Diario
Signore mio, alla fine sono arrivate.
Le ragazze, quelle che ci hanno chiesto di ospitare per due giorni e una notte,
quelle che non volevo. E infatti, eccole lì: giovani, sporche, belle. Hanno quella
sicurezza che solo la giovane età concede, e insieme quella titubanza di chi non
sa cosa aspettarsi ma ha un bel bagaglio di pregiudizi alle spalle e non ne può
fare a meno. Ci hanno osservate tutte rigide, ma meno inquisitore di quanto
credessi. A vederle, devo dire, mi sono stupita. Quasi non me la ricordavo più,
da così vicino, la giovinezza.
All’inizio avevano nei nostri
confronti la riverenza che l’abito monacale sembra far sì che ci sia dovuta, poi
però, entrando nella vita del convento, svolgendo le nostre mansioni, mangiando
il nostro cibo – quello che tu ci hai concesso, Signore mio – si sono
smaliziate e hanno preso a parlarci con più libertà, a farci domande – alcune banali,
altre inaspettate, ma sempre curiose. Hanno preso anche a sorridere e qualche
volta hanno addirittura riso, per poi pentirsi, guardandosi attorno con fare
circospetto, come se avessero combinato chissà quale marachella.
Talvolta mi sono scoperta anche io a
sorridere, Signore mio, della loro ingenuità, della loro diffidenza. Devono aver
visto tante cose, queste ragazze… molte più di quelle che
avevo visto io alla loro età, questo è certo, eppure mi sembrano così sperdute.
Al di là della fede, che – Signore mio – sai solo tu se l’han scoperta o meno,
queste ragazze mi paiono vagare su un oceano senza rotta, come se
galleggiassero preda dell’onda.
Io, queste giovani dai pantaloni
strappati non le volevo qua al convento, Signore mio. Siamo suore di clausura,
che clausura vivremmo se ci mettessimo a prendere in questa tua casa tutte le
ragazzine che han voglia di sperimentare qualcosa di nuovo…!
Ma ti devo dire – Signore mio – che la brezza che queste due figliole si son
portate dietro, mi ha rinfrancata, in un certo qual modo. L’umanità è un
miracolo che splende. Grazie, Signore mio, per avermelo ricordato.