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Autore: EmmaStarr    01/12/2013    3 recensioni
01# Soldati
Sanji alzò la testa, lo sguardo perso nel vuoto. – Sei venuto qui perché ti piace il posto? Non è male.
Zoro si strinse nelle spalle. – Mah. Può darsi, se ti piace deprimerti in mezzo a tutte queste foglie morte.
02#Fratelli
– Sta' giù. – sibilò Ace, lo sguardo puntato in un luogo poco distante da loro, a destra.
In un istante, Rufy si materializzò al suo fianco, il fucile carico tra le braccia. – Che cos'è?
3# Universo
Kidd sbuffò. – Ti ho detto che non morirò.
Law si sdraiò di nuovo, accanto a lui. – È una questione di punti di vista, signor Eustass, mettiamola così. Se sopravvivi adesso, sopravviverai a tutto. – sussurrò, malizioso.
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La guerra non è uno scherzo, nella vita di questi ragazzi, e nemmeno un gioco. Sanji, Zoro, Rufy, Ace, Sabo, Kidd, Law, Nami e Robin si trovano al fronte, in trincea, faccia a faccia con la morte ogni singolo giorno.
Accompagnati dalle poesie di Giuseppe Ungaretti, questi ragazzi conosceranno la morte, la disperazione, e poi la calma dopo la tempesta. Perché la guerra, diceva il poeta, è come un naufragio senza fine.
Ma, come i nostri eroi potrebbero aggiungere, a volte devi solo capire a cosa aggrapparti.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Roronoa Zoro, Trafalgar Law, Un po' tutti, Z | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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SOLDATI

Bosco di Courton luglio 1918

 

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

 

 

 

Zoro camminava piano, facendo sbattere la baionetta sulla coscia. Non gli importava dell'aria carica di pioggia, né del fango incrostato sul casco e nelle pieghe dei vestiti.

Aveva appena finito di sistemare un carico di bombe a mano per il giorno successivo, ed ora voleva godersi in pace quei pochi minuti di quiete prima della cena: il boschetto dietro l'accampamento non era sicuro né bello, ma di certo batteva la trincea con il suo odore di sangue e morte.

L'autunno aveva colorato le foglie degli alberi di un arancione sfavillante, allegro. Fin troppo allegro, a parer suo.

Lui era Roronoa Zoro, e per lui la vita non era mai stata sfavillante o allegra, anzi. C'erano state pochissime punte di colore, nei suoi ventun'anni di buio quasi completo: un pizzico di rosa con Kuina, da piccolo. Un pizzico era tutto quello che aveva potuto chiedere, dopodiché era tornato il buio.

Anni dopo era apparsa una leggera scia di giallo, fastidiosa e irritante. Buffo che quel giallo continuasse a seguirlo ovunque andasse, insultandolo e lamentandosi, ma senza lasciare che quel poco di colore svanisse definitivamente dalla vita di Zoro.

Un cuoco, il cuoco dell'accampamento, per la precisione. Giallo come l'allegria e come la rabbia. Irritante e fastidioso, già. Eppure senza quel vago sentore di giallo, quella piccola scia luminosa, Zoro era convinto che non sarebbe riuscito ad andare avanti con altrettanta forza di volontà.

– Marimo! Stai facendo una passeggiata?

Volontà di spaccarlo in due, ovvio.

– Non chiamarmi così. – ribatté, più per abitudine che per altro, senza nemmeno voltarsi a guardarlo. Il cuoco lo raggiunse, affiancandolo e prendendo a camminare accanto a lui.

– Ti dispiace se ti accompagno? – chiese noncurante, e Zoro sapeva che sarebbe stato inutile informarlo del fatto che, bé, lo stava già facendo.

Rimasero in silenzio per un po', circondati dalla quiete del bosco d'autunno, giallo, rosso, arancione e marroncino chiaro, una tavolozza consumata, un tappeto di braci ardenti. Ogni passo, uno scricchiolio. Zoro non sapeva se definirlo fastidioso o ipnotizzante.

– Tu non dovresti cucinare? – chiese dopo un po', sbuffando.

– L'ho già fatto. Tra un po' chiameranno per la cena, quindi ho pensato di venirti a cercare. Sai, è meglio che tu non ti perda un'altra volta, altrimenti poi il cibo finisce. – ribatté il cuoco, sogghignando.

Sanji il cuoco.

Sanji il cascamorto, che non mancava mai di corteggiare ogni infermiera dell'ospedale, anche la più brutta.

Sanji il guastafeste, che interveniva sempre quando Zoro si stava allenando per sbatterlo fuori dall'edificio di turno gridandogli di andare a mangiare.

Sanji il rompiscatole, con il quale non si poteva sperare di intrattenere una conversazione senza finire in una rissa all'ultimo sangue.

Sanji lo stupido, che non capiva mai quand'era il momento di lasciarlo in pace.

Sanji il cuoco, l'unico che si ricordava di portargli da mangiare di nascosto quando si allenava fino a tardi.

Si erano conosciuti lì, in quell'inferno di fuoco e sangue che era la trincea: soldato semplice e cuoco dell'accampamento. Un'accoppiata a dir poco assurda... se di accoppiata poi si poteva parlare. Zoro ricordava bene il loro primo incontro: era il suo primo giorno come soldato e aveva fame. Neanche a dirlo, la zuppa faceva schifo. Era andato a lamentarsi col cuoco, e così era iniziato tutto: con una rissa, e come altrimenti?

Piano piano, il loro rapporto di odio reciproco era diventato più un “io non uccido te se tu non uccidi me”, per poi tramutarsi in un “passo il tempo con te, ma solo perché mi piace provocarti” e sfociare infine in un “ok, siamo amici, ma prova solo a darmi sui nervi e ti ritroverai con tutte le costole incrinate”.

Un interessante compromesso.

Sanji alzò la testa, lo sguardo perso nel vuoto. – Sei venuto qui perché ti piace il posto? Non è male.

Zoro si strinse nelle spalle. – Mah. Può darsi, se ti piace deprimerti in mezzo a tutte queste foglie morte.

Sanji inarcò un sopracciglio, come domandandosi per l'ennesima volta chi mai glielo facesse fare di passare il tempo con un idiota simile. – Non lo so. Forse è che è più.. come una metafora. Le foglie possono cadere da un momento all'altro, no?

Non serviva altro, Zoro aveva capito. Anche con i soldati si usava quel termine, caduti. Ma era sbagliato, era brutto, perché poi non si rialzavano più.

Improvvisamente, si sentì più vicino a quei fragili relitti arancioni, pronti a cadere da un istante all'altro. Dipendeva da così tante cose... Il vento, la pioggia, gli animali, o semplicemente lo scorrere del tempo. All'improvviso, quel pensiero gli divenne insopportabile.

– Io non sono come quelle foglie. Morirò quando lo deciderò io. – sbottò, cocciuto.

Sanji sorrise. – È esattamente quello che mi aspettavo da te, Marimo. Evita di morire, ok?

Appena ebbe finito di pronunciare quelle parole, una foglia solitaria si staccò dal suo ramo e cadde dolcemente sui capelli di Sanji, quasi come un oscuro presagio. Il ragazzo la spinse istintivamente via, infastidito e forse leggermente turbato.

– Eppure ha una sua bellezza. – insistette dopo qualche istante. – Vedere questo bosco vivo, eppure che muore, è... struggente.

Zoro alzò gli occhi al cielo. – Cuoco, piantala di sparare sciocchezze del genere. – si lamentò. – Cosa mi importa della bellezza, in momenti come questi?

– Appunto! – si infervorò Sanji. – Capisco che un cervello atrofizzato come il tuo faccia fatica ad arrivarci, ma è appunto per questo! Appunto perché abbiamo poco tempo, appunto perché potremmo cadere come quelle foglie da un momento all'altro, dobbiamo godere della bellezza che abbiamo intorno e approfittare delle esperienze che ci si presentano davanti agli occhi. – la sua voce si abbassò, diventando quasi impercettibile. – Se ci rimane poco tempo... bé, allora sfruttiamolo. Non serve passarlo a lamentarsi, ti pare?

Zoro non era sicuro di aver capito tutto, in fondo lui non era solito fare di questi ragionamenti intricati. Però una cosa l'aveva capita: Sanji lo stava esortando a cogliere l'attimo. A sfruttare ogni istante. A non lamentarsi, e solo Sanji sapeva dei lamenti di Zoro, di tutte le sue recriminazioni, dei suoi gemiti e delle sue ossessioni.

Solo Sanji sapeva.

Sanji, che in quanto cuoco non doveva andare a combattere.

Sanji, che si intrufolava nel dormitorio di Zoro in piena notte e lo portava fuori a fare un giro quando sapeva che gli incubi lo avrebbero perseguitato.

Sanji, che aveva ascoltato tutte le grida, le accuse, l'odio di Zoro nei confronti del mondo.

Sanji, che all'occorrenza aveva fatto a botte con lui, nel buio di quelle notti, solo perché smettesse di autocommiserarsi in quel modo.

Sanji, che quando Zoro gridava “Bella roba, tu non devi mica andare là fuori, domani! Tu non sai cosa si prova!” rispondeva con un'alzata di spalle e una boccata di fumo, mormorando che c'erano altre maniere molto meno divertenti di morire.

Sanji, che dopotutto era l'unico vero amico che Zoro avesse mai avuto, e che quindi valeva la pena di essere ascoltato, ogni tanto.

– … Forse hai ragione. È bello, qui. – disse quindi, semplicemente.

Zoro era perfettamente consapevole del fatto che se quel giorno era lì, bé, magari il giorno dopo sarebbe potuto essere sottoterra. A pensarci troppo, rischiava di impazzire. Eppure quand'era con Sanji tutto il resto sembrava più lontano, sfocato: Zoro era una foglia, sì, ma non sarebbe caduto al primo soffio di vento.

Perché aveva un amico per cui lottare, un qualcosa per cui vivere: andiamo, come poteva sopravvivere Sanji senza prenderlo in giro?

– Ehi, Marimo, se rimani indietro ancora un po' finisce la cena, eh! E guarda che io non ti tengo niente da parte, questa volta!

Sanji tornò indietro correndo, e Zoro lo seguì, permettendo ad un caldo sorriso di fare capolino sulle sue labbra.

 

 

































Angolo autrice:
Ed eccomi qui, ad inaugurare questa pazza raccolta AU deprimente e incasinata. Questo è il massimo di Sanji/Zoro che posso offrirvi, perché li vedo così perfetti come friendship che qualcosa di più non riesco a scriverlo incolpate loro, non me, che io ci ho provato!
Ungaretti perché sì, Ungaretti perché lo amo con tutta me stessa, lui e il suo incredibile realismo, la sua poesia misteriosa e affascinante, con poche parole veloci ma incisive. Oh, questo è il tipo di poesia che amo di più. È anche facile da imparare a memoria, figuratevi un po'.
Inoltre "Allegria di naufragi", la poesia che dà il titolo all'intera raccolta, è un titolo che sa di mare, una specie di triste ironia. Ungaretti diceva sempre che si era al fronte con una tale dimestichezza con la morte che, attenzione, era il naufragio senza fine. Ma l'uomo, pur travolto, soffocato, consumato dal tempo e dal dolore è pronto a riprendere il cammino, come appunto un naufrago che non sa rinunciare alla speranza, all'esultanza nello scorgere la salvezza all'orizzonte.
Ecco, capite perché stimerò quest'uomo fino alla morte. Cioè- poesia.
MA! Siccome, contrariamente alle vostre conclusioni, non ho intenzione di farvi morire di noia, la finisco qui. Spero che se questo capitolo vi ha interessato almeno un pochino mi lascerete una recensione, anche solo per dire "datti all'ippica, che schifo".
La prossima shot parlerà di Ace e Rufy, la poesia che userò invece è una sorpresa ^^
A presto, grazie a tutti quelli che lasceranno un parere!
Un bacione, vostra
Emma ^^

  
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