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Autore: Acinorev    08/12/2013    17 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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You were right

Capitolo 28


Vicki.
 
Sbuffai sonoramente e sorrisi a Max in segno di saluto, un mio collega arrivato da non molto in agenzia. Erano le due passate, ormai, e il mio turno era finalmente giunto al termine.
Con la borsa in spalla, i capelli leggermente in disordine e il sonno a torturarmi, ero già pronta a tornare a casa, quando, in corridoio, mi imbattei nell’ultima persona che avrei mai potuto immaginare di vedere lì.
Samantha, con i suoi occhi vispi, stava sicuramente pensando che fossi una fonte di attrazione per persone relativamente in vista: la prima volta aveva avuto a che fare con Louis ed il suo volermi fare una sorpresa per pranzo, questa volta, invece, stava scortando Eleanor Calder in persona. Ferma al mio posto, con un sopracciglio alzato, osservai il suo viso poco truccato e i suoi capelli mossi e terribilmente in ordine. Le gambe lunghe e il fisico asciutto, coperto da un paio di jeans a sigaretta e un maglione largo e nero.
Rasentava la perfezione, ma non per questo ero felice di vederla.
Che diavolo ci faceva sul mio posto di lavoro? E perché uno strano presentimento si stava già impadronendo di me?
Deglutii a vuoto, senza ricambiare il sorriso entusiasta di Samantha. «Vicki, lei…»
«Vorrei parlare con te per l’organizzazione di una piccola festicciola» la interruppe Eleanor, facendosi avanti e guardandomi con una espressione cordiale alla quale non riuscivo a credere tanto facilmente. Mi chiedevo quanto mi odiasse, in una scala da uno a dieci, per averle portato via Louis: in fondo non aveva tutti i torti, perché fino al mio arrivo lei non aveva mai avuto nulla di cui preoccuparsi, anzi, era stata tanto tenace da riuscire a vivere la sua storia con Louis più a lungo di quanto forse immaginasse. Eppure, per quale motivo sarebbe dovuta venire alla “Christian&Catering” per esaudire i suoi desideri? A rigor di logica avrebbe dovuto rifuggirmi come se fossi affetta dalla peste, no?
«Oh, certo – balbettai, corrugando le sopracciglia. – Ehm, vieni pure.»
Posai la borsa sulla scrivania, una volta nel mio ufficio, e, per ignorare i brividi di disagio che quella situazione mi provocava, controllai un’altra volta il mio vecchio Nokia. Nessuna chiamata di Louis, né un messaggio: da una settimana, ormai, sembrava che lui si fosse congelato in uno stato di distanza immotivata. Talvolta scompariva per ore e ore senza una spiegazione valida, talvolta non si impegnava nemmeno per darmene una, e altre volte capitava che, mentre tutto andava a gonfie vele, lui si riscuotesse e si impegnasse a stabilire delle distanze impercettibili, ma comunque presenti. Avevo provato a dare la colpa agli impegni e ai ritmi sostenuti della sua vita, ma non sapevo quanto potessi affidarmi a quelle spiegazioni.
Eleanor si schiarì la voce e mi riportò alla realtà. Si era seduta davanti alla scrivania e mi guardava in attesa, con le mani affusolate posate sulla borsa scura che teneva in grembo.
Con un respiro profondo, presi posto sulla poltrona poco imbottita che ormai si era abituata al mio corpo. «Allora, cosa-»
«Oh, non sarà niente di che – mi precedette, con enfasi. – È una festa a sorpresa per una mia cugina di secondo grado. Cugina che va matta per l’oceano, il pesce e tutto quello che ha a che fare con le onde, il surf e i surfisti» aggiunse, sorridendo in modo malizioso per quell’ultima osservazione, mentre io appuntavo le sue parole su una specie di agenda. Se non si fosse trattato di Eleanor, sarebbe potuta sembrare una semplice conversazione con un cliente. Peccato che non lo fosse.
«Quindi vorresti una festa a tema? Menù a base di pesce?» provai ad indovinare, leggermente in imbarazzo. Stavo davvero discutendo riguardo le decorazioni di una festa a sorpresa con la famigerata ex-ragazza di Louis?
«Per il menù va bene, ma ricordati di non inserire i gamberetti, perché non le piacciono. E il tema… Non so, fa ventidue anni, quindi non vorrei che fosse un po’ troppo infantile. Magari potremmo evitare decorazioni appariscenti e scegliere solo un colore dominante per le tovaglie e-»
«Ok, aspetta – la fermai, sorridendo in parte divertita. – Meglio occuparci di una cosa per volta: quante persone sono invitate a questa festa? Giusto per capire quanto cibo ordinare.»
«Ah giusto, scusa – rispose lei prontamente e stranamente a suo agio. Chissà se dentro di sé stesse progettando di uccidermi in modo lento e cruento. – Saremo una trentina, tra parenti e amici. Sai, ci sarà anche Louis.»
Tossicchiai nervosamente, cercando di rimanere impassibile all’udire quel nome.
«Louis?» ripetei soltanto, con un fil di voce. Perché mai sarebbe dovuto andare alla festa della cugina di secondo grado di Eleanor? E in che veste?
Ok, forse stavo esagerando. Magari lui e questa patita di surfisti erano amici, e magari si tenevano ancora in contatto: questo avrebbe spiegato il gesto di Eleanor di invitare Louis al suo compleanno. Quello che non spiegava, però, era il perché Louis non mi avesse detto niente a riguardo. Non voleva farmi preoccupare per la presenza della sua ex-ragazza? O non aveva intenzione di dirmelo, a prescindere?
«Sì – confermò lei, corrugando la fronte come se non capisse la mia reazione. Poi rilassò il viso nell’abbozzo di un sorriso. – Perché ti sorprende tanto?» chiese infatti. E in quel momento, quella conversazione cessò di essere tranquilla come all’inizio, iniziando a dare cenni di avere ben altri scopi.
Schiusi le labbra per rispondere, per mentire e dire che no, in realtà non mi sorprendeva per niente, e che per me non ci sarebbe stato nessun problema, ma Eleanor parlò prima che io ne avessi l’occasione. «Non sapevi che siamo rimasti in contatto? – domandò, facendomi mancare il fiato. Poi inclinò ancora di più le labbra rosee. – Da donna a donna, Vicki, non vorrei che ti facessi strane illusioni, perché rimarresti delusa. Voglio dire, il fatto che Louis abbia chiuso la nostra storia non vuol dire che condivida il suo letto solo con te.»
Spalancai gli occhi e rimasi in silenzio, con le mani a stringere il legno della scrivania fino a sentir male alle articolazioni.
Eppure, prima che potessi formulare un solo pensiero logico, prima che potessi rendermi conto di aver smesso di respirare e di avere voglia di urlare per poi prendere Eleanor per i capelli, lei si alzò e si congedò. «Ma ora devo andare: spero che terrai a mente il mio consiglio. Tornerò per discutere meglio dei dettagli: ah, la festa è tra due settimane esatte». Il viso illuminato – sì, illuminato – da un’espressione trionfante e fintamente bonaria.
Poi mi voltò le spalle e uscì dall’ufficio, chiudendo delicatamente la porta dietro di sé.
Solo in quel momento, con il suo falso sorriso fuori dalla scena e i suoi occhi degni di un premio oscar per l’interpretazione ancora stampati nella mia mente, espirai velocemente e lanciai il fermacarte contro la porta, soffocando un grido.
Come si permetteva di comportarsi in quel modo? Come si permetteva di insinuare una cosa del genere? Avrei dovuto fermarla e dirgliene quattro, farle sapere che ok, aveva perso Louis, ma che era comunque una stronza da competizione. Avrei dovuto farmi valere e impedirle di parlarmi in quei termini, di usare uno stupido pretesto per arrivare a me e ripagarmi del torto subito. Avrei dovuto dirle che mi dispiaceva per il suo ruolo in tutto quello, ma che Louis non l’aveva mai amata e lei avrebbe solo dovuto aprire gli occhi un po’ prima. Avrei dovuto dirle che io, il letto di Louis, non l’avevo ancora condiviso in quel senso e che forse per questo il nostro rapporto andava ben oltre la fisicità. E avrei dovuto dirle che qualsiasi tentativo lei approcciasse per vendicarsi, non sarebbe stato sufficiente.
Eppure non avevo fatto nulla di tutto quello che il mio istinto mi stava consigliando, e purtroppo sapevo anche il perché. Non potevo essere sicura che lei avesse mentito, non avevo nessun dato in mio favore o in suo. Era semplicemente comparsa di fronte a me per sganciare una bomba pronta a farmi a pezzi, ma come avrei potuto capire se fosse solo una bomba giocattolo?
Che Louis fosse davvero stato a letto con lei? Che quello fosse il motivo del suo improvviso cambiamento dell’ultima settimana? Non mettevo in dubbio il legame che io e lui condividevamo, ma non potevo nemmeno ignorare ciò che lui era nel profondo: una persona estremamente fragile e spaventata, strappata via da Eleanor, la sua unica certezza, in vista di qualcosa che lo terrorizzava. Me.
Troppe volte avevo visto Louis fuggire dalla nostra storia o anche solo dalla previsione di un qualcosa tra di noi, e tornare da lei. Possibile che lo stesse facendo di nuovo?
 
 
Liam.
 
Per fortuna, nemmeno quel giorno fui riconosciuto.
Fui gentilmente scortato alla porta della stanza che avevo prenotato quando Steph mi aveva chiamato, poche ore prima, e congedai il gentile uomo sulla quarantina d’anni con un sorriso di ringraziamento.
Non era come le altre volte: Stephanie, con la voce pacata come al solito e leggermente modificata dalla linea telefonica, mi aveva esplicitamente detto che avremmo solo parlato. Il fatto che fossimo di nuovo in hotel non era altro che un modo per proteggerci da quello che per tutto quel tempo avevamo cercato di evitare: Liam Payne non poteva semplicemente parlare con una ragazza in un bar al centro o fuori Londra, perché tutti gli altri avrebbero frainteso, come sempre.
Tirai un respiro di sollievo ed entrai nella stanza, lussuosa come molte altre in cui avevo alloggiato durante la mia carriera. Lei era seduta su una poltrona in velluto verde scuro, accanto alla finestra chiusa e coperta da tende leggere e chiare: aveva i capelli mori legati in una treccia lasciata sulla spalla destra, gli occhi verdi – “Harry te li potrebbe solo invidiare” – immersi nella solita calma che mai le avevo visto abbandonare, le mani strette in grembo e i piedi coperti solo dai calzini appoggiati sul letto. Era sempre stata fin troppo bella.
«Hey» mi salutò, senza sorridere, ma inclinando il capo leggermente di lato.
«Scusa il ritardo. Il traffico fa schifo» spiegai, togliendomi la giacca di jeans e avvicinandomi a lei. Mi sedetti sul letto, di fianco ai suoi piedi, e le feci il solletico sotto la pianta, cercando di provocarle una leggera risata.
Ebbi successo, ma sapevo che ci fosse qualcosa di strano in lei e in noi. Nel suo non essermi ancora saltata addosso, insultandomi velatamente e in modo scherzoso tra un bacio e l’altro, e nel suo modo di guardarmi attentamente, senza distrarsi nemmeno per un secondo.
«Allora, di cosa volevi parlare?» le chiesi, impaziente.
Lei si passò la lingua sulle labbra e si schiarì la voce, prendendo a giocherellare con la punta della sua treccia con le dita fini. Inspirò profondamente e assottigliò gli occhi. «Dobbiamo smetterla» disse soltanto, facendomi corrugare la fronte.
«Smetterla?» ripetei, confuso.
«Sì. Questa cosa tra di noi… Io e te. È ora di finirla» sospirò, gesticolando con le mani come per spiegarsi meglio. Non la conoscevo a fondo, ma sapevo che faceva schifo nell’esprimersi a parole.
La sua richiesta mi stupiva, e anche parecchio, ma non mi feriva come forse lei pensava avrebbe fatto. Io e Stephanie avevamo iniziato a vederci – ad usarci – solo per scappare: io dovevo fuggire dalla mia vita in generale, dai miei impegni e dalla stanchezza, dalla libertà quasi inesistente e dalle prime pagine dei giornali, dai paparazzi e dallo stress. Lei… Be’, non sapevo praticamente niente della sua vita, se non il suo lavoro, il suo numero di telefono e i gemiti che uscivano dalle sue labbra. La sua costante pacatezza e il suo umorismo a volte troppo acido. Eppure ero convinto che anche lei stesse scappando da qualcosa: non aveva mai chiesto di più, nonostante ci vedessimo da mesi e non così frequentemente; non eravamo mai rimasti a chiacchierare un’intera giornata e nessuno dei due si era spinto oltre con qualsiasi cosa assomigliasse a dei sentimenti. Io non li cercavo, a lei invece bastava così: avevo sempre avuto l’impressione che la mia compagnia, se così poteva essere definita, la aiutasse a fuggire da qualcosa per un po’, ma che servisse solo a quello.
«Ehm… - borbottai, alzando un sopracciglio. – Non me l’aspettavo.»
«Già» commentò lei semplicemente, abbassando per la prima volta lo sguardo.
«Posso sapere perché?» domandai, cercando di fare chiarezza dentro di me. Ok, il nostro rapporto era in un certo senso malsano e fatto di interessi, ma Steph non era un’estranea: l’avevo stretta a me innumerevoli volte, l’avevo accarezzata e lei mi aveva baciato con tutta se stessa, quasi disperatamente, poi l’avevo presa in giro e l’avevo ascoltata ridere. Era Stephanie, e non potevo nascondere che, nonostante tutto, un po’ di dispiacere per la sua volontà stesse prendendo piede dentro di me. A prescindere dal fatto che non avrei più avuto la mia via di fuga e che probabilmente non ne avrei trovata una che mi facesse star bene come lei, era difficile dire addio, in un certo senso, ad una persona che mi era stata tanto d’aiuto per tutto quel tempo.
Steph mi guardò dritto negli occhi per qualche secondo, facendomi venire i brividi per l’intensità di quel semplice gesto. Poi aprì la bocca e la richiuse. Si morse un labbro. Sbuffò. Sfiorò nervosamente la sua treccia. Incrociò i piedi sul letto. Inspirò.
«Lo amo.»
Espirò.
Lo feci anche io.
«Oh» fu la mia sola risposta.
Avevo sempre sospettato che fosse quello il motivo che portava Stephanie a cercarmi quasi disperatamente, nel mezzo della notte o alla luce indagatrice del giorno. Quella era solo una conferma: tante volte ero stato spinto dalla curiosità, ma non avevo mai ceduto alla tentazione di chiederle qualcosa, perché in fondo andava bene così. Perché noi andavamo bene così, senza sapere molto l’uno dell’altra se non l’indispensabile, senza la necessità di parlare e di toccare tasti dolenti, senza il dovere di preoccuparci di qualcosa. Lei non mi chiedeva perché alcune volte non lasciavo uscire nemmeno una parola dalla mia bocca, mentre lei si offriva di farmi fuggire da qualcosa che non voleva conoscere, ed io non le chiedevo perché nei suoi occhi ci fosse tanto tormento malcelato.
«Hai deciso di affrontarlo?» continuai, spostando una mano sulla sua gamba, per accarezzarla mentre le sorridevo debolmente. Lei non rispose, ovviamente, ed io capii. Aveva smesso di scappare e questo implicava che avesse smesso di farlo con me al suo fianco.
«Dovresti farlo anche tu, qualsiasi cosa sia» disse poi, sbattendo le ciglia di mascara.
«Sì, dovrei» le confermai, annuendo. Aveva ragione ed io lo sapevo. L’avevo sempre saputo ma non avevo mai fatto niente a riguardo. La strada più facile era sempre stata la più allettante, ma ormai ero rimasto solo a percorrerla, e senza nessuno a trascinarmi nel fondo da cui non potevo e volevo risalire, avrei dovuto cavarmela da sola e affrontare le mie stanchezze.
«Mi dispiace, Liam» sussurrò, tirando a sé le gambe e alzandosi in piedi, per raggiungermi sul letto.
Io la guardai in quelle iridi che con la luce del mattino erano una vera e propria tortura. Le accarezzai una guancia e mi sporsi verso di lei, per abbracciarla e stringerla al mio petto.
«Mi mancherai» sussurrai sul suo collo, prima di lasciarci un leggero bacio.
Lei non rispose, ma mi passò una mano sulla nuca e si fece più vicina.
 
Entrai nello studio di registrazione e sospirai, rendendomi conto di non essere poi così in ritardo, dato che sul divanetto – oltre ad alcuni tecnici in giro – c’era solo Zayn. Il viso concentrato su qualcosa tra le mani e le gambe tese in avanti, appoggiate su un tavolino. Stava… disegnando?
«Zayn, hey» lo salutai, avvicinandomi a lui. Mi rispose con un semplice cenno del capo, continuando a muovere la mano su di un foglio per tracciare linee sottili e scure con la matita appena mangiucchiata.
«Spiegami perché, ogni volta che corro per arrivare in orario, non ce n’è mai bisogno» esclamai, alzando le mani per l’esasperazione divertita, dovuta all’assenza dell’altra metà del gruppo. Zayn, di nuovo, si limitò a sorridere con la lingua incastrata tra i denti. I suoi occhi, però, rimanevano fissi su quel pezzo di carta.
«Che fai?» chiesi allora, sedendomi al suo fianco con curiosità.
Mi sporsi per sbirciare la sua piccola opera d’arte e, in quel momento, mi accorsi del perché Zayn non mi stesse prestando l’attenzione che io avrei voluto. Quella era Kathleen, potevo scommetterci.
Zayn arrestò i suoi movimenti e inclinò il foglio verso di me per mostrarmelo meglio, continuando a non dire una parola. Io osservai quel viso che ormai non vedevo da tanto tempo, trovandomi a fare i conti con una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco: Zayn aveva rappresentato alla perfezione gli occhi di Kathleen, la loro forma, il loro colore e le ciglia dietro le quali lei si nascondeva quando era in imbarazzo per qualcosa. Le labbra carnose e aperte in un sorriso che le alzava gli zigomi, un po’ più marcate dai tratti decisi di Zayn e forse da qualche ritocco in più. Il naso dritto e i capelli mossi.
«Che ne dici?» chiese poi, a bassa voce.
Dico che ce l’hai fatta, Zayn, pensai tra me e me, guardandolo per rivolgergli un sorriso.
Avevo ancora in mente il giorno in cui lui aveva iniziato quel disegno, mesi prima: era un pomeriggio chiaro e sereno, e lui si era seduto intorno all’isolotto della sua cucina con quel quaderno tra le mani e le matite colorate sparse intorno a sé. Poi io avevo perso il conto delle ore che aveva passato piegato sul viso di Kathleen, ma alla fine era diventata sera e lui aveva gli occhi stanchi e la mascella tesa. «Non sono nemmeno in grado di finire un suo fottuto ritratto senza aver voglia di urlare e spaccare tutto, dimmi come cazzo potrei dimenticarla!» aveva urlato, buttando tutto a terra con un gesto della mano. Ed io avevo cercato di contenerlo, di farlo ragionare e di fargli capire che non doveva perdere la speranza, perché quello che lui sentiva era solo amore, ancora vivo e pulsante. Avevo fallito, però, perché l’avevo visto uscire dalla porta di casa con la rabbia che gli scorreva nelle vene al posto del sangue e con la consapevolezza che Abbie avrebbe presto dovuto raccogliere gli ulteriori pezzi in cui lui si era appena rotto, quelli che io non ero stato in grado di aggiustare. Di nuovo.
«È bellissimo» mormorai, alzando la mano destra per scompigliargli i capelli e farlo ridere.
Zayn diede un’ultima occhiata a quel ritratto, alla sua Kathleen, e riprese a disegnare, mentre io lo guardavo, fiero. Non sapevo se quell’espressione serena sarebbe durata a lungo, se avrebbe avuto una nuova ricaduta, ma sapevo che Zayn ce l’avrebbe fatta. Un passo alla volta, un pezzettino alla volta, sarebbe tornato intero. Vivo.
 
 
Vicki.
 
Ero sicura che dovessi solo tranquillizzarmi, che la mia fosse solo una paranoia portata all’esasperazione dalla cattiveria malcelata di Eleanor. O meglio, avrei voluto esserne sicura.
Mi sentivo terribilmente in colpa, perché io avrei dovuto avere fiducia in Louis, invece non era affatto così, perché era bastata quella frase, quel “non vuol dire che condivida il suo letto solo con te”, per farmi vacillare e crollare. Forse il tutto era peggiorato dalla distanza di Louis in quei giorni, forse le sue paure – ancora in agguato – mi preoccupavano senza che nemmeno me ne rendessi conto, forse forse e altri mille forse. L’unica certezza era che, per quanto non volevo che fosse così, una grande parte di me mi urlava contro che sì, era più che possibile che Eleanor fosse sincera. Appena se ne era andata dal mio ufficio, il mio cuore aveva iniziato a battere freneticamente, ma la mia reazione era solo all’inizio: più il tempo passava, infatti, più tutto si intensificava, come se il mio corpo fosse percorso da onde di consapevolezza sempre più insistenti e, soprattutto, convincenti.
Continuavo a stritolarmi le mani nella speranza che cessassero di tremare in quel modo: ero ridicola. Non potevo pensare già al peggio, come se Louis mi avesse già confermato quel fastidioso sospetto. Dovevo aspettare, ragionare lucidamente e soprattutto parlare con lui. Nel momento in cui gli avessi chiesto la verità, ero sicura che lui sarebbe stato in grado di rassicurarmi, che si sarebbe infuriato ma che mi avrebbe baciata dandomi della stupida, perché non avrebbe mai voluto qualcun’altra oltre me.
Ovviamente quello era il frutto della mia fervida e sentimentale fantasia, ma preferivo adagiarmi su di essa, piuttosto che dare libero arbitrio alla mia paura: il solo pensiero di Louis ed Eleanor insieme mi provocava un dolore talmente forte da impedirmi di reggermi sulle gambe. Era meglio aggrapparsi ad una illusione, fin quando era possibile.
Aspettai che Louis uscisse dalla doccia, contando i secondi che passavo con lo scrosciare dell’acqua nelle orecchie: mi aveva fatta entrare Harry, prima di uscire per raggiungere Abbie con un sorriso che gli invidiavo. Così ero da sola in casa loro, circondata dai loro oggetti personali – dai suoi – e con il cuore in gola che mi impediva di pensare lucidamente. Quando Louis comparve nel corridoio, con i pantaloncini da basket viola a coprirlo e il petto nudo ancora umido, io mi soffermai sui suoi capelli bagnati e sugli occhi stupiti nel vedermi lì.
«Vicki – mi salutò, allegro, camminando verso di me. – Pensavo che ci saremmo visti a casa tua» continuò, passandosi una mano tra i capelli. In effetti era così, lui avrebbe dovuto passarmi a prendere per poi portarmi a cena fuori: in quel momento, però, io potevo solo sperare che tutto si risolvesse il prima possibile e che quel programma potesse essere rispettato.
Quando Louis si avvicinò a me per lasciarmi il solito bacio a fior di labbra, io mi irrigidii involontariamente. Lui se ne accorse, ovviamente, e indietreggiò subito per guardarmi negli occhi. I suoi, leggermente arrossati e stanchi.
«Cosa c’è?» chiese soltanto, corrugando la fronte. Profumava intensamente di bagnoschiuma o di shampoo, quasi a volermi distrarre inconsapevolmente.
Io inspirai profondamente e mi morsi l’interno di una guancia, senza smettere di torturarmi le mani. Più volte avevo formulato domande che avrei potuto porgergli, ma nessuna mi aveva convinta maggiormente della più semplice e diretta che mi fosse venuta in mente.
«Louis… - mormorai, distogliendo per un attimo lo sguardo dal suo, come a voler trovare coraggio dagli oggetti che mi circondavano. – Sei andato a letto con Eleanor?»
Nonostante il salotto in cui ci trovavamo fosse già silenzioso, mi sembrò che tutto si fosse fatto più quieto, come se anche i nostri respiri avessero smesso di fare rumore. Notai le iridi di Louis reagire a quelle mie parole e la sua mascella serrarsi: probabilmente aveva stretto anche i pugni, ma io ero concentrata sulla linea dura che le sue labbra avevano appena formato e sul piccolo passo indietro che aveva fatto.
Come avrei dovuto interpretare quei suoi minimi gesti? Come indignazione o come paura di essere stato colto in flagrante?
Deglutii a vuoto e aspettai una sua risposta, incapace di dire altro.
«Come?» sussurrò appena, assottigliando gli occhi. Quella la riconoscevo, ed era rabbia.
Presi un altro respiro profondo e sbattei le palpebre. Non potevo fermarmi. «Oggi Eleanor è venuta da me in ufficio, a chiedermi di organizzare una festa… O qualcosa del genere. – Stavo balbettando e non lo stavo guardando negli occhi. – E si è premurata di farmi sapere che ci saresti stato anche tu.»
Lui alzò un sopracciglio.
«Quando io mi sono mostrata sorpresa per quella notizia, lei mi ha detto che non avrei dovuto esserlo, perché che tu avessi chiuso la storia tra voi due non significava che condividessi il tuo letto solo con me. - Di nuovo, quel pensiero si divertì a torturarmi. – Quindi te lo chiedo: avete fatto sesso?»
«Tu cosa credi?» fu la sua risposta. Il tono serio e trattenuto.
«Non importa quello che credo io» sussurrai, abbassando di nuovo lo sguardo. Perché non poteva semplicemente dirmi la verità, qualsiasi essa fosse? Dovevo prendere il suo sviare il discorso come un’ammissione implicita?
«Io invece penso di sì» ribatté lui, con un’intonazione tanto aspra da costringermi ad alzare gli occhi nei suoi, per poi pentirmene subito dopo.
«Louis, per favore. Dammi solo una risposta» quasi lo supplicai, facendo un microscopico passo verso di lui. Volevo solo sentirgli dire che no, Eleanor non l’aveva nemmeno sfiorata, e che aveva fame e la prenotazione al ristorante era ancora valida. Volevo che mi stringesse e mi facesse sentire di nuovo bene, al sicuro. Invece lui stava lì, lontano e freddo, senza darmi la possibilità di comprenderlo, perché quel suo atteggiamento poteva essere giustificato in due modi opposti, sì, ma entrambi plausibili.
«No, Vicki – mi contraddisse, a bassa voce e rivolgendomi un sorriso tutt’altro che sincero. Per un attimo pensai che volesse rispondere alla mia domanda, a quel dubbio che mi stava divorando dall’interno, ma quando riprese dovetti ricredermi. – Non ti do un bel niente. Perché piuttosto non mi dici quale sia il vero problema? Perché non ammetti di essertela già data, una risposta, e di volere solo una conferma?»
Aveva ragione. Anzi, no. Io temevo di sapere già tutto, ma speravo che lui potesse correggermi.
«Non è così, io-»
«Oh, andiamo! – sbottò Louis, aprendo le braccia per quella che sembrava esasperazione. – Guardati, stai solo aspettando che io ti dica che Eleanor ti ha detto la verità. Te lo si legge in faccia!»
«Non urlare! – Lo rimproverai, cercando di fare lo stesso. – Sì o no, Louis, non è difficile. Ho solo bisogno di un sì o di un no. Non mi aiuti, facendo così.»
Ed era vero, perché più lui evitava di rispondere, più io sentivo le gambe cedere sotto il peso dei suoi occhi. Più tentava di farmi sentire in colpa, più mi sembrava che stesse evitando il discorso.
«Facendo così come? Come, Vicki? Sei tu ad esserti presentata qui credendo ad Eleanor. Ad Eleanor, cazzo!» I suoi movimenti erano nervosi ed io ero confusa. Non riuscivo a capire se fosse davvero indignato dalla mia mancanza di fiducia o se stesse solo cercando di camuffare qualcos’altro.
«Io non le credo! Sono venuta qui proprio per questo, perché non voglio crederle!»
Anche io avevo iniziato ad alzare la voce, proprio come un tempo. Eravamo davvero tornati al punto in cui non riuscivamo a parlare normalmente senza litigare o senza che uno dei due se ne andasse? Il problema era che, anche volendo, non sarei riuscita a controllare il mio tono, perché ero troppo nervosa, impaurita, per occuparmene davvero.
«Allora non crederle! Come vedi, il problema non esiste!»
Respirai velocemente, mentre mi prendevo qualche secondo per osservare meglio le sue iridi, nella speranza di scorgere qualcosa al loro interno, qualcosa che potesse aiutarmi.
«Non capisco perché… Non capisco perché tu non possa semplicemente rispondermi, perché tu debba continuare…» borbottai tra me e me, passandomi una mano tra i capelli.
Sentii Louis inspirare bruscamente e mi chiesi fino a che punto saremmo arrivati, come mai riuscissi a percepirlo tanto lontano, come se non fossi in grado di raggiungerlo. Proprio come all’inizio.
«Tu non ti fidi di me» disse all’improvviso, atono. Mi voltai a guardarlo, sconvolta dal suono di quelle parole: vagavano nella mia mente come in un implicito sottofondo e, nonostante io facessi di tutto per ignorarle e per concentrarmi sul resto che io e Louis condividevamo, non potevo negare che ci fossero. Sentirle pronunciare da lui, però, mi fece più effetto di quanto pensassi.
«Ed io voglio sapere perché» continuò. Le braccia lungo il corpo e i pugni chiusi, con le nocche bianche. Il suo petto ancora nudo si abbassava e si alzava velocemente, seguendo le sue inspirazioni e le sue espirazioni. I lineamenti del viso erano duri, fin troppo.
Boccheggiai qualcosa, provando a difendermi in qualche modo, ma non mi andava di mentire. Non volevo negare di aver avuto mille dubbi nel momento esatto in cui Eleanor mi aveva detto quelle cose, ma non volevo nemmeno che Louis pensasse di essere la vittima della situazione. Quella mia parziale e disperata mancanza di fiducia aveva delle fondamenta, e se io non ero propensa a nasconderla, non ero nemmeno propensa a lasciarla ingiustificata.
«Tu sei cambiato – mormorai, con un fil di voce. Lasciai la mia bocca a guidare i miei pensieri, senza filtrarli né rifletterci sopra. – Da qualche giorno sei diverso ed io… Quando Eleanor è venuta da me io ho pensato a voi, alla vostra storia e a te, a tutte le tue paure. E quando ha insinuato di essere stata… a letto con te, io ho temuto di non esser stata abbastanza, di averti di nuovo lasciato andare. Non sono una stronza insensibile, sono qui, di fronte a te, e ti sto chiedendo la verità, Louis. Solo la verità.»
«Io l’ho lasciata. Per te» sussurrò lui, rabbioso. Sembrava si stesse trattenendo dal dire qualcosa.
Ancora nessuna risposta precisa.
«Sì, ma lei ha ragione: che tu l’abbia lasciata non vuole dire che-»
«Vicki, ‘sta zitta» mi interruppe, come se avessi potuto fagli del male continuando a parlare.
«Se non sei andato a letto con lei, allora perché sei così diverso? Perché sei così distante?» insistetti. Non mi sarei arresa, perché avevo bisogno di sapere.
«Non sono distante» mi corresse, assottigliando lo sguardo e facendo un passo verso di me. Per un attimo sembrò essersi calmato, quasi fosse pensieroso.
«Sì, lo sei – confermai, con il cuore ad agitarsi al centro del petto, forse nel tentativo di scappare via. – Hai cambiato idea? Vuoi… Vuoi lasciarmi e tornare da lei? Cosa è successo?» aggiunsi, con la voce rotta dalle lacrime che cercavo di non far uscire dai miei occhi lucidi. Eccole lì, tutte le mie paure più profonde. Da quando mi ero resa conto di provare qualcosa di molto forte per Louis, qualcosa che ormai potevo definire amore, si erano ingigantite fino a schiacciarmi: l’idea di perderlo di nuovo si era poi concretizzata con la sua lontananza immotivata e con l’arrivo di Eleanor nel mio ufficio.
Mi sentivo soffocare.
«Non ci credo» sibilò lui, scuotendo la testa lentamente. I suoi occhi che non sapevo più decifrare, i miei che non sapevano più come guardarlo. «Non ci credo» ripeté, prima di voltarsi e allontanarsi da me.
«Louis! – lo chiamai, alzando la voce. Non poteva andarsene, non poteva farlo di nuovo. – Torna qui e dimmelo!» lo incitai, sottintendendo qualcosa di cui non ero certa. Nemmeno io sapevo se quel “dimmelo” implicasse una rassicurazione per una menzogna raccontata da una persona ferita o una definitiva ferita causata dall’ammissione di un tradimento.
Evidentemente, però, Louis optò per la seconda opzione. Si voltò velocemente verso di me, infatti, urlando con le iridi fisse su di me ma piene di rancore e qualcos’altro. «Dirtelo?! – sbottò, come avevo capito stesse aspettando di fare da molto tempo. – Vuoi sentirtelo dire?! Va bene, ci sto: me la sono scopata! Sei contenta adesso? Mi sono scopato Eleanor e ora hai la tua cazzo di risposta!»
Aveva appena finito di pronunciare l’ultima parola, quando la mia mano destra si abbatté sulla sua guancia, con un rumore sordo che coprì quello dei miei singhiozzi incontrollati.
Avevo il respiro mozzato e veloce, mentre le lacrime scendevano sul mio volto senza più darmi ascolto. Louis mi aveva appena strappato il cuore dal petto e io avrei dovuto piegarmi a raccoglierlo, per riappropriarmene, ma non ne avevo le forze.
Lo guardai dritto negli occhi, mentre lui si portava la mano sinistra alla mascella, lentamente. «Avevi ragione  – sussurrai, con quel filo di voce che era già troppo. Con le labbra che tremavano. – Rovini sempre tutto.»
E mentre lui mi fissava senza alcuna emozione, come se fosse stato una statua priva di vita, io mi stavo già allontanando dal mio aguzzino.
Avevo lasciato lì il mio cuore, ma come avrei potuto cercare di riprendermelo?
 

 


ANGOLO AUTRICE
 
Ma cccccccccccccccciao ragazzuole! Che parto che è stato questo capitolo, santo cielo hahah
Ci ho messo un po’ per scriverlo, sia perché non ho avuto molto tempo, sia perché
Louis mi fa impazzire e gestirlo è davvero un’impresa!!
Ma andiamo con ordine: è passata una settimana dall’ultima volta che abbiamo incontrato tutti,
e ora Eleanor va a far visita alla nostra Vicki e dà inizio alle danze.
Non dirò niente riguardo il suo comportamento e le cose che dice, perché vorrei che foste
voi a commentarle (: Ne sapete quanto Vicki, quindi direi che sarebbe interessante!
Liam e Steph: probabilmente alcune di voi avrebbero voluto che quei due finissero insieme,
ma non è mai stato nei miei “piani”. Il loro rapporto è diverso da quello di tutti gli altri
protagonisti, ed entrambi hanno avuto qualcosa da cui fuggire, nonostante non ne abbiano
mai voluto parlare tra di loro! Si sono “usati” e si sono cercati per evadere: Stephanie per non
pensare all’assenza di Brian e ai propri sentimenti che non sa evidentemente gestire,
e Liam per prendere una boccata d’aria dalla sua vita stressante!
Cosa ne pensate? Vedete con occhio diverso Steph? E il loro rapporto?
Spero di non avervi deluse (:
Piccola parte Ziam! (la prima di tutta lo storia, credo ahhaha) Zayn riesce finalmente
a finire quel ritratto, quindi è decisamente più sereno a riguardo: ovviamente non assicura
niente, ma è già un passo avanti (: E Liam ne è felice, anche perché sente parecchio il peso
di non essere riuscito ad aiutare il suo migliore amico!
E Louis!!!! Oh santo cielo quel ragazzo, non potete capire cosa significhi scrivere di lui ahhahaah
Anche qui non posso sbilanciarmi troppo, perché c’è lo spoiler in agguato:
Vicki ovviamente è sconvolta, e spero che voi capiate da dove nasca la sua mancanza di fiducia:
per quanto le voglia credere in Louis e illudersi, non può di certo negare tutte le sue paure
e il continuo rischio di vedere tornare lui con Eleanor, come in fondo è già successo!
Louis alla fine sbotta, e dice qualcosa di davvero poco gradevole, tanto che uno schiaffo
non glielo toglie nessuno: avrà detto la verità? Avrà mentito?
Lascio a voi qualsiasi tipo di congettura, tanto nel prossimo capitolo sarà tutto più chiaro fjdkl
 
Grazie infinite per tutto e scusate e se sono di poche parole ma devo studiare DDD:
Fatemi sapere le vostre opinioni, vi prego (: Un bacione,
Vero.
 
ps. QUI c'è il trailer della storia, se voleste dare un'occhiata :)

 

 

  
  
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