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Autore: Dzoro    08/12/2013    0 recensioni
Gesù gli domandò: «Qual è il tuo nome?» 
Egli rispose: «Il mio nome è Legione, perché siamo molti». 
Cosa fareste se vi svegliaste una mattina senza ricordare nulla delle vostre ultime 24 ore? E se trovaste sulla vostra porta le foto di degli uomini che non avete mai visto, e la scritta "stanno per morire?" 
Per fan di: Death Note, Twin Peaks, Dylan Dog, Dario Argento, Una Notte da Leoni, Il Grande Lebowski, il rock psichedelico e la crostata di ciliegie.
 
Genere: Horror, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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For We Are Many

Stagione 1

Capitolo 5: Colazione da Gianna


 

Sabato ventidue ottobre, 10:10

Per ovvi motivi, non fui stupito quando nessuno venne a farmi le pulizie. Non che la cosa mi offendesse in modo particolare, il mio unico pensiero quella mattina era andarmene da quel paese al più presto. Accartocciai tutto il mio guardaroba in valigia, partendo dai calzini e le mutande e finendo con il pantaloni, e ricordandomi solo allora che avrei dovuto fare il contrario. Mi sedetti sulla valigia e tirai la cerniera. Avevo una valigetta in cui tenevo il mio portatile, vi ficcai dentro le foto trovate sulla porta, la chiave e i guanti. Assicuratomi di non aver lasciato nulla, mi lanciai verso la reception. Il banco era stranamente vuoto, gli animali impagliati sembravano perfino un po’ tristi. Mi appoggiai sopra e iniziai a far ticchettare le punte delle dita contro il legno. Poi, dietro di me, sentii il parquet che scricchiolava. Il sole mattutino che entrava dall’ingresso proietto su di me un’ombra lunga e scura, che si avvicinava mentre lo scricchiolio iniziava ad andare all’unisono con dei passi pesanti come quelli di un bisonte. Mi voltai. Il caporale Amerigo Furlani mi fissava con i suoi occhi da troll delle nevi, oscurando il sole.
“Fabrizio Scafo, eh?”
“Sì.”  Risposi io, prima di accorgermi che quel tono di voce all’apparenza privo di qualsiasi sentimento, celava una impercettibile ironia.
“Sì?” Ripeté lui.
“No?” Domandai io.
“Lo sa che dare un’identità falsa ad un ufficiale potrebbe portarla in galera, signor Pietro Zeni?”
Bang. Sgamato. Uno dei maggiori problemi che noi detective abbiamo con la polizia, è che un agente abbastanza in gamba non ha problemi a identificarci. I nostri dati sono in bella vista in tutti i database sbirreschi del mondo. Ero pronto a buttarmi ai suoi piedi e pulirgli gli stivali con la lingua, scongiurandolo di perdonarmi e di non mangiarmi, quando accanto a noi, dal nulla, comparve la Gianna.
“Maresciallo! Ma che piacere vederla! Cosa ci fa in paese?” belò gioiosa.
“Passavo a salutare, Gianna. Mi chiedevo se non potessi avere uno dei tuoi ottimi caffè e una fetta della tua leggendaria crostata.” Furlani le rispose senza degnarla di uno sguardo. Continuava a fissare me, ed ero sicuro che se lo avesse fatto ancora per qualche secondo la mia testa sarebbe esplosa come un palloncino.
“Oh, il caffè qui non è nulla di speciale.” Si schernì la Gianna, imbarazzata e lusingata. Ignoravo come avesse fatto a capire ogni parola dell’uomo, evidentemente riusciva a capirlo molto meglio di quanto capiva me.
“No, avete un ottimo caffè qui a Fondale, e un ottima crostata. E io e il mio amico non vediamo l’ora di mangiarcene una fetta, vero signor Zeni?”
“Sicuro. Sicurissimo.” Dissi io, mentre sentivo tutto il sangue defluirmi dalla faccia.
Ci sedemmo su un tavolo del bar, dove la Gianna ci servì del caffè d’orzo dall’aroma bruciacchiato e una fetta di torta chiaramente confezionata, e a giudicare dalla consistenza anche un po’ stantia.
“Le piace?” mi chiese Furlani, interrompendo il lungo silenzio che aveva seguito la fine della conversazione alla reception.
“Buona.” mentii io.
“È orrenda, idiota. Ora, so chi è lei, so che è un investigatore privato. Questo spiega perché mi ha mentito. Ma non lo giustifica. Ha cinque minuti per spiegarmi che diavolo ci fa a Fondale, e a convincermi a non arrestarla.”
“Oddio, non so da dove cominciare.”
“Sono passati almeno dieci secondi. E non creda che non sto contando. Ora. La verità.”
 Mi aprii come un bimbo bugiardo davanti alla mamma arrabbiata. Raccontai dell’indagine, di Giovanna, e della pista che avevo seguito fino a Fondale. Tralasciai il vuoto di memoria, così come l’impresa della notte prima. Feci intendere che l’indagine si era arenata, il che per quello che ne sapevo non era troppo lontano dalla verità. Lui mi ascoltava glaciale, ebbi l’impressione che per tutto il tempo non avesse nemmeno sbattuto le palpebre.
“…e quindi stavo per tornare a Milano. Fine della storia.”
“Sa cosa sono le due cose che odio di più al mondo?”
“Beh, se il mio intuito non mi inganna, immagino che la seconda siano i detective privati.”
“La prima sono i bugiardi.” Era amore. Per un attimo temetti che si riferisse al racconto che gli avevo appena detto, ma mi resi conto che era solo uno strascico di rabbia di quando gli avevo dato la mia identità finta.
“Mi scusi, non volevo compromettere l’indagine.” Tentai di giustificarmi. Tentai di giustificarmi per aver mentito al robocop dell’Arma. No, sul serio, a che cavolo stavo pensando?
“Lei ha ostacolato un indagine di polizia, e preso in giro un ufficiale!” mi urlò addosso. Il suo collo si gonfiò di vene rosse. Io mi miniaturizzai.
“Si vergogni! Ringrazi il cielo che ho cose più importanti da fare che portare in galera voialtri guardoni prezzolati!” Guardoni prezzolati. Questa era oggettivamente originale, l’avrei riutilizzata.
Si alzò, lasciando lì metà della sua colazione.
“Addio, signor Zeni, e preghi il cielo che non ci incontriamo di nuovo.” Detto ciò, voltò i tacchi e si diresse verso l’uscita.
“Sarà fatto. Mi scusi.” lo chiamai. Si girò di nuovo nella mia direzione, con gli occhi fuori dalle orbite.
“Che c’è?” mi abbaiò contro.
“La scomparsa di Giovanna Carta è collegata alla vostra indagine?”
Il suo volto si rilassò. Una reazione involontaria, di nuovo. Ora non avevo bisogno di una risposta, capii di aver fatto centro, il collegamento c’era.
“Non la riguarda.” Si voltò di nuovo, e se ne andò. Io sorseggiai il mio caffè, ritenendomi tutto sommato soddisfatto.
Tornai alla reception, e trovai la Gianna che leggeva il Corriere.
“Gianna, me ne sto andando. Posso saldare il conto?”
“Oh, Giancarlo!” sospirò lei “L’albergo sarà una tale noia senza di lei!” Appoggiò il giornale sul tavolo, e mi abbracciò, cogliendomi totalmente di sorpresa. Io le diedi un paio di colpetti sulla spalla.
“Su su.” Dissi.
“Vado a prendere il registro.” Mi disse, staccandosi, e trottò dentro alla porta dietro al bancone. Rimasi solo, con la mia valigia, e la consapevolezza che stavo per andarmene. E la cosa, non lo nego, mi faceva gongolare. Salutare Fondale sarebbe stato il distacco meno drammatico della mia vita.
I miei occhi caddero sulla copertina del Corriere. Lo aprii, e andai dritto fino alla pagina dello sport. Passai subito dopo a quella della tivù. Quella sera avrebbero dato Non si sevizia un paperino, un film che detestavo ma che il titolo geniale mi obbligava a vedere ogni volta. Sperai di tornare a casa in tempo. Passai alle previsioni del tempo. Mentre la guardavo, un’idea mi trafisse il cervello.
Stanno per morire.
 Girai ancora un paio di pagine, e arrivai ai necrologi. Li lessi tutti, dall’inizio alla fine. Tirai un sospiro di sollievo. Per sicurezza, li rilessi una seconda volta, magari me ne era sfuggito uno. Sentii le gambe diventare di gelatina. Ero un idiota.
Saverio Coletti. Eccolo là, in mezzo alla pagina, in bella vista. Stecchito.
____________

Ora possiamo dare anche un nome al protagonista, bello no?
Il mio obbiettivo scrivendo questa storia, era che non ci fosse una pagina in cui non accadesse qualcosa di stupefacente. Spero di averci preso. Ma fatemelo sapere voi, ditemi i vostri personaggi preferiti (non che per ora ce ne siano molti, ma aspettate e vedrete;), critiche e suggerimenti, cose che vorreste vedere nella storia. Cose così.
Grazie a tutti i recensori e lettori, anche a quelli ora convinti che sono un pericoloso tossicomane. Ciao!
Dzoro

   
 
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