principale, Conan ti aspetta lì.”.

“Conan!?”

“Sì, ti aspetta. Io ti raggiungo al parco più tardi; te l’ho promesso, ricordi?” insisté lui, pregando mentalmente che lei gli obbedisse.

Vattene Ran…ti scongiuro…va via…

“Va bene…ma sei strano, Shinichi.” La voce continuava a essere perplessa, ma l’ombra si allontanò come le era stato chiesto. Conan emise un sospiro di sollievo, i nervi che si distesero. Lanciò un’altra occhiata a Gin e lo vide muoversi nel sonno. Probabilmente si sarebbe svegliato di lì a pochi minuti…

Accidenti…ormai la polizia non farà più in tempo…devo andarmene con Ran il prima possibile…

Sbuffò frustrato, avrebbe voluto vederli dietro le sbarre quella sera stessa, ma ancora una volta lo svolgersi degli eventi si era preso gioco di lui. Sospirò di nuovo, raccolse lo skate-board lasciato incustodito e si diresse in fretta verso l’uomo legato alla sedia, che lo fissò incredulo e sbalordito di trovarsi davanti quel nanerottolo, e allentò le sue corde.

“Venga fuori di qui…” sussurrò gentilmente “…l’ospedale è dietro l’angolo…”

“Ma…ma…e quegli uomini?” domandò con un fil di voce. Conan scosse la testa e gli lanciò una delle sue migliori occhiate rassicuranti.

“Avranno quello che si meritano. Lei si preoccupi solo di richiedere la protezione della polizia.” Suggerì. L’uomo lo squadrò inclinando la testa, un’espressione mista fra l’incredulo e il sollevato, le lacrime ancora sulle ciglia.

“Ma…tu chi sei?”

Il bambino sorrise, gli occhi azzurri che brillavano.

“Conan Edogawa…e sono un detective.”

“U..un detective!?” domandò l’uomo ancora sbalordito. Il piccolo annuì, lo prese per mano e lo accompagnò fino all’arteria principale, indicandogli l’ospedale dall’altra parte della strada. Siccome non avevano fatto nulla alle sue gambe, nonostante fossero scosse da tremiti incontrollabili, Conan poté evitare di accompagnarlo anche al pronto soccorso. Lo lasciò alle occhiate curiose della folla, guardandolo mentre attraversava la strada e prendendo nota a mente di andarlo a interrogare una volta che non fosse stato più sotto shock. Dentro di sé si sentiva decisamente seccato a non poter catturare subito Gin e Vodka, comunque rifletté sul fatto che, anche se Ran non l’avesse interrotto, sarebbe stato improduttivo farli arrestare dalla polizia, dato che un’Organizzazione potentissima gli copriva le spalle; risalire alla fonte dei suoi guai era l’unico modo per scrivere davvero la parola ‘fine’ a tutta quella storia. Una volta svegli, gli Uomini in Nero sarebbero tornati alla base e lui li avrebbe seguiti grazie al trasmettitore, sentendo le loro conversazioni attraverso la cimice. Quel pensiero leniva un po’ il sapore amaro che gli era rimasto in bocca…

E forse stavolta potrò tornare davvero a essere me stesso…

“Conan!?” udì una voce calda e dolce, la voce più bella che avesse mai sentito in vita sua. Alzò la testa e la vide, stupenda nonostante i capelli scompigliati e i vestiti stropicciati, che lo fissava sbalordita con due occhi che avrebbero fatto innamorare chiunque. Le sorrise ingenuamente:

“Oh, ciao Ran neechan!”

Amore mio fra poco potrò smettere con le bugie e tu smetterai di piangere…

“Shinichi ha detto…ma tu che ci fai qui?” gli chiese inarcando le sopracciglia, sorpresa e confusa. Conan prese con entrambe le mani lo skate-board che aveva sotto braccio, sollevandolo: “Mi esercitavo.” Ran sbatté le palpebre un paio di volte, poi annuì. Sembrava ancora un tantino turbata e sconvolta. Conan avrebbe voluto dirle qualcosa per confortarla e tranquillizzarla una volta per tutte. Cosa doveva fare? Qual era il metodo che aveva sempre usato con lei quando voleva farle dimenticare le sue preoccupazioni?

Oh ma sicuro…è così semplice…

Sorrise a se stesso, poi si rivolse a lei con voce allegra: “Ho incontrato Shinichi, sai Ran neechan?”

“Sì, me l’ha detto.” Confermò lei, sfoggiando un sorriso forzato e poco convinto. Lui sospirò internamente.

“E mi ha detto di ripeterti parola per parola una cosa…”

Ran lo guardò a occhi sbarrati, incuriosita: “Sarebbe..?” Lui represse con tutte le forze una risata.

“Ha chiesto se per piacere tornando a casa ti dai un’aggiustata perché non ha alcuna intenzione di farsi vedere in giro con una strega scema appena scesa dalla scopa…”

“CHE COOOSAAA!!!???” gridò, e sebbene volesse sembrare a tutti i costi furiosa Conan notò che l’angolo della sua bocca cercava disperatamente di stirarsi in un sorriso.

“Razza di idiota! Gliela faccio vedere io a quello stupido, oggi pomeriggio!” disse in un tono che lo fece rabbrividire.

“Poteva almeno dirmelo in faccia!!!”

“Ehm…ha detto che sarebbe stato un atto di autolesionismo…”

Ran sorrise in modo inquietante: “Non ha tutti i torti, Conan…”

“Eh eh…” si lasciò andare ad una risatina stridula, un nodo in gola difficile da inghiottire: forse era meglio se per l’appuntamento si preparava a schivare colpi, perché aveva l’impressione che Ran, divertita o no, gliel’avrebbe fatta pagare cara quell’uscita. Comunque gli si scaldò il cuore quando vide che si era rasserenata e che l’esperienza con quei due bastardi non l’aveva sconvolta più di tanto. Era una ragazza forte, la sua Ran, e fortunatamente era arrivato prima che avessero il tempo di farle veramente qualcosa.

Non preoccuparti Ran…gliela farò pagare anche per te

“Allora andiamo, Ran neechan?” Lei annuì e lo prese per mano; camminarono in silenzio per un po’, finché Ran non si arrestò di colpo.

“Conan kun…senti…” esordì con un profondo respiro. Lui alzò la testa e la guardò, la fronte aggrottata: non gli piaceva quel tono di voce.

“Perché mi hai mentito?” Domandò, e lui si sentì sprofondare. Non poteva averlo capito…che l’avesse guardato mentre combatteva contro Gin e avesse fatto due più due!? Ma allora perché non l’aveva detto subito?

“Ran…io…” cominciò col cuore in gola, sudando freddo.

“Come hai fatto a sapere che ero allo stabile ieri? So che era una bugia quella che mi hai raccontato…”

“Oooh, quella bugia…” mormorò sentendosi più leggero, mentre il cuore tornava al suo posto. Per fortuna aveva frainteso. Ora però che poteva dirle..? Qual era una spiegazione verosimile per il suo comportamento del giorno prima?

“Beh…io…sono stato uno stupido, e mi vergognavo ad ammetterlo…” abbassò la testa “…in realtà quell’uomo cattivo aveva mandato una lettera allo studio in cui era scritto che ti avrebbe portato lì. L’ho vista mentre aspettavo che finissi di prepararti. Era per lo zio…non ho capito subito bene cosa dicesse perché ancora ho un po’ di difficoltà a leggere gli ideogrammi. L’ho portata a scuola credendo fosse una richiesta per un caso e a me piace tanto giocare a fare il detective…ma poi sono riuscito a leggerla e mi sono spaventato, così sono corso da te.” Immedesimandosi nel ruolo del bambino impulsivo e ingenuo, Conan rifletté un attimo e poi aggiunse “pensavo che se ti avessi salvata da solo mi avresti voluto ancora più bene…” La guardò con due occhioni che avrebbero intenerito chiunque. Infatti Ran arrossì e si chinò abbracciandolo e tenendolo stretto: “Oh Conan…ma io ti voglio già un sacco di bene, piccolo mio…” mormorò dolcemente. Anche lui arrossì, e siccome un adolescente è un adolescente, seppure rimpicciolito, non poté fare a meno di notare con gioia la pressione che il suo seno esercitava contro il suo petto. “Lo so…” disse con gli occhi stralunati. Ran si staccò e lo baciò sulla fronte, aggiustandogli il colletto della camicia in disordine con un sorriso:

“Sai Conan…” rise arrossendo “Ero convinta che tu mi stessi nascondendo qualcosa. Ma veramente! Non puoi nemmeno immaginare i ghirigori mentali che mi sono fatta!” esclamò, Conan si sforzò di ridere con lei, nervoso, mentre una goccia gli calava dalla testa alla nuca.

“Sì, insomma…per il fatto che tu sembri sempre più maturo della tua età, che ogni tanto assumi quella strana espressione assorta…e anche i tuoi atteggiamenti…ho pensato che avessi un peso che non volevi confidare a nessuno…” lo guardava sempre sorridendo, ma Conan si accorse dell’ombra dietro i suoi occhi scrutatori.

“Oh, ma davvero? Che cosa assurda, Ran neechan!! Io non nascondo niente, figurati!” la rassicurò allegramente, e notò che faceva piuttosto caldo, e il colletto della camicia gli stava stretto.

“Sicuro?” chiese lei con dolcezza, aggrottando le sopracciglia pensierosa.

“Sicuro!!” esclamò lui con la voce più infantile e squillante che gli riusciva.

“Conan, a me puoi dirlo…”

“Non ho niente da dirti, te l’assicuro!”

E basta! Hai intenzione di assillarmi fino all’ora dell’appuntamento o che!?

“Ma…allora perché ogni tanto assumi quell’espressione così triste e apprensiva?” insisté lei.

“Lo faccio quando…quando le puntate di Masked Yaibar finiscono che lui è in pericolo!! Sto in pensiero e penso a un modo in cui potrebbe cavarsela.” Si stupì di quanto gli era facile mentire spudoratamente. Si chiese se si stesse pericolosamente immedesimando troppo nel ruolo del moccioso delle elementari.

Allora sì che ci sarebbe da ridere se mi venisse una crisi d’identità…

“Oh.” Commentò Ran, ma sembrava ancora leggermente perplessa. Conan sfoggiò un sorriso tanto smagliante quanto ingenuo: “Senti, ma dove sono Sonoko e Kazuha?” domandò al fine di cambiare discorso. Lei sbarrò gli occhi:

“Oddio è vero! Mi aspettano al Tropical Land!!” disse agitata. Si portò una mano dietro la nuca, strizzò gli occhi e quando vide di nuovo il suo palmo era lievemente macchiato di rosso. Conan guardò a sua volta, il viso contratto dalla preoccupazione.

“Ran, è meglio se vai all’ambulatorio della famiglia Araide a farti medicare. Penso io ad avvertire le tue amiche.” Inforcò lo skate-board e, senza darle il tempo di replicare, sfrecciò per l’ennesima volta fra i marciapiedi affollati.

Kazuha era seduta su una panchina, le braccia incrociate, e osservava con occhi vacui la gente che rideva e gridava sulla pista delle auto-scontro. Nonostante la giornata piuttosto tiepida, si sentiva fredda e svuotata.

Ma soprattutto si sentiva in colpa.

In colpa per il modo in cui aveva reagito, per essere scattata in quel modo contro il suo amico d’infanzia, la persona che mai avrebbe voluto colpire o insultare in quel modo. La gelosia aveva invaso completamente il suo animo, sapere che lui le aveva mentito spudoratamente aveva tirato fuori tutte le sensazioni che per anni aveva represso dentro di sé. Rabbia, tristezza, senso di abbandono…così non era stata lì a pensare a qualche giustificazione ‘ innocente ’ per quello che aveva fatto, ma subito l’aveva accusato della cosa di cui lei aveva più paura in assoluto. E vedendo il fantasma del suo timore più grande incombere, aveva reagito nel peggiore dei modi…per sentirsi uno schifo subito dopo. Così non aveva pianto perché credesse veramente che Heiji avesse un appuntamento con un’altra; l’aveva fatto perché si era sentita una stupida, perché il modo in cui si era comportata rendeva palese ciò che cercava disperatamente di nascondere fin da quando aveva iniziato a esistere, a dir la verità. Era arrabbiata con lui, che l’aveva fatta diventare una ragazzina patetica e piagnucolosa. Furiosa, perché non l’aveva inseguita subito, come sarebbe successo in ogni film romantico degno di essere chiamato tale, ma aveva mandato una semi sconosciuta a dirle che era dispiaciuto e che gli avrebbe spiegato tutto. Bella roba. Dimostrava quanto lei fosse il centro dei suoi pensieri. Ecco un’altra cosa che le dava fastidio. Lui era il centro dei suoi, invece. Si chiedeva perché non fosse la stessa cosa per il suo amico d’infanzia, cercava di pensare a cosa ci fosse di sbagliato in lei per essere ragionevolmente ignorata da colui che, nei suoi desideri più reconditi e che mai avrebbe raccontato ad anima viva, doveva ricoprirla di attenzioni e non poter fare a meno della sua presenza. Si domandava che cosa di quel bamboccio le piacesse così tanto, e non sapeva darsi una risposta, eppure il suo cuore continuava a battere per lui. Si sentiva ferita e umiliata, perché per quanto ci rimuginasse, per quanto lo negasse a se stessa e a chiunque altro, per quanto volesse in momenti come quello che non fosse così, a prescindere dal modo in cui la trattava…

Era innamorata.

Del suo stupido, egoista, infantile, egocentrico amico d’infanzia. Perché?

Perché per lei lui non era né stupido, né egoista, né infantile, né egocentrico. Nella sua testa, lui era perfetto. Ma evidentemente, lei non lo era nella sua. E forse la protezione e le premure che Heiji le aveva riservato quando aveva rischiato di morire erano le attenzioni che un fratello maggiore avrebbe riservato alla sua sorellina. Tutte le altre cose che si era figurata erano frutto della sua immaginazione, erano state speranze in cui amava crogiolarsi in momenti in cui si sentiva particolarmente malinconica o sola. E non poteva incolpare il suo migliore amico perché lei si era illusa. Ma in fondo era più facile arrabbiarsi con lui che non ammettere a se stessa che non ci sarebbe stato niente di più che amicizia fra loro due. Un’amicizia nata solo perché i loro genitori si conoscevano, un’amicizia forzata, portata avanti per abitudine più che altro; perché loro non avevano nulla in comune, a ben pensarci. Se si fossero incontrati al liceo, sarebbero diventati amici? Probabilmente No. Sarebbero andati avanti col livello ‘ ciao ’, avrebbero scambiato qualche parola ogni tanto, magari, ma nulla più di questo.

Così, il loro rapporto si basava su una serie di circostanze indipendenti dalla loro volontà. E un rapporto così non aveva futuro, non nel modo in cui lei sperava, purtroppo.

Perciò se ne stava lì seduta su quella panchina, a guardare davanti a sé senza realmente vedere nulla, a concentrarsi sul fatto di essere furibonda con Heiji Hattori, non perché lui avesse qualche colpa, ma perché era l’unico con cui poteva prendersela per tutte le considerazioni che le erano affiorate alla mente. Perché se lui non fosse stato la persona speciale che era, lei non se ne sarebbe innamorata, e adesso si starebbe divertendo con l’amica di Ran.

Ran, maledizione anche a lei. In quel momento si stava probabilmente godendo l’appuntamento con il suo amato Kudo. Si era lamentata perché lui non la teneva in considerazione, ma le era bastato versare un po’ di lacrime e lui si era precipitato a casa.

Beh, quando era stata lei a piangere, il suo amato Heiji aveva mandato un’altra a consolarla. Sebbene Kudo dovesse macinare chilometri per raggiungere Ran aveva accettato di farlo. Sebbene Heiji avesse dovuto fare solo qualche passo, non si era mosso di un millimetro.

Invidia.

Come se non fosse abbastanza, ora stava provando anche quest’altro sentimento. Dopotutto lei aveva consolato Ran quando si era sentita sola e trascurata; ma Ran, da parte sua, non era lì a consolare lei. No, era a divertirsi con il suo amico d’infanzia nel modo in cui lei non avrebbe potuto mai fare.

Rimpianto.

Per quanto la sua coscienza lo trovasse meschino, era questo il sentimento che stava riempiendo il suo cuore. Se non l’avesse esortata a dare a Kudo una seconda possibilità, magari Ran non sarebbe stata al settimo cielo, ma comunque ora sarebbe al suo fianco, e avrebbero potuto condividere quel momento. E lei non sarebbe stata invidiosa della sua situazione.

Collera.

Perché diavolo quell’idiota frignava quando aveva un ragazzo che la ricambiava e che era pronto a tutto per lei? Kudo e Heiji saranno stati anche simili come si diceva, ma il primo le sembrava un ragazzo molto più sensibile e disponibile.

Una leggera brezza la scosse da quei pensieri, sferzandole il volto accigliato e triste, mentre la coda di capelli scuri ciondolava da un lato solleticandole il collo. Accanto a lei, il pesce rosso boccheggiava nell’acqua del sacchetto con occhietti inespressivi, mentre uno scroscio di risa echeggiò dalla pista davanti a lei. Pensò con ironia e un a leggera amarezza che gli unici a non divertirsi in quel luna park erano lei e quell’ esserino affusolato.

“Kazuha...!” sussultò riconoscendo la voce, ma per il resto non diede cenno di averla sentita. Continuò a guardare con occhi vuoti le macchinette colorate che si scontravano, fra le risa dei guidatori.

“Ti ho trovata, finalmente! Quella Suzuki, là, dice che l’hai cacciata via e che te ne sei andata. Ho temuto fossi uscita dal luna park…” continuò la voce, facendo una pausa per riprendere fiato. Sembrava affannata. Restò in silenzio, davanti a lei un’auto rossa colpì il fianco di un’altra blu, e il bambino che la guidava scoppiò in un pianto disperato.

“Ehm, Kazuha..!? Mi ascolti?” domandò la voce esitante. La madre del bambino in lacrime, dal bordo della pista, lanciava commenti poco carini nei confronti dell’adolescente che guidava l’auto rossa.

“Senti…” un sospiro “…non capisco cosa ti sia preso, prima. Non mi sembra di aver fatto niente di male.” Ora la voce sembrava un pochino risentita. “È vero, forse ti ho mentito riguardo alla commissione, ma non per quello che pensi. Stavo seguendo un caso e il mio…ehm…cliente non voleva ne parlassi a anima viva. Tutto qui. Niente intrighi da soap opera!” aggiunse, quasi orripilata all’idea. Il giro era finito, la madre abbandonò in fretta il bordo della pista, fece lo slalom fra le macchinette ferme e prese in braccio il bambino, andandosene furibonda.

“Hai capito, Kazuha? Ehi, pronto, parlo con te…” capì che si stava avvicinando per toccarla e con un gesto brusco si spostò più di lato sulla panchina. Non voleva. Se l’avesse toccata, forse avrebbe cominciato a tremare, o avrebbe dato un qualsiasi altro segno di scompenso e demoralizzazione. E lui non doveva accorgersi di quanto stava male.

“Ho detto la verità, te lo giuro!” insisté la voce seccata. Probabilmente pensava che la sua reazione fosse dovuta all’incredulità. Stupido idiota…perché non la capiva mai?

“Io non ti ho detto una bugia perché non ti volevo attorno, o dovevo uscire con un’altra, te l’ho già spiegato il motivo!” continuò imperterrita la stessa voce irritata. “E poi…”

“E poi anche se fosse io non avrei il diritto di criticare, no!?” continuò Kazuha interrompendolo, il tono stizzito e isterico: “È questo che volevi dire, vero!!!?? Ma sì, hai ragione, io non sono la tua ragazza, tu sei libero di vedere chi ti pare, non mi devi nulla!!! Tanto io ti faccio schifo, no!!?” esclamò con una fitta al petto e si alzò, decisa ad andarsene. Non l’avrebbe vista piangere di nuovo, non voleva essere così patetica. Girò i tacchi ancora senza degnarlo di uno sguardo e fece per andarsene, ma lui l’afferrò per un polso, stringendola forte.

Non era questo che intendevo dire, stupida!” gridò, con un tono di voce che non gli aveva mai sentito rivolgerle. Fu questo, più di tutto, a farla voltare e quando incrociò il suo sguardo non vide collera nei suoi occhi, bensì determinazione e risentimento…quasi come se lei lo avesse ferito…

Ma come diavolo fai solo a pensare certe idiozie!!” continuò con fervore, lei sussultò abbassando lo sguardo; si sentiva profondamente a disagio.

“Io…a te non frega niente di me…” balbettò quasi senza voce, la stretta sul polso si fece più forte.

“EEEH? No, certo che no Kazuha, è come dici tu!! Non me ne frega nulla di te, non ti posso vedere!! Hai colto nel segno!! È per questo che me ne sto qui a perdere tempo per cercare di farti capire che l’ultima cosa che volevo era farti piangere, che non sarei mai uscito con un’altra ragazza..!! Ma sì, tutto torna!!” affermò cercando con l’ironia di nascondere quanto le sue insinuazioni l’avessero scosso. La ragazza sobbalzò sentendo le sue parole, e quando alzò di nuovo gli occhi, vide le sue guance leggermente imporporate, malgrado la stizza.

“Ma…tu…” cercò di dire, arrossendo a sua volta “non mi sei corso dietro subito…non ti è importato anche se io stavo…piangendo…” . Non stava insistendo perché volesse davvero far valere le sue ragioni, anche se così poteva sembrare. Gli elencava tutti i suoi dubbi perché sperava che lui riuscisse a dissolverli…avrebbe tanto voluto non averne.

“Allora sei proprio una…” dal tono di voce si capì che aveva cercato con buoni risultati di re-inghiottire l’epiteto con cui voleva apostrofarla. “Pronto!! Stavo seguendo un caso!! Non potevo permettere che il mio miglior…ehm…il mio cliente passasse dei guai seri solo perché tu eri in preda a crisi isteriche!! Sveglia Kazuha!! Vedi troppe soap alla tv!!” lei sorrise debolmente, cosa che lo sorprese, facendogli inarcare le sopracciglia.

“Ma tu volevi…l’avresti fatto se non fosse stato per il caso, Heiji?” domandò, gli occhi verdi lievemente lucidi.

“Mi sembra chiaro, idiota!” borbottò, stavolta fu lui a distogliere lo sguardo. “Senti…” riprese, con voce più calma e profonda: “Qualsiasi cosa ti sia passata in testa, non volevo ferirti. Mi è preso un colpo, per il modo in cui hai reagito…non farlo mai più.” Aggiunse infine, quasi con amarezza. Lei soffocò a stento una risatina e lui la guardò, inarcando un sopracciglio. “Niente…” rispose lei alla sua domanda inespressa. “È che…nell’ultima parte mi sei sembrato mio padre…”

“Ah.” Ribatté lui, sbigottito e leggermente divertito, poi entrambi sorrisero. Adesso ricordava che cosa di lui l’avesse attratta maggiormente: Heiji riusciva sempre a metterla di buon umore, malgrado tutto.

“Ehm…a proposito di tuo padre…non dirgli che ti ho fatta piangere, se no mi ammazza.” Aggiunse nervosamente, lei lo guardò con un’occhiata maligna.

“Non lo so…dipende da come ti comporti, Heiji caro…”

“Se non glielo dici, io non gli faccio parola del nuovo amichetto che ti sei fatta, Kazuha.” Replicò lui con tono scaltro.

“Ma di chi accidenti parli?” Kazuha sgranò gli occhi, sorpresa. Heiji indicò la panchina, dove il pesce li guardava boccheggiando attraverso la pellicola di plastica trasparente. “Non ci presenti?”

“Non ha ancora un nome, a dir la verità…” commentò lei, aggrottando la fronte.

“Beh, è un maschio o una femmina?”

“Non ne ho idea…da che si vede?” chiese Kazuha, perplessa. Heiji prese il sacchetto in mano e lo sollevò sopra la sua testa, scrutandolo attentamente.

“Uhm…a quanto pare, non dalla stessa cosa da cui si vede in noi.” Disse in tono serio, rivolgendole poi un sorriso malizioso.

“HEIJI!!” Lei arrossì furiosamente e gli strappò il sacchetto di mano.

“Beh, comunque, che ne dici di chiamarlo Ellery?” aggiunse infine, speranzoso.

“Vuoi dire come il tuo scrittore di gialli e detective preferito?” fece lei meditabonda;

“Più o meno…gli scrittori che si firmavano con questo pseudonimo erano due, Frederic Dannay e Manfred B. Lee, e Ellery Queen non era propriamente un detective come si poteva definire ad esempio Sherlock Holmes…il poliziotto in famiglia era il padre che…”

“Okay, okay, se lo chiamo come vuoi tu prometti di piantarla con questa tiritera?” lo interruppe scocciata, consapevole che se non l’avesse fermato sarebbe andato avanti anche per ore declamando vita morte e miracoli degli autori e del personaggio. Lui si accigliò leggermente seccato, poi annuì.

“Bene, allora benvenuto in famiglia, Ellery-chan.” Concluse lei con un sorriso.

In quel momento una figura minuta si materializzò davanti a loro con uno stridere di gomme, alzando un po’ di polvere. Kazuha guardò dall’alto in basso il bambino che viveva all’agenzia investigativa, lievemente sorpresa, si voltò verso Heiji e notò che lui era diventato stranamente nervoso. Guardò di nuovo il piccolo, che le sorrideva innocente:

“Ciao, volevo dirti che Ran neechan non può venire al luna park, ha avuto un piccolo incidente…” lanciò un’occhiata significativa a Heiji, che gli rispose con un’altra altrettanto eloquente; la cosa si svolse in un lampo e lei non ebbe il tempo di chiedersi cosa volessero dire quei cenni che il bambino continuò con voce squillante: “…ma nulla di preoccupante, sta benone. Passa un attimo dal dottore e poi torna a casa per l’appuntamento con Shinichi. Ha detto che voi potete continuare a divertirvi qui, se vi va, non c’è problema.” Kazuha lo squadrò per un attimo.

“Che le è successo?” chiese infine. Ci fu di nuovo quello strano, inspiegabile scambio di cenni, poi il bimbo si strinse nelle spalle.

“Non insistere, Kazuha. Che ne può sapere lui, è solo un bambino! Parla con Ran, se ci tieni…” s’intromise Heiji. Lei gli lanciò un’occhiata perplessa, poi annuì: “Allora noi restiamo qui, Heiji?” domandò fiduciosa.

“Se proprio ci tieni…” commentò con un tono di sufficienza, ma lei capì che era tutta una finta e sorrise raggiante.

Un altro scambio di cenni e lui aggiunse: “Ma prima vai a cercare Suzuki e avverti anche lei che Mouri non può venire…io accompagno un attimo questo bambino…”

“…in bagno.” Concluse precipitoso Conan per lui. “Mi scappa da morire…”

Kazuha fissò entrambi per un attimo, sbattendo le ciglia perplessa, poi assentì e si avviò, mescolandosi tra la folla, il piccolo, rosso Ellery che sguazzava confuso nelle acque movimentate. I due stettero a guardarla finché non fu più visibile, poi Heiji esordì con tono di scusa: “Ehm…Kudo…riguardo a prima…”

“Per quanto ti meriteresti di restare sulle spine a disagio per un po’, dopo tutte le volte che mi hai preso in giro, umiliato, trattato come un moccioso e chiamato ‘Kudo’ in pubblico e di fronte a Ran…” lo interruppe Conan con aria di superiorità “…ti dimostrerò che sono decisamente più maturo di te e non ti costringerò a chiedermi scusa in ginocchio, Hattori.” Gli sorrise supponente guardandolo dall’alto in basso. Per quanto gli fosse possibile, in quelle condizioni.

“So cosa vuol dire trattare con un’amica d’infanzia furiosa, credimi.” Aggiunse comprensivo. Lui gli sorrise, riconoscente. Conan confidò nel fatto che quello gli assicurasse per un po’ l’incolumità dalle sue continue punzecchiature e allusioni.

“Come sapevi che avevo litigato con Kazuha?”

“Oh, andiamo!! Ti si leggeva in faccia! Non sono mica nato ieri…”

“Beh, più o meno…” rise lui. Ecco, appunto.

Io e le mie speranze vane…

Conan sospirò rassegnato, non ricambiando il sorriso.

“Comunque, cosa è successo dopo che mi hai chiamato per dirmi di sospendere le ricerche?” domandò Heiji serio. Conan sbuffò e si cimentò in un breve resoconto del suo incontro con Vermouth, poi della lotta con Gin e Vodka e della liberazione di Ran. Quando terminò, notò che Heiji lo fissava accigliato, con un’espressione insieme offesa e indispettita e gli occhi a fessura.

“Beh, che ti prende adesso?” chiese sorpreso e infastidito a sua volta.

“Sei andato contro l’Organizzazione da solo?! E senza dirmi niente!?” commentò arrabbiato, senza smettere di fissarlo in malo modo. “Complimenti Kudo, io vengo fin qui da Osaka per aiutarti e tu fai tutto per conto tuo…grazie tante! La prossima volta me ne resto a casa.”

“Io non ti ho chiesto di venire.” Replicò freddamente, senza battere ciglio.

“E cosa avresti fatto se ti avessero catturato o qualcosa di peggio?” insinuò.

“Non è successo.” Rispose Conan, alzando le spalle. Scoccò un’occhiata in tralice al detective dell’ovest per vedere come avesse reagito alle sue parole e notò che era profondamente contrariato.

“Già, devi essere stato davvero fortunato. Nelle tue condizioni, non è difficile avere la meglio su di te in uno scontro.” Disse Heiji, inarcando le sopracciglia maligno.

“Non è stata una fortuna…Io so perfettamente badare a me stesso.” Ribatté seccato.

“Con quel corpicino che ti ritrovi? Ah, non farmi ridere.” Replicò a sua volta il ragazzo del Kansai, con un tono incredulo di derisione che lo disturbò profondamente. “Perfino un moccioso di otto anni ti metterebbe ko, Kudo.” Concluse, guardandolo dall’alto in basso. Conan strinse forte i pugni, fulminandolo con lo sguardo.

“Stai forse cercando di dire che sono debole, Hattori?” sibilò, scandendo le parole.

“Senza i gadget del professore…” cominciò, ma qualcosa nello sguardo del suo migliore amico lo bloccò. C’era di più della rabbia, nei suoi occhi…frustrazione…come se stesse dando voce a timori che lui stesso aveva considerato nella sua mente. “…saresti comunque un detective formidabile, Kudo. A parte qualche inconveniente puramente tecnico…” Non era questo quello che voleva dire, all’inizio. Ma fu felice di aver cambiato idea quando vide l’espressione sul viso di Conan rilassarsi. Sospirò, questa volta poteva lasciar correre; non aveva voglia di litigare e poi così avrebbe ricambiato il favore che il detective dell’est gli aveva fatto poco prima.

“Solo che…è meglio correre meno rischi possibili, non ti sembra? E se fossi venuto anch’io con te…”

“Ti saresti goduto un po’ d’azione anche tu, giusto?” terminò per lui la frase Conan, sorridendo con uno sguardo acuto.

Heiji ricambiò il sorriso divertito: “Esattamente.” Non ebbe difficoltà ad ammettere.

Conan ghignò “Non preoccuparti, avremo altre occasioni per divertirci. Ho applicato un trasmettitore a largo raggio a Gin, e seguendo le sue tracce con i miei occhiali riusciremo a scoprire l’ubicazione del quartier generale. Haibara una volta mi ha spiegato che i centri operativi sono molti, e sparsi in tutto il paese, perciò se lo teniamo d’occhio per un po’…”

“…riusciremo ad avere una mappa dettagliata dei loro quartier generali.” Finì Heiji, un luccichio avido nei suoi occhi.

“Già. E quando sarà il momento di muoversi, avrò bisogno di più aiuti possibili. Naturalmente c’è la polizia, ma…”

“…ma non sappiamo se ci sono infiltrati al dipartimento, e non possiamo organizzare una retata col rischio che qualcuno li avverta. Non solo andrebbe tutto a monte…” sussurrò Heiji, la fronte aggrottata.

“…quei bastardi potrebbero anche lasciare una bomba nel luogo del loro ex centro operativo e farci saltare tutti in aria. E l’ultima cosa che voglio è far morire poliziotti innocenti, magari con una famiglia a casa che li aspetta.” Concluse il detective dell’est.

Come al solito, entrambi erano arrivati alle medesime considerazioni e infatti, più che parlare, stavano riflettendo insieme ad alta voce.

“Cavoli, Kudo, ti sei cacciato davvero in una gran, brutta faccenda…” sospirò il ragazzo, ficcandosi le mani in tasca.

“Forse, ma era ora che qualcuno cercasse di fermarli. E giuro sul mio onore che non gli permetterò di mietere vittime ancora per molto…la pagheranno cara per tutti i loro delitti…” Heiji si voltò a guardarlo: aveva un’espressione determinata, furente, guardava un punto imprecisato davanti a sé, le sopracciglia inarcate. Il detective dell’ovest sorrise benevolo. “E tu saresti una persona orribile, cinica e egoista?” Chiese divertito. Conan lo guardò perplesso, non capendo subito a cosa si riferisse, poi gli venne in mente ciò che gli aveva rivelato al bar quella mattina; il suo viso si rabbuiò.

“Sì…sono contento che Ran soffra solo perché la voglio tutta per me. Il che è sia egoista che crudele…” commentò debolmente, abbassando la testa in modo che lui vedesse solo la massa di capelli bruni.

“Sei umano, Kudo…” replicò lui con semplicità. Conan tornò a fissarlo attentamente, sbattendo le palpebre. Rimasero in silenzio per un po’, e quando Heiji capì che quella spiegazione non gli bastava del tutto andò avanti:

“Non sei un santo…è normale che tu voglia vicino la persona che ami…” fece una pausa, aspettandosi che lui negasse come al solito, ma il suo migliore amico si limitò ad arrossire e continuò a fissarlo intensamente.

“…e siccome sei un investigatore è normale che ogni volta che hai la prova che lei ti ricambia ti senta sollevato… bada, sollevato, non felice… ma ciò non vuol dire che non ti dispiaccia che lei si disperi. In fondo non è colpa tua se sei costretto a mentirle, anzi, lo fai per proteggerla…e anche tu soffri per questa situazione, no? Dev’essere frustrante averla vicina e non poterle parlare come te stesso…se fossi egoista le avresti rivelato tutto e te ne saresti fregato del rischio che l’Organizzazione la uccida…” spiegò paziente, con il tono di chi sta dicendo cose ovvie.

“È vero, ma…”

“Tu sei un bravo ragazzo, e le vuoi bene davvero. E la prova è il fatto stesso che ti sia fatto questi problemi. Una persona cinica non avrebbe minimamente pensato che sentirsi sollevato per le sue lacrime potesse essere sbagliato. Ma tu sì. Dammi retta Shinichi, non hai niente da rimproverarti.” Concluse sorridendo. Lui sussultò lievemente quando lo sentì pronunciare il suo nome e lo squadrò per un attimo, poi distolse lo sguardo. Per qualche istante restarono così, muti e senza guardarsi, Conan sorrise facendo in modo che lui non se ne accorgesse.

Adesso capisco perché mi confido con questo qui…magari non è stato del tutto un errore andare a quel club di Sherlock Holmes…

Quando parlò di nuovo, lo fece con il solito tono distaccato e di sufficienza:

“Beh, amico, sarà meglio che vai a cercare la tua fidanzata. Le hai praticamente promesso di restare al luna park con lei. Tanto, per quanto riguarda l’Organizzazione, oggi non possiamo fare di più.”

“E la cassetta? Ce l’ha quella Vermouth, no?” chiese Heiji, aggrottando la fronte perplesso e impensierito.

“Sì, e non possiamo farci niente.” Disse fermamente. “Ha ucciso Mori e ha tagliato la corda. Non ho idea di cosa ne abbia fatto del corpo, visto che non l’hanno trovato, ma comunque non ha molta importanza. E d’altronde, lei era già a conoscenza della mia vera identità…” sospirò “…quindi il nastro non le servirà a granché.”

“Ma se Vermouth sa che in realtà sei Shinichi Kudo, allora potrebbe averlo detto anche a Gin, Vodka, e a chissà chi altri…” realizzò con orrore Heiji.

“Probabile…” cercò di rispondere in modo freddo, ma la voce gli uscì affievolita e affranta.

“…e infatti ho notato un tizio vestito di nero che si aggira nei dintorni dell’agenzia di Kogoro.” Un altro sospiro “Comunque, è da un po’ che ho a che fare con quella, e non è mai successo niente. E poi…magari è un bluff… ma a me sembra che abbia un debole per Ran. Oggi mi ha perfino rivelato il luogo dove si trovava…”

“Potrebbe averlo fatto perché sperava che per salvarla ci avresti rimesso la pelle.” Disse Heiji soprappensiero, ignorando il fatto che la sua affermazione lo aveva afflitto più di quanto lo fosse prima. Non che Conan non ci avesse pensato, ma allo stato attuale delle cose, preferiva essere ottimista.

“Sì…ma se il mio piano con la trasmittente e la cimice va in porto, non avrà molta importanza…” concluse Conan con voce grave.

Per una volta sola vorrei cancellare dal mio vocabolario la parola ‘se’…

“Ma sì, dai, li prenderemo a calci nel sedere, quei luridi bastardi!” esclamò Heiji con un sorriso, e Conan capì che, sebbene fosse preoccupato quanto lui, stava cercando di tirargli su il morale.

“Puoi dirlo forte.” Commentò sorridendo a sua volta. “Ma ora è meglio che vai, se no Toyama ti uccide…”

“In effetti, è meglio.”

Il ragazzo del Kansai si avviò seguendo i passi di Kazuha; Conan restò a fissarlo per un po’, poi sorrise lievemente, mormorando a se stesso: “Grazie, Heiji.”.

Note dell’Autrice: anche questo capitolo è finito; il risultato non mi soddisfa completamente, ma siccome ne ho scritte tre versioni, non ho intenzione di rimetterci più mano e questa era la migliore, direi che mi posso accontentare. La parte più difficile è stata quella del combattimento fra Gin e Conan: siccome quest’ultimo non può farsi vedere dal suo avversario, ho dovuto inventare un modo per farli affrontare senza il faccia a faccia. Questo è il frutto dello spremere delle mie meningi. ^^” L’ultima parte invece mi piace molto…ma voi cosa ne pensate?? Dite, dite, mi raccomando!

Ora, vorrei ringraziare tutti i lettori de “La Promessa di Shinichi” e anche dell’altra mia ff, “A Very Important Gift”, e in particolare chi ha avuto il buon cuore di lasciare una piccola recensione; i vostri commenti mi fanno piacere e mi tirano sempre su di morale, thanks! ^ __ ^ Ho notato che alcune persone hanno prese di posizione molto ferree riguardo alla coppia ufficiale del manga: io sono molto più malleabile riguardo a questo argomento: posso leggere tranquillamente sia ff Shinichi/Ran che Conan/Ai…l’importante è che le coppie non siano veramente assurde, come ad esempio una Shinichi/Kazuha… (lì darebbe un po’ fastidio anche a me…) In fondo nel manga ogni personaggio ha la sua ‘dolce metà’ chiaramente prefissata, e trovo divertente, almeno nelle ff, poter sconvolgere un po’ le cose…nei limiti, come ho già detto. ^^

Comunque, opinioni personali a parte, passo ai ringraziamenti singoli, come da routine:

Shizuka: ciaoo!! Grazie del commento; qui un po’ di romance c’è, hai visto? ^ _ ~ Non molto, ma non preoccuparti: ora che Gin e Vodka sono (per modo di dire) sistemati posso occuparmi della parte più dolce della storia, quella che credo la maggior parte aspetti con ansia. Tu continua a seguirmi e io non ti deluderò!! (o almeno lo spero…^^”)

Akane Tendoo: wow, ti ringrazio!! Spero solo che con ‘calmante’ non intendi dire che i miei capitoli sono così noiosi che ti fanno addormentare!^^” Uhm…vita piena, eh? Se vuoi un consiglio, quando vai al liceo, non farti eleggere MAI rappresentante di classe! Io lo sono da qualche settimana e già ne ho abbastanza…non bastava la montagna di compiti a casa a tenermi occupata! Comunque, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, e ti ringrazio tantissimo anche per avermi avvertito riguardo alle puntate di DC trasmesse da Italia1…in realtà sapevo già che presto sarebbe arrivato sui nostri schermi il mitico vol.26, ma ti ringrazio comunque per aver avuto la premura di avvisarmi: un pensiero davvero carino, Chiaretta-chan!! ^//^ A presto, e non preoccuparti: non rompi affatto! Scrivimi pure tutto ciò che ti passa per la testa, senza riserve, i tuoi commenti mi piacciono sempre molto. Oh, a proposito, grazie anche per la recensione all’altra fanfic!^^

Mareviola: carissima! Non prendertela, non era mia intenzione offenderti: con ‘vecchia’ intendevo dire che sei la lettrice che mi commenta costantemente da più tempo di tutti. Nessun riferimento all’estetica, giuro!!^^” (d’altronde, come potrei??) Oh, il tredicesimo è il tuo chap preferito?? Allora abbiamo gli stessi gusti! ^__^ Anche a me piace molto…insieme al sesto, all’ottavo e al decimo, finora. Grazie del commento, ci sentiamo presto.

Lili: grazie!^^ Ecco il seguito…spero di non averti fatto aspettare troppo e soprattutto che ti piaccia…

Ichigo Shirogane: hai visto che avevo indovinato? Non sono poi così male come detective se sono riuscita a scoprire la tua doppia identità… ^_^ ci sentiamo e mi raccomando, non trattare male Ichi! : p

Ginny85: ciao Ginny, grazie mille per il commento…sei sempre così generosa con i complimenti?? Perché c’è il rischio che mi monti la testa, se continui così! ^//^ Ti ringrazio tanto comunque, anche per l’altra recensione...sei incoraggiante e adorabile, sul serio!! È vero, uso molto spesso riferimenti a fatti ‘veri’ accaduti nel manga…le informazioni le ho prese navigando un po’ dappertutto in rete, qualche volta ritrovandomi in siti scadenti in cui mancava una pagina su tre, altre volte su siti di migliore qualità…comunque, quelli da cui ho preso la maggior parte sono www.conan.esmartkid.com , che ha una sezione dedicata alle scans in inglese molto ben fornita e strutturata, e un altro, il cui indirizzo è, se non sbaglio, www.vrwarp.com/mangaviewer; di quest’ultimo non sono molto sicura, infatti ci sono tornata qualche giorno fa dopo un sacco di tempo e non sono riuscita a visualizzare la pagina, non so se perché ho digitato male l’indirizzo o perché è proprio inagibile… mi scuso comunque per non averti potuto dare una risposta più precisa. é _ è Il fatto è che non ci sono molti siti su cui fare affidamento, per quanto riguarda le scans di questo bellissimo manga; in ogni caso spero tanto di esserti stata di aiuto…un bacione.

Imi: salve! Che cosa strana che mi dici… O _ O hai inserito il commento all’incirca un mese dopo che ho postato il capitolo, dunque era da un bel po’ che stava online…comunque, faccio del mio meglio con gli aggiornamenti, il fatto è che con prof sadici e impegni vari mi resta poco tempo per mettermi al computer a scrivere…^^”aggiungici pure l’ispirazione che va e viene… ma non preoccuparti, finché resteranno lettori (o lettrici ^ _ ~) come te, che sono così gentili da inserire un piccolo commento, dedicherò ogni istante libero alla stesura di questa ff! Giuro! Grazie per i complimenti, come vedi la tua sofferenza è finita: finalmente sai cosa è successo a Ran! Spero di non aver deluso le tue aspettative…^^” un bacio, a presto.

Ci terrei anche a ringraziare (anche se non so se li leggeranno mai, comunque):

Wilwarind, (sì, ma l’ultima mail che ti ho mandato era piuttosto sbrigativa e superficiale, per questo mi sentivo –e mi sento tutt’ora- in colpa…grazie del commento ad ogni modo, sai quanto siano importanti per me soprattutto le tue impressioni!^^)

Elly, (Bene! Almeno potrò leggere anche belle ff su Conan/Ai…)

Yuki, (wow! Hai le idee chiare sui tuoi gusti…beh, ho già detto che ho un po’ di difficoltà a scrivere di Conan e Ai in chiave romantica…leggere volentieri, ma scrivere è tutt’altra questione. Non so se in futuro lo farò…)

Hoshi (povera Ai, non denigrarla in questo modo^^” in fondo non è così male… stai leggendo anche la mia ‘promessa’ eh? Allora, come ti è sembrato quest’ultimo capitolo? Fammi sapere!)

e Vichan (Mi fa piacere! Grazie!) per aver commentato l’altra mia ff di Detective Conan. Inoltre, un piccolo ringraziamento anche a Ilaria per l’e-mail che mi ha spedito.

Ora è veramente tutto; se riceverò altri commenti sulla ff, “A very…” li unirò a quelli sulla “Promessa di Shinichi” come ho fatto in questo caso alla fine del capitolo quindici. Sarà un chap incentrato principalmente sull’amore, visto che gli ultimi due sono stati prevalentemente di azione, e ci sarà anche una piccola…beh, chiamiamola sorpresa. ^__^ (ß sorriso poco affidabile). Ho già tutto in mente…datemi solo il tempo di scriverlo. Conto su di voi per qualche commentino come al solito, mi raccomando!

Baci

-Melany

  
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